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Autore: Ulissae    22/05/2010    2 recensioni
Fanfiction partecipante all'iniziativa "2010: a year togheter" indetta dal C.o.S.
Spagna era stufo. Irritato. Scocciato.
Erano anni che quella situazione andava avanti, senza che nulla si risolvesse: qualunque soluzione tentasse di trovare, lui la mandava a monte.
Francia, dannatissimo Francia.
Genere: Commedia, Comico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prefazioni più che obbligatorie: studiare storia fa male, malissimo. Soprattutto se si passano interi pomeriggi chini sui libri a studiare in che modo la Francia, durante il corso del '500, sia riuscita ad infrangere ogni singolo patto stipulato con la Spagnaa. Tutti. T.u.t.t.i.
È pure vero che anche vedere Hetalia fa molto male: si inizia ad immaginare le bisticciate tra le due nazioni come litigia di una coppia scoppiata. Ecco, la storia è nata dall'unione della demenza del mio cervello, dalla genialità di Hetalia e dallo stress scolastico.
È ambientata a Madrid nel 1526: Carlo V (spagnolo) ha catturato Francesco I (francese). In cambio della liberazione l'obbliga a firmare il Trattato di Madrid, con il quale Milano (quindi l'Italia del Nord) e la Borgogna passano sotto il dominio spagnolo. Il regno di Napoli e il sud Italia sono già Spagnoli.
Purtroppo, però, Francesco I non mantenne il patto e subito dopo essere liberato riattaccò Milano, per riprendersela.
La fanfiction partecipa all'iniziativa 2010: a year togheter indetta dal Collection of starlight, con il prompt 120. Un ultimo abbraccio sotto le stelle cadenti.


Adieu
Spagna era stufo. Irritato. Scocciato.
Erano anni che quella situazione andava avanti, senza che nulla si risolvesse: qualunque soluzione tentasse di trovare, lui la mandava a monte.
Francia, dannatissimo Francia.
« Muoviti, firma! » lo minacciò, puntandogli  addosso lo spadone ben lucido e lavorato.
Il riflesso brillò negli occhi celesti di Francis, che deglutì e guardò allarmato il vicino, cercando di tastare bene la situazione.
Il trattato stava davanti a lui, sul tavolaccio di legno, in quella stanza dalle pietre smussate. Così prive di stile.
Storse il naso e scuoté la testa, deciso: « no. No. E no »
Antonio socchiuse gli occhi e portò il fendente sotto il tuo collo. Guardò i pugni del nemico stringersi, mentre i polsi rimanevano stretti dalla ferrea presa delle catene.
Perché lo aveva portato a questo?
«No, mon çher» di nuovo negò con la testa; i lunghi capelli biondi sferzarono nell'aria, spargendo nella cella quel buon profumo di rosa.
Spagna sospirò, poi con una mossa decisa fece precipitare la spada. Nelle iridi uno sguardo maligno, sulle labbra un ghigno, sinonimo di furbizia e di un'idea appena giunta.
«Firma» lo esortò di nuovo, amabilmente. La punta della lama premeva sull'inguine di Francia.
Fracis sbiancò, spalancò gli occhi e iniziò a lagnarsi, scuotendosi.
« Mon dieu! No, no, no! Firmo, firmo! Per l'amor di dio, firmo! »
Veloce come un fulmine afferrò la piuma di pavone che il vittorioso Antonio gli porgeva e, con la mano tremante, tracciò il suo nome sul foglio ruvido.
Tutto. Aveva lasciato tutto a quel buzzurro, privo di stile e di eleganza.
Ma, doveva essere sincero, il suo carissimo amico era troppo importante per essere sacrificato in quell'impresa mortale.
Rimuginò a lungo, mentre al suo fianco Spagna si mise a sventolare una tovaglia rossa, esultando e aizzando un immaginario toro con le parole e con i gesti.
Primitivo, commentò tra sé Francis.

Il giorno dopo percorse in silenzio i corridoi della casa. Madrid era silenziosa e gli sguardi dei servi erano pesanti. Strascicando i piedi si trascinò verso l'uscita; sulle spalle un piccolo sacco con i suoi averi, nel cuore tanto rancore.
Dietro di lui stava Antonio con i due fratelli italiani.
Lo spagnolo sospirò, si avvicinò lentamente al Francese, che ora lo fissava con occhi scuri.
La mantella blu si mischiava con il colore della notte; solo quella striscia in mezzo, bianca, sembrava splendere più della luna.
Si guardarono a lungo e senza dire niente si abbracciarono.
Rancore, rabbia, furore, memorie. Si unì tutto in quelle braccia e in quelle due lingue, con le quali continuavano ad insultarsi, senza capirsi.
Forse pensavano che ognuno stesse dicendo all'altro di stare bene.
Forse avevano capito che quell'odio li avrebbe rovinati e fortificati allo stesso tempo.
Ma in quel momento non ci pensarono; rimasero lì, ancora un poco, stretti in quell'abbraccio d'astio e affetto.
Quando Antonio si staccò, rapido e cupo, non disse altro. Si voltò e iniziò a salire nel proprio palazzo, deciso ad archiviare il prima possibile tutte quelle guerre estenuanti.
Feliciano lo fissava con tristezza; ricordava di quando Francia era venuto ad aiutarlo, dopo che Lovino aveva deciso di rubargli la merenda. Si ricordava anche di come si era subito proposto per salvarlo nel momento del bisogno.
Alzò un fazzoletto e salutò Francis, che mogio e mesto si dirigeva verso la strada, passando per i giardini.
« Ciao, fratellone, ciao » singhiozzò, affondando il visino nel grembiule.

Camminando per i corridoi Spagna si voltò, sentiva un solo rumore di passi, così, incuriosito fissò Lovino, che scocciato stava calciando un piccolo sassolino da quando erano rientrati.
« Dove sta Feliciano?! » chiese allarmato Antonio, guardandosi intorno con angoscia.
Dove era quella peste impacciata?
Il fratello non rispose, lo guardò solo con un enorme indifferenza e alzò le spalle.
Catturato da una strana sensazione, un sesto senso illuminante, si scaraventò verso le finestre e le spalancò.
Vide chiaramente la sagoma di Francia sgattaiolare fuori dalle mura, il mantello volteggiare nell'aria. Ma con lui c'era anche qualcun altro.
Il pianto di Feliciano irrompeva nella quiete notturna: Francis lo portava sottobraccio, contento di quella sua vittoria e unicamente quando udì l'urlo furioso di Spagna si voltò.
Mostrò la sua bella lingua esperta e scoppiò in grasse risate.
« Ho vinto io! Ho vinto io! » continuava a ripetere, girando intondo.
Antonio, dal suo palazzo, non poté far altro se non prendere un pomodoro e scagliarglielo contro.
« FELLONE! » urlò.
Francis si voltò e quel pomodoro, scagliato con tanto ardore, lo andò a colpire proprio sulla linea bianca. Stranito interruppe la sua danza della vittoria e posò a terra Feliciano, che troppo impaurito rimase fermo e buono, tremando come una foglia.
Francis si tolse il mantello e osservò con curiosità la nuova cromia che si era venuta a creare: blu, bianco, rosso.
Ci mise un po' prima di giudicarla; poi, preso da un nuovo spasmo di felicità, iniziò a saltellare.
Rise e gridò, quasi ringraziandolo: « Magnifique! ».
Si sa: non c'è nulla che piaccia a Francia quanto un buon accostamento.



Angolo Autrice:
Okay, spiego due cosucce brevemente e poi sparisco.
Quando Feliciano ricorda Francia faccio riferimento a quando Ludovico il Moro chiese l'aiuto di Carlo VIII, per far fronte a Ferrante, re di Napoli, che voleva riprendere il potere del nipote -cioè Gian Galeazzo, di cui Ludovico era il tutore-.
Lo stesso Carlo V (spagnolo) sfidò a duello Francesco I (francese), dandogli del fellone.
La parte finale, in cui Antonio, pur senza volerlo, dona a Francis i colori della bandiera francese è un modo per dire che gli stati nazionali, pur venendo massacrati da queste guerre, riuscirno a uscirne rafforzati e uniti, delimitando ancora meglio, sia solcialmente che geograficamente, la loro posizione.
È tutto; dopo questa lezione di storia da quattro soldi me ne vado.

   
 
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