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Autore: slice    25/05/2010    4 recensioni
Gaara sbatté le palpebre più di una volta, perplesso, amareggiato.
“Non credo di aver afferrato il concetto,” disse, calmo come un lago di montagna.
“Che cosa sei venuto a fare qui? Puoi andare da - con - chi vuoi, solo non prendermi in giro!”
Quella era una frase più decisa, più arrabbiata, c'era ira oltre al sapone in quelle iridi blu, anche il tono era più alto. C'era, quella frase, non si poteva far finta che non ci fosse, ma Gaara non sapeva bene di cosa si trattasse.

Volevo scrivere qualcosa su questi due personaggi e questo contest me ne ha data l'occasione. Sono anche abbastanza contenta di come è venuta, stranamente.
Prima classificata al contest "Happy ending? Hell ya!" indetto da Globulo rosso.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sabaku no Gaara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: slice.
Titolo:All'alba, la mia stanza non ha pareti”
Pairing: Naruto/Gaara.
Rating: giallo.
Numeri con relativo elemento: 15 (oggetto) - “Kunai intriso di profumo alla violetta”. 41 (frasi da inserire) - “Voglio mangiare, ora, subito!”, “Perfetto, alzati e prendi gli avanzi in cucina”.
NdA: Gaara potrà sembrare un po' ooc, ma io lo vedo così, come l'ho dipinto in questa storia. È indubbiamente una persona pacata, diplomatica, razionale, riflessiva, sicuramente silenziosa, ma non è affatto stupido, e se per risolvere una situazione fosse necessario parlare un po' di più sono sicura che si sforzerebbe.
Naruto è una di quelle persone invece che si esprime, con miriadi di parole e altrettanti gesti, ma il dolore lo fa regredire, lo fa diventare silenzioso, rende le sue frasi enigmatiche e stanche.
Probabilmente qualcuno potrebbe dire che questi personaggi non hanno molto in comune, tranne forse i tratti decisamente poco nipponici, io invece ci vedo molto che li accomuna. Primo fra tutte le cose il loro passato.
Non è un particolare: il passato è quello che ci ha costruiti, ha dettato le basi del nostro carattere e del nostro intero essere. Si può cambiare un po' ma sarà davvero difficile diventare l'opposto. Il passato, specialmente se si parla dei nostri primi anni di vita, dell'adolescenza che ci forma in modo prepotente e ci segna di conseguenza, è una cosa decisamente importante. Farà parte anche del futuro che ci costruiremo, per forza.









All'alba, la mia stanza non ha pareti
di slice





La prima domanda arrivò con un'ingannevole noncuranza, perciò priva di un qualsiasi indizio che potesse farne intendere la gravità. Naruto aveva un'espressione piuttosto rilassata, tutta la situazione lo era, a ben vedere e, insomma, non c'era stato nessun tipo di avvertimento. Anche se Gaara aveva avuto subito un subconscio sospetto che fosse stato fatto apposta.
“Tu sei a favore della mia nomina a Hokage, vero?”
Il Kazekage alzò gli occhi dal suo piatto, finì di masticare a labbra chiuse immergendosi nelle iridi chiare del suo interlocutore e quando ebbe la bocca libera aggrottò la fronte.
“Sono a favore, Naruto, come potrei non esserlo?”
I loro occhi rimasero fissi su quelli dell'altro per ancora qualche secondo in cui il frastuono della festa in onore degli alleati di Suna andava smorzandosi in un lieve brusio. Poi, l'improvviso calo di confusione destò l'interesse del jinchuuriki che distolse lo sguardo, continuando a rimestare nel proprio piatto.
La seconda domanda invece insinuò un più reale sospetto, partendo dal tono di voce fino ad arrivare alle parole usate.
“E- e non c'è assolutamente nessun motivo per il quale potresti non essere a favore?”
Gaara neanche si accorse di aver smesso di masticare, ingoiò tutto così com'era, portandosi una mano alla gola e l'altra al bicchiere davanti a sé, per poi riportare l'attenzione sugli occhi azzurri che lo fissavano.
“No, non c'è motivo,” disse, registrando con remota irritazione la testa del compagno abbassarsi sul proprio piatto ancora una volta. “Che cosa c'è, Naruto?”
“Niente, chiedevo.” Fu la laconica risposta che gli arrivò, nonostante il brusio provocato dai commensali.





Un giorno di primavera Gaara aveva accolto Naruto e Sakura, che erano di ritorno con Temari e la sua squadra di genin da una missione di scorta in un villaggio all'estremo nord del Paese del Vento.
Naruto si comportava in modo strano e Sakura sorrideva sempre. Il Kage, sul momento, non aveva prestato troppa attenzione attribuendo tutto alla stanchezza tanto che dopo poco se ne era dimenticato. Aveva cominciato a porsi domande quando a cena erano rimasti lui e Naruto. Il jinchuuriki era nervoso e parlava poco, fino a quando dopo cena Gaara si era trovato le sue labbra sulle proprie; non aveva fatto una piega, bevendosi quelle sensazione strane e cercando di ricambiare, impacciato.
Quello che Gaara si sarebbe sempre ricordato sarebbe stata la risata liberatoria dell'amico, i suoi occhi così vicini e lucidi da specchiarcisi dentro; il sospiro che aveva accompagnato quella risata sapeva di paura e felicità, come quando si rilascia il diaframma e la tensione sciama.
Gaara non sapeva cosa fosse l'amore fino a poco tempo prima e quel che aveva ricevuto fino ad allora era stato il tiepido e piacevole amore del villaggio, quello caldo e imbarazzato di Kankuro e di Temari, l'ammirazione di Matsuri e il sorriso di Baki. Il sacrificio di Chiyo era stato qualcosa di più caldo e denso a cui non era riuscito a dare un nome, e per questo ancora passava qualche momento davanti alla lapide dell'anziana cercando di isolare e identificare quella strana sensazione.
Ma quello che Naruto gli faceva provare era lava, era bollente e liquida lava che scendeva in basso lasciando intorpidito il resto e che faceva arrossire la pelle nivea del suo viso.
La cosa più sorprendente era stata scoprire tutto sul momento. Non era stato come ricevere l'amore dai suoi fratelli, graduale e soffice contro quel muro freddo di emozione che era tutto ciò che conoscesse, era stato come venire sommerso da qualcosa di inaspettatamente ingombrante, tanto da fargli domandare dove si fosse potuta nascondere una cosa così imponente fino ad allora.
Nonostante questo, ovviamente, Sabaku non aveva avuto dubbi o paranoie riguardo il loro rapporto fino al reintegro di un certo, famoso, Uchiha.
La prima volta che erano arrivati insieme, Gaara si era scoperto a forzare la sua gentilezza nei confronti del ritrovato compagno di squadra di Naruto. I loro battibecchi lo innervosivano e la vicinanza che c'era tra loro era già abbastanza troppa dal momento che vivevano entrambi al villaggio della Foglia. Figurarsi essere nello stesso team.
Ma erano rumori di sottofondo che non sapeva avessero la stessa fonetica della parola gelosia, almeno fino a quando Temari non lo aveva illuminato con gli occhi lucidi e quel sorriso materno che vedeva il suo fratellino tanto innamorato da essere geloso. Cose incomprensibili e difficili da digerire per uno a digiuno di situazioni del genere come il Kazekage.

Naruto non era più nel buio del passato da jinhuuriki che aveva avuto, così come non lo era più Gaara, ma mentre il Kazekage ne era uscito del tutto, immerso nella luce - ora che era stato privato del Demone - Naruto era ancora nell'ombra.
Poteva sembrare una cosa brutta quando in realtà all'ombra si sta bene. Si ha un punto di vista più obiettivo perché non c'è il sole che ferisce gli occhi e il caldo che scotta la pelle, ma c'è la luce che inonda tutto intorno a noi e ci rende sereni, rimaniamo però coscienti che poco più in là c'è il buio. Gaara doveva pararsi dal sole per vedere e doveva proteggersi dalle scottature, aveva quindi una visione meno chiara anche se stava bene, dov'era.
Naruto aveva amici, legami forti che trascendevano qualsiasi etichetta, aveva di nuovo una famiglia in tutto tranne che nel sangue, ma aveva ancora un demone nel suo corpo. Sebbene il suo odio fosse stato spinto molto in basso era ancora lì, pronto ad invadergli il cuore quando era da solo o veniva minacciato quello che si era faticosamente conquistato, ovviamente, ma la presenza del demone aveva permesso a Naruto di non avere cambiamenti tanto radicali da sbilanciare la sua vita. Gaara invece aveva un villaggio intero come famiglia, aveva accanto il suo sangue, quasi tenero così protettivo e isterico, e il suo demone era un ricordo lontano. Questo gli aveva creato un buco dentro che lui stentava a riconoscere come parte di sé, era confuso da quell'improvviso silenzio e doveva ricominciare a inserire le cose più semplici, come dormire.





Piano piano la loro relazione era diventata una di quelle cose che tutti sanno e che nessuno si azzarda a menzionare, non un tabù, ma un tacito consenso. La camera del Kazekage era dunque anche quella dell'Uzumaki quando venivano ospitati a Suna.
Gaara avrebbe voluto vederlo più spesso, vedere quei capelli chiari e la pelle più scura della sua, quegli occhi blu come l'acqua che nel deserto scarseggia. Avrebbe voluto sentire la sua voce squillante anche in quei giorni bui che trascorreva da solo, nel nuovo silenzio che la mancanza dell'Achibi gli aveva regalato. Sapeva non fosse possibile per la sua carica e rispettava la decisione del compagno di essere rimasto a Konoha, suo villaggio natale. Quello che non sapeva era il motivo della sua tristezza.
Kakashi iniziava ad essere stanco di fare il bello e annoiato dietro una scrivania, con Shizune che rincorreva una sua copia sullo sfondo, urlandogli di mettersi al lavoro, e aveva espresso la volontà di far succedere il suo allievo.
Un sogno che si realizza, per Naruto, aveva pensato per prima cosa all'arrivo della notizia. Evidentemente non aveva preso in considerazione qualcosa di molto importante.

Sapeva che fosse già sveglio. Il suo respiro lo aveva tradito e per prima cosa, scoprendosi ancora abbracciato a lui, lo aveva sentito irrigidirsi.
La sera precedente era rimasto composto seduto sul letto e con un kunai in mano, dopo averlo fissato per un tempo lungo quanto la pazienza del Kage, si era sdraiato voltato dalla sua parte fino a quando non si era addormentato, allora Gaara si era avvicinato a lui, abbracciandolo.
“Naruto,” lo chiamò, “cosa c'è?” chiese per la seconda volta in poche ore.
Le spalle del ragazzo si alzarono e si abbassarono in un respiro profondo, poi si scostò le coperte mettendosi seduto.
“Niente,” disse senza una particolare intonazione. “Vado a fare colazione, credo che gli altri vogliano partire presto.”
La mente di Gaara si schiarì, abbandonando la languidità del sonno.
Naruto conosceva l'odio e sapeva cos'era il dolore. Gaara ne era certo, perché era così anche per lui. Avevano entrambi conosciuto quel veleno ancor prima dell'amore e della felicità, era per quel motivo che ora apprezzavano meglio quelle nuove emozioni, ma quando si conosce a fondo una cosa come il dolore essa diventa anche un'arma perché si sa già dove colpire, dove fa più male. Si conosce il modo di procurare la stessa sofferenza. E l'indifferenza è una lama sottile, trasparente, che non si nota finché non trapassa, è un ninja silenzioso e ben addestrato che colpisce senza dar modo di difendersi.
Naruto si diresse sotto la doccia e Gaara gli andò dietro.
“Adesso basta, voglio sapere,” disse sulla porta mentre il ragazzo di Konoha si toglieva l'intimo e s'infilava sotto il getto d'acqua.
Naruto sorrise mesto e a Gaara venne voglia di picchiare l'Uchiha, che non c'entrava niente ma era sempre troppo vicino alle persone a lui care.
“Sei sicuro di non dover fare qualcos'altro? Con qualcun altro, magari...” disse Naruto, prima di mordersi l'interno guancia, cercando di evitare di pensare a quanto suonasse ridicolo, geloso e stupido.
Le parole si perdevano sempre nell'aria, ingannevoli, e con l'educazione che avevano ricevuto entrambi sapevano osservare i movimenti altrui e distinguere da quelli la vera direzione delle parole del loro interlocutore. Per questo dopo quell'attimo di sconcertato silenzio Gaara entrò nella doccia e lo baciò, senza chiudere gli occhi e privarsi del blu dei suoi. Un bacio semplice, un premersi le labbra contro, solo un contatto che diceva “ci sono”.
Il vapore cominciava a salire e l'acqua scivolava sul corpo dalla pelle leggermente più scura. Le mani di Gaara salirono a sfiorare gli zigomi di Naruto, ma quel contatto portò un velo appannato su quel blu oceano. Naruto gli prese le mani e le tolse dal suo viso, allontanando così anche le sue labbra, in un chiaro diniego.
“Io non ti costringo a stare con me, ma vorrei che quando venisse il momento tu mi avvertissi prima... se ti piacesse qualcun altro...”
La frase sembrò finita solo perché Naruto non parlava più, c'erano però altre mille parole che si leggevano nei suoi occhi prima che si voltasse per insaponarsi.
Gaara sbatté le palpebre più di una volta, perplesso, amareggiato.
“Non credo di aver capito,” disse, calmo come un lago di montagna.
“Che cosa sei venuto a fare qui? Puoi andare dove vuoi, solo non prendermi in giro!”
Quella era una frase più decisa, più arrabbiata, c'era ira oltre al sapone in quelle iridi blu e anche il tono era più alto. C'era, quella frase, non si poteva far finta che non ci fosse, ma Gaara non sapeva bene di cosa si trattasse.
“Esci, mi limiti i movimenti.”
Mi limiti i movimenti, mi sei d'impaccio, non ti voglio qui, non ti voglio insieme a me. Esci! Dalla doccia o dalla sua vita?
Gaara sentì lo stomaco contrarsi e fece un passo indietro, uscendo dalla doccia. Naruto chiuse il vetro e il colore dell'azzurro si mischiò a quello del verde acqua grazie alla trasparenza e al riflesso.
Quel vetro sembrava spesso chilometri, tagliava, spazzava via e faceva male. Naruto distolse lo sguardo e il verde acqua tornò ad essere solo.



Era presto.
I festeggiamenti erano durati fino a tarda notte, e nella loro squadra c'era Nara.
Naruto sospirò ricordandosi questo particolare che gli fece comprendere che non se ne sarebbero andati, probabilmente, prima di cena.
Si sedette sul divano che c'era nel salotto al piano terra. Quell'enorme castello comprendeva una zona piuttosto spartana, rispetto al lusso degli altri ambienti, che era adibita ad uso e consumo personale del Kazekage e dei suoi fratelli o, in quel caso, del suo compagno.
Gaara gli si sedette accanto con un malloppo di fogli in mano.
“Perché ti comporti così?”
Naruto non aveva voglia di averlo intorno in quel momento. Si sentiva fragile, stupido, di vetro come una ragazzina innamorata. Si sentiva un idiota, un idiota non corrisposto e, peggio di qualunque altra cosa, si sentiva di nuovo infinitamente solo.
“Non capisco che cosa ti sia preso questa mattina, o ieri sera con quelle domande, ma io sono felice per te che il tuo sogno si realizzi e mi farebbe piacere che tu mi spiegassi perché non dovrebbe essere così...”
“Perché ti interessa sapere?”
A quel punto il Kage non sapeva davvero cosa dire. Lasciò che il silenzio si allungasse tra di loro, senza mai perdere il contatto diretto con gli occhi dell'altro.
“Adesso dovrei essere io a chiederti perché ti comporti così.”
“Lascia perdere...”
Ancora quel silenzio così pesante da arrivare a pungere dentro, nel profondo, dove molte cose a loro due facevano già male. Tanto che Gaara si vide costretto a rivolgere la sua attenzione al plico per non farsi schiacciare da quel vuoto.
Con quel silenzio, nello stomaco di Naruto, qualcosa si addensò, formando un grumo fastidioso di tensione. Voleva dire qualcosa che sbloccasse la situazione, che attirasse l'attenzione del compagno, ma il suo vocabolario non era così fornito e lui non era sicuro di voler essere molto più esplicito di come lo era stato fino ad allora.
“Voglio mangiare, ora, subito.” ringhiò alla fine, sconfitto. Tanto per dire qualunque cosa che rompesse quel doloroso niente che li circondava e li allontanava.
“Perfetto, alzati e prendi gli avanzi in cucina.” Gaara non tolse gli occhi dal suo plico per rispondere e non vide quindi gli occhi di Naruto farsi due fessure.
“Tu non capisci...” si limitò a borbottare l'Uzumaki, torvo.
Gaara si accorse in quel momento di non aver immagazzinato nessuna delle informazioni che quella pagina conteneva e smise di pretendere che gliene importasse. Sbuffò, alzando il capo in tempo per vedere lo sgargiante vestiario del compagno sparire dietro lo shoji della cucina.
Si alzò prendendo la stessa direzione, deciso a chiarire, dal momento che quella situazione lo soffocava.
“Che cosa non capisco? Perché allora non ti spieghi?”
“Perché sai benissimo di cosa sto parlando!” quasi gridò Naruto, richiudendo lo sportello che aveva aperto senza prendere niente, mentre si voltava verso il suo interlocutore.
Nella testa di Gaara passarono flash di ricordi più o meno lontani, cercava spiegazioni in quello che era successo, qualcosa che evidentemente aveva dato molto fastidio a Naruto. La festa, la cena, le sue domande, il suo silenzio, il kunai, l'abbraccio, il risveglio, il freddo che aveva provato quella mattina.
“Io so che da quando ci siamo svegliati non mi hai ancora sfiorato.”
Gli occhi blu si sgranarono.
“Ci siamo baciati...”
“No, io ti ho baciato.”
Non c'era niente di buffo in quella situazione, nemmeno l'espressione di Naruto con quegli occhi, già grandi di per sé, sgranati, Gaara sentiva che avrebbe potuto piangere per il freddo vuoto che avvertiva dentro, ma fuori non si scorgeva tutta questa tempesta. Lui non era mai stato molto espressivo, non come lo era Naruto che vantava una vasta gamma di espressioni più o meno buffe, più o meno serie, ma tutte magnifiche.
Un suono cupo ruppe il silenzio e gli occhi verdi si posarono su un kunai piantato sul bordo del tavolo.
“Di chi è questo?” La voce di Naruto era roca e bassa, sconsolata, sconfitta. Era un suono orribile che continuò a pungergli i pensieri fin quando non abbassò lo sguardo sull'oggetto.
Una piccola parte della punta era nascosta dal legno del tavolo, la lama sembrava affilata e non c'erano scheggiature rilevanti, il manico era ricoperto da una benda per facilitarne l'impugnatura e terminava in un anello. Un kunai. Uno fra mille.
“La prima volta non ci ho fatto caso, ma ieri l'ho trovato anche stupidamente ovvio.” Naruto aggirò il tavolo e tolse il kunai dal legno portandolo vicino al naso del Kazekage. “Di cosa odora secondo te?”
Gaara anche senza annusare poteva sentire l'aria pregna di un piacevole odore di violette e, dopo esserselo chiesto per giorni, finalmente scoprì da dove veniva quel profumo.
“Violetta...” mormorò. Sembrava che quel kunai fosse intriso di profumo alla violetta.
“Esatto, e sai chi ha quell'odore?” Naruto non voleva davvero una risposta, Gaara avvertiva la sua collera come se anch'essa avesse avuto un particolare odore, e non rispose. “Matsuri.” disse il ragazzo davanti a lui prima di lasciargli il kunai sul tavolo e uscire dalla cucina.
Lo shoji dietro le sue spalle frusciò fino a sbattere a fine corsa e quel rumore fu peggiore persino del sibilo di un kunai nemico.





Gaara aveva preso tutto quello che Naruto gli aveva dato, lo aveva preso e custodito gelosamente in una parte del suo cuore che prima non sapeva di avere. Una parte che nella sua testa vedeva come una stanza.
La stanza non aveva il soffitto, il blu del cielo sempre sereno cullava la mente, le pareti avevano un colore tendente al giallo, come la sabbia, e il pavimento era fatto con del legno scuro, caldo alla vista come al tatto. Era una stanza da letto e, come in tutte le camere, l'unico elemento presente era appunto il letto. Era un mobilio semplice, senza tanti fronzoli, ma elegante nella sua bianca figura; perché il colore predominante era il bianco. Lo scheletro era bianco come la testiera e il materasso, persino i cuscini erano di un candido e intonso bianco. Le lenzuola e le coperte invece erano di un'indecente rosso, fuoco, come i suoi capelli.
Quello che Naruto aveva fatto era sempre partito da qualcosa di fisico, inspiegabilmente però era il suo cuore ad essere caldo, il suo stomaco, la sua testa, il suo basso ventre, non la pelle fuori. Ricevere era stato come essere guidati per mano dentro quella stanza, a piedi nudi sul legno caldo, ed essere trascinati nella confusione di quelle lenzuola rosse. Dare era stato come scoprire di essere sotto un cielo blu mentre l'avere opprimenti pareti di sabbia perdeva importanza, aveva preso coscienza di avere uno sfondo di bianca purezza come l'amore e di essere sovrastato dal rosso della passione.
Era piacevole immergersi nell'idea vischiosa che Naruto aveva dell'amicizia, ma sentire il suo amore sulla pelle e poi sotto, fin nel profondo, nel suo cuore, fino ad arrivare a quella stanza, era qualcosa decisamente diverso, che lo rendeva carcerato e carceriere al tempo stesso.
Non si vergognava di quel che provava e non si vergognava di provarlo per un esponente del suo stesso sesso, si vergognava invece di non esser mai riuscito a condensare tutto in due semplici parole.
Perché poi erano arrivate le parole. Naruto lo aveva fatto, era riuscito a spiegargli come si sentiva usando parole così semplici da togliere il fiato. Lo aveva fatto una mattina, quando lui aveva chiuso gli occhi per riprendersi da tutto quel fuoco che lo aveva sommerso. Nel silenzio la voce roca del ragazzo lo aveva riscosso, prima che la sonnolenza lo portasse via, lontano, e quelle parole gli erano entrate dentro come quegli occhi blu. Aveva ascoltato senza mai interrompere e senza mai distogliere lo sguardo da quello dell'altro. Poi, quando il silenzio era tornato sovrano, lo aveva baciato, con la calma con cui ci si desta dal sonno, con la calma di un innamorato. E fuori albeggiava.
Naruto sapeva che Gaara necessitava di tempo, come aveva atteso che rispondesse ai suoi gesti così attese con pazienza che lo facesse alle sue parole. Per giorni, settimane, mesi. Senza forzare, senza chiedere.
Ma Gaara non aveva mai risposto. Non era mai riuscito a dire a voce quello che provava, non voleva dirlo con quelle parole perché quelle rappresentavano l'amore banale di tutti gli innamorati, lui non si sentiva così. E fuori continuava ad albeggiare senza che lui rispondesse.





Naruto era uscito “a fare un giro per il paese”, come aveva bofonchiato dopo aver fatto colazione con Sakura.
Nara sembrava irreperibile o, come aveva insinuato Uchiha, irreperibilmente addormentato da qualche parte, Temari guidava alcuni lavori vicino alle mura ad ovest del villaggio e loro si erano trovati a pranzare insieme ad un ingombrante silenzio.
Il pendolo nella sala scandiva il tempo, rumoroso. I commensali cercavano di fare meno rumore possibile, convinti che un sussurro potesse avere l'effetto di un grido sull'umore nero del Kazekage.
“Allora Uchiha...” disse Kankuro, l'unico che ignorasse completamente la glaciale atmosfera. “Com'è stato tornare?”
Sasuke deglutì il boccone di quel non-voglio-sapere-cosa-sia e fece spallucce.
“Niente di che.” disse semplicemente, facendo finta di non avere gli occhi freddi di Gaara addosso mentre riprendeva a mangiare.
E il silenzio cadde nuovamente.
Sakura si morse il labbro inferiore, sospirò, posò le posate e rivolse lo sguardo al Kage.
“Gaara sama, non so se questi siano il luogo e il momento adatti, ma... Da bambina ero convinta che non servissero parole per certe cose, crescendo mi sono accorta che probabilmente per qualcuno è così, ma ognuno vive queste cose a modo suo e l'insicurezza è un incubo.”
Per un momento sembrò che anche il pendolo facesse meno rumore, Sakura si accorse di avere tre paia di occhi addosso e abbassò lo sguardo sul cibo con un velo di rossore sulle guance.
“No,” il tono di Gaara suonò deciso senza essere alterato. “Probabilmente questi non sono né il luogo né il momento adatto. Ma ti ringrazio per le tue parole, Sakura san.”
“Già,” abbaiò Kankuro, “certe persone non sanno quello che hanno!”
Sasuke sbuffò.



Non era quello il punto.
Gaara sapeva di sentirlo dentro di sé, aveva capito come si chiamava quello che provava molto tempo prima, ma non se la sentiva di rinchiuderlo in una definizione.
Naruto credeva che lui avesse un'infatuazione per Matsuri, la verità era che probabilmente Sakura aveva ragione: l'insicurezza gioca brutti scherzi.
I corridoi ampi del suo palazzo lo condussero al suo ufficio, anche senza prestarci attenzione, dalle sue scartoffie che avevano l'odore del tè alle erbe che prendevano quei vecchi del consiglio.
Si sedette alla scrivania, prese in mano un foglio e lo scrutò senza vederlo per dei lunghissimi minuti, poi ci rinunciò posandolo mentre con l'altra mano si massaggiava gli occhi.
Il fatto che non vedesse Naruto da quella mattina c'entrava relativamente con il suo nervosismo, la cosa che invece lo disturbava di più era aver realizzato la gelosia del compagno.
Ci sono molti motivi per cui una persona può essere gelosa, Temari prima di tutto aveva tenuto a precisare che molte persone lo sono di natura, senza motivo apparente, e poi era partita snocciolando tutte le varie pare che potevano portare ad esserlo comunque. Naruto non era geloso di carattere, quindi che lo fosse diventato stava a significare che gliene aveva dato motivo.
Matsuri.
Matsuri era la sua allieva, le voleva bene, erano affini in un qualche modo, ma quello che provava per Naruto era una cosa completamente diversa.
Come poteva farglielo capire?

Matsuri scelse proprio quel momento per bussare alla sua porta.
“Mi dispiace disturbarla, Gaara sama, avrei bisogno di una firma,” disse la ragazzina, prima che Gaara le facesse segno di avvicinarsi.
La cosa che il Kage aveva sempre apprezzato di lei era l'odore. Violetta.
Era una cosa che andava al di là del suo volere, quel profumo gli piaceva senza un perché, avvertiva un insolito senso di pace quando aveva quell'odore nelle narici e non gli dispiaceva quindi avere la ragazzina intorno. Ma Matsuri non lo attirava in quel senso. Non nel senso in cui lo attirava Naruto.
Matsuri era indubbiamente una bella ragazza, ormai. Portava i capelli più lunghi, legati in una coda bassa, i lineamenti del viso si erano ingentiliti con la maturità e il corpo non conservava più niente di acerbo, bensì era quello di una donna. Mentre la guardava si accorse dell'imbarazzo che aveva generato, del rossore sulle sue guance e anche del tremito che l'aveva colta.
“Kazekage sama, scusate l'ardire della mia domanda, ma...” tentennò l'ex allieva, “ora che Uzumaki-san diventerà Hokage, sceglierete una donna che stia al vostro fianco?” chiese, con gli occhi bassi.
Gaara sbatté le palpebre per qualche secondo.
Fu allora che tutto sembrò avere senso.
Se Naruto fosse diventato Hokage niente sarebbe più rimasto com'era.
Se Naruto fosse diventato Hokage e lui non avesse obiettato voleva dire che era d'accordo con la fine della loro relazione.
Se Naruto fosse diventato Hokage il Consiglio avrebbe ripreso a proporgli figlie di ricchi e potenti cialtroni.
Se Naruto fosse diventato Hokage e lui non avesse obiettato voleva dire che era d'accordo con la fine della loro relazione e a portarsi dietro un kunai intriso di profumo alla violetta.
“Scusami Matsuri, ho un'urgente questione da risolvere,” disse mentre aggirava la scrivania e si avviava fuori dal suo ufficio, lasciando la kohai basita.



Gaara trovò Naruto intento a fare lo zaino, nella loro camera.
“Non mi sta bene,” esordì, incerto.
Naruto si voltò a guardarlo, aggrottò la fronte smarrito per poi riportare l'attenzione al suo bagaglio.
“Non avevo mai pensato alla tua nomina come alla fine di...” il Kage fece un passo all'interno della stanza, chiudendo la porta dietro di sé. “Di quello che c'è tra noi,” concluse, guardando il compagno.
Naruto aveva sempre pensato che Gaara non si vergognasse di stare con un maschio, aveva sempre pensato di avere l'esclusiva su di lui e che fossero una coppia. Nonostante sapesse già queste cose, in realtà non ne aveva mai avuto conferma, lui semplicemente ci aveva sperato così tanto che alla fine se ne era convinto, da solo. Quindi sentirgli pronunciare quelle semplici parole, lo rese euforico. Perché rendeva reale che tra loro c'era effettivamente qualcosa. C'era, non lo aveva visto solo lui, c'era davvero. E sorrise.
Quello che Gaara aveva appena fatto era un passo avanti perché non aveva mai ammesso a voce alta di avere con lui una qualche relazione, ma l'argomento principale era un altro.
“E cosa te lo ha fatto notare?” chiese, tornando serio mentre si voltava a riporre un kit medico.
Gaara fece un altro passo verso di lui.
“Naruto...”
Voleva la sua attenzione. Voleva che lo guardasse perché aveva qualcosa di pesante dentro, che premeva per uscire, ma che faceva paura.
Sapeva gestire incidenti diplomatici e riunioni con Daimyo grassi e lamentosi, e sapeva uccidere con pochi e precisi gesti, ma sapeva anche amare.
Lo sapeva fare, ne era sicuro.
Ne era sicuro più o meno da quella notte che non si sarebbe mai dimenticato, quando Naruto si era aperto in quella sua strana e confusa e dolce dichiarazione, perché c'erano delle farfalle nel suo stomaco, come aveva detto Temari, e c'era sempre quel ninja biondo nei suoi pensieri, come aveva detto Kankuro. E perché Naruto aveva precisamente la forma di quel vuoto che l'odio nella sua infanzia aveva lasciato, lo occupava ad incastro come fosse stato esattamente il suo pezzo mancante.
“Non voglio sposarmi, non voglio una donna accanto e non voglio Matsuri.”
Sembrava una cosa scontata detta così, ma in realtà non si era mai espresso in modo definitivo su quello che voleva, perciò questa sua risoluzione gli fece guadagnare tutta l'attenzione del compagno.
“Voglio stare con te,” rispose senza esitazioni alla chiara domanda che c'era negli occhi di Naruto. Perché lo provava e aveva bisogno che lui lo sapesse. “Voglio che tu rimanga con me, abdicherò in favore di Temari se non vorrai rinunciare alla tua carica.”
“Perché?”
Naruto non era rimasto impassibile a quell'affermazione, non era rimasto impassibile davanti alle parole che avrebbe voluto sentirgli dire da molto tempo, ma ormai aveva bisogno di sentirselo dire chiaro e tondo, aveva bisogno di sapere se abbandonare l'idea di diventare Kage era stata una pazzia.
“Perché mi piace sentirti accanto, mi piace la tua voce, i tuoi occhi, mi piace quello che sei, l'uomo che sei diventato. Perché sentire sotto le mie dita il tuo cuore che batte, e sapere che lo fa più forte perché sei con me, mi fa lo stesso effetto che il caffè fa a Kankuro.”
“Perché?” Naruto sorrise mentre si avvicinava, sfiorando la mano dell'altro.
Gaara si rese conto di avere la risposta. Si rese conto che era una catena, e che lui sapeva cosa c'era alla fine di essa.
“Perché ho bisogno di te.” Lo disse quasi senza pensarci, come se fosse un'ovvia risposta, come se lo avesse sempre saputo, ma non fosse mai riuscito a condensarlo in parole.
Naruto appoggiò la fronte su quella del compagno, cingendogli la vita.
“Perché hai bisogno di me?”
Aveva gli occhi lucidi, Naruto, la voce era bassa, quasi un sussurro, e le mani gli tremavano leggermente. C'era silenzio, in quella stanza, e tutto quello che Gaara udiva era il rumore che Naruto faceva, nel muoversi, nel respirare, e il proprio cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Il rumore del suo cuore, del suo respiro, mischiato a quello del compagno. Una cosa banale, ma così bella.
Aveva bisogno di Naruto. Perché aveva bisogno di lui?
La risposta si formò rapidamente nella sua testa.
Gaara sorrise perché capì che quelle parole erano solo il lessema che tutti usavano, ma il significato lo davano i fatti, lo dava quel che ognuno provava. Capì che quella era la fine della catena.
Il jinchuuriki vedendo quel sorriso estendersi agli occhi si distaccò leggermente da lui.
“Perché hai bisogno di me, Gaara?” ripeté, con voce roca e ansiosa.
“Perché ti amo...”
Naruto sorrise, rilassandosi nell'abbraccio che seguì. Lo baciò quasi con disperazione perché quel momento lo aspettava da così tanto che pensava non sarebbe più arrivato.
“Anch'io ti amo, è per questo che ho già rinunciato alla carica di Hokage,” disse, stringendoselo nuovamente addosso.
Gaara sgranò gli occhi.
“Perché?” chiese incredulo, invertendo senza volerlo le loro battute.
Naruto rise, di una risata serena, libera. Gli prese la testa tra le mani e appoggiò ancora la fronte alla sua, prima di parlare.
“Perché, anche se tu mi avessi detto di non amarmi, non avrebbe avuto senso diventare Hokage. Non avrebbe avuto lo stesso fascino, non mi avrebbe fatto felice senza te. I sogni, la felicità, son belli solo se si possono condividere. E io preferisco condividere con te tutte le mie giornate da semplice jounin che diventare Hokage e non poterti stare accanto, ma avrei scelto lo stesso di rimanere un semplice jounin piuttosto che diventare Hokage senza poter dividere la mia felicità con te. Avrei potuto diventare Hokage! Questo mi basta.”

Quella notte a Gaara sembrò che il cuore gli scoppiasse in petto, gli sembrò di sentire troppo calore per non urlare, gli sembrò di aver fatto l'amore per la prima volta con Naruto e se ne accorse solo dopo aver risposto alle sue parole, questa volta senza incertezze, con la naturalezza di qualcosa che viene spontaneo.
Prima di scivolare nel sonno lo abbracciò forte, ricordandosi di qualcosa come se ci avesse pensato fino a quel momento senza realmente accorgersene.
“Mi piace l'odore delle violette,” sussurrò nell'oscurità, “mia madre profumava di violette, tutti i suoi vecchi abiti hanno quell'odore.”
Naruto ricambiò l'abbraccio, sorridendo con triste dolcezza all'immagine che la sua mente gli aveva proposto di un bambino rosso che si addormentava stringendo un vestito da donna, ispirandone l'odore.
“Ero davvero geloso di Matsuri, ora lo sono di più,” ridacchiò, a metà tra lo scherzo e la verità. “Lei ha qualcosa che appartiene al tuo passato.”
O forse lo disse per togliere quella scena dalla sua testa. Perché quell'immagine faceva male, lui non era lì, non c'era e non aveva potuto aiutarlo.
“Lei ha qualcosa che appartiene al mio passato, tu sei il mio futuro,” lo corresse Gaara, accarezzando il suo braccio fino a stringere la sua mano.
Questo pensiero appannò persino la dichiarazione di Gaara e cullò Naruto in un sonno denso, privo di sogni, ma decisamente ristoratore. E non importava più che fuori albeggiasse, perché Gaara lo amava e il suo futuro aveva di nuovo preso colore.





Owari







Vorrei dedicare questo stupido primo posto alle persone come Urdi, Aya88, suni e tante altre - che sanno sto parlando di loro - le quali fanno quello che il Professionale che ho frequentato non ha saputo fare: mi insegnano l'italiano. ^^' Con una pazienza e una calma da genitore che io non avrei. Grazie.

Il banner è nel mio spazio autore. Grazie Shurei, ti adoro tantissimerrimo!



Giudizio:

Originalità (7.0 punti)
Sintassi( 8.5 punti)
IC (8.5 punti)
Sviluppo warning (10 punti)
Giudizio personale (4.0 punti)
Per un totale 38.0 di punti


Hai uno stile molto buono, usi molte metafore per esprimere i sentimenti dei protagonisti e non lesini descrizioni dettagliate. Qualche problema con la punteggiatura, avrei inserito più virgole per smorzare alcune frasi altrimenti troppo lunghe.
Eh sì. In molte descrizioni il ritmo si perde in quella sintassi piena di aggettivi. Eviterei di appesantire troppo la frase con superflui qualitativi, è solo un consiglio, comunque.
Hai un buon lessico, né troppo aulico, né troppo informale. Ho avuto solo alcuni problemi di comprensione per quanto riguarda la metafora del paragone dell’amore di Gaara durante la sua vita: il senso è comprensibile, e credimi, l’ho riletto. Alla prima lettura può risultare un po’ confusionario; credo sia sempre questione di intervallare il concetto con un po’ di punteggiatura.
Andare a capo non fa mai male.
Per quanto riguarda l’IC, nonostante la tua premessa, la figura di Gaara, non tanto quella di Naruto, poiché sono perfettamente d’accordo al suo primordiale istinto a nascondere dentro di sé i problemi, mi ha fatto sorgere qualche dubbio.
Sa amare, o meglio, Gaara ha imparato ad amare. C’è voluto tempo, e questo l’hai sottolineato, però il suo amore, rigettato così d’improvviso. Non…non è da lui. Non è da lui, precisiamo, quell’atteggiamento. La sua reazione avrebbe dovuto essere ancora più pacata, meno audace. Stiamo parlando del gelido Gaara, di colui che in silenzio svolgeva il suo compito di morte senza batter ciglio. Arrivare a vedere la luce è più che legittimo, senza un’ombra del genere, come dici tu, ma con più calma, con più lentezza, ancora più pacatezza di quella che hai messo tu.
Come ti ho già detto, Naruto è fedele, anche se credo che il suo attaccamento alle persone care renda il ragazzo ancora più impulsivo e non gli faccia tenere la bocca chiusa, a rimuginare silenziosamente. Le tue argomentazioni di un tale comportamento però sono state consone alla scena che hai narrato, quindi non ho nulla da dire.
Originalità discreta, poiché di queste scene, con Matsuri nella parte di terzo incomodo, ce ne sono.
Ma capisco che con una coppia simile, non potessi fare altrimenti.
Mi complimento per l’ottimo utilizzo degli elementi, data la difficoltà dell’oggetto a te affidato.
Per quanto riguarda il mio giudizio, ti do quattro, nonostante la mia inesistente passione per lo yaoi.
E’ forse l’unica coppia che riesco a sopportare. Ad ogni modo, al di là della questione del pairing, mi sono piaciute le ricorrenti metafore e l’utilizzo di un senso, che, ahinoi, viene decisamente snobbato.
L’olfatto che rievoca i ricordi e che apre nuovi orizzonti.
il tempo che distrugge, la memoria che conserva”, tanto per scomodare Proust.
Complimenti.
Brava, sì.



I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.



  
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