Autore:
slice.
Titolo: “All'alba,
la mia stanza non ha pareti”
Pairing:
Naruto/Gaara.
Rating: giallo.
Numeri con relativo
elemento: 15
(oggetto) - “Kunai intriso di profumo alla violetta”.
41 (frasi da
inserire) - “Voglio mangiare, ora, subito!”, “Perfetto,
alzati e prendi gli avanzi in cucina”.
NdA: Gaara
potrà sembrare un po' ooc, ma io lo vedo così, come
l'ho dipinto in questa storia. È indubbiamente una persona
pacata, diplomatica, razionale, riflessiva, sicuramente silenziosa,
ma non è affatto stupido, e se per risolvere una situazione
fosse necessario parlare un po' di più sono sicura che si
sforzerebbe.
Naruto è una di quelle persone invece che si
esprime, con miriadi di parole e altrettanti gesti, ma il dolore lo
fa regredire, lo fa diventare silenzioso, rende le sue frasi
enigmatiche e stanche.
Probabilmente qualcuno potrebbe dire che
questi personaggi non hanno molto in comune, tranne forse i tratti
decisamente poco nipponici, io invece ci vedo molto che li accomuna.
Primo fra tutte le cose il loro passato.
Non è un
particolare: il passato è quello che ci ha costruiti, ha
dettato le basi del nostro carattere e del nostro intero essere. Si
può cambiare un po' ma sarà davvero difficile diventare
l'opposto. Il passato, specialmente se si parla dei nostri primi anni
di vita, dell'adolescenza che ci forma in modo prepotente e ci segna
di conseguenza, è una cosa decisamente importante. Farà
parte anche del futuro che ci costruiremo, per forza.
All'alba,
la mia stanza non ha pareti
di slice
La
prima domanda arrivò con un'ingannevole noncuranza, perciò
priva di un qualsiasi indizio che potesse farne intendere la gravità.
Naruto aveva un'espressione piuttosto rilassata, tutta la situazione
lo era, a ben vedere e, insomma, non c'era stato nessun tipo di
avvertimento. Anche se Gaara aveva avuto subito un subconscio
sospetto che fosse stato fatto apposta.
“Tu sei a favore
della mia nomina a Hokage, vero?”
Il Kazekage alzò
gli occhi dal suo piatto, finì di masticare a labbra chiuse
immergendosi nelle iridi chiare del suo interlocutore e quando ebbe
la bocca libera aggrottò la fronte.
“Sono a favore,
Naruto, come potrei non esserlo?”
I loro occhi rimasero
fissi su quelli dell'altro per ancora qualche secondo in cui il
frastuono della festa in onore degli alleati di Suna andava
smorzandosi in un lieve brusio. Poi, l'improvviso calo di confusione
destò l'interesse del jinchuuriki che distolse lo sguardo,
continuando a rimestare nel proprio piatto.
La seconda domanda
invece insinuò un più reale sospetto, partendo dal tono
di voce fino ad arrivare alle parole usate.
“E- e non c'è
assolutamente nessun motivo per il quale potresti non essere a
favore?”
Gaara neanche si accorse di aver smesso di
masticare, ingoiò tutto così com'era, portandosi una
mano alla gola e l'altra al bicchiere davanti a sé, per poi
riportare l'attenzione sugli occhi azzurri che lo fissavano.
“No,
non c'è motivo,” disse, registrando con remota
irritazione la testa del compagno abbassarsi sul proprio piatto
ancora una volta. “Che cosa c'è, Naruto?”
“Niente,
chiedevo.” Fu la laconica risposta che gli arrivò,
nonostante il brusio provocato dai commensali.
Un
giorno di primavera Gaara aveva accolto Naruto e Sakura, che erano di
ritorno con Temari e la sua squadra di genin da una missione di
scorta in un villaggio all'estremo nord del Paese del Vento.
Naruto
si comportava in modo strano e Sakura sorrideva sempre. Il Kage, sul
momento, non aveva prestato troppa attenzione attribuendo tutto alla
stanchezza tanto che dopo poco se ne era dimenticato. Aveva
cominciato a porsi domande quando a cena erano rimasti lui e Naruto.
Il jinchuuriki era nervoso e parlava poco, fino a quando dopo cena
Gaara si era trovato le sue labbra sulle proprie; non aveva fatto una
piega, bevendosi quelle sensazione strane e cercando di ricambiare,
impacciato.
Quello che Gaara si sarebbe sempre ricordato sarebbe
stata la risata liberatoria dell'amico, i suoi occhi così
vicini e lucidi da specchiarcisi dentro; il sospiro che aveva
accompagnato quella risata sapeva di paura e felicità, come
quando si rilascia il diaframma e la tensione sciama.
Gaara non
sapeva cosa fosse l'amore fino a poco tempo prima e quel che aveva
ricevuto fino ad allora era stato il tiepido e piacevole amore del
villaggio, quello caldo e imbarazzato di Kankuro e di Temari,
l'ammirazione di Matsuri e il sorriso di Baki. Il sacrificio di Chiyo
era stato qualcosa di più caldo e denso a cui non era riuscito
a dare un nome, e per questo ancora passava qualche momento davanti
alla lapide dell'anziana cercando di isolare e identificare quella
strana sensazione.
Ma quello che Naruto gli faceva provare era
lava, era bollente e liquida lava che scendeva in basso lasciando
intorpidito il resto e che faceva arrossire la pelle nivea del suo
viso.
La cosa più sorprendente era stata scoprire tutto sul
momento. Non era stato come ricevere l'amore dai suoi fratelli,
graduale e soffice contro quel muro freddo di emozione che era tutto
ciò che conoscesse, era stato come venire sommerso da qualcosa
di inaspettatamente ingombrante, tanto da fargli domandare dove si
fosse potuta nascondere una cosa così imponente fino ad
allora.
Nonostante questo, ovviamente, Sabaku non aveva avuto
dubbi o paranoie riguardo il loro rapporto fino al reintegro di un
certo, famoso, Uchiha.
La prima volta che erano arrivati insieme,
Gaara si era scoperto a forzare la sua gentilezza nei confronti del
ritrovato compagno di squadra di Naruto. I loro battibecchi lo
innervosivano e la vicinanza che c'era tra loro era già
abbastanza troppa dal momento che vivevano entrambi al villaggio
della Foglia. Figurarsi essere nello stesso team.
Ma erano rumori
di sottofondo che non sapeva avessero la stessa fonetica della parola
gelosia, almeno fino a quando Temari non lo aveva illuminato
con gli occhi lucidi e quel sorriso materno che vedeva il suo
fratellino tanto innamorato da essere geloso. Cose incomprensibili e
difficili da digerire per uno a digiuno di situazioni del genere come
il Kazekage.
Naruto
non era più nel buio del passato da jinhuuriki che aveva
avuto, così come non lo era più Gaara, ma mentre il
Kazekage ne era uscito del tutto, immerso nella luce - ora che era
stato privato del Demone - Naruto era ancora nell'ombra.
Poteva
sembrare una cosa brutta quando in realtà all'ombra si sta
bene. Si ha un punto di vista più obiettivo perché non
c'è il sole che ferisce gli occhi e il caldo che scotta la
pelle, ma c'è la luce che inonda tutto intorno a noi e ci
rende sereni, rimaniamo però coscienti che poco più in
là c'è il buio. Gaara doveva pararsi dal sole per
vedere e doveva proteggersi dalle scottature, aveva quindi una
visione meno chiara anche se stava bene, dov'era.
Naruto aveva
amici, legami forti che trascendevano qualsiasi etichetta, aveva di
nuovo una famiglia in tutto tranne che nel sangue, ma aveva ancora un
demone nel suo corpo. Sebbene il suo odio fosse stato spinto molto in
basso era ancora lì, pronto ad invadergli il cuore quando era
da solo o veniva minacciato quello che si era faticosamente
conquistato, ovviamente, ma la presenza del demone aveva permesso a
Naruto di non avere cambiamenti tanto radicali da sbilanciare la sua
vita. Gaara invece aveva un villaggio intero come famiglia, aveva
accanto il suo sangue, quasi tenero così protettivo e
isterico, e il suo demone era un ricordo lontano. Questo gli aveva
creato un buco dentro che lui stentava a riconoscere come parte di
sé, era confuso da quell'improvviso silenzio e doveva
ricominciare a inserire le cose più semplici, come dormire.
Piano
piano la loro relazione era diventata una di quelle cose che tutti
sanno e che nessuno si azzarda a menzionare, non un tabù, ma
un tacito consenso. La camera del Kazekage era dunque anche quella
dell'Uzumaki quando venivano ospitati a Suna.
Gaara avrebbe voluto
vederlo più spesso, vedere quei capelli chiari e la pelle più
scura della sua, quegli occhi blu come l'acqua che nel deserto
scarseggia. Avrebbe voluto sentire la sua voce squillante anche in
quei giorni bui che trascorreva da solo, nel nuovo silenzio che la
mancanza dell'Achibi gli aveva regalato. Sapeva non fosse possibile
per la sua carica e rispettava la decisione del compagno di essere
rimasto a Konoha, suo villaggio natale. Quello che non sapeva era il
motivo della sua tristezza.
Kakashi iniziava ad essere stanco di
fare il bello e annoiato dietro una scrivania, con Shizune che
rincorreva una sua copia sullo sfondo, urlandogli di mettersi al
lavoro, e aveva espresso la volontà di far succedere il suo
allievo.
Un sogno che si realizza, per Naruto, aveva
pensato per prima cosa all'arrivo della notizia. Evidentemente non
aveva preso in considerazione qualcosa di molto importante.
Sapeva
che fosse già sveglio. Il suo respiro lo aveva tradito e per
prima cosa, scoprendosi ancora abbracciato a lui, lo aveva sentito
irrigidirsi.
La sera precedente era rimasto composto seduto sul
letto e con un kunai in mano, dopo averlo fissato per un tempo lungo
quanto la pazienza del Kage, si era sdraiato voltato dalla sua parte
fino a quando non si era addormentato, allora Gaara si era avvicinato
a lui, abbracciandolo.
“Naruto,” lo chiamò,
“cosa c'è?” chiese per la seconda volta in poche
ore.
Le spalle del ragazzo si alzarono e si abbassarono in un
respiro profondo, poi si scostò le coperte mettendosi
seduto.
“Niente,” disse senza una particolare
intonazione. “Vado a fare colazione, credo che gli altri
vogliano partire presto.”
La mente di Gaara si schiarì,
abbandonando la languidità del sonno.
Naruto conosceva
l'odio e sapeva cos'era il dolore. Gaara ne era certo, perché
era così anche per lui. Avevano entrambi conosciuto quel
veleno ancor prima dell'amore e della felicità, era per quel
motivo che ora apprezzavano meglio quelle nuove emozioni, ma quando
si conosce a fondo una cosa come il dolore essa diventa anche un'arma
perché si sa già dove colpire, dove fa più male.
Si conosce il modo di procurare la stessa sofferenza. E
l'indifferenza è una lama sottile, trasparente, che non si
nota finché non trapassa, è un ninja silenzioso e ben
addestrato che colpisce senza dar modo di difendersi.
Naruto si
diresse sotto la doccia e Gaara gli andò dietro.
“Adesso
basta, voglio sapere,” disse sulla porta mentre il ragazzo di
Konoha si toglieva l'intimo e s'infilava sotto il getto
d'acqua.
Naruto sorrise mesto e a Gaara venne voglia di picchiare
l'Uchiha, che non c'entrava niente ma era sempre troppo vicino alle
persone a lui care.
“Sei sicuro di non dover fare
qualcos'altro? Con qualcun altro, magari...” disse Naruto,
prima di mordersi l'interno guancia, cercando di evitare di pensare a
quanto suonasse ridicolo, geloso e stupido.
Le parole si perdevano
sempre nell'aria, ingannevoli, e con l'educazione che avevano
ricevuto entrambi sapevano osservare i movimenti altrui e distinguere
da quelli la vera direzione delle parole del loro interlocutore. Per
questo dopo quell'attimo di sconcertato silenzio Gaara entrò
nella doccia e lo baciò, senza chiudere gli occhi e privarsi
del blu dei suoi. Un bacio semplice, un premersi le labbra contro,
solo un contatto che diceva “ci sono”.
Il vapore
cominciava a salire e l'acqua scivolava sul corpo dalla pelle
leggermente più scura. Le mani di Gaara salirono a sfiorare
gli zigomi di Naruto, ma quel contatto portò un velo appannato
su quel blu oceano. Naruto gli prese le mani e le tolse dal suo viso,
allontanando così anche le sue labbra, in un chiaro
diniego.
“Io non ti costringo a stare con me, ma vorrei che
quando venisse il momento tu mi avvertissi prima... se ti piacesse
qualcun altro...”
La frase sembrò finita solo perché
Naruto non parlava più, c'erano però altre mille parole
che si leggevano nei suoi occhi prima che si voltasse per
insaponarsi.
Gaara sbatté le palpebre più di una
volta, perplesso, amareggiato.
“Non credo di aver capito,”
disse, calmo come un lago di montagna.
“Che cosa sei venuto
a fare qui? Puoi andare dove vuoi, solo non prendermi in
giro!”
Quella era una frase più decisa, più
arrabbiata, c'era ira oltre al sapone in quelle iridi blu e anche il
tono era più alto. C'era, quella frase, non si poteva
far finta che non ci fosse, ma Gaara non sapeva bene di cosa si
trattasse.
“Esci, mi limiti i movimenti.”
Mi limiti
i movimenti, mi sei d'impaccio, non ti voglio qui, non ti voglio
insieme a me. Esci! Dalla doccia o dalla sua vita?
Gaara sentì
lo stomaco contrarsi e fece un passo indietro, uscendo dalla doccia.
Naruto chiuse il vetro e il colore dell'azzurro si mischiò a
quello del verde acqua grazie alla trasparenza e al riflesso.
Quel
vetro sembrava spesso chilometri, tagliava, spazzava via e faceva
male. Naruto distolse lo sguardo e il verde acqua tornò ad
essere solo.
Era
presto.
I festeggiamenti erano durati fino a tarda notte, e nella
loro squadra c'era Nara.
Naruto sospirò ricordandosi questo
particolare che gli fece comprendere che non se ne sarebbero andati,
probabilmente, prima di cena.
Si sedette sul divano che c'era nel
salotto al piano terra. Quell'enorme castello comprendeva una zona
piuttosto spartana, rispetto al lusso degli altri ambienti, che era
adibita ad uso e consumo personale del Kazekage e dei suoi fratelli
o, in quel caso, del suo compagno.
Gaara gli si sedette accanto
con un malloppo di fogli in mano.
“Perché ti comporti
così?”
Naruto non aveva voglia di averlo intorno in
quel momento. Si sentiva fragile, stupido, di vetro come una
ragazzina innamorata. Si sentiva un idiota, un idiota non corrisposto
e, peggio di qualunque altra cosa, si sentiva di nuovo infinitamente
solo.
“Non capisco che cosa ti sia preso questa mattina, o
ieri sera con quelle domande, ma io sono felice per te che il tuo
sogno si realizzi e mi farebbe piacere che tu mi spiegassi perché
non dovrebbe essere così...”
“Perché ti
interessa sapere?”
A quel punto il Kage non sapeva davvero
cosa dire. Lasciò che il silenzio si allungasse tra di loro,
senza mai perdere il contatto diretto con gli occhi
dell'altro.
“Adesso dovrei essere io a chiederti perché
ti comporti così.”
“Lascia perdere...”
Ancora
quel silenzio così pesante da arrivare a pungere dentro, nel
profondo, dove molte cose a loro due facevano già male. Tanto
che Gaara si vide costretto a rivolgere la sua attenzione al plico
per non farsi schiacciare da quel vuoto.
Con quel silenzio, nello
stomaco di Naruto, qualcosa si addensò, formando un grumo
fastidioso di tensione. Voleva dire qualcosa che sbloccasse la
situazione, che attirasse l'attenzione del compagno, ma il suo
vocabolario non era così fornito e lui non era sicuro di voler
essere molto più esplicito di come lo era stato fino ad
allora.
“Voglio mangiare, ora, subito.” ringhiò
alla fine, sconfitto. Tanto per dire qualunque cosa che rompesse quel
doloroso niente che li circondava e li allontanava.
“Perfetto,
alzati e prendi gli avanzi in cucina.” Gaara non tolse gli
occhi dal suo plico per rispondere e non vide quindi gli occhi di
Naruto farsi due fessure.
“Tu non capisci...” si
limitò a borbottare l'Uzumaki, torvo.
Gaara si accorse in
quel momento di non aver immagazzinato nessuna delle informazioni che
quella pagina conteneva e smise di pretendere che gliene importasse.
Sbuffò, alzando il capo in tempo per vedere lo sgargiante
vestiario del compagno sparire dietro lo shoji della cucina.
Si
alzò prendendo la stessa direzione, deciso a chiarire, dal
momento che quella situazione lo soffocava.
“Che cosa non
capisco? Perché allora non ti spieghi?”
“Perché
sai benissimo di cosa sto parlando!” quasi gridò Naruto,
richiudendo lo sportello che aveva aperto senza prendere niente,
mentre si voltava verso il suo interlocutore.
Nella testa di Gaara
passarono flash di ricordi più o meno lontani, cercava
spiegazioni in quello che era successo, qualcosa che evidentemente
aveva dato molto fastidio a Naruto. La festa, la cena, le sue
domande, il suo silenzio, il kunai, l'abbraccio, il risveglio, il
freddo che aveva provato quella mattina.
“Io so che da
quando ci siamo svegliati non mi hai ancora sfiorato.”
Gli
occhi blu si sgranarono.
“Ci siamo baciati...”
“No,
io ti ho baciato.”
Non c'era niente di buffo in
quella situazione, nemmeno l'espressione di Naruto con quegli occhi,
già grandi di per sé, sgranati, Gaara sentiva che
avrebbe potuto piangere per il freddo vuoto che avvertiva dentro, ma
fuori non si scorgeva tutta questa tempesta. Lui non era mai stato
molto espressivo, non come lo era Naruto che vantava una vasta gamma
di espressioni più o meno buffe, più o meno serie, ma
tutte magnifiche.
Un suono cupo ruppe il silenzio e gli occhi
verdi si posarono su un kunai piantato sul bordo del tavolo.
“Di
chi è questo?” La voce di Naruto era roca e bassa,
sconsolata, sconfitta. Era un suono orribile che continuò a
pungergli i pensieri fin quando non abbassò lo sguardo
sull'oggetto.
Una piccola parte della punta era nascosta dal legno
del tavolo, la lama sembrava affilata e non c'erano scheggiature
rilevanti, il manico era ricoperto da una benda per facilitarne
l'impugnatura e terminava in un anello. Un kunai. Uno fra mille.
“La
prima volta non ci ho fatto caso, ma ieri l'ho trovato anche
stupidamente ovvio.” Naruto aggirò il tavolo e tolse il
kunai dal legno portandolo vicino al naso del Kazekage. “Di
cosa odora secondo te?”
Gaara anche senza annusare poteva
sentire l'aria pregna di un piacevole odore di violette e, dopo
esserselo chiesto per giorni, finalmente scoprì da dove veniva
quel profumo.
“Violetta...” mormorò. Sembrava
che quel kunai fosse intriso di profumo alla
violetta.
“Esatto, e sai chi ha quell'odore?” Naruto
non voleva davvero una risposta, Gaara avvertiva la sua collera come
se anch'essa avesse avuto un particolare odore, e non rispose.
“Matsuri.” disse il ragazzo davanti a lui prima di
lasciargli il kunai sul tavolo e uscire dalla cucina.
Lo shoji
dietro le sue spalle frusciò fino a sbattere a fine corsa e
quel rumore fu peggiore persino del sibilo di un kunai nemico.
Gaara
aveva preso tutto quello che Naruto gli aveva dato, lo aveva preso e
custodito gelosamente in una parte del suo cuore che prima non sapeva
di avere. Una parte che nella sua testa vedeva come una stanza.
La
stanza non aveva il soffitto, il blu del cielo sempre sereno cullava
la mente, le pareti avevano un colore tendente al giallo, come la
sabbia, e il pavimento era fatto con del legno scuro, caldo alla
vista come al tatto. Era una stanza da letto e, come in tutte le
camere, l'unico elemento presente era appunto il letto. Era un
mobilio semplice, senza tanti fronzoli, ma elegante nella sua bianca
figura; perché il colore predominante era il bianco. Lo
scheletro era bianco come la testiera e il materasso, persino i
cuscini erano di un candido e intonso bianco. Le lenzuola e le
coperte invece erano di un'indecente rosso, fuoco, come i suoi
capelli.
Quello che Naruto aveva fatto era sempre partito da
qualcosa di fisico, inspiegabilmente però era il suo cuore ad
essere caldo, il suo stomaco, la sua testa, il suo basso ventre, non
la pelle fuori. Ricevere era stato come essere guidati per
mano dentro quella stanza, a piedi nudi sul legno caldo, ed essere
trascinati nella confusione di quelle lenzuola rosse. Dare era
stato come scoprire di essere sotto un cielo blu mentre l'avere
opprimenti pareti di sabbia perdeva importanza, aveva preso coscienza
di avere uno sfondo di bianca purezza come l'amore e di essere
sovrastato dal rosso della passione.
Era piacevole immergersi
nell'idea vischiosa che Naruto aveva dell'amicizia, ma sentire il suo
amore sulla pelle e poi sotto, fin nel profondo, nel suo cuore, fino
ad arrivare a quella stanza, era qualcosa decisamente diverso, che lo
rendeva carcerato e carceriere al tempo stesso.
Non si vergognava
di quel che provava e non si vergognava di provarlo per un esponente
del suo stesso sesso, si vergognava invece di non esser mai riuscito
a condensare tutto in due semplici parole.
Perché poi erano
arrivate le parole. Naruto lo aveva fatto, era riuscito a spiegargli
come si sentiva usando parole così semplici da togliere il
fiato. Lo aveva fatto una mattina, quando lui aveva chiuso gli occhi
per riprendersi da tutto quel fuoco che lo aveva sommerso. Nel
silenzio la voce roca del ragazzo lo aveva riscosso, prima che la
sonnolenza lo portasse via, lontano, e quelle parole gli erano
entrate dentro come quegli occhi blu. Aveva ascoltato senza mai
interrompere e senza mai distogliere lo sguardo da quello dell'altro.
Poi, quando il silenzio era tornato sovrano, lo aveva baciato, con la
calma con cui ci si desta dal sonno, con la calma di un innamorato. E
fuori albeggiava.
Naruto sapeva che Gaara necessitava di tempo,
come aveva atteso che rispondesse ai suoi gesti così attese
con pazienza che lo facesse alle sue parole. Per giorni, settimane,
mesi. Senza forzare, senza chiedere.
Ma Gaara non aveva mai
risposto. Non era mai riuscito a dire a voce quello che provava, non
voleva dirlo con quelle parole perché quelle rappresentavano
l'amore banale di tutti gli innamorati, lui non si sentiva così.
E fuori continuava ad albeggiare senza che lui rispondesse.
Naruto
era uscito “a fare un giro per il paese”, come aveva
bofonchiato dopo aver fatto colazione con Sakura.
Nara sembrava
irreperibile o, come aveva insinuato Uchiha, irreperibilmente
addormentato da qualche parte, Temari guidava alcuni lavori vicino
alle mura ad ovest del villaggio e loro si erano trovati a pranzare
insieme ad un ingombrante silenzio.
Il pendolo nella sala scandiva
il tempo, rumoroso. I commensali cercavano di fare meno rumore
possibile, convinti che un sussurro potesse avere l'effetto di un
grido sull'umore nero del Kazekage.
“Allora Uchiha...”
disse Kankuro, l'unico che ignorasse completamente la glaciale
atmosfera. “Com'è stato tornare?”
Sasuke
deglutì il boccone di quel non-voglio-sapere-cosa-sia e fece
spallucce.
“Niente di che.” disse semplicemente,
facendo finta di non avere gli occhi freddi di Gaara addosso mentre
riprendeva a mangiare.
E il silenzio cadde nuovamente.
Sakura
si morse il labbro inferiore, sospirò, posò le posate e
rivolse lo sguardo al Kage.
“Gaara sama, non so se questi
siano il luogo e il momento adatti, ma... Da bambina ero convinta che
non servissero parole per certe cose, crescendo mi sono accorta che
probabilmente per qualcuno è così, ma ognuno vive
queste cose a modo suo e l'insicurezza è un incubo.”
Per
un momento sembrò che anche il pendolo facesse meno rumore,
Sakura si accorse di avere tre paia di occhi addosso e abbassò
lo sguardo sul cibo con un velo di rossore sulle guance.
“No,”
il tono di Gaara suonò deciso senza essere alterato.
“Probabilmente questi non sono né il luogo né il
momento adatto. Ma ti ringrazio per le tue parole, Sakura
san.”
“Già,” abbaiò Kankuro,
“certe persone non sanno quello che hanno!”
Sasuke
sbuffò.
Non
era quello il punto.
Gaara sapeva di sentirlo dentro di sé,
aveva capito come si chiamava quello che provava molto tempo prima,
ma non se la sentiva di rinchiuderlo in una definizione.
Naruto
credeva che lui avesse un'infatuazione per Matsuri, la verità
era che probabilmente Sakura aveva ragione: l'insicurezza gioca
brutti scherzi.
I corridoi ampi del suo palazzo lo condussero al
suo ufficio, anche senza prestarci attenzione, dalle sue scartoffie
che avevano l'odore del tè alle erbe che prendevano quei
vecchi del consiglio.
Si sedette alla scrivania, prese in mano un
foglio e lo scrutò senza vederlo per dei lunghissimi minuti,
poi ci rinunciò posandolo mentre con l'altra mano si
massaggiava gli occhi.
Il fatto che non vedesse Naruto da quella
mattina c'entrava relativamente con il suo nervosismo, la cosa che
invece lo disturbava di più era aver realizzato la gelosia del
compagno.
Ci sono molti motivi per cui una persona può
essere gelosa, Temari prima di tutto aveva tenuto a precisare che
molte persone lo sono di natura, senza motivo apparente, e poi era
partita snocciolando tutte le varie pare che potevano portare ad
esserlo comunque. Naruto non era geloso di carattere, quindi che lo
fosse diventato stava a significare che gliene aveva dato
motivo.
Matsuri.
Matsuri era la sua allieva, le voleva bene,
erano affini in un qualche modo, ma quello che provava per Naruto era
una cosa completamente diversa.
Come poteva farglielo capire?
Matsuri
scelse proprio quel momento per bussare alla sua porta.
“Mi
dispiace disturbarla, Gaara sama, avrei bisogno di una firma,”
disse la ragazzina, prima che Gaara le facesse segno di
avvicinarsi.
La cosa che il Kage aveva sempre apprezzato di lei
era l'odore. Violetta.
Era una cosa che andava al di là del
suo volere, quel profumo gli piaceva senza un perché,
avvertiva un insolito senso di pace quando aveva quell'odore nelle
narici e non gli dispiaceva quindi avere la ragazzina intorno. Ma
Matsuri non lo attirava in quel senso. Non nel senso in cui lo
attirava Naruto.
Matsuri era indubbiamente una bella ragazza,
ormai. Portava i capelli più lunghi, legati in una coda bassa,
i lineamenti del viso si erano ingentiliti con la maturità e
il corpo non conservava più niente di acerbo, bensì era
quello di una donna. Mentre la guardava si accorse dell'imbarazzo che
aveva generato, del rossore sulle sue guance e anche del tremito che
l'aveva colta.
“Kazekage sama, scusate l'ardire della mia
domanda, ma...” tentennò l'ex allieva, “ora che
Uzumaki-san diventerà Hokage, sceglierete una donna che stia
al vostro fianco?” chiese, con gli occhi bassi.
Gaara sbatté
le palpebre per qualche secondo.
Fu allora che tutto sembrò
avere senso.
Se Naruto fosse diventato Hokage niente sarebbe più
rimasto com'era.
Se Naruto fosse diventato Hokage e lui non avesse
obiettato voleva dire che era d'accordo con la fine della loro
relazione.
Se Naruto fosse diventato Hokage il Consiglio avrebbe
ripreso a proporgli figlie di ricchi e potenti cialtroni.
Se
Naruto fosse diventato Hokage e lui non avesse obiettato voleva dire
che era d'accordo con la fine della loro relazione e a portarsi
dietro un kunai intriso di profumo alla violetta.
“Scusami
Matsuri, ho un'urgente questione da risolvere,” disse mentre
aggirava la scrivania e si avviava fuori dal suo ufficio, lasciando
la kohai basita.
Gaara
trovò Naruto intento a fare lo zaino, nella loro camera.
“Non
mi sta bene,” esordì, incerto.
Naruto si voltò
a guardarlo, aggrottò la fronte smarrito per poi riportare
l'attenzione al suo bagaglio.
“Non avevo mai pensato alla
tua nomina come alla fine di...” il Kage fece un passo
all'interno della stanza, chiudendo la porta dietro di sé. “Di
quello che c'è tra noi,” concluse, guardando il
compagno.
Naruto aveva sempre pensato che Gaara non si vergognasse
di stare con un maschio, aveva sempre pensato di avere l'esclusiva su
di lui e che fossero una coppia. Nonostante sapesse già queste
cose, in realtà non ne aveva mai avuto conferma, lui
semplicemente ci aveva sperato così tanto che alla fine se ne
era convinto, da solo. Quindi sentirgli pronunciare quelle semplici
parole, lo rese euforico. Perché rendeva reale che tra loro
c'era effettivamente qualcosa. C'era, non lo aveva
visto solo lui, c'era davvero. E sorrise.
Quello che Gaara
aveva appena fatto era un passo avanti perché non aveva mai
ammesso a voce alta di avere con lui una qualche relazione, ma
l'argomento principale era un altro.
“E cosa te lo ha fatto
notare?” chiese, tornando serio mentre si voltava a riporre un
kit medico.
Gaara fece un altro passo verso di
lui.
“Naruto...”
Voleva la sua attenzione. Voleva
che lo guardasse perché aveva qualcosa di pesante dentro, che
premeva per uscire, ma che faceva paura.
Sapeva gestire incidenti
diplomatici e riunioni con Daimyo grassi e lamentosi, e sapeva
uccidere con pochi e precisi gesti, ma sapeva anche amare.
Lo
sapeva fare, ne era sicuro.
Ne era sicuro più o meno da
quella notte che non si sarebbe mai dimenticato, quando Naruto si era
aperto in quella sua strana e confusa e dolce dichiarazione, perché
c'erano delle farfalle nel suo stomaco, come aveva detto Temari, e
c'era sempre quel ninja biondo nei suoi pensieri, come aveva detto
Kankuro. E perché Naruto aveva precisamente la forma di quel
vuoto che l'odio nella sua infanzia aveva lasciato, lo occupava ad
incastro come fosse stato esattamente il suo pezzo mancante.
“Non
voglio sposarmi, non voglio una donna accanto e non voglio
Matsuri.”
Sembrava una cosa scontata detta così, ma
in realtà non si era mai espresso in modo definitivo su quello
che voleva, perciò questa sua risoluzione gli fece guadagnare
tutta l'attenzione del compagno.
“Voglio stare con te,”
rispose senza esitazioni alla chiara domanda che c'era negli occhi di
Naruto. Perché lo provava e aveva bisogno che lui lo sapesse.
“Voglio che tu rimanga con me, abdicherò in favore di
Temari se non vorrai rinunciare alla tua carica.”
“Perché?”
Naruto
non era rimasto impassibile a quell'affermazione, non era rimasto
impassibile davanti alle parole che avrebbe voluto sentirgli dire da
molto tempo, ma ormai aveva bisogno di sentirselo dire chiaro e
tondo, aveva bisogno di sapere se abbandonare l'idea di diventare
Kage era stata una pazzia.
“Perché mi piace sentirti
accanto, mi piace la tua voce, i tuoi occhi, mi piace quello che sei,
l'uomo che sei diventato. Perché sentire sotto le mie dita il
tuo cuore che batte, e sapere che lo fa più forte perché
sei con me, mi fa lo stesso effetto che il caffè fa a
Kankuro.”
“Perché?” Naruto sorrise mentre
si avvicinava, sfiorando la mano dell'altro.
Gaara si rese conto
di avere la risposta. Si rese conto che era una catena, e che lui
sapeva cosa c'era alla fine di essa.
“Perché ho
bisogno di te.” Lo disse quasi senza pensarci, come se fosse
un'ovvia risposta, come se lo avesse sempre saputo, ma non fosse mai
riuscito a condensarlo in parole.
Naruto appoggiò la fronte
su quella del compagno, cingendogli la vita.
“Perché
hai bisogno di me?”
Aveva gli occhi lucidi, Naruto, la voce
era bassa, quasi un sussurro, e le mani gli tremavano leggermente.
C'era silenzio, in quella stanza, e tutto quello che Gaara udiva era
il rumore che Naruto faceva, nel muoversi, nel respirare, e il
proprio cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Il rumore del suo
cuore, del suo respiro, mischiato a quello del compagno. Una cosa
banale, ma così bella.
Aveva bisogno di Naruto. Perché
aveva bisogno di lui?
La risposta si formò rapidamente
nella sua testa.
Gaara sorrise perché capì che
quelle parole erano solo il lessema che tutti usavano, ma il
significato lo davano i fatti, lo dava quel che ognuno provava. Capì
che quella era la fine della catena.
Il jinchuuriki vedendo quel
sorriso estendersi agli occhi si distaccò leggermente da
lui.
“Perché hai bisogno di me, Gaara?” ripeté,
con voce roca e ansiosa.
“Perché ti amo...”
Naruto
sorrise, rilassandosi nell'abbraccio che seguì. Lo baciò
quasi con disperazione perché quel momento lo aspettava da
così tanto che pensava non sarebbe più
arrivato.
“Anch'io ti amo, è per questo che ho già
rinunciato alla carica di Hokage,” disse, stringendoselo
nuovamente addosso.
Gaara sgranò gli occhi.
“Perché?”
chiese incredulo, invertendo senza volerlo le loro battute.
Naruto
rise, di una risata serena, libera. Gli prese la testa tra le mani e
appoggiò ancora la fronte alla sua, prima di parlare.
“Perché,
anche se tu mi avessi detto di non amarmi, non avrebbe avuto senso
diventare Hokage. Non avrebbe avuto lo stesso fascino, non mi avrebbe
fatto felice senza te. I sogni, la felicità, son belli solo se
si possono condividere. E io preferisco condividere con te tutte le
mie giornate da semplice jounin che diventare Hokage e non poterti
stare accanto, ma avrei scelto lo stesso di rimanere un semplice
jounin piuttosto che diventare Hokage senza poter dividere la mia
felicità con te. Avrei potuto diventare Hokage! Questo
mi basta.”
Quella
notte a Gaara sembrò che il cuore gli scoppiasse in petto, gli
sembrò di sentire troppo calore per non urlare, gli sembrò
di aver fatto l'amore per la prima volta con Naruto e se ne accorse
solo dopo aver risposto alle sue parole, questa volta senza
incertezze, con la naturalezza di qualcosa che viene spontaneo.
Prima
di scivolare nel sonno lo abbracciò forte, ricordandosi di
qualcosa come se ci avesse pensato fino a quel momento senza
realmente accorgersene.
“Mi piace l'odore delle violette,”
sussurrò nell'oscurità, “mia madre profumava di
violette, tutti i suoi vecchi abiti hanno quell'odore.”
Naruto
ricambiò l'abbraccio, sorridendo con triste dolcezza
all'immagine che la sua mente gli aveva proposto di un bambino rosso
che si addormentava stringendo un vestito da donna, ispirandone
l'odore.
“Ero davvero geloso di Matsuri, ora lo sono di
più,” ridacchiò, a metà tra lo scherzo e
la verità. “Lei ha qualcosa che appartiene al tuo
passato.”
O forse lo disse per togliere quella scena dalla
sua testa. Perché quell'immagine faceva male, lui non era lì,
non c'era e non aveva potuto aiutarlo.
“Lei ha qualcosa che
appartiene al mio passato, tu sei il mio futuro,” lo corresse
Gaara, accarezzando il suo braccio fino a stringere la sua
mano.
Questo pensiero appannò persino la dichiarazione di
Gaara e cullò Naruto in un sonno denso, privo di sogni, ma
decisamente ristoratore. E non importava più che fuori
albeggiasse, perché Gaara lo amava e il suo futuro aveva di
nuovo preso colore.
Owari
Vorrei dedicare questo stupido primo posto alle persone come Urdi, Aya88, suni e tante altre - che sanno sto parlando di loro - le quali fanno quello che il Professionale che ho frequentato non ha saputo fare: mi insegnano l'italiano. ^^' Con una pazienza e una calma da genitore che io non avrei. Grazie.
Il banner è nel mio spazio autore. Grazie Shurei, ti adoro tantissimerrimo!
Giudizio:
Originalità
(7.0 punti)
Sintassi( 8.5 punti)
IC (8.5 punti)
Sviluppo
warning (10 punti)
Giudizio personale (4.0 punti)
Per un
totale 38.0 di punti
Hai uno stile molto buono,
usi molte metafore per esprimere i sentimenti dei protagonisti e non
lesini descrizioni dettagliate. Qualche problema con la
punteggiatura, avrei inserito più virgole per smorzare alcune
frasi altrimenti troppo lunghe.
Eh sì. In molte
descrizioni il ritmo si perde in quella sintassi piena di aggettivi.
Eviterei di appesantire troppo la frase con superflui qualitativi, è
solo un consiglio, comunque.
Hai un buon lessico, né
troppo aulico, né troppo informale. Ho avuto solo alcuni
problemi di comprensione per quanto riguarda la metafora del paragone
dell’amore di Gaara durante la sua vita: il senso è
comprensibile, e credimi, l’ho riletto. Alla prima lettura può
risultare un po’ confusionario; credo sia sempre questione di
intervallare il concetto con un po’ di punteggiatura.
Andare
a capo non fa mai male.
Per quanto riguarda l’IC,
nonostante la tua premessa, la figura di Gaara, non tanto quella di
Naruto, poiché sono perfettamente d’accordo al suo
primordiale istinto a nascondere dentro di sé i problemi, mi
ha fatto sorgere qualche dubbio.
Sa amare, o meglio, Gaara ha
imparato ad amare. C’è voluto tempo, e questo l’hai
sottolineato, però il suo amore, rigettato così
d’improvviso. Non…non è da lui. Non è da
lui, precisiamo, quell’atteggiamento. La sua reazione avrebbe
dovuto essere ancora più pacata, meno audace. Stiamo parlando
del gelido Gaara, di colui che in silenzio svolgeva il suo compito di
morte senza batter ciglio. Arrivare a vedere la luce è più
che legittimo, senza un’ombra del genere, come dici tu, ma con
più calma, con più lentezza, ancora più
pacatezza di quella che hai messo tu.
Come ti ho già
detto, Naruto è fedele, anche se credo che il suo attaccamento
alle persone care renda il ragazzo ancora più impulsivo e non
gli faccia tenere la bocca chiusa, a rimuginare silenziosamente. Le
tue argomentazioni di un tale comportamento però sono state
consone alla scena che hai narrato, quindi non ho nulla da dire.
Originalità discreta, poiché di queste scene, con
Matsuri nella parte di terzo incomodo, ce ne sono.
Ma capisco che
con una coppia simile, non potessi fare altrimenti.
Mi
complimento per l’ottimo utilizzo degli elementi, data la
difficoltà dell’oggetto a te affidato.
Per quanto
riguarda il mio giudizio, ti do quattro, nonostante la mia
inesistente passione per lo yaoi.
E’ forse l’unica
coppia che riesco a sopportare. Ad ogni modo, al di là della
questione del pairing, mi sono piaciute le ricorrenti metafore e
l’utilizzo di un senso, che, ahinoi, viene decisamente
snobbato.
L’olfatto che rievoca i ricordi e che apre nuovi
orizzonti.
“il tempo che distrugge, la memoria che
conserva”, tanto per scomodare Proust.
Complimenti.
Brava, sì.
I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.