I miss you

 

Scesi dalla mia auto.

La rimirai: pulita, scintillante, sobria, aggraziata e chic. Una Mercedes Classe A nera nuova di zecca. Perfetta.

 

Ero sola in casa quella sera, in quella casa che era mia da ormai alcuni anni.

L’avevo scelto io quell’appartamento a Miami, non molto grande, ma moderno ed elegante.  Adatto a me.

 

Circa una volta a settimana, invitavo qualche uomo conosciuto in discoteca nel week-end a passare lì la notte. Ma quei taciturni forestieri trascorrevano lì dentro solo poche ore, vissute violentemente, bollenti.. e gelide allo stesso tempo. Dopo avermi avuta, il tempo di una sigaretta e se la filavano, nessuno restava lì a dormire, al massimo prendevano un caffè. Alcuni di loro avevano addirittura una compagna fissa. Bastardi. A me non importava, ero una bellissima macchina che usava il proprio corpo per divertimento, per sfogo, ma non adoperava il cuore. Assolutamente inutile ormai, mi avrebbe solo ostacolata. Lo avevo disattivato tredici anni prima.

 

Dopo il college ero ripartita alla volta dell’Università, abbandonando per sempre la riserva in cui avevo passato la mia infanzia e la mia adolescenza e poi mi ero trasferita qui, per lavorare e per cercare di diventare qualcuno, un avvocato; e ora lo ero. Mi ero dovuta umiliare, avevo dovuto mangiare merda, ero stata costretta a fare sesso con gli uomini più disgustosi che avessi mai incontrato, ma ne era valsa la pena. Ora ero a Miami, avevo delle amiche con le quali fare shopping e rimorchiare in giro, avevo un appartamento tutto per me, un’auto chic, vestiti bellissimi, potevo permettermi di andare tutte le settimane dal parrucchiere, di andare praticamente tutte le sere in palestra, di avere un ombrellone fisso nella spiaggia più alla moda della città. Era un sogno. Ero bella, avevo i soldi, ero corteggiata, uscivo la sera, non era rimasto più niente della ragazzina acqua e sapone che si metteva le magliette della Guinness e che passeggiava lungo la spiaggia coi pantaloncini di jeans sdruciti.

 

C’erano dei vestiti sulla poltrona, rimasti lì la sera prima, quando avevo fatto sesso con.. Andrew, Alex? Non mi ricordavo.

Erano un paio di pantaloni bianchi, stretti, di raso, a vita bassa, firmati ovviamente, che sistemai nel guardaroba e una canotta nera con delle pailettes, ovviamente firmata anche quella, che ripiegai con cura e riposi in un altro mobile in cui tenevo le maglie. Sotto le altre meraviglie griffate, sporgeva l’orlo scuro di una maglia che non ricordavo.

La tirai fuori. Non era firmata. Era troppo grande per me, da uomo, nera, con il logo dell’ “Hard Rock Cafè” sopra. Non si era sbiadita, non era cambiata, aveva persino lo stesso profumo.

 

Stavo per salire sull’aereo quando me l’aveva data: “Tienila, so che è la tua preferita, te la regalo”. Poi mi aveva abbracciata. Erano passati tredici anni, all’epoca ne avevo appena diciassette ed ero ancora ingenua, innocente e non assetata di potere.

 

Mi sedetti sul letto, mi sfilai la camicetta e indossai quella larga maglietta nera.

In quel momento, una parte di me stessa che avevo tenuto a tacere per più di un decennio sospirò:

“Mi manchi Quil”.

 

Claire Young