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Autore: earien    19/05/2010    3 recensioni
"Dawson, in un pomeriggio d'autunno. Dawson e la curiosità di una casa di pietra."
Scritta per un concorso scolastico. Senza pretese.
E' parte de Il ragazzo con i guanti di schiuma
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La neve sull'acqua - Il Ragazzo con i Guanti di Schiuma'
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La casa di pietra

 

 Le foglie, in quel pomeriggio d’autunno, volavano libere cavalcando il vento. Le sentiva sussurrare, mentre fiere e dolci rimanevano sospese in aria per poi atterrare delicatamente al suolo. Gli alberi scuotevano i loro rami, come per richiamarle al loro posto, senza che esse si decidessero a tornare. Poteva vedere le cortecce nodose contorcersi al freddo dell’aria.
L’erba oscillava e si piegava all’impetuosa insistenza del vento, soffermandosi di tanto in tanto.
Un tubo rotto gocciava sul cemento del pavimento, e la grondaia borbottava e tremava. Il sole caldo del primo tramonto accarezzava la terra nuda, proiettando strane forme tutt’intorno.
Dawson guardava il cielo tingersi di rosso e arancio, e le nuvole spumose rifletterne i colori. Sembravano così soffici che avrebbe giurato fossero fatte di panna montata. Cosa avrebbe dato per poterci saltare allegramente sopra, ad un passo dallo sfiorare il cielo.
La maglietta larga e blu che indossava si muoveva con il vento, assieme ai suoi capelli chiari. Il sole gli baciava il viso, scaldandolo, mentre la brezza gli infreddoliva le braccia piegate sotto la testa.
Strappò un filo d’erba e se lo mise tra le labbra, rigirandolo con i denti di tanto in tanto.
La grondaia borbottò di nuovo, e l’acqua continuò a gocciare. Vedeva le piccole lacrime scendere e toccare terra, cercando di perforarla e scendere giù in profondità, scorrendo all’interno della terra. La finestra della casa fatta di pietra cigolò mossa dal vento, come tutte le volte in cui Dawson andava lì. Le tende di stoffa scura tremarono e lasciarono intravedere uno scorcio dell’interno buio della casa. Lui le guardò distratto ma non si soffermò troppo. Sapeva che non avrebbe mai trovato il coraggio di entrare, perché soffrire cercando di immaginare cosa ci fosse dentro, allora? Non lo sapeva. E non riusciva neanche a immaginarselo. Allora tutti i pomeriggi si metteva lì ed aspettava. Aspettava il coraggio, l’impulso curioso che l’avrebbe spinto ad alzarsi e a correre dentro la casa. Nel frattempo guardava le nuvole spumose e morbide. E qualche volta si addormentava svegliandosi poi troppo tardi, quando la casa ormai faceva troppa paura, quando il sole caldo che gli accarezzava il viso non c’era più, quando il vento si era placato, le foglie non sussurravano, e i rami degli alberi sembravano tante mani dalle dita lunghe e sottili, pronte ad acciuffarlo appena avesse fatto un passo falso.
I suoi occhi nocciola però non riuscivano a staccarsi per troppo tempo dalla casa di pietra. In un pomeriggio come un altro a quell’ora se ne sarebbe andato, ma era stanco di recarsi sempre lì e non concludere nulla.
Allora, rapito da un improvvisa audacia scattò in piedi, progettando un modo per entrare nella casa. La finestra era troppo in alto perché potesse arrivarci, e la casa di pietra non aveva porte né camini. Non c’era neanche una scala nei dintorni, o qualcuno a cui chiederla. Di arrampicarsi sulle pietre scure e scivolose non se ne parlava nemmeno. Ma doveva sbrigarsi, prima che la prodezza lo abbandonasse quell’unica volta in cui era riuscito ad acchiapparla. Si guardò rapidamente intorno, adocchiando il tubo della grondaia tremante. Allora si allontanò di qualche passo e con un salto agile cercò appiglio al tubo, spingendo con i piedi le pietre della casa. Le mani su aggrapparono al bordo in alto, vicino al tetto, mentre faceva forza sulle braccia, cercando di spingersi nel piccolo buco della finestra. Rischiò di rovinare a terra quando mise male il piede mentre si spostava lateralmente. Poi, facendo passare prima le gambe e poi il resto s’infilò oltre il muro, atterrando all’interno della casa con un tonfo.
L’ambiente intorno puzzava di chiuso, l’aria era umida e fredda. Ed era tutto completamente buio.
Rimase fermo qualche istante cercando di capire cosa fare e come muoversi. Poi si alzò, strizzando più volte le palpebre e cercando di mettere a fuoco qualcosa. Se ci riuscivano i gatti, poteva farcela tranquillamente anche lui.
Da fuori proveniva ancora il suono dello sgocciolio e il rumore del vento, come se non avesse mai compiuto quel gesto, come se stesse ancora sdraiato sul prato verde a fissare il cielo ingiallirsi come le foglie d’autunno.
Con le dita esili e pallide accarezzò le pietre come per accertarsi che fosse davvero dentro quella casa. Con l’altra mano fece leva sul pavimento, spingendosi e tirandosi su. Poi mise le mani davanti al suo corpo e iniziò a camminare nel buio per scoprire che cosa contenesse quella stanza. Proseguì verso la direzione opposta alla finestra e dopo circa quattro o cinque passi le sue mani toccarono il muro opposto e quello dell’entrata, senza alcun ostacolo a separarli. Allora si spostò, camminando lateralmente e sperando di scoprire cosa ci fosse lì dentro. E ancora niente, e niente ancora. Ogni passo era libero, intralciato solo dal peso opprimente dell’aria e dalla densa oscurità.
Non era possibile che dentro la casa di pietra non ci fosse niente. Sicuramente c’era almeno una scala che conduceva in una cantina, un foro nel terreno, una porta nascosta. Iniziò a correre in quel misero spazio, urtando più volte con i gomiti le pareti. Poteva ancora vedere la finestra, e ogni tanto il vento che ne spostava la tende. Da lì riusciva ad intravedere il cielo ormai violaceo all’esterno. Le nuvole sembravano tanti piccoli lividi su una pelle martoriata, e il sole era una bruciatura di cui oramai restava solo la cicatrice. Il vento soffiava in modo sempre più debole, e l’acqua gocciava sempre più lentamente. Le foglie non sussurravano più, il fili d’erba avevano smesso di oscillare e gli alberi con loro. La grondaia non borbottava e nessuna lacrima cercava di scavare nel cemento. Nessun Dawson era sdraiato sull’erba a fissare le nuvole fatte di panna aspettando di trovare il coraggio di entrare in una casa di pietra. Ma Dawson cercava di uscire, guardando la finestra troppo alta per essere raggiunta con un salto. Gli sarebbe servita una scala, la stessa scala di cui aveva bisogno prima, ma come prima non c’era nessuno a cui chiederla. Avrebbe potuto arrampicarsi di nuovo al tubo, se ce ne fosse stato uno. O fare un bel salto con una rincorsa, se ne avesse avuto lo spazio. E con la stessa rincorsa sarebbe volato fuori, saltando sopra le soffici nuvole fatte di panna, di un pomeriggio d’autunno, dove le foglie non sono più libere, ma rinchiuse assieme a lui in una casa di pietra.

   
 
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