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Autore: Egle    10/05/2010    12 recensioni
Le bionde carine, spigliate e intelligenti non devono stare da sole nei boschi, per di più di notte.. Lo sanno tutti! Potrebbero succedere cose orribili: mostri che emergono dalla boscaglia e ogni genere di pericolo che la mente umana può concepire. Che fare allora se non chiamare un cavaliere? Visto poi che il soccorso stradale non risponde....[Sir Leon/Lady Vivian.. continuazione della fanfic Coffee break]
Genere: Romantico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Knight and the Princess'
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Introduzione

Introduzione

Dunque... prima di tutto un ringraziamento/dedica alla mia beta reader Harry, che ha deciso quale storia dovessi mettere in rete…(Io volevo mettere un capitolo nuovo dell’AU What about now.. ma lei ha votato per questa quindi…se preferivate l’altra storia prendetevela con lei. Se non ve ne frega niente di nessuna delle due… perché caaaaaaazzo avete aperto la pagina?)...  e il sottotiolo della fan fiction… (C’è un sottotitolo? Ebbene sì, perché noi Leon Girls non ci facciamo mancare nulla)


Ad ogni modo… dedico questa storia anche a tutte le inspiegabili fan di Sir Leon, in particolare a GiulyB e lynch, che lo seguono con amore… tipo groupies… attraverso le mie diverse storie, e a tutte le fan di Lady Vivian, in particolare Melchan, che con i loro commenti mi hanno spinto a mettere anche questa storia sul web.

Un ringraziamento anche a Elyxyz che commenta tutte le mie fanfic anche se alcuni pairing la lasciano un po’ perplessa^^

 

Volevo ringraziare anche tutti coloro che pian piano riscoprono le mie vecchie fanfic e mi lasciano un commentino! Li leggo tutti, state tranquilli… e mi fanno anche piacerissimo ^_^

 

 

Pooi, per tornare alla storia, volevo precisare che … massì, alla fine Sir Leon piace anche a me come personaggio.

E’ solo fisicamente che … mah. E con mah mi fermo.

 

Prima di lasciarvi alla lettura di questa mirabolante fan fiction volevo aggiungere solo un paio di precisazioni:

1. tutti le spiegazioni sulla nascita di questo pairing sono date nell’introduzione della fanfic precedente Coffee break

2. nella prima parte della fan fiction il tono è volutamente colloquiale.

3. Tutti i riferimenti biografici, che riguardano la vita della sottoscritta, sono assolutamente casuali e non voluti.

4. E’ proibito fare commenti su Taylor Swift e sul perché io ascolti le sue canzoni. So già tutto e me ne vergogno ampiamente.

 

And now…Buona lettura!

 

 

 

When a prince is useless

What a princess wants…

 

“Mi senti adesso?”

“Sì, ti sento”

“Comunque… come ti stavo dicendo... un ristorante che non andava oltre il mediocre. Poca varietà di vini, dolci appena passabili e la toilette...”
Vivian roteò gli occhi teatralmente, diminuendo la velocità mentre imboccava la strada che si inerpicava su dalla collina. Si aggiustò l’auricolare, controllando di avere ancora campo. “Nell’anticamera non c’erano poltroncine o divanetti… solo i lavandini. Ora io dico... dove siamo? In Ruanda?” disse acuta, tenendo lo sguardo puntato sulla strada che si stava restringendo man mano che l’auto avanzava.

Accese gli abbaglianti, stringendo un po’ gli occhi nel tentativo di perforare il buio, reso ancora più fitto dalle fronde degli alberi che impedivano alla tenue luce di lunare di sfiorare l’asfalto.

“Che orrore” starnazzò Janice nel telefono.

“E non hai ancora sentito il peggio” replicò Vivian  “Dopo la cena lui dice che conosce questo locale dove fanno musica dal vivo. Fantastico, dico io, anche se in realtà avrei voluto infilarmi nel primo taxi e raggiungervi al Blue Forest. Ad ogni modo.. mi faccio forza e andiamo in questo locale… una cantina!”
“No…” sospirò Janice.

Vivian poteva quasi vedere la sua faccia scandalizzata mentre era tutta impegnata in un’attività altamente culturale come mettersi lo smalto alle unghie dei piedi. “Te lo giuro sulle mie Jimmy Choo collezione autunno-inverno 2010-2011. Era una perdindirindina di cantina! Per entrare bisognava scendere questa lunga scalinata, con dei gradini fatti di pietra tutti scivolosi.. hallo? Mai sentito parlare di norme di sicurezza? E soprattutto di tacchi alti? Mi sono quasi ammazzata giù da quella maledetta scala!”

“Dio, tanto valeva che ti portasse nel primo McDonald’s!”

Vivian rabbrividì, facendo una smorfietta disgustata. Scosse la testa come per cancellare l’inquietante visione di lei in un McDonald’s con un vassoio rosso in mano e un panino carico di carboidrati. “L’interno del locale era anche peggio!” proseguì dopo qualche istante “Un bugigattolo con tavoli di legno, nemmeno l’ombra di una finestra o di uno specchio... e nessuna poltroncina. E lui che mi guarda tutto orgoglioso e mi dice che si è fatto dare il tavolo migliore del locale.”
“Oh Dio..”

“Sì, lo so… perdente. Comunque ho cercato di sorridergli, fingendo di ignorare il pavimento, la cameriera obesa e quel nauseante odore di muffa. Lui deve aver comunque colto qualcosa sulla mia faccia perché si è affrettato ad assicurarmi che la musica è davvero eccezionale. E poi ha iniziato a elencarmi non so quanti nomi di gente che si è esibita lì, aspettandosi che io li conoscessi o qualcosa del genere..”

Vivian emise un versettino dal naso, guardandosi nello specchietto retrovisore. Sorrise compiaciuta al suo riflesso, prima di tornare a concentrarsi sulla guida. “Ho continuato stoicamente a sorridergli annuendo nei momenti giusti, quando è arrivata la cameriera. Ho iniziato a gioire, avevo davvero, davvero bisogno di bere qualcosa con ciliegie e ombrellini quando lei mi risponde che non hanno il cosmopolitan!”

“No!”

“Te lo giuro!”

“Oddio, tesoro. Come hai fatto a non scappare di corsa?”

“Non lo so! Non lo so! Devo essere impazzita! Leon era lì che mi guardava tutto speranzoso e così mi sono abbassata a prendere un mojito, ma non ne ho bevuto più di un paio di sorsi.”

“Ma povero, amore.” replicò Janice, facendo schioccare più volte le labbra come se stesse mandandole dei bacini attraverso il cellulare. Vivian imbronciò le labbra, aggrappandosi a tutto il suo coraggio per non soccombere al ricordo della tragica serata. Si scostò un ricciolo biondo dalla fronte, diminuendo la velocità di qualche chilometro all’ora.

“E non è ancora finita…”

“Cosa può esserci peggio di questo?”

“La musica!” strillò lei acuta “Arrivano queste... mummie sul palco! E vanno avanti a suonare per ore! Un brano durava qualcosa come... un’eternità! E nessuno cantava! C’erano solo questi che suonavano e suonavano e suonavano e io ti giuro che non capivo nemmeno quando finiva una canzone e ne cominciava un’altra! Non capivo nemmeno se erano tristi o allegre, o...”

“Oddio”

“Già” esclamò accorata “E’ stato un vero incubo. Non potevo bere, non avevo il coraggio di andare in bagno per non prendermi strane malattie, volevo solo che crollasse il soffitto e li seppellisse tutti.”

“Oh, sweety, come ti capisco.”

“Dovrebbero vietare a certa gente di suonare! Sono un attentato al pudore.”

“Hai perfettamente ragione.”

“Dovrebbero cantare solo le bionde carine, con tanti riccioli e che scrivono canzoni d’amore”

“Sì, sono d’accordissimo con te.”

“Come Taylor Swift. Tutte quelle che non assomigliano a Taylor Swift non dovrebbero nemmeno avvicinarsi a uno strumento musicale!”

“E poi? Come sei sopravvissuta?”

“Non lo so! Stavo per mettermi a piangere quando questi tizi per fortuna decidono di fare una pausa e vanno al bar a tracannare birra insieme agli altri incivili. E Leon si gira verso di me e mi fa: allora ti piacciono? E io: sì, certo... perché non dovevano piacermi? Io adoro i gruppi musicali che fanno musica sempre uguale e che sono sprovvisti di bionde ricciolute che cantano! E lui mi fa: ma come? Credevo ti piacesse il jazz…”

“Oddio”

“Il jazz!” strillò, sfiorando la barriera inumana degli ultrasuoni “Quello mi ha portata a sentire il jazz! Ti sembra che io sia una a cui può piacere il jazz? Ma per favore!”

“E’ stupido.”

“E’ quello che credo anch’io” concordò con un lungo sospiro “Ad ogni modo gli dico di no, che io odio il jazz e lui fa quella faccia da cane bastonato e mi dice che credeva che mi piacesse visto che avevo detto ad Arthur che potevo andare con lui a quella stupida rassegna su non so che jazzista qualcosa come un secolo fa… Cioè… era ovvio che l’avessi detto solo per far colpo su Arthur! Com’è possibile che non se ne sia accorto?”

“Che sfigato.”

“Puoi dirlo forte.” replicò Vivian.

Serrò un po’ le labbra, lanciando un’occhiata al cellulare. Avrebbe voluto aggiungere che in realtà pensava che Leon fosse stato molto dolce a ricordarselo, ma non poteva. Leon non era esattamente il modello di ragazzo con cui vantarsi con le amiche… cioè con le sue amiche. Andava bene per lamentarsi e farsi compatire e invidiare per l’ammirabile spirito di sopportazione, ma non per entusiasmarsi per i piccoli gesti gentili. Il suo conto in banca non aveva abbastanza zeri e la sua testa aveva decisamente fin troppi capelli per essere il tipo di uomo per cui vantarsi con le amiche. Vivian riportò lo sguardo sulla strada, espirando a fondo, mentre ascoltava Janice dirle che stava guardando foto di Justin Timberlake su internet.

“Comunque..” riprese il racconto dopo qualche istante, ignorando l’intromissione dell’altra “Lui mi dice che possiamo andarcene se non ho voglia di restare, ma io gli dico di no..”

“Oh tesoro..”

Vivian scoccò un’occhiata preoccupata al telefono. C’era un’evidente nota di disapprovazione mascherata da una finta empatia. Sapeva di aver perso una buona manciata di punti nella considerazione di Janice. Quasi riusciva a immaginarsela mentre distorceva abilmente le sue parole in una conversazione con un’altra loro amica. Strinse forte le labbra, cercando mentalmente un modo per rimediare alla gaffe al più presto.

“Beh, sua nonna ha il cancro, quindi..” disse con leggerezza.

“Oh.. oh”

Sorrise al cambiamento di tono di Janice. Sospirò più rilassata mentre abbandonava la strada principale per immettersi in una secondaria.

“Credo di aver fatto bene a concedergli ancora un paio d’ore in mia compagnia” disse Vivian, sollevata.

“Sì, sì. Sei così buona, tesoro”

“Lo so..” rispose la ragazza, inclinando leggermente la testa di lato.

“Ma hai intenzione di vederlo ancora?”

“No! God, no! Certo che no! E’ stato..” replicò prontamente.
“Un incubo”
“Già! E’ stato un vero...” mormorò, accorgendosi che una spia rossa si era appena accesa lì, proprio accanto al contachilometri. Guardò preoccupata il volante quando la macchina emise un borbottio cupo e poi iniziò a perdere velocità. Allungò un po’ il collo per sbirciare oltre il cruscotto, cercando segni di fumo o qualcosa di preoccupante che fuoriusciva dal cofano, ma non vide niente di allarmante.

“La mia macchina ha qualcosa che non va” disse, stringendo forte le dita sul volante. Rinsaldò la presa, quando dovette affrontare una curva e poi rilasciò silenziosamente il fiato rendendosi conto che la strada si allargava, sfociando in una banchina piuttosto ampia. Accostò a destra, senza quasi dover premere il pedale del freno visto che la sua auto si stava fermando docilmente.

“Che succede?”

“Non lo so. E’ tutto spento, non dà segni di voler..” mormorò in apprensione. Studiò il cruscotto, provando poi a girare la chiave nel quadro, senza ottenere risultati.

“Tesoro, devo andare. Trevor mi passa a prendere tra dieci minuti.”
“Janice, la mia macchina… Non c’è nessuno per strada.” provò a dire.

“Ci sentiamo domani. Ricordati che dobbiamo andare a comprare il regalo di matrimonio per quell’arpia di Morgana, mercoledì.”

“Janice..”
“Baci baci.”

Vivian trattenne un’imprecazione poco adatta ad una lady come lei, mentre si toglieva l’auricolare dall’orecchio e la scaraventava di malagrazia sul sedile del passeggero. Fece un paio di tentativi di far ripartire l’auto, ma questa rimase quietamente parcheggiata sul lato della strada.

“Porca miseria” mormorò, guardando nervosa fuori dal finestrino riempito dal buio della notte. Non sapeva se essere preoccupata o sollevata dal fatto che la strada che conduceva alla casa di campagna della sua famiglia fosse così poco frequentata. Di solito quella zona si animava nei mesi estivi, quando le famiglie altolocate lasciavano la city per crogiolarsi nella tranquillità della campagna, ma nel mese di aprile era di una silenziosità e oscurità spaventose.

“Okay, girl. Va tutto bene” si disse, stringendo il cellulare con le dita e aprendo la portiera. Scoccò un’occhiata in entrambe le direzioni, rabbrividendo per il vento gelido che le sfiorò la pelle. Si avvolse nelle braccia, mentre si portava di fronte all’auto, quasi potesse capire il motivo del guasto semplicemente osservando la carrozzeria. Si guardò attorno, cercando di scorgere una luce, ma tutto era immerso nella quasi più completa oscurità, sonorizzata dal tenue fischio del vento che faceva cantare le foglie degli alberi.

Vivian si sforzò di ignorare il principio di inquietudine che le torceva lo stomaco, mentre tornava in macchina accennando una breve corsa sui tacchi alti. Richiuse la portiera, costringendosi a non muoversi più velocemente del normale mentre inseriva la sicura.

“Va tutto bene” si ripeté aprendo la rubrica del cellulare “Quelli del soccorso stradale verranno a recuperarti in un battibaleno”.

Fece partire la chiamata, appoggiando il capo contro il poggiatesta. Socchiude gli occhi, ascoltando un messaggio preregistrato che la informava che tutti gli operatori erano al momento impegnati. Interruppe bruscamente la comunicazione, osservando preoccupata la strada silenziosa attraverso il vetro del finestrino.

“Dannazione” bisbigliò, obbligandosi a usare un tono di voce normale. Non voleva cedere al panico, non c’erano briganti o mostri o chissà che altro in giro. Aveva fatto quella strada milioni di volte durante il giorno e non le era mai, mai capitato niente di più brutto di un coniglio selvatico che attraversava la carreggiata. Sarebbe andato tutto bene. Doveva solo rintracciare qualcuno che andasse a prenderla.

Fece per chiamare suo padre, quando si ricordò che probabilmente in quel momento era in aereo di ritorno da un viaggio al Cairo. Non sarebbe atterrato prima di un paio d’ore.

“Potrei chiamare un taxi” mormorò, sentendo un brivido di paura scorrerle sulla schiena, mentre si accorgeva che la voce suonava spaventata alle sue stesse orecchie. Scosse la testa, mordendosi forte il labbro inferiore. Nessun taxi sarebbe mai venuto a prenderla così fuori Londra e lei non aveva idea se ci fosse o quale fosse il numero di una stazione di taxi locale.

Si passò una mano sul viso, espirando profondamente.

“Va tutto bene. Sei appena fuori Londra, non sei in un posto selvaggio e sottosviluppato come.. la steppa argentina! Sei nel pieno della civiltà e non può succederti niente di brutto qui..” si disse, chiudendo fuori dalla mente tutte le scene di film e telefilm dove una bionda bella e con tette da urlo veniva fatta a pezzi dal maniaco di turno.

Guardò fuori dal finestrino, avvertendo lo stomaco contrarsi dolorosamente nell’osservare come le ombre gettate dagli alberi danzavano in modo sinistro sull’asfalto nero. Non credeva ai mostri… davvero, era solo che non le piaceva essere da sola in un posto buio e isolato di notte.

Fece scorrere la rubrica del telefono, cercando di decidere chi contattare. Janice era fuori questione, Kimberly e Lauren erano andate in una spa, per di più senza invitarla. Si bloccò leggendo un nome.

Si morse l’interno della guancia, lanciando un’occhiata preoccupata all’oscurità, colmata dai rumori incombenti del bosco. Selezionò il nome e fece partire la chiamata, continuando a scrutare l’oscurità.

Rispondi, per favore. Per favore, rispondi, per favore..

“Vivian?”

Strinse maggiormente il cellulare con le dita, ascoltando la sua voce calda. Era come una coperta rassicurante che l’avvolgeva, come una mano salda a cui aggrapparsi quando le onde minacciavano di trascinarla via.

“Mi si è fermata la macchina” disse. Dall’altra parte le rispose soltanto il silenzio. “Puoi venirmi a prendere?” aggiunse. Chiuse gli occhi, rendendosi conto di aver usato un tono a metà tra l’autoritario e lo scocciato. Non avrebbe voluto apostrofarlo così, ma stava letteralmente morendo di paura e generalmente cercava di non darlo a vedere usando la sua aggressività.

Per favore, non...

“Dove sei?”

“Sulla provinciale 73, sto andando nella mia casa di campagna. Ho già superato la biforcazione ... quella con il masso delle mura romane. Sono...”

Serrò forte le labbra, ricacciando giù la tentazione di dirgli che era da sola, al buio e che era veramente terrorizzata. “Sono da qualche parte, prima di arrivare al paese con la casa dei miei”

“Okay, sono ancora in un cantiere in periferia. Dovrei arrivare in meno di un’ora.”

Vivian deglutì a vuoto, ascoltando la voce rassicurante e pratica di Leon. In un’ora sarebbe stato lì e l’avrebbe portata a casa. Sarebbe andato tutto bene. Lei ne era sicura.

“Bene” replicò secca, chiudendo la comunicazione senza dargli il tempo di salutarla. Gettò il cellulare sul sedile, rilasciando piano il respiro.

Si era impedita di supplicarlo di far presto, era molto fiera di sé. Una vera lady non deve mai mostrare il suo stato d’animo, soprattutto quando si sente vulnerabile. Gli uomini potrebbero approfittarne. Si può solo fingere di essere vulnerabili, per compiacere l’ego maschile.

Si passò le mani sulle guance, appoggiandosi più comodamente allo schienale del sedile.

Doveva soltanto resistere per un’ora. Non era ancora successo niente e non le era mai successo niente negli anni passati, quindi a ragion di logica era probabile che anche quella sera non le sarebbe accaduto nulla di brutto.

Pigiò il pulsante della radio, ma l’abitacolo rimase immerso nel silenzio più completo.

“Dannazione” ripeté, appoggiando le mani sul volante. Iniziò a tamburellare le dita nervosamente, facendo scorrere lo sguardo tutt’intorno.

Ogni albero, ogni ramo, ogni minimo scricchiolio le sembravano fonte di un potenziale pericolo, ogni ombra si trasformava in un artiglio che voleva solo ghermire la sua carne e farla a pezzi.

“Sono solo le ombre degli alberi” si rassicurò. Rabbrividì quando una folata di vento più intenso fece scricchiolare i rami, facendo traboccare il bosco di rumori e crepitii.

“E’ solo il vento. E’ solo..”

Allungò disperatamente la mano verso il sedile del passeggero e recuperò il cellulare. Leon rispose al secondo squillo.

“Sei partito?” disse, aggrappandosi al telefonino con tutta la forza della disperazione.

“Sì. Vivian, che succede?”

“Niente. Non succede niente! Che cosa dovrebbe succedere?” replicò offesa.

Sono solo io, che sto morendo di paura. Puoi far presto? Per favore…

“E vedi di sbrigarti! Voglio arrivare a casa prima della fine di Britains got talent!” sbottò, prima di interrompere la comunicazione. Si portò il cellulare al petto, muovendosi a disagio sul sedile.

Non avrebbe dovuto essere così scortese, solo che non voleva che si accorgesse di quanto fosse spaventata.

“Calma” mormorò “Va tutto bene. Ti ha assicurato che si è messo in viaggio, quindi arriverà qui presto. Non c’è niente di cui...”

Sentì la voce morirle in gola, quando un grido acuto risuonò per il bosco. Deglutì un groppo di paura, scrutando la strada con gli occhi terrorizzati.

“Era solo un uccello. Lo so che sembrava il grido di una donna a cui stanno facendo qualcosa di molto brutto… o qualcosa di simile, ma no… era solo un uccello notturno. Stai calma” si ripeté, serrando la presa sul cellulare con le dita gelide.

Allungò una mano, cercando nella borsa il suo IPod. “Un po’ di musica. Ora mi ascolto qualcosa e…” disse, scostandosi nervosamente una ciocca di capelli dal viso “la serata passerà velocissima. Leon sarà qui molto prima di quanto mi aspetti.”

Fece scorrere l’elenco dei cantanti, fermandosi su Taylor Swift.

Chiuse gli occhi, stringendo il cellulare con una mano, mentre la voce della cantante country le riempiva le orecchie.

 

And I said, "Romeo, take me somewhere we can be alone.
I'll be waiting, all that's left to do is run.
You be the prince, and I'll be the princess,
It's a love story, baby, just say, 'yes'
.*

 

Canticchiò a bassa, ogni nervo del suo corpo era tesissimo per il nervosismo, mentre le sue orecchie cercavano di captare il benché minimo rumore al di sotto della melodia. Abbassò il volume fino a un sussurro appena udibile, per concentrarsi sui tumulti del bosco.

Scricchiolii legnosi, il frusciare delle foglie, il basso bisbiglio dell’erba..

Vivian spense con rabbia la musica. Preferiva sentire un mostro con largo anticipo, tante grazie. Ripose l’Ipod nella borsa, scandagliando le tenebre con lo sguardo. Riprovò a mettere in moto la macchina, ma anche quel tentativo andò a vuoto.

“Leon, dove sei?” sussurrò.

Regolò lo specchietto retrovisore nella speranza di scorgere un paio di fari bucare la cortina della notte, ma tutto era immobile. Ricontrollò l’ora della prima telefonata, sperando che il tempo si fosse deciso a scorrere più rapidamente. Stava per riprendere in mano l’Ipod quando scorse un movimento con la coda dell’occhio.
Si appiattì sul sedile, lo stomaco che sprofondava in un vortice gelido di paura, mentre vedeva una massa scura emergere dall’intrico del bosco.
Vivian era incapace di urlare, incapace di qualsiasi reazione che non fosse quella di stringere convulsamente il cellulare mentre la figura nera attraversava la strada nella direzione della sua macchina.

“E’ un cane..” mormorò, la voce resa incerta dal petto paralizzato dalla paura. “E’ soltanto un cane...” si ripeté, cercando disperatamente di convincersi, anche se le dimensioni dell’animali erano di molto superiori a quelle di un qualsiasi cane che lei avesse mai visto. Si schiacciò contro lo schienale, quasi sperando di diventare tutt’uno con la macchina, quando la bestia si fermò accanto alla portiera emettendo un forte grugnito. Aveva zanne e un pelo fitto e nero. E occhi gialli, appena visibili nell’oscurità della notte.

Ti prego, ti prego, ti prego… iniziò a implorare, serrando forte gli occhi, mentre il cinghiale circumnavigava la macchina, apparentemente molto interessato al suo odore.

Vivian emise un piccolo strillo quando l’animale colpì con il muso la carrozzeria, prima di allontanarsi per sparire nella boscaglia.

A occhi chiusi selezionò il numero di Leon, portandosi poi il cellulare all’orecchio. Inspirò ed espirò più volte a fondo, accorgendosi vagamente di aver gli occhi offuscati dalle lacrime. Lei odiava avere paura, odiava sentirsi così stupida e indifesa…

Si passò una mano sul viso, guardando freneticamente il limitare del bosco per assicurarsi che il mostro non tornasse indietro. Magari aveva deciso di cambiare tattica e tenderle una specie di agguato. Non appena fosse scesa dall’auto per salire su quella di Leon, lui sarebbe sbucato di nuovo e l’avrebbe caricata. I documentari naturalistici erano pieni di scene del genere.

“Sì?”

Vivian serrò le labbra, tutto il suo corpo tremava dalla paura. Non aveva mai visto un cinghiale così da vicino. E non era mai stata in mezzo a un bosco di notte, da sola. Voleva solo tornare a casa.

“Vivian?”

Cercava disperatamente di rispondere, ma le parole le si aggrovigliavano in gola, soffocate dal pianto.

“Vivian, va tutto bene?”

“Sì” si costrinse a dire alla fine “Probabilmente avevi poco campo” aggiunse, scaricando la colpa sul suo cellulare. Si passò una mano sulla guancia, fermandola poi alla base del collo. Il suo cuore batteva all’impazzata.

“Mh” fu la risposta serafica che le arrivò dall’altra parte. Vivian si umettò le labbra, senza sapere che altro dire. Voleva solo che Leon si sbrigasse ad arrivare.

“Ho appena passato l’incrocio con la 45. Non dovrei metterci molto” aggiunse l’uomo dopo qualche istante.

“Bene” replicò Vivian, mordendosi l’interno della guancia. Il cinghiale non si vedeva più da nessuna parte. Tutto era immobile e silenzioso. “Puoi..”tentennò, incerta su come proseguire.

“Cosa?”

“Puoi stare un po’ al telefono con me?” sussurrò, desiderando di morire.

Arthur avrebbe cominciato a deriderla, probabilmente le avrebbe detto qualcosa che lui considerava molto buffo per farle prendere ancora più paura. Avrebbe iniziato ad elencarle tutte le cose terribili che potevano succedere in un film horror a una ragazza sola, di notte, in una strada isolata.

“Sì” rispose Leon, nella sua voce non c’era traccia di derisione. Era calmo e controllato come sempre.

Vivian ascoltò il suono del suo respiro, il sottofondo del rombo del motore. Chiuse gli occhi e si immaginò il modo in cui il cellulare gli sfiorava la barba che portava sempre troppo incolta, il modo in cui i suoi occhi gentili guardavano la strada… Era rassicurante sentirlo anche solo respirare, non c’era bisogno che dicesse niente, solo che rimanesse lì al telefono con lei. Un gigante silenzioso che la seguiva sempre e che annotava mentalmente tutte le stupidaggini che diceva.

E che chiedeva solo di prendersi cura di lei. Era quest’ultima parte quella che le faceva più paura, perché quando si ha qualcuno su cui contare poi è difficile farne a meno.

“Leon?”

“Sì?”

“Sei ancora lì?”

“Sì”

“C’era un cinghiale. Si è messo a girare intorno alla macchina e ha ...”

“Magari voleva rubarti le Manolo”                            

Vivian emise uno sbuffo di risata dal naso. “Non sei spiritoso” rispose, sorridendo al suo stesso riflesso impresso sul finestrino.

“Non gli hai aperto al portiera, vero?”

“No! Quanto credi che io sia stupida?” replicò lei, la sua voce aveva di nuovo assunto il tono offeso e leggermente acuto. Si mise a ridere quando dall’altra parte le rispose solo il silenzio.

“Leon!” sbottò ancora più offesa.

“Beh ti sei innamorata di Arthur… non ti metterei mai alla prova su certe cose...”

“Ah bene! E’ in questo modo che ti aspetti di strapparmi un secondo appuntamento?”

Strinse leggermente il cellulare quando la risposta di Leon tardò ad arrivare.

Forse non aveva intenzione di chiederle di uscire di nuovo. Forse era stata una serata da incubo per lui quanto lo era stata per lei e lei si era appena messa in posizione di ricevere un sonoro rifiuto.

Fece per dire qualcosa che potesse salvarla in extremis, ma Leon la precedette.

“Okay, ti vedo”
Vivian sbatté le palpebre un paio di volte, accorgendosi del paio di fari riflessi nello specchietto retrovisore. Chiuse la comunicazione quando il pick up parcheggiò davanti alla sua BMW. Posò il cellulare nella borsa, guardando l’uomo scendere dal furgone e recuperare una cassetta degli attrezzi dal cassone. Si morse il labbro inferiore, tentennando un istante, prima di aprire la portiera e scendere dalla macchina.

“Ho portato un paio di attrezzi. Non me ne intendo tanto, ma vediamo se riusciamo a farla ripartire” disse l’uomo, grattandosi pensosamente la barba lunga.

Vivian serrò forte le labbra, le sue gambe erano ancora paralizzate e il suo corpo era percorso da un lieve tremore, causato dal calo di adrenalina.

Leon era lì, era arrivato per portarla via da quel maledetto bosco. Non l’aveva presa in giro, non le aveva detto che doveva uscire con un dannato Trevor o che doveva andare in una beauty farm.
L’aveva chiamato e lui non aveva temporeggiato nemmeno per un istante. Lui l’avrebbe raggiunta ovunque lei si trovasse..

Sentì qualcosa contrarsi dolorosamente al centro del suo petto, mentre lo guardava.

L’avrebbe raggiunta ovunque sul suo pick up sgangherato, che era così Leon.

“Vivian, dovresti aprirmi il cofano così…”

Coprì la distanza che la separava dall’uomo, abbozzando una breve corsa. Lo afferrò per il bavero della giacca costringendolo ad abbassarsi per poter baciarlo lievemente. Sorrise appena quando la barba le punse le guance, facendole arricciare il nasino aristocratico.

Gli sfiorò nuovamente le labbra con le sue, allacciando le braccia al suo collo e stringendosi maggiormente contro di lui. Le braccia di Leon avvolte attorno al suo corpo erano così calde, così rassicuranti.  

 “Non voglio più restare qui” disse testarda, scostandosi appena per guardarlo con gli occhi pieni di lacrime. “Puoi portarmi a casa?” le uscì più piagnucoloso di quanto avrebbe voluto “per favore..

“Ehm.. sì..” mormorò lui in risposta, le sue guance erano leggermente rosse per l’imbarazzo.

“Okay” disse lei, slacciando le braccia dal suo collo.

Ho baciato Leon.

“Prendo la borsa” aggiunse, indietreggiando verso la sua auto. Era arrivata alla portiera quando lui la richiamò indietro.

“Cosa?”

“D-devi salire lì sopra” le fece presente, indicandole il pick up.

Vivian sorrise lentamente, scuotendo i riccioli biondi. “Credo che dovrò abituarmi”

 

 

 

*Love Story di Taylor Swift.

Non traduco il testo della canzone perchè sostanzialmente non serve all'economia della storia.
E' solo un accompagnamento musicale particolarmente smelenso e discutibile.

 

 

Piccolo spaziettino autobiografico, dove sostanzialmente vi racconto i caz… i fatti miei.

Sono andata a vedere “Mistero Buffo” nell’umile versione pop di Paolo Rossi.

Se siete appassionati di teatro o se lo spettacolo giunge nella vostra città… andate a vederlo!
Ve lo consiglio con tutto il cuore, è uno spettacolo che ti lascia dentro qualcosa che difficilmente se ne potrà andare. Senza contare che gli interpreti sono bravissimi e… che il teatro è un’arte sempre in lotta per sopravvivere… Non lasciate morire il teatro!

Soprattutto se ci offre spettacoli come quello di Paolo Rossi.

Bene.. non so se è lo spazio più adatto per fare queste considerazioni, ma mi sentivo di scriverle.

 

 

E ora torniamo a cazzeggiare amabilmente.

Grazie ancora a tutti coloro che mi leggono/commentano.. siete sempre gentilissimi.

Alla prossima^^

 

   
 
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