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Autore: Kiki87    27/05/2010    4 recensioni
Non tutte le ferite sono destinate a guarire, soprattutto non tutte le ferite sono fisiche. La guerra è finita e due ragazzi da sempre diversi e rivali hanno qualcosa di simile: entrambi soffrono per essere stati prescelti ed entrambi, forse per la prima volta, hanno finalmente facoltà di scegliere.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It’s over.

 

Everybody has regrets, (Tutti hanno rimpianti)

wounds they wish would heal (Ferite che vorrebbero guarite)

Clocks that won't reset (orologi che non si resettano)

 

Scars are simply lessons learnt (Le cicatrici sono semplicemente lezioni imparate)

bridges that we've burnt (ponti che abbiamo bruciato)

So we won't go back (così non torneremo indietro.)

Scars show me where I've been, (Le cicatrici mi mostrano dove sono stato)

 where I shouldn't go again (dove non tornerò di nuovo)

Keep my heart on track (rimettono il mio cuore sul sentiero)

  

But I wouldn't change a thing (Ma non cambierei una cosa)

They're such a part of me (Sono come una parte di me)

They make me who I am (Mi rendono ciò che sono)

No apologies for these scars (Nessuna giustificazione per queste cicatrici).

 

Scars – Ronan Keating.

 

 

 

 

Lalba di un nuovo giorno li aveva salutati da quasi un’ora e per la prima volta da così tanto sembrava davvero plaudire il sorgere di una nuova era che non attendeva che d’esser vissuta in completa armonia e beatitudine.

Si voltò ad abbracciare la Sala Grande che era stata lo scenario di quell’epocale battaglia e il suo sguardo verde saettò tra i cocci delle finestre infranti, i quattro tavoli addossati confusamente su una parete, le stoffe degli abiti degli astanti.

Rimase semplicemente immobile per qualche istante, mentre il vociare si faceva più intenso ma in qualche modo ovattato, registrato solo da un angolo remoto del suo sistema nervoso, perché tutto quel tumulto sarebbe stato sopraffante, quasi opprimente.

Si passò una mano tra i capelli scarmigliati e così facendo sfiorò la cicatrice sulla fronte, tastandola accuratamente con dita tremanti e ancora sporche di polvere e di sangue, come un segno che marchiasse inesorabilmente la realtà che gli stava attorno, percependola finalmente come qualcosa di reale.

Si era ritrovato stretto in molteplici abbracci, pacche sulla schiena, parole di commozione e di ringraziamento: un turbinio di vesti, di profumi, un calore che avrebbe dovuto scalfirlo fin dentro il suo essere ma in qualche modo ancora asettico e lontano.

I tavoli di nuovo dislocati ai loro posti ma tutti seduti assieme, adulti e ragazzi, insegnanti e auror,  maghi e streghe a sancire che quella divisione tra Case avrebbe dovuto esaltare i privilegi di ognuno, non avrebbero dovuto essere un limite, confini ben gelosi e protettivi.

Ricercò istintivamente un altro volto nella folla tutto attorno, prima di ritrovarsi attorniato da una miriade di volti: l’Esercito di Silente ed ex allievi che si premevano attorno a lui, mostrandogli il loro affetto, la loro stima e fiducia e l’ammirazione per ciò che aveva affrontato.

Ragazzi che erano stati precocemente segnati, costretti a vivere in un’epoca d’assoluto terrore e in un costante clima di agitazione, di paura, di sospetto e che in quel momento non avrebbero chiesto altro che essere semplicemente ciò che erano.

Giovani spensierati nel fiore dell’età.

Non più soldati.

Non più vittime.

 

“Dovremo festeggiare”.

 

Quelle parole erano state registrate vagamente dal suo udito, quasi lontane e stridule, quasi blasfeme, senza saper loro associare il volto di chi li aveva proferite, mentre aveva ancora la netta sensazione di guardare il tutto dall’esterno, di non essere realmente partecipe di quel momento.

 

Per tutta la vita aveva avuto la sensazione che un muro invisibile ma percettibile lo separasse dal resto dal mondo.

Da sempre aveva sognato la normalità, l’anonimato.

La fortuna di non essere il prescelto.

Una mente spensierata e frivola, quale avrebbe dovuto essere.

In quel momento quella sensazione montò di nuovo in modo mordace, pulsandogli le tempie e facendogli stringere i pugni lungo i fianchi e boccheggiare alla ricerca di un nuovo respiro, mentre scuoteva impercettibilmente il capo.

Mormorò parole di scuse confuse, si mosse prima che Ron ed Hermione potessero raggiungerle e con rapidi e distesi passi attraversò la Sala Grande, desiderando solo poter avere di nuovo il mantello di suo padre per potersi allontanare indisturbato.

Avrebbe voluto poter respirare davvero, non sentendosi più soffocato da quel tumulto di volti, d’emozioni e di commozione, di gioia e di entusiasmo che sembravano acuire una cicatrice iscritta nell’animo che ancora era infetta.

 

Si voltò superata la soglia dell’uscio e prima che le doppie porte si chiudessero dietro di lui, tornò ad osservare la Sala Grande e scosse la testa.

Festeggiare.

Cosa c’è da festeggiare?

Addossati in un angolo aveva scorto la signora Weasley inconsolabile, china sul petto di Fred, tremante di singhiozzi, mentre Ginny le sfiorava delicatamente i capelli e lo sguardo di George era vitreo e lontano.

Poco distanti i due corpi teneramente abbracciati di Remus e Ninfadora e il cuore di Harry aveva avuto un guizzo perché non solo l’ultimo dei Malandrini se n’era andato, ma da qualche parte un bambino stava dormendo ignaro nel suo letto, cullato in un dolce sogno spensierato.

Senza sapere che non avrebbe più rivisto i suoi genitori.

Che quella notte maledetta aveva liberato il mondo magico dalla sua cancrena ma lui ne avrebbe portato i segni per tutta la vita e come Harry anni prima, la vita lo stava ponendo di fronte al fatto compiuto.

Gli aveva iscritto una cicatrice che non avrebbe mai avuto completa guarigione.

Ma era giusto così; si disse.

Così non avrebbe dimenticato.

Nessuno avrebbe dovuto farlo.

 

Varcò il portone d’ingresso e boccheggiò cercando di respirare, lasciando che la brezza gli sfiorasse il volto e gli scarmigliasse ulteriormente i capelli, socchiudendo gli occhi per un istante.

E’ finita; si disse di nuovo ma per qualche motivo il dolore e il tremore vissuti quella notte, l’adrenalina e la fermezza di star per morire, le molteplici rivelazioni cui era stato partecipe, la morte di Piton; erano ancora troppo intensi e pulsanti perché sfumassero, lasciando posto alla spensierata consapevolezza che sì; è finita.

Una volta per tutte.

 

Schiuse gli occhi osservando l’aurora riflettersi nelle acque del lago scosse dal vento gelido del Nord e rimase per qualche istante immobile, meditando sulla possibilità di rientrare o cercare un posto dove poter restare tranquillo e in solitudine.

Ci sarebbe stato tutto il tempo opportuno per tornare dai suoi cari e finalmente iniziare davvero a vivere.

Ma non quella notte; si disse di nuovo – più risoluto – e prese a camminare senza direzione, avanzando sul ponte per immergersi nel parco di Hogwarts dove sperava nessuno lo avrebbe trovato per ancora un po’ di tempo.

 

Fu in quel momento che avvertì uno sfavillio di calore nella tasca dei pantaloni e con un lieve gemito di dolore e di sorpresa, immerse la mano nella tasca, estraendone una bacchetta e la voce d’Olivander invase la sua mente.

“Biancospino e crine d’unicorno. Dieci pollici esatti. Sufficientemente elastica. Questa era la bacchetta di Draco Malfoy”.

Rimase ad osservare per diversi istanti la bacchetta che lo aveva accompagnato per un breve periodo della propria avventura.

La bacchetta che aveva lanciato l’incantesimo di disarmo contro Lord Voldemort, la bacchetta che gli era stata fedele e ancora si sorprese al ricordo di quanto fosse stato confortevole stringerla tra le dita.

Sentendola propria.

In fondo, aveva detto Olivander, dopo averla sottratta a forza dal suo legittimo proprietario era probabile la sua fedeltà fosse cambiata.

La bacchetta sembrava adesso bruciare tra le sue dita, mentre un nuovo fremito di vita sembrava accarezzarla e dall’estremità dardeggiarono scintille d’argento, mentre il giovane ansante rimase ad osservarla, senza realizzare cosa stava accadendo.

Il calore divenne quasi ustionante e con un gemito la lasciò cadere a terra e la osservò dipanarsi come le spire di un serpente sull’erba, prima di irrigidirsi e restare immobile e l’estremità  - la cui scia spruzzata d’argento si era estinta – era puntata verso est.

Il giovane la raccolse da terra e di nuovo la bacchetta vibrò violentemente, scaldandosi dalle sue dita, mentre – seguendo l’istinto e senza riflettere – procedeva in quella direzione, sentendo il tremito farsi sempre più intenso fino a quando, giunse alle rive del lago e il candore del marmo della tomba di Silente sembrò accecarlo per un istante.

La bacchetta vibrò di nuovo pulsante e Harry riuscì a distogliere lo sguardo dal feretro, osservando la figura allampanata e rigida – tutta avvolta da vesti scure – ferma sulle rive del lago, immobile e silenziosa.

 

La bacchetta stava vibrando in direzione del suo precedente possessore, quasi fremendo per ricongiungersi con la sua stessa componente, rinsaldare la precedente alleanza e offrirgli di nuovo devota fedeltà.

Come fosse possibile, Harry non avrebbe saputo spiegarlo e in quel momento l’interrogativo non era particolarmente vincolante, mentre  si avvicinava al giovane, con passi rapidi e lievemente ovattati dal manto erboso luccicante di rugiada alle prime luci del sole.

Ripercorse in qualche immagine rapida e confusa la rivalità che li aveva legati per cinque anni di scuola, coronati da infantili e talvolta perfide e ben congegnate sevizie da parte del Serpeverde.

Non aveva mai provato la benché minima stima per quel rampollo dalle apparenze nobili ed illustri, arrogante e superbo nell’incedere, velenoso e perfido nel suo sibilare, intaccando le sue vittime in un giogo di umiliazione e di subordinazioni ai danni di coloro che riteneva inferiori dalla nascita.

Era stato partecipe – suo malgrado e ad insaputa del biondino – del tormento che aveva vissuto quando a sua volta era stato un prescelto di Lord Voldemort.

Quel pensiero lo fece quasi sorridere di ironica consapevolezza, al pensiero che quasi stolidamente e ottusamente, gli aveva serbato rancore e disprezzo, probabilmente invidiando una notorietà che non si era mai scelto, in un modo superficiale ed infantile, senza riuscire a comprendere il peso di un’etichetta che non aveva mai scelto.

Ma che si sarebbe sempre portato con sé, come un destino ineluttabile e severo, tracotante e superbo che gli era stato iscritto il giorno stesso della sua nascita e non si sarebbe scollato neppure aldilà della sua stessa vita.

 

E per la prima volta, Harry aveva scorto il suo lato umano, la fragilità e la paura spesso nascoste, dietro gesti di arrogante superbia e di ostentata sicurezza.

Per la prima volta aveva proiettato su di lui sentimenti di tiepida pietà e comprensione e inconsciamente aveva smesso d’essere Malfoy, il figlio di Lucius, il Cercatore avversario, il bullo Prefetto.

Draco, solo Draco.

Giovane e impaurito, fragile e vulnerabile di fronte ad una realtà molto più grande di lui che non sapeva affrontare e che stava lentamente consumando la sua maschera di cristallo, logorandogli lo spirito e spegnendo la malizia dardeggiante del suo sguardo di  ghiaccio.

Da carnefice era divenuto vittima tremante, soggiogato al Signore Oscuro il cui sguardo lo trafiggeva impotente, incapace di difendersi e umiliato nell’orgoglio che aveva cercato debolmente di forgiare di nuovo, per amor proprio.

Coinvolto a sua volta e senza possibilità di scelta, apparentemente orgoglioso ed onorato ma solo in seguito realmente consapevole del peso di una simile onorificenza, e solo in quel momento realmente umano e realmente se stesso.

 

Il biondino non si era mosso e l’alta figura era scossa dal vento che gli spettinava i capelli scarmigliati e il mantello logoro ma gli sembrò che si fosse irrigidito, avvertendo dei passi alle proprie spalle.

Le spalle ampie erano adesso tese e gli pareva di percepire il formicolio delle braccia, mentre stringeva i pugni lungo i fianchi, cercando di restare immobile ed impenetrabile a pochi passi dalla tomba dell’uomo che aveva disarmato e poi visto morire.

L’uomo che avrebbe dovuto uccidere.

 

Si fermò alle sue spalle con un fluido movimento silenzioso e allungò la bacchetta di biancospino, in sua direzione.

Riusciva quasi a percepire la tensione del ragazzo, le cui spalle sembrarono ulteriormente irrigidirsi e le mani stringersi spasmodicamente in pugni, quasi un tentativo inconscio di proteggersi di fronte ad una nuova minaccia.

Rimasero entrambi immobili e silenziosi per diversi istanti mentre il gelido vento schiaffeggiava loro i visi e faceva ondeggiare le vesti, prima che il biondino voltasse appena il mento in sua direzione, guardandolo con la coda dell’occhio e un angolo della bocca si contorse all’insù in un sorrisetto sardonico.


”In cerca di elogi, Potter?”.


Lo sentì dire e al giovane non sfuggì l’intonazione particolarmente sprezzante quando ne aveva pronunciato il cognome, mentre in quel fulmineo movimento del capo aveva cercato di osservarne lo sguardo di nuovo immobile ed opaco.

 

Il serpente aveva scoperto le fauci, lasciando zampillare la lingua biforcuta per captare gli odori attorno, prima di snodarsi su se stesso e infliggere il suo morso mortale con un movimento rapido e brusco.

Ma era un veleno sterile e inodore, insapore.

 

Il Grifondoro si concesse di ammorbidire le labbra a simulare un sorriso, quasi realmente divertito dall’ennesima dimostrazione di humour, quasi realmente intaccato, mentre lo sguardo di smeraldo aveva cercato con più intensità il suo.

Il biondino si era ulteriormente irrigidito, voltandosi di nuovo bruscamente, stringendo maggiormente i pugni dopo aver osservato per un solo istante la bacchetta, senza muover mano per riprenderla e Harry la sentì di nuovo vibrare pulsante tra le sue dita.

 

“Ne ho una per settimana…e quella è la bacchetta del giovedì -  Commentò con un ennesimo scrollo di spalle  – regalala ai Weasley…la bacchetta che ha ucciso il Signore Oscuro (la sua voce aveva accarezzato quelle parole, imitando un tono melodrammatico e pauroso, come quando anni indietro aveva finto di vedere un dissennatore alle sue spalle)…varrà molto più di quel porcile che chiamano casa”. Commentò con voce intrisa di perfido divertimento, con quel ghigno suadente, quasi compiaciuto della sua stessa ingiuria ma di nuovo lo sguardo era assente quasi vitreo.

 

Per un attimo gli era parso di scorgere il fantasma del bulletto conosciuto per anni, prima che il suo sguardo si perdesse di nuovo ad osservare il lago, tornando perfettamente immobile e rigido.

Ma Harry era certo tutto il suo essere fosse spasmodicamente teso a carpire ciò che gli accadeva attorno, la sua presenza e quella bacchetta protesa in sua direzione.

 

“E’ stata la bacchetta a condurmi da te…vuole di nuovo essere tua”.

Si sentì dire e ancora una volta ebbe la percezione di osservare la scena dall’esterno, mentre a sua volta puntava lo sguardo sul lago di fronte a loro, lasciando che scarmigliasse loro i capelli e li scalfisse in viso, mentre il giovane in risposta si lasciava sfuggire un verso sprezzante di ironico divertimento.


“E’ contaminata ormai, dal sangue sporco di tua madre che ti scorre nelle vene”.

Aveva commentato voltandosi in sua direzione e sputandogli addosso quelle parole con le sopracciglia aggrottate e il naso raggrinzito a simulare il proprio disprezzo, mentre torreggiava in sua direzione, sogghignando di nuovo, quasi folle in quel divertimento perverso di distruggere gli altri per una parvenza di maggior sicurezza e forza.

Gli parve di scorgere l’immagine di un serpente che sibila dopo aver ondeggiato e cercato con lo sguardo di ipnotizzare una vittima impotente, per poi infliggere un morso mortale che lo uccidesse - dopo averlo visto contorcersi impotente - e gettarsi poi sulla sua carcassa con brusca violenza.

 

Ma la criniera del leone ondeggiava al sibilo del vento e il sontuoso e maestoso animale osservava la serpe all’alto della sua altura, forgiato della consapevolezza di potersi sostenere sulle proprie zampe, mentre quel rettile infido avrebbe dovuto continuare  a strisciare su se stesso, attaccando per non essere attaccato.

 

Lo sguardo smeraldo ebbe un fremito improvviso e la bacchetta di biancospino cadde a terra vibrando impotente e scoprendosi ansante, il giovane abbassò il pugno che aveva colpito, lasciandolo ricadere lungo il fianco.

Restò ad osservare il biondino che aveva appena voltato il viso di un lato, la camicia candida macchiata del suo stesso sangue, mentre si puliva con la manica il labbro sorridendo sferzante, leggermente incurvato, mentre osservava la mano insanguinata.

“Niente male per uno sporco mezzosangue”.

Ebbe l’ardire di aggiungere, drizzandosi di nuovo perfettamente in piedi e tornando ad osservarlo con il sopracciglio lievemente inarcato, il sorriso suadente e beffardo, malgrado il rivolo di sangue ad un angolo della bocca.

 

Lo prese per il bavero della camicia, scuotendolo bruscamente in sua direzione, prima di guardarlo dritto negli occhi, notando il giovane rimanere immobile e stordito, lasciandosi adesso strattonare come una patetica e debole marionetta i cui fili erano stati recisi con una rapida forbiciata.

“E’ finita Draco – commentò strattonandolo con forza, prima di lasciarlo andare, osservandolo leggermente vacillante, probabilmente più per lo stupore che un reale squilibrio – mettitelo in testa: è finita!”.

Commentò con voce strozzata, ritrovandosi poi a boccheggiare, scostandosi dal giovane con una smorfia di rabbia e di sdegno, non riuscendo a tollerare un simile atteggiamento, una volta che il sipario era stato calato.

Lo stupore quasi incredulo e stordito del biondino durò solo un istante, prima che raggrinzisse il naso, inarcando un angolo della bocca tumefatto, avvicinandosi a sua volta al Grifondoro, strattonandolo per il bavero e attirandolo a sé, torreggiando su di lui, il respiro lievemente irregolare e lo scintillio dello sguardo perlato.

 

“Per te è finita – commentò con tono astioso ma la voce bassa, quasi tremula come gli costasse un’immane fatica articolare quelle parole, guardandolo dritto negli occhi – il Bambino Sopravvissuto…l’Eroe…il Prescelto”.

Sembrò quasi sputare quelle qualifiche con voce avvelenata, continuando a strattonarlo con uno scintillio quasi folle nello sguardo e la voce tremante ed ansante, prima di lasciar bruscamente il ragazzo, scostandosi e arretrando, scuotendo il capo. Harry vide le sue labbra tremare come stesse ingoiando qualcosa di acre, scoprendosi bruscamente l’avambraccio sinistro e mostrando il Marchio nero che ne aveva sfregiato la pelle.

Una cicatrice esteriore come pallido simbolo della metamorfosi interiore.

Questo non se n’andrà mai”.

Commentò con voce roca e sussurrata, salvo voltarsi bruscamente tornando ad osservare l’orizzonte, il respiro ansante e le spalle ancora più rigide, stringendo i pugni lungo i fianchi.

“Sono e rimarrò sempre un Mangiamorte…”.

 

“Ti ha marchiato soltanto la pelle, non il tuo spirito”.

Commentò con voce profonda che strappò al biondino un sorrisetto sferzante ed incredulo e tornò ad osservarlo, voltando appena il mento in sua direzione con un angolo della bocca sollevato a simulare un sardonico divertimento, prima che scuotesse la testa e di nuovo il suo sguardo grigio sembrò spegnersi, voltandosi di nuovo bruscamente verso il lago.

 

“Tu non sai…le cose che ho fatto…le cose che ho visto…non ho avuto scelta”.

Commentò e la voce sembrò spegnersi bruscamente alle ultime parole, mentre le labbra ebbero di nuovo un tremito, prima che con un guizzo gli voltasse le spalle e il vento sibilò tra loro per diversi istanti, portando via con sé l’eco profondo ed intenso di quelle parole che sembrarono echeggiare nella mente di Harry per una quantità interminabili di istanti, ripetendosi sempre uguali a se stesse.

Intrise della stessa amarezza.

 

“Ti sbagli, tu l’hai compiuta la tua  scelta”.

Il biondino si irrigidì ulteriormente, stringendo i pugni lungo i fianchi, prima di voltarsi ad osservarlo con le sopracciglia inarcate e gli occhi sgranati, le labbra schiuse e il respiro ansante, mentre il suo corpo era ancora spasmodicamente teso, non riuscendo a comprendere il reale significato di quelle parole.

Il Grifondoro mosse appena di lato il mento ed entrambi osservarono per un istante il feretro di un candore quasi accecante e il biondino sembrò tremare, distogliendo subito lo sguardo, con un guizzo all’altezza della mascella.

 

“Eravate soli, lui era disarmato e avevi tutto il tempo per ucciderlo”.

Commentò il Grifondoro al che il biondino scosse la testa tornando a guardarlo con un sorriso sardonico in volto, lo sguardo dardeggiante, mentre simulava di nuovo un’arrogante perfidia che mai finora era stata così debole e increspata.

“Lo avrei sacrificato per la mia famiglia”.

Il Grifondoro scosse la testa, inclinando il viso di un lato ed osservandolo attentamente.

“Hai abbassato la bacchetta, prima che arrivassero i Mangiamorte – sussurrò e vide gli occhi del biondino sgranare e il sorriso sparire dal suo volto, guardandolo incredulo – ho visto tutto, Draco…ho visto come ti tremava la mano…ho visto la tua disperazione e ho visto anche  tutto quello che Voldemort ti ha costretto  a fare”.

Sussurrò e il biondino sembrò tremare al suono del nome del suo aguzzino, o probabilmente per l’intensità di quanto detto dal suo storico rivale ed antagonista, prima che distogliesse rapidamente lo sguardo, scuotendo fermamente il capo.

“Ero orgoglioso quando sono stato marchiato”. Sibilò alzando il viso in sua direzione e fissandolo dritto negli occhi, con il mento sollevato, quasi in atto di sfida mentre proclamava simili parole e il Grifondoro rimase impassibile, aggrottando appena le sopracciglia.

“Forse – gli concesse scrollando le spalle – ma non quando puntavi la bacchetta contro Silente o torturavi un mangiamorte”.

Il biondino scosse con violenza il capo, tornando a guardarlo con le sopracciglia aggrottate e i pugni stretti lungo i fianchi, guardandolo con il cipiglio in furioso e una vena del collo in evidenza, spasmodicamente teso come sull’orlo del controllo, quasi avesse voluto scagliarsi di nuovo contro di lui e colpirlo con forza, scuotendo quelle sue patetiche arringhe che non sentiva esaustive del suo animo, dei suoi trascorsi.

Solo un Grifondoro per bene poteva decantare simili stupidaggini ed esserne fiero, elogiare l’amore e il coraggio come stendardi e spade inossidabili.

“Tu non sei come Tom Riddle, Draco – commentò il Grifondoro guardandolo intensamente – non fare il suo stesso errore: impara ad accettarti per quello che sei davvero…”.

 

Tom Riddle era stato così ossessionato dal suo sentirsi diverso, dall’essersi sentito ingiustamente abbandonato, in balia di se stesso, fino ad odiare  la sua identità, forgiandosene una nuova e sradicare ogni benché minima traccia della propria umanità.

Proclamando la sua presunta superiorirà e forgiando un credo di odio e di disprezzo per chiunque  ritenesse inferiore, forgiandosi di magia oscura e di potere per coprire il vuoto del rifiuto.

Una ferita mai completamente cicatrizzata.

Mai davvero fronteggiata.

 

“Hai corso molti rischi per cercare di salvare la tua famiglia e uccidere Silente e loro stanotte hanno rischiato la loro per te…non sei solo”.

Aggiunse il Grifondoro e la voce sembrò farsi più roca sulla parte terminale del suo discorso, non potendo fare a meno di paragonare la sua situazione con quella del giovane.

Per quanto il mondo magico fosse stato salvato, la sua cicatrice non si sarebbe mai rimarginata e non avrebbe mai avuto i suoi genitori con sé.

Si umettò nervosamente le labbra e distolse lo sguardo, improvvisamente stanco, sentendo di nuovo calcare in lui una fiumana di emozioni indistinte e quasi opprimenti che gli facevano pulsare violentemente le tempie, mentre il biondino era rimasto immobile ad osservare l’orizzonte, un lieve guizzo all’altezza della mascella.

Il rivolo di sangue sul labbro spaccato.

I capelli scarmigliati e il mantello logoro.

 

“E’ tutto finito Draco…ma tutto inizia adesso, come sta solo a te deciderlo…fammi un cenno quando lo avrei fatto”.

Commentò, infine, e senza attendere risposta ripercorse rapidamente i propri passi, voltandosi soltanto quando la figura del ragazzo era appena visibile, mentre si chinava sull’erba, raccogliendo la bacchetta abbandonata.

Rimase ad accarezzarne l’estremità di cui - anche a quella distanza - scorse lo sfavillio d’argento delle scintille e lentamente si eresse di nuovo in piedi, trattenendola tra le lunghe dite ed osservandola come un prezioso tesoro.

Riscoprendo e riabbracciando il fantasma della sua vita passata, prima che Lord Voldemort lo eleggesse suo seguace.

 

Un fantasma cresciuto e maturato ma il sipario era ormai calato e la marionetta poteva recidere i fili che la soggiogavano e rinascere di vita propria.

 

 

~

 

“Guarda chi c’è”.

Scorpius Malfoy, le vesti lucide e splendenti, il mantello ondeggiante alla lieve brezza del vento, si stava congedando dai suoi genitori, avviandosi poi con incedere sicuro di sé, il mento leggermente sollevato e i passi lunghi e distesi verso la carrozza prescelta.

Draco Malfoy intercettò il suo sguardo e rimasero a studiarsi a distanza di metri, prima che muovesse bruscamente il capo in sua direzione.

Un lieve guizzo e le sue labbra sembrarono mimare un ringraziamento a distanza, prima di distogliere rapidamente lo sguardo voltandosi di nuovo verso il treno a vapore.

“E così quello è il piccolo Scorpius”.

“Non dargli troppa confidenza, Rosie. Nonno Arthur non ti perdonerebbe mai se se sposassi un Purosangue”.

Harry scosse appena il capo sorridendo, prima di voltarsi – mentre Rosie protestava debolmente, arrossendo e Hermione fissava di sbieco suo marito – notando che la piccola Lily aveva assistito a quel breve dialogo con i suoi occhi verdi ancora lucidi di lacrime per l’imminente partenza dei fratelli, che osservavano adesso il bambino biondo che era appena salito in carrozza.

Sorrise, stropicciandole dolcemente i capelli e chinandosi a baciarle la fronte.

“Non ascoltare lo zio Ron – le sussurrò dolcemente  - è tutto finito”.

 

Il vento fece ondeggiare la sontuosa criniera del leone e il serpente si acciambellò su se stesso, scrutando l’ambiente circostante e snodandosi sinuoso ed elegante, facendo lustro e mostra delle proprie scaglie.

 

E’ tutto finito.

Da diciannove anni.

 

Buonasera a tutti :)

In attesa del nuovo capitolo di “Le mie prigioni” e approfittando dell’ispirazione che in questo periodo sembra essermi particolarmente fedele, ho deciso di stilare questa storia.

Mi frullava in testa da diverso tempo: sono sempre stata affascinata dal personaggio di Draco per quanto fosse ambiguo, misterioso e debole e dopo quanto avvenuto nel sesto libro, sinceramente avevo sperato in qualcosa che gli desse maggior rilievo o una maggiore…dignità.

Oltretutto non so voi, ma quel gesto enigmatico di saluto che compie alla stazione per quanto possa essere intriso di significato, non mi aveva molto soddisfatto e mi sarebbe piaciuto vedere un simile confronto tra i due che in questo contesto potevano essere vagamente simili.

Spero che la mia versione vi sia stata gradita: è la prima volta che mi cimento nell’indossare i panni di Harry ma erano i più confortevoli per destreggiarmi con Draco la cui eloquenza è fatta di sguardi, di gesti e di postura, più che di parole…come avrete visto.

Oltretutto dubito che Draco avrebbe potuto aprirsi spontaneamente, specialmente nei confronti del suo acerrimo rivale…probabilmente una volta superata quella soglia di distanza, quella diffidenza e quell’ostilità impercettibile ma dopotutto lui resta un serpente superbo e Harry è sempre stato più bendisposto a ritrattare i propri giudizi, avendolo – credo personalmente – preso a cuore.

 

Spero commentiate numerosi e se non l’avete fatto che diate un’occhiata anche a “Le mie prigioni” con il nostro Serpeverde preferito.


Alla prossima,

 

Kiki87
   
 
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