Do I have to cry for you?
“Che agnello stupido”
Mi persi negli occhi
fissi nei miei: verdi, profondi, avrei potuto non uscirne più.
“Che leone pazzo e
masochista”
“Puoi ripetere?”
“Come?”
Vidi un lampo di
confusione passargli negli occhi che subito dopo si illuminarono, divertiti.
“Potresti…”
Un suono lungo, acuto e
squillante mi riscosse.
Serrai le palpebre,
infastidita ed irritata.
Mossi la mano a tentoni,
alla mia sinistra, sperando di imbattermi nella sveglia al più presto.
Ci misi più del solito a
trovarla ma alla fine colpii con brutalità qualcosa di duro e soddisfatta
tentai di ricadere nel confortevole oblio da cui mi avevano malamente portata
via.
Un trillo più acuto e anche
più vicino tornò a farsi sentire.
No, così non andava bene:
perché non smetteva? Perché diavolo continuava a suonare?!
Iniziai ad imprecare a denti
stretti, riprendendo ad agitare la mano alla ricerca di quel diabolico aggeggio
che dovevo assolutamente neutralizzare: quando chiusi le dita con forza però,
non mi ritrovai a stringere la sveglia ma un qualcosa di soffice e vellutato.
Aggrottai le sopracciglia,
non riuscendo a capire: mi capitava la mattina di connettere lentamente e con
difficoltà, ma ora stavamo decisamente esagerando!
Socchiusi piano gli occhi,
osservando confusa l’angolo della gonna di tessuto bianco a pois neri nel
mio palmo. Ecco, ora ero ancora più stranita: la mia sveglia si era forse
trasformata in una gonna?
Alzai lo sguardo, scorrendo
attentamente la figura esile e slanciata della signorina ferma al mio fianco:
mi guardava dall’alto in basso con un sorriso a trentadue denti stampato
in faccia.
- Buongiorno! Volevo solo
dirle che…-
Smisi di ascoltarla,
corrugando improvvisamente la fronte non appena mi accorsi dell’oggetto
che teneva in mano e continuava ancora ad agitare sovrappensiero: una piccola
campanella dorata.
Ogni scampanellio era come
una botta in testa: fastidioso e altamente molesto.
Provai un fortissimo impulso
di afferrare di colpo la campanella per farla inghiottire alla donnina
petulante: si meritava quello e molto peggio per avermi svegliata.
Lei però sembrò non
accorgersi minimante delle mie emozioni per niente amichevoli, continuando
imperterrita e sorridente il suo monologo.
Io lasciai vagare lo
sguardo, decisa a capire almeno dove mi trovassi prima di commettere alcun
omicidio: studiai il sedile nero in cui ero sprofondata, il corridoio alla mia
sinistra, i finestrini piccoli e rotondi e la televisione di fronte a me che
mandava i titoli di coda di un film.
- …
Inghilterra…-
Una parte del mio cervello
registrò quella parola fra le troppe del discorso della signorina e, come in un
lampo di comprensione, ricordai tutto: vacanza studio, quindici giorni,
Inghilterra.
Quasi saltai sulla
poltroncina di quello che solo in quel momento avevo finalmente identificato
come aereo: Dio mio! Mi ero addormentata! Come era anche lontanamente
concepibile?!
I ricordi presero a
riaffiorare uno dopo l’altro: avevo salutato tutti, ero salita
sull’aereo… mi ero arpionata al sedile con le unghie quando alcune
turbolenze ci avevano fatto sobbalzare e un signore gentile, dal viso paffuto
ed i capelli castani, seduto alla mia destra, mi avevo offerto un po’ di
una bevanda lievemente alcolica… “per calmarmi” aveva detto,
ridacchiando… e poi avevo preso a chiacchierare: del più e del meno, di
tutto, senza prendere aria nemmeno per un istante.
E il signore gentile mi
aveva ascoltata, sorridendo, annuendo, commentando.
Non mi ero mai divertita
tanto con un perfetto sconosciuto: venti anni, un po’ di pancetta e
capelli bianchi in meno e avrei anche potuto sposarlo!
Cosa era successo poi, come
ero arrivata ad addormentarmi?
Che il mio vicino, stanco di
fare il gentile con una pazza squinternata dalla parlantina facile, si fosse
deciso a drogarmi per non dovermi più stare a sentire?
Fu in quel momento che mi
venne in mente la svolta nella nostra conversazione, quando cioè avevo
raggiunto il culmine di follia possibile: una delle hostess aveva messo un film
e quel film era Twilight… non lo avesse mai fatto.
Mi ero zittita un secondo,
avevo guardato il signore gentile con una luce maliziosa negli occhi e avevo
cominciato a parlare peggio di prima: nuovo argomento di conversazione, Robert
Pattinson.
Mi passai una mano sul viso
ricordando alcune delle mie frasi più assurde, quelle che non avrei mai voluto
attribuire a me quanto ad un alcool che purtroppo non c’era stato.
“Sa com’è non
credo che alla fine sia poi questo chissà che di eccezionale! Certo ha fatto
impazzire tutte ma ce ne sono di ragazzi più belli e poi… certo è
affascinante e ha un bel sorriso… per non parlare dell’idiozia di
alcune fan che… i film poi, mi spiego, potevano sicuramente…”
Lui non mi aveva mai
interrotta, continuando ad ascoltarmi in silenzio, ridendo ogni tanto e
sorridendo sornione. Solo alla fine del primo tempo si decise a farmi una
domanda:
“Ma ti piace? Cioè ti
faresti mordere?-
Aveva scherzato lui,
credendo di prendermi in contropiede.
Io avevo ridacchiato: non
sapeva con chi aveva a che fare, il signore gentile.
Sorridendo avevo risposto, a
voce bassa e seria:
- Mordere? No, certo che no.
Però lo violenterei con piacere-
Dopo quel momento, dopo che
lui era scoppiato a ridere di getto, con le lacrime agli occhi ed il corpo
tutto scosso dai singulti, i ricordi si facevano confusi. Era a quel punto, mi
dissi, che dovevo essere crollata.
Girai la testa, sperando di
incontrare il suo sguardo e il suo sorriso ormai familiare.
Invece mi scontrai con il
vuoto: meravigliata mi guardai attorno, accorgendomi con sorpresa sempre
maggiore di come anche tutti gli altri posti fossero completamente vuoti.
Ma cosa…?
Alzai gli occhi sulla
signorina ancora in piedi al mio fianco e con sguardo interrogativo le indicai
il sedile alla mia destra. Lei annuì, porgendomi un foglietto:
- Il signore è stato uno dei
primi a scendere: aveva fretta, mi è sembrato. Ad ogni modo mi ha detto di
salutarla da parte sua e darle questo-
Presi il biglietto con un
gesto veloce, leggendolo curiosa:
“Era da tanto che non
ridevo così di gusto per così tanto tempo. Grazie davvero per la stupenda
chiacchierata. E’ stato un immenso piacere conoscerla, Richard”
Sorrisi, contenta di aver
conosciuto una persona almeno apparentemente davvero gentile.
Poi tornai a guardare la
signorina, con aria scocciata:
- Ma perché è sceso?-
Mi resi conto troppo tardi
della cavolata appena detta: eravamo su un aereo, santo Dio, per quale motivo
si può mai scendere?!
Purtroppo mi capitava,
troppo spesso, di dire qualcosa senza che il cervello avesse dato la sua
approvazione: era la lingua, più veloce e sconsiderata, ad avere la meglio.
La hostess aprì la bocca,
come per rispondermi, ma poi cambiò idea scuotendo la testa.
Aveva smesso di sorridere,
notai con orrore.
Non sorrideva.
Strinse gli occhi,
assotigliandoli, e quando rispose lo fece con voce fredda ed incolore.
- Siamo atterrati,
signorina-
Spalancai gli occhi,
fingendomi sorpresa.
- E perché non me lo ha
detto prima?-
Lei sembrava sul punto di
mettersi ad urlare: strappò con forza il lembo della sua gonna dalla mia mano e
strinse la campanella con tanta violenza da farsi sbiancare le nocche.
- E’ quello che le sto
ripetendo da oltre dieci minuti-
Aveva calcato su ogni
parola, sillabandole quasi: ecco, ora mi avrebbe ucciso lei.
Accennai vagamente ad un
sorriso imbarazzato ma lei non sembrava intenzionata a perdonarmi.
Feci timidamente spallucce,
alzandomi con cautela e sussurrando:
- Mi scusi, davvero.
E’ solo che sono intrattabile appena sveglia. E poi non ho preso il
caffè…-
Sperai di averla rabbonita
almeno un po’: in fondo ero appena atterrata in Inghilterra e scendere
dall’aereo ancora viva per dare un’occhiata fuori mi avrebbe fatto
piacere.
La hostess prese vari
respiri, chiudendo gli occhi e poi li riaprì, sorridendo di nuovo.
- Tutto bene, mi scusi lei.
Siamo arrivati, signorina. Le andrebbe di scendere?-
La ammirai per il suo
autocontrollo davvero invidiabile: fossi stata io al suo posto, mi sarei già
buttata fuori dal finestrino dell’aereo.
Le sorrisi e camminando
piano percorsi il corridoio.
Non le diedi mai le spalle:
per qualche motivo avevo l’impressione che una pugnalata nella schiena me
la sarei meritata. Ma lei non mi colpì, non ci provò nemmeno.
Così riuscii a scendere la
scaletta indenne.
Con un sospiro mi avviai
attraverso il tunnel che mi avrebbe portata nell’aeroporto.
Ero ancora viva,
stranamente.
L’Inghilterra però,
pensai, non sarebbe stata più la stessa dopo il mio soggiorno.
*
Maggio.
Siamo a Maggio, ve ne rendete conto?
Ecco, ogni anno, io a Maggio vado in tilt:
entro in ansia, diciamo così… paura per le ultime interrogazione, per i
compiti, per i prof. che pazzi, credono di poter fare chissà che in queste
ultime povere quattro settimane.
Così mi ritrovo a scrivere sempre storie
come queste.
Io le chiamo “valvole di pressione”
Sono storie senza senso, senza impegno…
leggere, frizzanti…
Mi devono aiutare a “fuggire”,
dimenticando ed estraniandomi completamente dal resto.
Perciò vi avverto che non sarà niente di
che…
… che tenderà moooltoo
al demenziale…
… e che, bah, almeno per me sarà solo
un passatempo ^^
Ad ogni modo se vi andasse di farmi sapere
che ve ne sembra, mi fareste un gran piacere!
Alla prossima!