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Autore: lady hawke    08/05/2010    3 recensioni
La legge di successione a Stormhold è crudele: uccidi i tuoi fratelli o sarai ucciso, perchè solo uno potrà ereditare il regno. Septimus, il più piccolo e il più fragile, vive ancora all'ombra di sua madre, terza moglie dell'Ottantunesimo signore di Stormhold. Lady Sofia sa di non poterlo proteggere per sempre, ma sa di dover insegnare a suo figlio a camminare con le sue gambe.
Scritta per l'iniziativa "Gioco dell'oca" di Writers Arena.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fratricidi'
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Note: Grazie a Rowena per avermi suggerito il titolo! XD Ho scritto questa storia per l'iziativa "Gioco dell'oca ispirandomi a questa immagine: Albero


Non era facile crescere a Stormhold. Era un regno aspro, roccioso, arroccato come il palazzo dove i signori di Stormhold, da innumerevoli generazioni, vegliavano sui loro sudditi e spiavano le creature ostili. Non era semplice esserne il suddito, ma non era semplice nemmeno esserne il padrone. La condizione peggiore di tutte poi, era quella di dover vantare il dubbio onore di essere un erede al trono, di essere l’ultimo, in particolare. L’ottantunesimo signore di Stormhold, come molti dei suoi predecessori, aveva avuto molte donne, e tre di queste erano perfino riuscite a sposarlo. Lady Ortensia, la prima consorte reale, gli aveva dato tre figli: Primus, Secundus e Tertius, ma il parto di quest’ultimo aveva prosciugato la donna di tutte le sue ed energie, ed ella era morta due settimane dopo il lieto evento.
Dopo un congruo periodo di lutto, il signore di Stormhold aveva sposato una delle dame del castello, Lady Therese, e da questa aveva avuto ben quattro figli: tre maschi, Quartus, Quintus e Sextus, e una femmina, Una. Ma Lady Therese non aveva la stessa pazienza della defunta Lady Ortensia, nel sopportare le continue e malcelate scappatelle di un marito spesso impegnato al fronte, e aveva preferito allontanarsi per sempre dal palazzo, dal marito e anche dai figli.
Di nuovo solo, l’ottantunesimo signore di Stormhold aveva infine sposato una giovane principessa venuta da uno dei lontanissimi regni sparsi per Faerie, Lady Sofia. Anche da lei aveva avuto un figlio, e l’aveva fatto chiamare Septimus. L’originalità dei nomi dei figli del sovrano era dovuta al fatto che egli aveva bisogno di conoscere l’ordine in cui erano nati i suoi eredi, e schiocchi nomi di fantasia non sarebbero stati, ovviamente, di alcun aiuto in questo senso.
Benché fratelli, la differenza d’età che li separava aveva fatto sì che gli otto figli del signore di Stormhold crescessero senza avere molti contatti gli uni con gli altri, soprattutto per quei figli che si trovavano a condividere solo il padre e non la madre. La consapevolezza del fatto che avrebbero dovuto ammazzarsi l’un l’altro per stabilire chi sarebbe succeduto al padre non poteva far altro che gelare ancora di più i rapporti. La piccola Lady Una, dispensata dal secolare accordo fratricida perché femmina, era l’unica con cui i sette eredi al trono avevano potuto stringere un legame sereno. Ma non lieta pareva essere la vita delle giovani principesse, a Stormhold: ancora bambina ella era stata rapita da una strega e portata via. Grande allora era stato il dolore di tutta Stormhold, del padre e dei suoi figli, i quali avrebbero rimpianto la sua improvvisa scomparsa per tutta la vita. Volatilizzato l’unico legame di quei sette figli, questi crebbero quasi come estranei. A Lady Sofia era deputata la cura e l’educazione dei bambini per tutto ciò che esulava dalle armi e dalle attività virili, ma gran parte delle attenzioni erano in realtà riservate al suo unico figlio Septimus, superato da quasi quindici anni di distanza da Primus. La donna sapeva quale sarebbe stato il futuro del suo bambino, e vedeva quanto apparivano grandi e forti i fratelli, paragonati a lui.
- Vi preoccupate a vuoto, mia cara. – era solito dirle il marito. – Io stesso ho sconfitto in combattimento un fratello ben più forte e piantato di me, e che aveva cinque volte la mia età. Se Septimus avrà la tempra per diventare l’ottantaduesimo signore di Stormhold dopo di me vedrai che accadrà. – aggiungeva, sfiorando il topazio che portava sempre al collo, simbolo del suo potere.
Lady Sofia a quel punto taceva, poiché sapeva che non vi era possibilità di cambiare le cose. Ma passavano gli anni e Septimus rimaneva un bambino schivo, silenzioso e che vagava per il castello come un’ombra, passando quasi inosservato; solo i suoi piccoli occhi lucenti tradivano la presenza di sangue reale. Aveva già sette anni, quando sua madre lo prese per mano e lo condusse in carrozza, fuori dal palazzo; un’età in cui era tempo di sapere tutto ciò che contava nella vita. Il bambino aveva chiesto solo una volta dov’erano diretti, ma quando la madre gli aveva detto che l’avrebbe saputo solo a tempo debito aveva taciuto, diversamente da ogni altro ragazzino, che avrebbe insistito fino a sfiancare il genitore, rimediando un sonoro scapaccione.
Era stato così un viaggio lungo, e trascorso dunque in un mortale silenzio. Lady Sofia guardava fuori dal piccolo finestrino il paesaggio che correva via, il figlio, invece, stava seduto di fronte a lei, rigido e con lo sguardo fisso come un piccolo gargoyle triste. Aveva sussultato solo quando sua madre, battendo sulla vettura, aveva ordinato al cocchiere di fermare i cavalli.
In quel momento Septimus aveva alzato lo sguardo, sperando di intuire dal finestrino lo scopo di quel bizzarro viaggio, ma dinnanzi a loro non v’era nulla, solo un prato erboso accarezzato dal sole e dal vento e, un po’ in lontananza, una quercia.
- Vieni Septimus, scendiamo. – aveva detto la donna, aprendo lo sportello della carrozza. Il cocchiere si era affrettato a venirle in aiuto, e si era premurato di aiutare anche il bambino, sempre più perplesso e spaesato.
- Attendete qui. Io e mio figlio non ci attarderemo molto. – ordinò.
- Come desiderate, mia signora. – aveva ribattuto il cocchiere, inchinandosi. Avrebbe voluto chiedersi perché la signora di Stormhold e suo figlio avessero deciso di passeggiare in un prato isolato, quando alla reggia avevano a disposizione un magnifico parco, ma Lady Sofia era una straniera, e dunque strana, e quelli come lui, in fondo, non erano fatti per porsi domande.
Ignara dell’eccesso dei pensieri di uno dei suoi sudditi, Lady Sofia prese per mano il bambino e cominciò a condurlo attraverso il prato. L’ampia gonna del suo vestito produceva un sibilo curioso, pensava Septimus, mentre attraversava l’erba alta, attento a non farsi pungere da qualche erbaccia urticante. Entrambi proseguirono in silenzio, fino a che l’albero non fu più lontano di una cinquantina di metri. Dietro di esso, notava ora il bambino, si stagliavano palazzi alti e diroccati, l’erba ora, invece, non era che un rado praticello curato.
- Avviciniamoci all’albero. – propose la donna, con voce gentile. – Non ci offrirà riparo, poiché è secco da lungo tempo, ma basterà il vento a darci sollievo.
Septimus obbedì, e rimase in curiosa attesa finché non furono sotto quelle che, un tempo, dovevano essere state ricche fronde verdi.
- Tuo padre ha combattuto, in questo luogo. Una battaglia lunga, quando tu eri ancora in fasce, contro il popolo che viveva sul fiume Desp: queste rovine sono le ultime roccaforti che è riuscito ad espugnare, e quest’albero un tempo era vivo.
- Perché siamo qui? – domandò allora Septimus, conscio che la risposta era vicina.
- Perché penso sia ora che tu e io parliamo del tuo futuro. – Lady Sofia si sedette, e appoggiò la schiena al tronco; il figlio la imitò subito dopo.
- Tuo padre ha provveduto a spiegarti come avviene la successione a Stormhold, vero? – chiese la donna, sospirando.
Septimus sgranò gli occhi, poiché lo ricordava bene; uccidere o essere ucciso, senza nessuna via di fuga. – Naturalmente, madre.
- Tutti i tuoi fratelli sono più grandi di te, di conseguenza più forti e più abili nel maneggiare una spada. Occorrerà tempo perché tu possa solo pensare di avvicinarti alle loro capacità. – Stormhold l’aveva indurita, pensò Lady Sofia, mentre parlava. Non credeva che avrebbe mai potuto essere così severa con suo figlio.
Septimus alzò lo sguardo, per non dover vedere gli occhi di sua madre che cercavano di scrutarlo in profondità; il sole quasi lo accecava, non filtrato dai rami isteriliti.
- Crescerò, madre. – rispose.
- Eppure quindici anni continueranno a separarti da Primus, tredici da Secundus, dodici da Tertius e così via. – continuò Lady Sofia. – Presto potrebbero cominciare a voler sfoltire la concorrenza.
Il bambino strinse le labbra, pensieroso. La verità delle parole di sua madre lo colpiva più violentemente di quanto non potesse immaginare.
- Averne paura è normale, Septimus, e io sono solo preoccupata del tuo futuro, che vedo incerto, e vacuo. – sospirò di nuovo, dando sfogo a parte delle se ansie. – Sei esile, ma anche agile, ho visto come ti arrampichi sui ciliegi del giardino quando pensi che io non ti veda. – la donna sorrise, e il figlio la imitò, timidamente. Arrampicarsi sugli alberi, per lui, era un modo per osservare meglio il mondo vasto di Faerie, mondo che lo interessava molto.
- Non riuscirai mai sovrastarli in combattimento, io credo, ma la gente del mio popolo non ha mai fatto affidamento sulla forza, e questo non ci ha fermati.
- Che dovrei fare, allora, madre? – domandò il bambino.
- Alcuni dei tuoi fratelli peccano di intelligenza, o ingenuità, o presunzione. Tutte caratteristiche che possono portare alla morte, se qualcuno sa sfruttare queste debolezze. – Lady Sofia fissò intensamente negli occhi suo figlio. – Non vorrei vederti diventare un assassino, Septimus. C’è qualcosa di degradante nel dover uccidere un uomo, di bestiale. Ma lottare per sopravvivere è un’altra cosa. Comprendi la differenza, vero?
Septimus ci pensò su. La capiva eccome: uccidi o sarai ucciso, e di certo non voleva venire ammazzato, né in combattimento né in alcun altro modo. – Sì, madre. Lo capisco.
Si zittì per un attimo, e la madre gli lasciò il tempo di riflettere. Erano discorsi seri per un bambino così piccolo, bisognava dargli il tempo di assorbirli. Fu il bambino, poi, a parlare per primo.
- Come posso fare, dunque?
Lady Sofia sorrise. – Sarà un lavoro duro. Dovrai osservare a lungo e senza farti notare, per capire dove e quando colpire, e chi. – la donna alzò lo sguardo verso l’alto, osservando i rami secchi del vecchio albero. – Di molti rami nati da un forte tronco pochi si avvicinano al sole; nel caso di Stormhold solo uno può raggiungere la vetta più alta, e per farlo non deve compiere errori.
La donna si alzò in piedi, mentre il bambino osservava con attenzione i suoi movimenti. Lady Sofia alzò il braccio e afferrò un piccolo ramo, che si spezzò producendo un rumore secco.
- Spezza la vita dei tuoi fratelli come questo ramo, e sarai il signore assoluto di Stormhold, come tuo padre. Non fidarti di nessuno, se puoi; nemmeno io potrò esserti di grande aiuto, in futuro. – rimase seria un momento, poi riprese a parlare. – Torniamo alla carrozza, il nostro cocchiere sarà ansioso di tornare a casa.
Entrambi ripercorsero il prato a ritroso, e Septimus si concentrò ancora sul rumore della gonna ampia della madre. Sapeva che non appena rientrati al palazzo avrebbe guardato con occhi ancora più sospettosi i suo fratelli. Prese alla madre il rametto che aveva spezzato, e ci giocò per tutto il viaggio di ritorno, mentre Lady Sofia lo osservava con la coda dell’occhio; suo figlio era sveglio, intelligente, ed imparava in fretta. Avrebbe potuto vincere la sfida.
Septimus, dal canto suo, aveva risposto agli amorevoli sguardi materni con uno dei suoi rari sorrisi. Se era nel suo destino sporcarsi le mani di sangue l’avrebbe fatto, nessuno dei fratelli gli era mai stato così simpatico, in fondo.
  
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