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Autore: Little Fanny    21/05/2010    7 recensioni
A volte la realtà non è come appare ed è questo che due contadini scopriranno a proprie spese.
Genere: Commedia, Comico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fandom: Merlin
Titolo: Niente è come sembra
Parte: 1/2
Personaggi: Arthur Pendragon, Merlin, nuovo personaggio
Rating: R
Genere: commedia, erotico
Conteggio parole: 8005 (Totale: 15029)
Avvertimenti: slash, sesso non descrittivo
Note: partecipa alla F3.U.CK.S fest @fanfic_italia, per la sfida permanente @fiumidiparole
Disclaimer: La storia è basata su fatti e personaggi creati e appartenenti alla BBC e a chiunque ne detenga i diritti. La storia non è scritta a scopo di lucro, ma solo per mio puro diletto.

Niente è come sembra

Michael, nuovo servitore di corte, era alla sua prima stagione di lavoro.

Era giunto a Camelot in quella piovosa primavera e, dopo aver svolto i più vari lavori, era approdato nelle cucine del reame. Il suo compito consisteva nell’occuparsi dell’orto: irrigarlo, concimarlo, ararlo. Tutte cose che faceva già dalla prima infanzia trascorsa in campagna. Solo che qui doveva stare ancora più attento. Doveva badare che nessun animale bivaccasse con le piante reali, che nessuna erbaccia osasse mettere radici tra le nobili verdure. Le solite normalissime cose, solo che, essendo per la nobiltà, dovevano sempre essere perfette. Guai a lui se una foglia di insalata veniva intaccata dai vermi, o peggio ancora, se un frutto, magari il preferito del Re, ne fosse risultato bacato.
Inoltre doveva sempre accertarsi che ci fossero le primizie di stagione pronte per Lady Morgana. E mai, ma proprio mai, dovevano mancare le fragole sulla tavola del Principe.
Sì, questo compito poteva sembrare semplice ai più, ma richiedeva davvero molta dedizione. Quindi rimase piacevolmente contento, quando, dopo nemmeno una settimana che era in servizio, gli fu affiancato un giovane aiutante.

Anthony aveva poco meno della sua età. Era magro e smilzo, con ricci capelli rossi che si abbinavano perfettamente con le lentiggini che gli decoravano il volto. Il ragazzo, al contrario di lui, era cresciuto a Camelot e sapeva praticamente ogni cosa di ogni suo abitante. Aveva passato non si sa quanti giorni a raccontargli aneddoti divertenti sulla cuoca o sugli stallieri e aveva capito che, in quel castello, c’era molto più di quello che gli occhi davano a vedere.

Prendiamo, ad esempio, il figlio della lavandaia. Se qualcuno chiede dirai che è ovviamente del sarto, invece, se ascolti meglio i discorsi in cucina, scoprirai che è dello stalliere. Avrai invece una versione diversa se andrai al mercato.
Gli affari privati erano di tutti, ma nessuno sapeva darti una risposta precisa e sicura.
Nemmeno sui reali.

Si diceva che Lady Morgana, ogni mercoledì, passasse la giornata alla tomba di suo padre. Partiva solo in compagnia di Gwen, la sua onnipresente serva, o altre volte accompagnata dal Principe Arthur, mentre, più raramente, da uno dei suoi cavalieri, Sir Leon, da quanto gli pareva di ricordare.
Questa era ovviamente la versione ufficiale.

Quella non ufficiale, ma che si vociferava in giro, era che passasse la giornata ad allenarsi di spada, lontana dagli sguardi di rimprovero del Re. Non era opportuno che una donna maneggiasse delle armi, peggio ancora se quella non era una donna qualsiasi, ma una nobildonna.
Suo solo passatempo sarebbe dovuto essere il ricamo, o il saper suonare uno strumento. Già la lettura poteva essere una distrazione pericolosa, soprattutto se non si stava attenti alla tipologia di libri scelti. Avrebbero potuto instillare nella sua mente idee malsane o dare adito a pensieri sconvenienti. Una donna di quel rango, inoltre, avrebbe dovuto essere capace di sostenere pacate conversazioni, senza mai esprimere le proprie opinioni. Tuttavia Morgana, perfettamente istruita e completamente a suo agio nelle discussioni più futili, quanto in quelle più importanti, non si esimeva dall’esprimere il proprio disappunto per un determinato operato o a dispensare consigli. Tutte azioni che facevano infuriare Re Uther. Non aveva di certo adottato la ragazza per subire i suoi rimproveri o tollerare degli affronti sul suo modo di agire o sulle scelte del suo governare.
Così, per evitare che la lingua tagliente di Morgana andasse a infastidire l’operato del Re, Arthur aveva preferito coprire le sue scappatelle con le armi in pugno facendole passare per visite alla tomba dell’amato padre; mentre Gwen giustificava i calli sulle mani della sua padrona, attribuendoli a improbabili lavori con l’arcolaio. Dalla sua aveva che il Re non era avvezzo a lavori femminili, quindi non si insospettiva, o almeno, non più di tanto.
Quelle volte in cui il Principe accompagnava la pupilla del Re in questi improbabili scampagnate la addestrava nell’arte della spada. Se voleva imparare a difendersi doveva farlo sul serio e la cosa migliore era imparare da chi era veramente capace, senza chiedere aiuto alla figlia del fabbro.

Solo quando era Sir Leon a far loro strada andavano sul serio a pregare alla tomba del padre. Anche se, una volta acquisita maggior confidenza, non era strano vederli tornare coi volti arrossati e con le vesti sporche di terra e erba, i capelli in disordine. Alcuni giuravano di aver visto addirittura delle piccole foglie nella scura chioma della dama.
Lì le ipotesi erano innumerevoli.
I più ben pensanti attribuivano quella mise imperfetta al sentiero poco battuto che portava alla tomba del vecchio combattente. Era una strada stretta che attraversava un fitto bosco, con i piccoli arbusti che ostruivano il passaggio e i rami degli alberi che si chiudevano sopra le teste dei viaggiatori a formare una galleria naturale. Il percorso poi proseguiva in salita, inerpicandosi lungo una collinetta fino a giungere ai piedi dell’albero, che, coi suoi rami sempreverdi, proteggeva la fredda lapide. E così loro avevano trovato una valida spiegazione per terriccio e ramoscelli.
Le male lingue, che erano invece molto più numerose, rumoreggiavano di un particolare attaccamento che il cavaliere aveva nei confronti della pupilla del Re. Tutte voci messe in giro da chi la Corte la frequentava sul serio e che poteva seguire gli sviluppi coi propri occhi. Avevano osservato che Sir Leon era quello che accompagnava nelle danze Lady Morgana, dopo che, ovviamente, erano state aperte dal Principe. Li potevano osservare mentre volteggiavano sulle note di numerose canzoni o mentre bisbigliavano tra loro davanti a un buon bicchiere di vino. Quando poi la nobildonna richiedeva di poter far visita alla tomba del padre accompagnata da una misera scorta, era sempre Sir Leon a farsi avanti.
Quindi non era stato difficile per quegli osservatori fare una così semplice somma.
Tuttavia, anche qui, c’era molto più di quello che gli occhi potevano scorgere e le orecchie sentire. In realtà Sir Leon oltre a essere un nobiluomo e abile spadaccino, era anche un ottimo cacciatore. E come tale aveva insegnato a Lady Morgana ogni più piccolo trucco del proprio repertorio, per prepararla a qualsiasi evenienza.

Le notizie più succulente, però, riguardavano il Principe.
Per la precisione il Principe e il suo servitore.

Anthony non ne sapeva molto. Le poche informazioni che aveva erano voci di quarta o quinta mano, quindi per niente attendibili.

Fin da subito i rapporti fra il Principe e il ragazzo non erano stati idilliaci. Anthony ricordava ancora il loro primo incontro, con Merlin che aveva preso le difese di uno sguattero, rimproverando l’Erede al trono di Camelot come fosse un suo pari. La sua azione aveva gettato scompiglio nell’animo di tutti, certi di vedere quel giovane ragazzo dalle grandi orecchie già appeso alla forca. Invece il Principe l’aveva semplicemente sbattuto in cella, convinto di aver placato i bollenti spiriti del popolano, tuttavia quella mezza giornata nelle segrete non era risultata sufficiente a rimettere in riga quel contadino sfrontato. Fu necessario un solo pomeriggio prima che i due potessero incontrarsi di nuovo. C’era stato un combattimento epocale nella piazza del mercato, caratterizzato dalla sfrontatezza del popolano e dall’arroganza del nobile. Il giovane ragazzo ce l’aveva messa tutta per battere il proprio avversario, dimostrando come anche una persona mingherlina come lui potesse mettere in crisi un uomo allenato a combattere. Tuttavia alla fine Merlin aveva dovuto soccombere al volere del più forte e si era ritrovato alla gogna, sotto l’assalto del classico lancio di frutta e verdura nella piazza del mercato.

Sembrava impossibile che due teste calde come loro, testarde e caparbie, potessero trovare un accordo, e, invece, l’intero popolo aveva dovuto ricredersi. Era bastato uno strano lancio di coltelli e un rocambolesco salvataggio per cambiare le carte in tavola.
Merlin quella sera stessa era stato nominato valletto del Principe Arthur e, da quel giorno, mai aveva lasciato il suo posto.
Girava sempre appresso al Principe, col suo incedere insicuro e barcollante, ma con la battuta sempre pronta. Era un ragazzo che non sapeva stare al proprio posto, quasi non si curasse che al suo cospetto non ci fosse un uomo qualunque, ma il suo futuro sovrano. Anzi, per dirla con parole sue, un Asino Reale.

“Ma cosa si dice, allora, su questi due?” domandò Michael curioso.
Anthony si guardò attorno con circospezione, controllando che non ci fossero orecchie indiscrete pronte ad origliare. Soddisfatto dell’apparente calma che regnava sul campo abbassò ulteriormente la voce per narrare gli ultimi pettegolezzi di Corte.
“Beh, si dice, ma queste sono solo voci, sia ben inteso. Si dice che il letto del Principe abbia ormai perso da tempo il “profumo” di donna.”
Anthony fece una faccia saputa, sorridendo appena all’indirizzo dell’altro. Come per dire, sentito che roba?
Michael lo guardava perplesso. Profumo di donna? Beh, sperava proprio che il futuro sovrano non fosse uno di quelli con particolari manie per fragranze femminili, altrimenti avrebbe dovuto sacrificare buona parte del suo orto per la coltivazione di rose.
“Dimmi che Sua Maestà detesta l’essenza di rosa.” Chiese sconsolato, guardando il suo aiutante con sguardo supplichevole.
“Cosa?” Anthony era perplesso. Molto perplesso.
“È il profumo preferito dalla stragrande maggioranza delle donne. Quindi immagino che piaccia anche al Principe.” Spiegò spiccio all’altro, ormai del tutto convinto di dover passare ore intere a potare rose, togliere spine e innaffiarle per bene.
Ora Anthony aveva capito l’arcano. Michael a volte sapeva essere davvero ottuso. Anche se non l’avrebbe mai detto. Di solito quelli che venivano dalla campagna la sapevano lunga su queste cose. Magari aveva un modo tutto suo per comprendere quelle determinate cose.
“No, non gli interessa l’essenza di rose.”
Michael rilasciò un sospiro di sollievo.
“Vediamo come spiegartelo,” continuò l’altro grattandosi la testa con una mano. “Ecco, preferisce il pesce!”
Michael nel frattempo era tornato al lavoro, visto che l’orto non era ancora capace di sistemarsi da solo, ma all’udire la parola pesce lanciò un urlo scandalizzato. Il rosso lo guardava contento e soddisfatto, convinto che l’altro avesse capito il significato profondo delle sue parole.
“Pesce?! Ma che schifo!”
Anthony annuì, anche lui concorde sull’abominio di quella scelta.
“Ma come fa a piacere l’odore del pesce. Sa da cane bagnato, no? E poi rimane addosso, sui vestiti e non c’è verso di mandarlo via!” Michael arricciò il naso al solo pensiero. I nobili, lo doveva ammettere, sapevano essere davvero strani quando ci si mettevano, solo che non pensava che il loro Principe potesse arrivare a tanto.
“Sì sì… cioè, no! Ma che hai capito?”
Il più grande ora lo guardava preoccupato. Cosa avrebbe dovuto capire? Che quello fosse uno strano linguaggio in codice della gente del posto?
“Uhm… che al Principe piace il profumo del pesce?” riprovò guardandolo speranzoso.
“No!”
“Allora non gli piace il pesce?”
Anthony si passò una mano sul viso sconsolato. Sarebbe impazzito, prima o poi, ne era sicuro.
“No, cioè, si!”
Michael guardava il suo amico sempre più perplesso. Era davvero strano. Prima voleva raccontargli un non si sa quale succulento pettegolezzo sul Principe e il suo servitore e poi finivano a discutere sulle sue preferenze alimentari. Davvero, non lo capiva.
“Ma allora è un no o è un si?” domandò esasperato buttando a terra il rastrello.
“Gli piacciono gli uomini!” sbottò Anthony, quasi urlando dall’esasperazione.

Sull’orto cadde un silenzio innaturale, si potevano addirittura sentire il frinire delle cicale e il ronzio delle api. I nobili che passeggiavano poco distanti si girarono nella loro direzione, indispettiti per essere stati interrotti nel loro lento passeggiare da un tale sconcio discorso. I servi affaccendati si bloccarono per un istante, per poi rimettersi subito al lavoro dopo un’occhiata particolarmente severa dei loro padroni.
Tempo qualche ora e quel discorso sarebbe stato di dominio pubblico. Bastava sapersi trovare nel posto giusto al momento giusto.
“Ah.”
“Già, ah.”

I due ragazzi si rimisero al lavoro in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Lavorarono senza sosta fino all’imbrunire quando Michael constatò atono: “Quindi, gli piacciono gli uomini.”
L’altro rispose con un solo cenno del capo.
“E tu come fai a saperlo? Non è che…” disse, allontanandosi poi di un passo.
“Io? No, ma cosa vai a pensare!”
“E allora come fai ad esserne così sicuro?”
“Beh, ecco… io…”
Anthony balbettava imbarazzato, aveva il volto in fiamme su cui spiccavano come tizzoni ardenti le lentiggini. Persino le orecchie erano congestionate. Michael lo osservava in attesa, appoggiando il mento al bastone del rastrello come avesse tutto il tempo del mondo. In fondo non aveva nessuno che lo attendesse nella sua piccola casupola. Era quindi molto meglio dedicarsi a un sano pettegolezzo, soprattutto se riusciva a mettere in imbarazzo l’amico.
“Sto aspettando. Tanto sai che posso stare qui anche tutta la notte. E sai perfettamente che in un modo o nell’altro mi dirai ciò che voglio sapere.”
Anthony prese un respiro profondo.

“Sai la lavandaia, Mary?” cominciò con una vocina sottile. “Beh, è stata da sempre innamorata del Principe. Quindi faceva sempre in modo che capitassero a lei i suoi regali abiti. Le sembrava, lavandogli le vesti e le lenzuola, di prendersi cura di lui, come solo una moglie dedita sa fare.”
Michael gli fece il gesto di andare avanti e tagliare un po’ il racconto. Aveva sì tutto il tempo del mondo, ma era troppo curioso di sapere qualcosa di più su questo pettegolezzo.
“Ecco, prima di gettarli nella tinozza, però, senza farsi vedere, li annusava. Così un po’ di essenza del Principe le teneva compagnia per tutto il giorno.”
Si sentiva un po’ in colpa a rivelare un tale segreto, ma ormai il danno era fatto.
“Dovevi vedere la disperazione che l’ha colta quando ha sentito per la prima volta un profumo diverso da quello del suo adorato Principe. È andata in crisi di panico. Mary è rimasta a casa per una settimana col cuore spezzato. Dal quel giorno in poi ogni volta che le si presentavano le regali lenzuola da lavare le occhieggiava con odio. Fino a quando… uhm… fammici pensare,” Anthony si passò una mano tra i capelli, cercando di rammentare con esattezza tutti i particolari del racconto, “sì, ecco, due mesi fa, non è uscita di senno.”
“Uscita di senno?”
“Sì sì, blaterava qualcosa su profumo di uomo, nessuna donna. Cose del genere.”
Michael osservava l’altro come se il pazzo uscito di senno fosse proprio davanti a lui e non una poveretta stressata dal troppo lavoro.
“Quindi tu dici che al Principe piacciano gli uomini sulla base di una lavandaia impazzita che annusa le lenzuola altrui?” riassunse per farsi un po’ di chiarezza in testa.
“Esatto!”
“E dici anche che se la fa col servo, giusto?”
Se aveva capito il funzionamento della testa del suo amico, non poteva che essere quella la spiegazione per quell’introduzione sul servitore personale del Principe.
L’altro annuì convinto.
“Ma tu sei pazzo!”
“Ma ti dico che è vero!”
“E ne hai le prove?”
Anthony lo fissava e fu costretto a scuotere la testa in cenno di diniego.
“Allora, per quanto mi riguarda, queste sono supposizioni senza capo né coda. Andiamo va’, che è meglio!”

Presero su i frutti del loro lavoro giornaliero nell’orto e si avviarono verso le cucine. Erano a metà strada quando Michael venne fermato da una presa salda sul suo braccio. Un ragazzo con delle grandi orecchie lo fissava dritto negli occhi dicendogli qualcosa a grande velocità prima di fiondarsi su per le scale.
Il contadino rimase paralizzato sul posto.
“Quello era Merlin, il servitore personale del Principe.” Gli spiegò con calma Anthony scivolando al suo fianco e additando il ragazzo che era appena scomparso dietro l’angolo su per le scale.
“Quello che, secondo te, va a letto col Principe.”
“Proprio così.”
“Mi sembra, però, che non abbia problemi a camminare.”
“Ma che attento osservatore che sei.” Lo prese in giro l’altro avviandosi di nuovo verso le cucine. “Ma chi ti dice poi che sia lui quello ad avere problemi a camminare?”
Il sorriso sornione che era spuntato sul volto del rosso preoccupò non poco l’amico.
“Tu dici che-”
Michael passò tutte le gradazioni di colore possibili su una pelle umana, dal rosa al rosso, dal bianco al verde, per poi settarsi su un uniforme viola.
Abbassò ancora la voce. “Dici che sia il Principe che-“
Non riusciva proprio a pronunciare la fine della frase.
“E chi lo sa. Le mie sono solo supposizioni, no? In fondo non abbiamo le prove.” Con un’alzata di spalle depositò il proprio fagotto di cibo sul bancone della cucina.
“Vieni, reggi questo,” disse porgendogli un vassoio in argento e iniziando a riempirlo di cibo.
“Ma che stai facendo?”
Anthony lo fissava come se fosse impazzito e Michael lo guardava a sua volta come se gli fossero improvvisamente spuntate due teste sul collo.
“Faccio quello che Merlin ha chiesto a te di fare. Ma, come immaginavo, tu eri troppo imbambolato per ricordare.”

Merlin? Fare?
Michael si prodigò nel volto più stupito che Anthony avesse mai avuto il piacere di osservare, con tanto di occhi persi nel vuoto. Il rosso sarebbe scoppiato anche a ridere, se non avesse scorto una supplichevole richiesta d’aiuto nel fondo di quello sguardo. Si chiedeva come avesse fatto l’altro a sopravvivere fino a quel momento, distratto com’era. Ma in fondo, si disse, non aveva mai avuto a che fare con dei nobili, prima.
“Sì, ti ha chiesto di portare nelle stanze del Principe la sua cena.” Spiegò lentamente, come avesse a che fare con un bambino, invece che con un suo diretto superiore.

“Allora, vediamo un po’ cosa abbiamo da portare…” disse passando in rassegna le cibarie sparse sui vari tavoli che occupavano la maggior parte dello spazio delle cucine.
“Cena, cena, cena. Ecco!” esclamò mettendo sul vassoio un piatto di carne appena tolta dal fuoco.
“Direi che per cominciare questo andrà più che bene. E anche questo,” disse aggiungendo della verdura grigliata alla pila di cibo che si stava formando. “Questo e anche questo.”
Anthony guardava con orgoglio il proprio operato, mentre Michael reggeva il vassoio su una mano in precario equilibrio.
“Ma perché ha chiesto a me, scusa?” domandò il ragazzo cercando di bloccare l’andirivieni del suo rosso amico. L’interpellato si fermò sul posto, con un pezzo di pane su una mano e una caciotta nell’altra.
“In fondo non sono nemmeno un servitore di Corte!” Continuò con tono lamentoso.
“Non se ne sarà reso conto e ti avrà scambiato per uno degli addetti alle cucine: avevi del cibo, no?” spiegò spiccio, depositando pane e caciotta sul vassoio, tanto per andare sul sicuro. Sempre meglio abbondare coi reali. “Poi andava di fretta, ricordi?”
Michael parve perplesso da questa spiegazione. Da quello che aveva potuto capire di quel Merlin, dai racconti del ragazzo, era sempre lui ad occuparsi dei bisogni del Principe. Non delegava mai niente a nessuno. Che fosse stanco, malato o ferito solo lui si occupava dell’Erede al trono. Sembrava strano che potesse chiedere aiuto a qualcuno. Un estraneo per giunta.

“O magari,” disse Anthony con voce fintamente angelica, “doveva correre dal suo Principe per un compito che solo lui, e lui solo, può fare.”
Michael diventò paonazzo, la sua mente attraversata da immagini poco caste che ebbero il malaugurato effetto di infiammargli pure le orecchie.
“Ma sta zitto!” esclamò spintonandolo. “Poche chiacchiere e vediamo di finire di preparare la cena per Sua Altezza.”
Si rimisero subito al lavoro, setacciando tutte le cucine alla caccia del miele preferito del Principe. Dopo un’attenta ricerca e aver disposto tutto sul vassoio si misero ad osservare soddisfatti il proprio operato.

“C’è tutto?” domandò Michael un poco preoccupato. Era la prima volta che aveva l’onore di vedere un reale a distanza così ravvicinata e la cosa lo spaventava. Anzi, lo terrorizzava, dopo i discorsi che aveva potuto cogliere dagli altri servitori.
“Sì, mi pare ci sia tutto: cena sostanziosa, pane, frutta e miele… oltre che un bel bocconcino. Camminerei rasente ai muri, fossi in te. E niente inchini troppo profondi!” Gli consigliò il rosso con un sorriso misto tra il malizioso e il sornione sulle labbra.
Michael ora fissava il suo amico con la bocca spalancata, incredulo di ciò che le sue orecchie aveva appena udito.
Anthony lo fissava di rimando con un ghigno che si allargava sempre di più, ogni attimo che passava. E infine scoppiò a ridere.
Una risata fragorosa che lo scosse in tutto il corpo.

“Davvero…” cercava di dire tenendosi la pancia, piegato in due dal troppo ridere.
“Davvero hai creduto che-”
Inutile, non riusciva a finire la frase. Ogni volta che Anthony aveva fiato a sufficienza per risollevarsi e prendere una boccata d’aria, vedeva quel volto paonazzo e sinceramente perplesso e ricominciava a ridere più forte di prima.
Quando, infine, fu in grado di potersi reggere in piedi, senza il bisogno di un sostegno per sostenersi sotto la forza del riso, gli domandò, con ancora le lacrime agli occhi: “Ma hai sul serio creduto, ma proprio sul serio, che il Principe andasse a letto col suo servitore?”
Quel poco contegno che Anthony era riuscito a racimolare fu subito perso e si scatenò in una nuova risata, seguita da quella dei vari servitori che si affaccendavano in cucina. Michael non poté che stare fermò lì, in piedi, alla pubblica umiliazione.

“Ben venuto tra i servitori di Camelot!” gli disse uno dei cuochi battendogli con simpatia una mano sulla spalla. Michael rimase un attimo interdetto, prima di far affiorare un timido sorriso sul suo volto e iniziare a stringere mani. Tutti i servitori lasciarono da parte le loro mansioni e si misero in una festante coda per congratularsi con l’ultimo arrivato nella loro grande famiglia.
“Dovrei farti scherzi del genere più spesso.” Disse Anthony facendosi largo tra la folla ancora sghignazzante. “Davvero, la tua faccia sconvolta non ha prezzo!”
Tutti scoppiarono a ridere, un risata liberatoria a cui si unì anche il povero malcapitato, soggetto a continue battute maliziose.

“A te è andata anche relativamente bene,” disse uno degli stallieri quando fu il suo turno di festeggiare il nuovo acquisto al servizio della Corte. “Io ho dovuto dichiarare pubblicamente il mio eterno amore per il cavallo del Re. Con tanto di bacio!”
Michael represse a mala pena il conato di vomito all’idea di baciare uno stallone. In fondo, a lui non era andata neanche tanto male, se doveva mettere sul piatto della bilancia lo scherzo perpetrato ai suoi danni, con quelli fatti agli altri servitori.

“Su su, signori. Lasciamo andare il nostro eroe al lavoro,” disse Anthony sospingendo l’amico verso l’uscita dalle cucine. “Si sa mai, che, se fai bene il tuo dovere, non verrai adeguatamente ricompensato!”
Ulteriori risate seguirono la sua onorevole uscita.

Michael si incamminò con calma alla ricerca delle stanze Reali, attento a non mettere un piede in fallo sui gradini sdruccioli o a non scontrarsi con qualche indaffarato e altrettanto carico servitore.
Scosse piano la testa, ripensando a quelle ultime ore e alla trappola che gli era stata tesa.
Uno scherzo davvero ben fatto.
E lui c’era cascato come un pero. Aveva sul serio preso come oro colato ogni singola parola del suo amico.
Oh, ma gliel’avrebbe fatta pagare cara. Aveva già in mente due o tre lavoretti che avrebbero fatto al caso suo. E che avrebbero fatto passare per un po’ al rosso la voglia di fare altri scherzi.

Si inerpicò per altre scale, attento a non sbagliare una singola svolta, consapevole di potersi perdere molto facilmente in quel dedalo infinito di corridoi tutti uguali. Girò a destra, dritto, scale… quelle di destra o di sinistra? Muoversi in quel castello senza smarrirsi era davvero un compito difficile, e, nonostante avesse chiesto informazioni praticamente a chiunque, gli sembrava di continuare girare in circolo.
Finalmente, dopo molto peregrinare, arrivò di fronte alle stanze Reali. Stava per bussare alla porta per annunciare l’arrivo della cena, quando delle voci all’interno bloccarono ogni suo movimento.

“Merlin, prendi e tira.”
Quella doveva essere la voce del suo futuro Sovrano. Non aveva avuto l’onore di sentirla molto spesso, ma se quelli erano i suoi alloggi e quello il nome del suo servitore, quella voce autoritaria non poteva che appartenere che al Principe in persona.
“Hai capito cosa ho detto? Allora, afferralo con entrambe le mani. Ci vuole una presa salda e forte. Funziona così, o mi sbaglio, Merlin?”
Quel tono strafottente ed arrogante fu sostituito da uno molto più flebile.
“Va bene… solo che…”
“Paura di farmi male?”
Michael arretrò di un passo con ancora una mano alzata, indeciso se bussare o meno per palesare la propria presenza.

“Non ti preoccupare, sono più resistente di quello che immagini. Non sarai certo tu, con queste dita sottili, a rappresentare un problema per me.”
Soliti reali spacconi, pensò Michael sbuffando appena, non sapendo che di lì a poco i suoi pensieri avrebbero avuto libero corso fra le labbra di un servitore insolente.
“Ho capito, inutile che facciate tanto lo spaccone.”
“Merlin… ricordati con chi stai parlando.” Sentì Michael sibilare da un esasperato Principe.
“Inutile che facciate tanto lo spaccone, Sire.”

Il giovane contadino non poté che reprimere un ghigno a questo vivace scambio di battute. Non credeva che esistesse una persona a Camelot che avesse così tanto fegato, o fosse così sciocco, da prendere in giro l’Erede al trono in persona. Che i racconti di Anthony avessero una qualche parte di verità, dopo tutto?
“Sai che potrei mandarti alla gogna anche adesso?”
“E sai tra le mani di chi giace il tuo futuro piacere?”

Michael si bloccò sul posto.
Piacere?
Aveva sentito davvero bene?
Si avvicinò con circospezione alla porta, reggendo ancora il vassoio con una mano. Lo posò con attenzione sul pavimento, attento a non far franare tutto quel ben di dio per terra e farsi anche scoprire ad origliare.

“Meno parole e più fatti, vuoi Merlin?”
“Ai suoi ordini, mio Signore.”

Il ragazzo stava ancora sistemando i vari piatti quando alzò di scatto la testa. Allora ordinava sul serio quella cosa lì. Michael sentì il rossore iniziare a colorargli le guance, scaldandogli il collo e risalire lungo l’attaccatura dei capelli.
E Merlin sembrava assolutamente ben disposto a giudicare dalla malizia che aveva usato per rivestire quelle parole che, a un primo ascolto potevano apparire di rispetto, ma ad un orecchio allenato suonavano più come qualcosa di simile a ‘inutile che scappi, ormai se mio’.

“Come mi vuoi? Seduto sulla sedia? Contro la porta o il mur-?”

Forse Anthony non scherzava affatto sulle attività che il Principe e il proprio servitore svolgevano nella sicurezza delle stanze reali, a giudicare dal rumore che proveniva dall’interno. Se accostava meglio l’orecchio al grezzo legno della porta poteva sentire un disordinato rumore di passi, qualche suppellettile che cadeva al suolo e dei respiri accelerati.
“Il tavolo direi che si possa adattare perfettamente al nostro scopo.”
“Uhm… sì, è della giusta altezza.”
“Vieni, sdraiati qui sopra e togliamo quella maglia, che tanto ci è solo di impiccio.”

Michael sbirciò dal buco delle serratura, scoprendo che da lì riusciva a scorgere buona parte del ripiano in questione. Riconobbe distintamente due figure: una mingherlina, dai corti capelli corvini che sovrastava una testa bionda, aiutando quel corpo a sbarazzarsi della casacca rossa.
“Ora metti un braccio qui.”
Poteva vedere chiaramente il corpo di Merlin premere quello del futuro Sovrano contro il duro legno del tavolo e tenerlo fermo in quella posizione.
Michael inghiottì inconsapevolmente, incapace di staccare lo sguardo da quella visione.

“Mi sento un idiota.”
“Ma così siete nella posizione ideale, Sire!”
“Se lo dici tu…”
Da quello che poteva intuire dai loro mezzi discorsi, tra quei due c’era un’ottima intesa. E forse era anche del tutto naturale che l’evolversi del loro rapporto avesse portato a questa conclusione.
“Beh, tra noi due l’unico che ha un minimo di esperienza qui sono io, quindi se io dico che va benissimo così, andrà ben-“
La voce di Merlin si interruppe di colpo. Michael poteva vedere passare sul suo volto un’infinità di espressioni: dall’esasperato, al lievemente indispettito, fino a fermarsi su un misto tra il divertito e l’intransigente.
“Ehi! Cosa stai facendo? Riallarga subito quelle gambe. Non vorrai rendermi tutto più complicato?!”
“Oh, sia mai che il povero, piccolo Merlin faccia fatica.” Lo prese in giro il Principe eseguendo però l’ordine del suo servitore.

Il servo fuori dalla porta sgranò gli occhi. Non poteva davvero credere a ciò che aveva sentito. Merlin e il Principe.
Si portò una mano sul cuore, dove sentiva il battito farsi sempre più veloce.
Inspira e espira.
Inspira e espira.
Piano piano sentì il suo cuore rallentare la sua folle corsa. Sembrava volergli esplodere nel petto, da tanto batteva forte contro il torace. Non doveva pensare a quello che stava succedendo al di là di quella porta. Non doveva pensarci, ma era più forte di lui. Inoltre non aiutavano per niente tutte quelli frasi sospese e smozzicate che filtravano attraverso il pesante portone, che riaccendevano in lui immagini che dovevano restare relegate nel fondo della sua mente.

“Guarda che se continui in questo modo ti lascio qui. In queste condizioni. Non ho alcun problema, sai?”
Michael doveva ammettere che Merlin sapeva il fatto suo. Non era una persona che si faceva mettere molto facilmente i piedi in testa, anche se il suo diretto opponente era un Principe. Non era sicuramente un servitore comune: aveva un animo battagliero e una lingua affilata e che sapeva andare a colpire meglio e più a fondo di quanto una spada sarebbe mai stata capace di fare. Tutte qualità che avevano acceso nel suo spirito la voglia di trovarsi lui tra quelle mani e ricevere un simile trattamento.

“Va bene, va bene. Ho afferrato il concetto. Solo…”
“Non ti preoccupare. Ti ho già detto che l’ho fatto una volta. Ma se vuoi vado a chiamare Gaius. Se lo preferisci…”
Il silenzioso spettatore rimase un attimo perplesso.
Gaius.
Gaius.
Non era il medico di Corte? Possibile che il Principe volesse che la sua prima volta fosse con uno che poteva benissimo essere suo nonno? O magari desiderava che il cerusico assistesse nel caso qualcosa andasse storto, o avessero bisogno di qualche dritta.

“No! No!”
Michael rilasciò un sospiro di sollievo mentre Merlin si faceva sfuggire una risatina, alla vista dello sguardo di terrore che aveva attraversato le iridi del ragazzo che si trovava sdraiato sotto il suo corpo.
“Fa subito un male cane, sai?” iniziò a raccontare Merlin, forse per distrarre con le sue parole il suo Principe, che si stava facendo più teso ogni minuto che passava.
“Senti tutto il tuo corpo bruciare…” continuò facendo scorrere con deliberata lentezza le mani su quella schiena possente.
E Michael lo sentiva, lo sentiva eccome. Poteva percepire il tocco di quelle mani come se scorressero sulla sua pelle, invece che su quella del reale. Riusciva a vederle appena attraverso la piccola serratura, ma poteva immaginarle ricalcare ogni singola costola che trovava nel suo lento risalire, sfiorando la pelle con tocchi delicati.

“Se stai cercando di rincuorarmi, sappi che non sta affatto funzionando.” Esclamò d’un tratto il Principe voltando appena il volto verso il suo servo. Nella sua voce si scorgeva l’arroganza di quell’affermazione che mal celava una lieve preoccupazione. Michael poté vedere chiaramente come Merlin non fosse affatto turbato dal modo brusco con cui il Principe l’aveva interrotto, continuando la sua spiegazione sorridendo leggermente.
“Ma poi scompare, lasciando dietro di sé solo che un leggero formicolio. Poi tutto andrà meglio. Molto meglio. Sarà molto più fluido e non farà più male.”

Michael represse un singhiozzo. Quella bocca prometteva il paradiso e l’inferno in terra e tutto ciò che quel Principe aveva il coraggio di fare era di sottostare a quella lenta tortura, sopportare che quelle mani vagassero in posti troppo lontani dal loro reale obiettivo. Poteva scorgere solo quella schiena leggermente inarcata all’indietro, con le anche che premevano fermamente sulla durezza del tavolo.
“Ora ti devi rilassare, va bene? Rilassati e andrà tutto bene.”

Ormai si era spinto troppo oltre per pensare semplicemente di andarsene e lasciare ai due amanti quella calma e tranquillità che pensavano di aver ottenuto. Si beveva di ogni espressione che passava sui loro volti, attento a cogliere ogni più piccolo sospiro; il suo corpo teso ed eccitato, come mai gli era capitato.

“Al mio tre, ok?”
“Uuuuuuuuno.”

Vedeva i muscoli del Principe completamente contratti sotto il tocco del proprio valletto. La schiena era rigidamente inarcata all’indietro, un braccio teso, col palmo poggiato sul tavolo, che sosteneva il peso del proprio corpo. La fronte era solcata da profondi segni di tensione e concentrazione, la bocca aperta volta a cercare quanta più aria possibile da incamerare nei polmoni.

“Duuuuuuuue.”

Un urlo lancinante si levò nel cuore della notte di Camelot.
Michael si ritrovò per terra, completamente sconvolto. Si guardò attorno, rendendosi conto, solo in quel momento, di dove si trovasse e di cosa stesse facendo. Sentendo dei movimenti provenire dall’interno della stanza si alzò di scatto e si involò per un corridoio, completamente dimentico del compito che gli era stato affidato, preoccupato soltanto di mettere quanti più piani possibili tra sé e quella stanza.
Dopo poco il pesante portone in legno si schiuse appena, lasciando sbucare la testa arruffata del servitore personale del Principe. Diede una rapida occhiata intorno, per poi notare il vassoio carico di cibo dimenticato sul pavimento. Con una scrollata di spalle non curante lo raccolse e lo portò dentro, lasciando sbattere violentemente la porta alle sue spalle.

“Ecco la vostra cena, Sire.” Disse con fare ossequioso iniziando a sistemare le varie portate sul tavolo.
Arthur lo fissava lavorare senza emettere un suono, rigidamente seduto sulla sua sedia.
“Ti sei divertito. Ammettilo.” Proclamò, infine, con voce piatta, cercando di bloccare i movimenti troppo precisi e ossequiosi del proprio, e solitamente sempre irrispettoso, servitore.
“Ce la fate a mangiare, o vi serve una mano?” domandò invece Merlin, cercando di non cogliere la provocazione insita in quelle parole.
Arthur sbuffò e si avvicinò appena al tavolo, facendo leva su un solo braccio, tenendo l’altro più fermo possibile. Merlin lo osservava con un ghigno malcelato sul volto, consapevole che il suo Principe non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederlo capitolare sotto l’azione delle sue fragili dita.
Ma non poteva certo frenare la sua lingua tagliente, non ora che poteva prendersi un po’ di rivincita per tutte le volte in cui Arthur lo aveva preso in giro per la sua inesistente sopportazione del dolore.
“Magari volete qualcosa da bere? Così per lenire le vostre corde vocali, con tutto quel gridar-“ tentò di dire, cercando di mantenere un tono più piatto e casuale possibile, nonostante stesse ghignando internamente.
“Merlin!” tuonò il Principe interrompendolo bruscamente prima che osasse infierire oltre. “Ricordami che, la prossima volta che mi lusserò la spalla, provvederò a lussartene una io stesso. Così vediamo chi griderà dal piacere.”


* * *


“Buongiorno!”
Anthony era sempre pimpante di prima mattina. Non importa quanto la notte precedente avesse, o non avesse, dormito. Lui salutava il nuovo giorno sempre con inusuale vigore, del tutto indifferente ai cambi di stagione o ai capricci del tempo.
Era una cosa che Michael gli invidiava parecchio, specialmente dopo nottate di bagordi o, in quel particolare caso, dopo quasi interminabili veglie di pensieri.

Riuscì a formulare solo un biascicato saluto, senza nemmeno accennare a sollevare il volto, prima di sprofondare di nuovo nel lavoro nel campo.
“Abbiamo fatto le ore piccole ieri sera?” domandò un malizioso Anthony sistemando gli attrezzi da lavoro.
Ancora nessuna risposta.
“Riguarda per caso un Principe dalla scintillante armatura?” insinuò poi, per vedere se riusciva a scatenare una qualche reazione nell’altro.
Michael arrossì, lasciando cadere l’aratro con un tonfo sul terreno, sul volto un’espressione colpevole.

“Bingo!” Esclamò il rosso, completamente concentrato sull’amico e dimentico del proprio lavoro. L’altro lo fissava con sguardo supplicante, desideroso di essere rimasto a casa quel mattino, invece di aver ascoltato quella parte di lui ligia al dovere.
“Sputa il rospo, lo sai che non puoi nascondermi nulla!”
Michael si lasciò sfuggire un sospiro, conscio di essersi incastrato da solo. Lui e la sua incapacità di nascondere i propri pensieri.

“Il Principe va a letto col suo servitore.” Sputò di un botto, abbassando il viso congestionato.
“Sì, sì… lo sappiamo…” fece Anthony liquidando con un vago gesto della mano l’intera faccenda.
Michael rimase spiazzato.
“Michael, ragazzo mio,” iniziò l’altro posandogli una mano sulla spalla con fare accondiscendente, “lo scherzo è bello finché dura poco. Poi non c’è gusto a rivoltarmelo contro.”
“Guarda che ti sto dicendo la verità.” Disse semplicemente.
Si fissarono un attimo, uno perplesso e l’altro sicuro di quello che affermava.
“Ok, basta scherzare.” Proclamò infine, ritenendo conclusa quell’assurda conversazione. Vedendo che Michael non accennava a tornare al lavoro, si arrese a una risata forzata e un’amichevole pacca sulla spalla. “Bello scherzo, davvero. Molto originale.”
“Guarda che non sto scherzando affatto. Li ho visti con i miei occhi.”

La serietà del tono congelò per un attimo la scena. Anthony finalmente si fermò a guardarlo sul serio e si accorse che non mentiva. Non stava affatto mentendo.
“Tu dici che-“ non riusciva a concludere la frase, proprio come era successo al suo amico solo poche ore addietro. Inghiottì a vuoto, cercando di farsi coraggio e abbassò ulteriormente il tono della voce.
“Il Principe e Merlin?” esalò con una vocina stridula, come se gli fosse costata tutta la forza che aveva in corpo per pronunciare quei due nomi nella stessa frase.
Michael annuì con forza, stringendo l’aratro come se ne andasse della sua stessa vita, come se fosse l’unica ancora di salvezza in quel mondo che stava andando al contrario.

“Devo sedermi.” Disse il rosso, lasciando cadere il suo corpo di peso sulla terra appena smossa. Si passò una mano tra i corti capelli ricci, del tutto incredulo.
“Ma sei sicuro di ciò che hai visto?” indagò dopo numerosi respiri profondi, che l’avevano calmato un po’.
Ancora un movimento frenetico della testa a sottolineare che Sì, era mortalmente sicuro di cosa aveva visto e sentito.
“Non è che ti sei lasciato suggestionare dai racconti di ieri sera?” chiese speranzoso.
Michael si sedette di fianco all’ amico.
“Sono sicuro di ciò che ho visto,” spiegò tranquillo. “E no, non me lo sono affatto immaginato. Li ho sentiti e chiaramente stavano-“ mimò il gesto con le mani.
“Ah.”

Rimasero lì in silenzio per un po’, ognuno perso nei propri pensieri, fino a quando Anthony si rimise in piedi, spazzolandosi i calzoni sporchi di terriccio.
“Dici che potrei avere una qualche possibilità con lui?” domandò, sculettando appena. “Sono abbastanza magro…”
“Ma magari gli piacciono quelle grandi orecchie.”
“Potrei vedere se trovo qualche unguento che possa fare al caso mio.”
Michael lo guardò con esasperazione, scuotendo appena la testa.
“Sei abbastanza idiota. Penso proprio che potresti piacergli!” constatò iniziando a ridacchiare con sempre maggior foga.
Anthony si finse offeso per poco, prima di seguire l’amico in una fragorosa risata.

Si rimisero al lavoro, motteggiandosi e prendendosi scherzosamente in giro, progettando svariati e assurdi modi per far cadere il Principe ai loro piedi, consci che non li avrebbero mai attuati, preferendo mantenere la loro testa saldamente ancorata al loro corpo.

“-Oppure potremmo proporci di lucidare la sua regale spada con un inchino molto profondo!” stava finendo di ipotizzare Michael prima di vedere la faccia del suo amico congelarsi sul posto, con ancora mezzo sorriso sulle labbra.
“Buongiorno Anthony!” esclamò una voce allegra, esattamente dietro le spalle del contadino.

Merlin trotterellò velocemente in avanti, andando ad assestare un’amichevole pacca sulla spalla del ragazzo, chiedendo notizie su come stesse andando il raccolto.
“Molto bene, grazie. Mi sa che le fragole là,” indicò, puntando il dito sulle piccole piante a ridosso delle mura, “sono quasi mature.”
“Perfetto!” esclamò Merlin, assurdamente felice. “Così Sua Maestà la finirà di angustiarmi con le sue manie sulle fragole estere!” si lamentò lievemente, facendo il verso al proprio padrone.

“Oh!” esclamò poi, notando solo in quel momento che Anthony non fosse da solo. “Tu sei…?”
“Michael. Sono qui da qualche mese. Mi occupo del campo.” Spiegò l’interpellato tendendogli una mano.
“Merlin! Ma, ci siamo già visti da qualche parte?” soppesò, andando a stringere la mano che gli veniva offerta. “Ah si, il ragazzo di ieri sera!”
Si batté una mano sulla fronte, ricordando solo in quel momento che la sera precedente aveva affidato al primo che aveva trovato il compito di portare la cena al suo Signore.
“Grazie, sai.” Disse portandosi una mano al cuore. “Davvero.” Aggiunse poi, vedendo il volto dell’altro farsi sempre più perplesso ogni attimo che passava.
“Uh, di nulla.” Smozzicò l’altro, imbarazzato dalla gratitudine che traspariva dal viso del ragazzo.
“Non sarei riuscito a fare tutto da solo.” Rimarcò Merlin, per far capire all’altro quanto gli fosse grato. “A volte il Principe richiede anche troppo da me.”

I due contadini si scambiarono degli sguardi complici, deglutendo appena.
“Tipo, ieri sera, mi ha veramente sfiancato.” Sbuffò Merlin, concludendo il suo sfogo sul suo lavoro al servizio del Principe.
“Eh, immagino.” Commentò Anthony con fare saputo. “Peggio di una donna?”
“Assolutamente! Penso che sia più semplice stare dietro ai bisogni di Lady Morgana, che una singola necessità del Principe!”
Michael e Anthony si guardarono esterrefatti.
“Comunque,” continuò non notando affatto le espressioni scandalizzate dipinte sul volto dei due contadini, “potevi pure entrare nelle stanze del Principe. Non è solito mangiare i nuovi servitori!”
Scoppiarono tutti a ridere, anche perché l’idea che il Principe scendesse nelle cucine con una spalla carica di servitore pronto da cucinare era tanto assurda, quanto esilarante. Sua Altezza Reale non avrebbe mai fatto tanta fatica per un misero pasto.

“Com’è lavorare al servizio del Principe?” domandò Michael sinceramente interessato.
“Intendi a parte le sue mille manie? Beh, non male, quando inizi a farci l’abitudine.”
“Devi sapere,” si intromise Anthony, “che, prima dell’arrivo di Merlin, Sua Altezza Mai Soddisfatta Reale era solito cambiare un servitore al giorno. I più fortunati duravano al massimo tre giorni, poi improvvisamente scappavano da Camelot adducendo a qualche scusa su parenti malati o necessità nei campi. Poi non tornavano più.”
“Merlin qui,” continuò passandogli una mano tra i neri capelli, “deve avere qualcosa di veramente speciale per essere entrato nelle grazie di Sua Maestà. E per esserci rimasto così a lungo.”
Merlin arrossì. Non aveva idea di essere un motivo di stupore per essere già da un anno al servizio del Principe. In fondo, una volta conosciuto meglio, l’Asino Reale aveva dei lati buoni, ottimi a volte, che lo facevano apparire un vero Principe, non solo per un fatto puramente di sangue.

Michael invece aveva compreso dove volesse andare a parare il suo amico, e, adesso, voleva scoprirne qualcosa di più.
“Devi avere qualcosa di davvero particolare,” cominciò Michael guardando il ragazzo più attentamente, scandagliando come gli abiti si posassero con indifferenza sul quel corpo magro. La maglia era almeno una taglia più grande di quella necessaria, con le maniche che, nonostante fossero rimboccate, coprivano buona parte delle mani. La cintura in vita, di fine cuoio, la stringeva appena, andando ad accentuare la snellezza dei fianchi.

“Ma no…” si schermì Merlin, indietreggiando appena sotto quell’attento esame. “Sono assolutamente un servitore qualunque. Del tutto normale.” Ci tenne a precisare. Non poteva lasciare scoprire a qualcuno il suo più grande segreto, pena la testa, che doveva rimanere saldamente ancorata al suo collo.
“Non sei uno qualunque, Merlin.” Commentò Anthony bloccandolo per le braccia e impedendogli una qualsiasi via di fuga. “Ci vuole un grande spirito di sacrificio per sopportare i capricci del Principe.”
“E la gogna.” Aggiunse Merlin mestamente, osservando la verdura che cresceva rigogliosa intorno a loro.
“E la gogna.” Convenne Anthony, nascondendo a mala pena un sorriso di compatimento. “Anche se è un po’ che non assaggi della buona verdura…”
“Ma piantala!” si imbronciò Merlin, spingendo appena il rosso.
“Agli ordini!” rispose a tono con un sorriso sulle labbra chinandosi per sistemare gli ortaggi. “Cosa preferisci? Insalata? Melanzane? Le carote sono un po’ dure da prendere in faccia…”
“Molto spiritoso. Davvero.” Osservò Merlin incrociando le braccia al petto, aspettando che i due contadini la smettessero si ghignare apertamente. “Spero di continuare la mia dieta povera di verdura per ancora un po’ di tempo. Arth- cioè, il Principe,” si corresse subito, “è abbastanza di buon umore in questo periodo.”
“Non troverà una scusa plausibile per mandarti alla gogna.” Ipotizzò Anthony, appena si ebbe ripreso un po’ dal troppo ridere.
Merlin scrollò appena le spalle, a significare che non gli importava conoscere il motivo per cui Arthur non lo mandava più alla gogna, fintanto che non doveva andarci.
“Sarà contento dei tuoi servigi.” Continuò poi, sibillino.
“Probabile.” Ragionò Merlin soppesando tutti i doveri assurdi che Arthur gli affidava, a qualsiasi ora del giorno e della notte.

“Merlin!”
Un richiamo si levò alto nel cielo, con un tono seccato e perentorio, come non fosse la prima volta in cui venisse invocato quel nome. L’interpellato si girò bruscamente, andando a scorgere la figura a cui apparteneva quella voce, che si stagliava nitida e arrogante sotto il volto che conduceva a quel piccolo orto.
Merlin salutò velocemente i due giovani, defilandosi verso il proprio padrone.

“Sempre in giro a bighellonare.” Lo accolse Arthur con voce strascicata, degnando appena di uno sguardo di sufficienza i due contadini che seguivano la scena da lontano. “Si vede che non ti do abbastanza da fare!” ringhiò, incamminandosi verso il Castello.
“Ero là per le fragole, come Voi mi avete ordinato di fare!” rispose aspro Merlin avviandosi dietro al principe, non intenzionato ad ascoltare una ramanzina per un ordine impostogli proprio da chi lo accusava di non svolgere il proprio dovere.
“Non mi interessa!” esclamò Arthur, spingendolo in un’alcova delle mura e afferrandolo per il bavero.

“Tu sei arrabbiato per una cosa che mi hai detto Tu di fare.” Rispose Merlin, per nulla intimorito della condizione in cui si trovava. Sentiva il fiato rabbioso di Arthur sulle sue labbra, la sua presa farsi sempre più forte e le mani, che stringevano il suo fazzoletto, sprigionavano un calore che si faceva sempre più opprimente. Il suo odore, poi… odore di muschio e sudore, frutto della giornata di allenamento, accendeva tutti suoi sensi, infiammando il suo sangue a scorrere sempre più veloce nelle vene.
“Tu non eri dove dovevi essere e io non posso andare in giro per tutto il castello alla ricerca del mio servitore!”

Arthur pareva veramente arrabbiato questa volta, con gli occhi che dardeggiavano scintille di furore; così il ragazzo decise saggiamente di non replicare a tono, abbassando appena la testa. Arthur mollò la presa, lasciando che il corpo di Merlin toccasse nuovamente il suolo. Non si era reso conto con quanta energia lo avesse appeso al muro. Non riusciva neanche a spiegarsi il motivo di tutta questa furia, sapeva solo che voleva sentirlo sotto le mani, sapere che quel corpo aveva bisogno del suo tocco. Deglutì a vuoto, chiudendo gli occhi un attimo, prima di ordinare un secco: “Hai altre cose di cui occuparti. Andiamo!”

Si avviarono indisturbati verso le stanze reali, con Arthur che procedeva con passo di marcia sicuro, seguito da un Merlin molto più silenzioso del normale, attento a non compiere nessun passo falso.

“Hai visto?” Domandò Anthony, appena i due uscirono dalla loro vista.
Michael fece un rapido cenno d’assenso col capo, posandosi sul rastrello, la mente concentrata nel memorizzare ogni dettaglio di quella scena. Aveva capito come mai il Principe fosse così bravo nelle battaglie. I suoi rivali non potevano fare altro che soccombere sotto l’impeto dei suoi colpi. Un uomo capace di una tale forza con le parole, non avrebbe avuto tentennamenti con in mano una spada.

Un tempo aveva tanto invidiato la vita dei Cavalieri: combattere per delle giuste cause e rendere orgoglioso il regno col loro operato. Solo non si era mai soffermato troppo a riflettere su cosa ci fosse dietro a tanta maestria con la spada. I Cavalieri dovevano sopportare ore di allenamento, con la pioggia e sotto il sole, che fossero stanchi o in ottima salute. Tutti i movimenti dovevano essere giustamente calibrati, armoniosi e potenti allo stesso tempo. Il Principe poi non era una persona che ammetteva errori, esigeva completa disciplina e il massimo impegno. Molto spesso aveva visto i Cavalieri, dai più giovani fino ai veterani, pulire le stalle e adempiere a tante incombenze in base a quanto non avessero soddisfatto le aspettative del futuro sovrano.

“Secondo me, quel povero ragazzo si prenderà una punizione coi fiocchi.”
Per un secondo Michael tornò ad ascoltare il suo rosso amico, chiedendosi se disciplina e impegno si estendessero anche a questioni di letto. Scosse rabbioso la testa, doveva smetterla di avere di questi pensieri, ne sarebbe andata della sua sanità mentale.
“E come punizione, dubito che lo attenderà la gogna.” Insinuò Anthony, dandogli una leggera gomitata sul fianco e inarcando ad arte le sopracciglia.

Continua...

Note finali: Questa storia, dicasi anche parto colossale, è nata per essere un'unica lunghissima one-shot. Ma capisco che più di 15000 parole sono troppe da digerire tutte in una volta, quindi ho deciso di pubblicarla in due parti.
Ora... credo di non aver mai ringraziato come si deve tutte quelle meravigliose persone che leggono e che lasciano meravigliosi commenti! Quindi grazie mille a: bright_lights, Sorella_Erba, GiulyB, elyxyz, mindyxx, ichigo_85, Yuki Eiri Sensei, slayer87, Nonna Minerva, sushiprecotto_chan, Misa N, Cassandra, Grinpow, Ninive Shyal.
Infine, non crediate che io sia scomparsa. No, no.
Ho solo scoperto un nuovo e meraviglioso Fandom e ci sono dentro fino alla punta dei capelli.
Non sapete di cosa sto parlando? Sto parlando (e straparlando) del meraviglioso mondo del Doctor Who.
Non lo conoscete?! Ma dove siete vissute fino ad adesso?
È la Serie Tv Inglese più famosa di tutti i tempi. È la Serie di eccellenza.
Uhm... non vi ho ancora convinte a lanciarvi con un triplo salto mortale nel nuovo fandom?
Se vi dico che vi hanno recitato Colin? Anthony? Angel?
Oltre che Michelle Ryan (Nimueh), Eve Myles (Lady Helen 1x01 - famosa per lo spin-off slash Torchwood), Georgia Moffet (l'adorabile Lady Vivian! XD)
Sappiate che se volete raggiungermi in questo mondo della perdizione siete più che ben accette. Ma sappiate che è un fandom het.
Sì, lo so, ho scritto anche una slash. Ma sono una slasher! È normale distruggere il proprio unico OTP het per amore dello slash.
Bene, dopo tutto questo mio sproloquiare, congratulazioni se riuscite ad arrivare fin qui senza lanciarmi maledizioni. E ricordatevi che entro settimana prossima pubblicherò il secondo e ultimo capitolo.
Un bacio,
Fanny
   
 
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