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Autore: Leonhard    26/05/2010    3 recensioni
Arriva per tutti, ad un certo punto della propria vita, il momento di fare il punto della situazione. E se Ash scoprisse di essere in un punto morto, di essere caduto, troverà la forza di rialzarsi?
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho voluto cimentarmi anche in questo campo. Premetto che è da troppi anni che non guardo i Pokémon, né li seguo più, ma va anche detto che sono uno scrittore versatile, pieno di idee. Ribadisco il fatto che è solo un esperimento, quindi non linciatemi se qualcosa è sbagliato o non vi piace. Siate clementi.

Buona lettura.

Leonhard

 

 

 

UNA NUOVA ALBA

 

Se esisteva una buona stella per tutti, quella di Ash probabilmente si era spenta il giorno in cui si era messo in testa di diventare un maestro di Pokémon. Era partito, aveva incontrato tanti amici, catturato tante creature e vinto un’infinità di medaglie. Al culmine del successo aveva deciso di tornare a casa, per poter passare un po’ di tempo tranquillo. Ed era stato accontentato: aveva trovato anche troppo tempo libero. La madre era riuscita a convincere suo padre a portarla con sé in una crociera di sei mesi in giro per il mondo e lui li aveva incontrati letteralmente di striscio. Sua madre aveva avuto il tempo sufficiente per dirgli dove andavano, fare le solite raccomandazioni e dargli un bacio sulla fronte, poi si erano dileguati.

Raccomandazioni.

Ormai aveva diciassette anni: non gli servivano più le raccomandazioni. E poi, non aveva nessuno con cui mettersi nei guai.

Erano ormai le tre e mezza quando, staccatosi dal computer, andò sul terrazzo della sua camera. Alzò lo sguardo ed ecco le stelle. Belle come sempre, anche se lontane.

Un po’ come il suo vecchio sogno.

Essere un maestro di Pokémon sarebbe stato bello, ma per lui era un sogno irraggiungibile. Si accese una sigaretta, chiedendosi quando avesse cominciato a fumare.

Quando Misty era tornata alla palestra, sei mesi prima?

Quando Brock era rimasto schiacciato dal suo Onyx durante un attacco frana e si era fatto tre settimane d’ospedale, due mesi e mezzo fa?

Quando Pikachu lo aveva lasciato?

Quando si era reso conto che il suo sogno era diventare qualcosa che non sarebbe mai stato?

Onestamente, fra queste due ultime opzioni, non sapeva quale scegliere.

Si ricordava perfettamente quanto era entusiasta, sette anni prima, di ricevere il suo primo Pokémon. Ricordava di aver lanciato la sveglia contro il muro sognando di lanciare con sicurezza una di quelle sfere davanti ad un creatura potentissima.

Ed anche quella l’aveva trovata. E più di una.

Si chiese che tecnica avrebbe potuto usare con i suoi Pokémon se Mew non fosse comparso davanti a Mewtwo. O come avrebbe fatto ad arrivare ai tre tesori senza Lugia. Oppure come avrebbe fatto a salvare la madre senza Charizard.

In tutte le leghe in cui si era misurato era praticamente una leggenda; molto probabilmente, il pezzo di muro in cui lui ed i suoi Pokémon avevano lasciato le impronte era ancora al suo posto, sornione. Gli scappò un sorriso: quei tempi sembravano lontani di una vita, quando invece non erano altro che pochi anni.

Tarda sera, senza un briciolo di sonno in un paesino sperduto come Pallet Town: i ricordi te li strappava via dalla mente con le pinze. Abbassò lo sguardo verso il suolo. Alcuni Pidgey becchettavano a terra, due o tre Rattata erano a caccia e nell’aria si sentì il richiamo stridulo di qualche Spearow. Tutti quei suoni, quei versi, quelle ombre, gli ricordavano il suo passato, in particolar modo l’ultima parte, quella che aveva fatto crescere un ragazzo di diciassette anni di almeno altrettanti in una botta sola. Gli era capitato di tutto troppo in fretta e quello che voleva fare, dimenticare, non gli era concesso per colpa di quelle creature.

Ma non poteva farci nulla; a lui i Pokémon erano sempre piaciuti e persino in quel momento non sarebbe stato in grado di far loro del male.

Sbadiglio. S’illuse di aver sonno, ma si rese conto che non era altro che noia. Ma anche se avesse avuto qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, di cosa avrebbero parlato? Si era reso conto di essere diventato freddo. E questo era colpa di Misty, che lo aveva mollato in mezzo ad un bivio per tornare dal suo stupido Horsea; nel farlo aveva guardato Togepi ed aveva fatto un sorrisone sproporzionato.

Probabilmente era quello che gli aveva dato più fastidio.

Non aveva fatto più affidamento su nessuno. E questo era colpa di Brock, che era stato talmente stupido da farsi travolgere dal colpo del suo stesso Pokémon. Quando lo aveva visto a terra, mezzo coperto da rocce grosse la metà di lui, aveva per un attimo pensato che fosse morto; del resto, chi non lo avrebbe pensato? Era rimasto per tutta la notte nell’ospedale, insieme a Pikachu, che prima aveva camminato avanti ed indietro per il corridoio, poi gli si era acciambellato in grembo e si era addormentato. Nessuno che gli tenesse compagnia, da solo. Ma era stata una manna, almeno poteva formulare tranquillamente quei pensieri che lo avrebbero spinto a mollare tutto.

Non aveva più voluto amici. E qui era da imputare sicuramente Pikachu. Ancora lì, sul suo balcone, in compagnia della sua sigaretta non ancora fumata, che si stava consumando lentamente, si chiese com’era potuto succedere. Lui e Pikachu ne avevano passate tante, troppe. Gli era sempre mancato il dono della parola e qualche centimetro in più perché lui arrivasse a considerarlo un fratello ma in ogni caso non lo aveva mai visto come un animaletto domestico, non lui. Lo vedeva come un amico, come tutti i Pokémon che aveva avuto.

E che ora scorrazzavano libero per il mondo.

Questo pensiero gli fece passare le mani nei folti e ribelli capelli corvini. Come diavolo aveva pensato di diventare n maestro di Pokémon, di entrare nella lista degli allenatori migliori del mondo, se catturava i Pokémon, li allenava, li salvava da quei tre cretini del Team Rocket…e poi li lasciava liberi o sulle croste di qualcuno. Dove aveva lasciato Butterfree, Charizard, Squirtle, Bulbasaur, Haunter, Pidgeot e tutti gli altri che aveva ancora il professor Oak? Di sicuro, quelli l’avevano dimenticato ed anche da un pezzo. Sbuffò; non aveva voglia di pensare, ma era sempre meglio che stare stravaccato sul letto o a vagare per la casa come un Gengar depresso, cercando senza trovare qualcosa che lo distraesse.

Continuò a pensare a Brock ed a Misty. Come accidenti avevano potuto credere che sarebbero rimasti amici per tutta la vita? Magari, loro ci credevano ancora, ma lui era cresciuto e l’esperienza gli aveva insegnato bene. Sbagliato forse, ma bene. Brock era un capopalestra, l’esperto dei Pokémon roccia, e la loro amicizia era nata per la sua testardaggine di portarselo dietro. Per quanto riguardava Misty, lo aveva seguito perché le aveva fritto la bicicletta. Dio, quante volte glielo aveva rinfacciato. Per scherzo, per metterlo alle strette, per averla vinta in tanti litigi, ma non si era mai resa conto di quanto gli desse fastidio sentirselo ripetere almeno una volta al giorno per anni. E con Pikachu? La loro amicizia era nata praticamente subito, dopo che uno stormo di Spearow inferociti lo aveva preso di mira e lui si era messo in mezzo. Ne erano usciti entrambi malridotti, ma la creatura si era resa conto di aver trovato non un allenatore, ma un amico. Ed era ciò che voleva. Momenti belli a iosa, in quel periodo: come dimenticare quando il suo piccolo amico aveva preferito stare con lui piuttosto che vivere con un branco di suoi simili che lo considerava un eroe, oppure quando si era intestardito a voler sconfiggere il Raichu dell’allenatore dei Pokémon tuono senza usare la pietra tuono; e tutto solo per amor proprio, per testardaggine. Tutte le volte in cui Pikachu lo aveva fulminato, magari perché perdeva conoscenza, perché qualcuno lo spaventava oppure quando lo faceva arrabbiare gli aveva fatto male, ma in quel momento avrebbe dato qualunque cosa per sentire il suo corpo attraversato da una scarica di solo-Dio-e-Pikachu-sapevano-quanti volt. Guardò la sigaretta spegnersi accanto al filtro e, borbottando, gettò la sigaretta nel buio davanti a lui. Aveva dato solo un tiro, quando l’aveva accesa, poi si era perso nei suoi pensieri e l’aveva lasciata a spegnersi docilmente. Non se ne accese un’altra: non aveva voglia di fumare. Entrò e si rimise sulla playstation, a giocare a Super Mario. Ma non riusciva a concentrarsi neanche su quello: vedeva e non vedeva il piccolo idraulico in mezzo allo schermo. Alla quinta volta che si fece mangiare dal fungo con i denti, spense con uno sbuffo stizzito.

Lo sguardo gli cadde sulla mensola accanto al suo letto. Il suo berretto rosso e bianco era appoggiato sotto una teca con tutte le medaglie che aveva conquistato. Ma le aveva veramente vinte? Oppure le avevano vinte i suoi Pokémon? Del resto, non era lui a scendere in campo: non era lui che si prendeva attacchi come Colpo Coda, Attacco Rapido, Psichico e tutti gli altri. Specialmente Pikachu: doveva avere un’infinità di cicatrici in tutti il corpo. Ma lui…la sua unica cicatrice era sul cuore e continuava a fargli un male cane. Accanto al berretto il suo Pokedex, completo di tutti i Pokémon esistenti, Il professor Oak era andato in brodo di giuggiole quando aveva scaricato i dati nel computer. se lo conosceva bene, anche a quell’ora era lì davanti, a guardare estasiato il frutto dei suoi viaggi.

Presa la decisione, anche se con molti dubbi, si stravaccò sul letto e rimase a fissare il soffitto. Evidentemente c’era qualcosa che non andava; si era perso una puntata, aveva saltato un punto, era capitato qualcosa nella sua avventura che lo aveva portato a quella situazione. Aveva pensato e ripensato infinite volte a cosa potesse essere successo, ma ogni volta finiva a pensare a quei quattro avvenimenti, primo, secondo, terzo e quarto candidato al titolo “causa della sua disfatta psicologica”. Con il tempo, aveva smesso di interrogarsi, arrivando alla conclusione che certe cose capitano perché devono capitare: nel tentativo di impedirle, si riesce solamente nell’intento di ritardarle, ma prima o poi vendono a bussare alla tua porta.

Chiuse gli occhi e, quando li riaprì, il sole faceva capolino dalle montagne. Si doveva essere addormentato durante i suoi pensieri notturni. Si alzò, si stirò e scese a prepararsi la colazione. Mr.Mime era già in cortile, a prendersi cura dei fiori. Anche lui, che diavolo ci faceva lì? Nessuno lo aveva catturato, eppure ogni mattina lo vedeva nell’aiuola, con un annaffiatoio o con un paio di forbici, oppure con la scopa, tutto intento a pulire. Beh, se era felice, chi era lui per proibirgli di fare ciò che gli dava il sorriso? Meno di nessuno, dato che ciò che aveva fatto lui gli aveva tolto anche quello.

Dall’erba alta fece capolino una coda gialla a forma di saetta e, subito dopo, il musetto di un Pikachu le comparve accanto, guardandolo con neri occhi acquosi. Per un secondo, Ash si aspettò di sentirsi chiamare, di sentire nuovamente quel Pi-ka-pi che lo aveva accompagnato per tutto quel tempo. Ma il Pokémon stette fermo e zitto, studiandolo con un’aria che non seppe decifrare. Probabilmente lo guardava, in attesa che prendesse una sfera Pokè e gliela lanciasse addosso. Ciò che non aveva capito era che lui non ne aveva la minima intenzione. Uscì dalla porta e si avvicinò a lui con movimenti lenti, ma il topo elettrico non sembrava spaventato: continuava a guardarlo, immobile. Ash si accovacciò a qualche metro da lui, per guardarlo meglio. Di tutti i Pokémon, i Pikachu era quello che più gli piaceva. Non perché aveva avuto un amico di quella razza, ma perché li considerava…belli, non aveva mai trovato un altro aggettivo. La coda del topo elettrico fremeva: probabilmente, si stava preparando a respingergli addosso la sfera che gli avrebbe lanciato.

“Lascia perdere” disse, rialzandosi. “Non ho la minima intenzione di catturarti”. Il Pokémon lo guardò senza cambiare espressione. Difficile dire se lo aveva capito, se era sollevato perché si conservava la libertà oppure stizzito per la mancata sfida. Con quattro balzi, si portò davanti ad Ash, sbarrandogli la strada per il ritorno a casa. Il ragazzo gli restituì uno sguardo freddo. La creatura gli disse il suo nome, con aria incuriosita.

“Cosa vuoi ancora?” chiese lui. Riprese a camminare e lo superò. “Vai, goditi la libertà”. Il Pokémon lo fermò ripetendogli il suo nome. Si avvicinò e gli prese un lembo dei pantaloni con la zampetta. Scosse la testa e gli regalò un sorriso, prima di chiamarlo per nome con solo un Pikachu esistente avrebbe potuto fare.

“Pi-ka-pi”.

Il ragazzo non ebbe reazioni. Pikachu, il SUO Pikachu, era tornato. Ma no: molto probabilmente, passava di lì per caso. Nessuno sarebbe mai passato a trovare qualcuno che aveva abbandonato. Caso più evidente di Misty e Brock…si inginocchiò davanti a lui e lo guardò.

“Pikachu, quanto tempo” salutò serafico. “Cosa ti porta da queste parti?”. La creaturina si avvicinò e, dopo avergli dato una piccola leccata sulla guancia, si premette contro di lui, visibilmente felice di aver ritrovato un suo vecchio amico. Sul viso di Ash comparve un sorriso. In fondo, poteva anche perdonarlo; non sapeva cosa lo avesse spinto a scappare, ma adesso era lì, che gli chiedeva di riprenderlo. Si alzò e, senza prendere il Pokémon, rientrò in casa senza voltarsi. Una volta in camera sua, scoprì che lo aveva seguito. Si sedette sul letto e lo guardò guardarlo, sempre con quel sorriso.

“Hai ancora paura del buio?” chiese, mostrandoli la sua sfera Pokè. Pikachu gli corse incontro, si arrampicò sul suo corpo e si appollaiò docilmente sulla sua spalla. “Credo proprio di sì…”.

 

Il mattino dopo, fece una cosa che pensava di non fare mai più: prese il cappello e se lo calcò in testa. Perché non ripartire? Il requisiti li aveva, il Pokémon anche, la voglia non tanta, ma si sa: l’appetito vien mangiando. Le medaglie? Perché prenderle? Avrebbe ricominciato tutto daccapo. Sarebbe ripartito da zero. Si avviò per il sentiero che usciva da Pallet Town, sentendosi un bambino di dieci anni seguito da un riluttantissimo Pikachu. La differenza sostanziale era che quel bambino era cambiato, era cresciuto, e quel Pikachu lo vedeva come un amico, per il quale avrebbe fatto di tutto.

Ash si chiese perché. Se voleva ripartire, perché non farlo subito? Aveva molti Pokémon dal professor Oak: perché non era partito prima? Forse gli serviva una ragione, un incentivo per rialzarsi dopo aver perso tutto. E forse, dentro di sé, aveva sempre saputo che l’unico che poteva dargli quella spinta era proprio Pikachu. Si volse verso di lui, guardandolo camminare con passo spedito e sorridere, come se camminare con lui lo facesse star bene.

“Grazie Pikachu” disse. La creatura lo guardò e reclinò la testa di lato, senza capire. Ash non aggiunse altro e, accesasi una sigaretta, che questa volta avrebbe fumato, pensò con ironia quasi crudele che faccia avrebbero fatto prima Brock e poi Misty a vederlo entrare nelle loro rispettive palestre affamato di sconti e di medaglie. Del resto, è la vita, no? Non era sempre vero che dopo la notte c’è il giorno, o dopo la pioggia compare il sereno. Almeno non secondo lui. Bisognava essere forti per fare una cosa del genere. E lui non era mai stato forte.

Per una volta, pensò, voleva provare a rialzarsi dopo essere caduto, solo per vedere come se la sarebbe cavata.

 

 

 

 

AD ESSERE ONESTI, ERO TENTATO DI SCRIVERE UN PAIRING ASH/MISTY, MA ALLA FINE HO OPTATO PER QUESTA ONE-SHOT. QUELLO CHE AVETE LETTO E’ TUTTO CIO’ CHE MI RICORDO DI QUEL CARTONE.

QUESTO E’ STATO SOLO UN ESPERIMENTO: SE VI E’ PIACIUTO, FATEMELO SAPERE. CHISSA’…SE HA SUCCESSO, POTREI ANCHE PRENDERCI LA MANO, NON SO SE MI SPIEGO…

EHEH…

BEH, ALLA PROSSIMA.

 

RECENSITE IN TANTI. CIAO!

   
 
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