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Autore: LOVA    29/05/2010    1 recensioni
"DOnne che piengono" è una raccolta di pensieri e sensazioni di donne tutte diverse tra loro, di diversa nazionalità, epoca e cultura, ma accomunate dai loro sentimenti, dai loro problemi e dai loro ruoli.In ognuna c'è un sentimento che prevale.Non hanno nome perchè sono donne comuni, nelle quali chiunque può identificarsi.spero di avervi incuriosito..:-)
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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libro 1 donne k p

Salve! Questa nasce come brave raccolta di vite di donne che non hanno nome ne identità, ma che si prestano solamente a quel gioco che chiamiamo “vita”. Tutte loro avranno una funzione importante nella vita degli altri, ma della loro vita non si saprà nulla, piuttosto si avranno delle percezioni. Il prossimo libro non è ancora scritto... diciamo che è ancora solo un'idea, ma cercherò di buttare giù qualcosa prossimamente!Ringrazio in anticipo quelli che leggeranno. Spero vi piaccia. Un bacio. Lorena




LIBRO 1

Un debole raggio di sole mi colpì in pieno viso, aggirando le tendine plastificate che facevano da scudo alla mia finestra. Era una giornata soleggiata per gli standard della piccola cittadina nei pressi di O. nella quale vivevo. A fatica mi alzai dal letto e scostai di poco la tenda. Pioggia. L'ennesima pioggia acida si abbatteva leggera sulla città: la strada era un fiume rosso ruggine che scendeva dalla collina poco lontana e la gente, con gli stivaloni in plastica scadente, correva riparandosi malamente con oggetti di fortuna.

Quella mattina mi sentivo più fiacca del solito: avevo la schiena indolenzita e mi pulsava la testa.

Avevo trascorso la serata al pub Kuiper e, con i pochi spiccioli che mi erano rimasti dalla paga mensile, avevo buttato giù un po' di vodka alla fragola, per tenermi al caldo. Come ci ero arrivata a casa mia non lo sapevo. Doveva avermi riaccompagnata Pavel.

Scostai leggermente gli infissi in legno per permettere alla stanzetta di arieggiare e liberarsi dell'aria pesante della notte.

Le voci dei passanti mi affollavano la testa. Certo che avevo proprio esagerato ieri!

Andai in bagno e mi sciacquai il viso con l'acqua del catino preparata stamattina da Sasha, in modo che si facesse tiepida vicino alla stufa a legno. In casa ero sola. La zia doveva esser già andata a lavoro. Il suo turno cominciava alle 5 del mattino, ed erano solo le 7: potevo prendermela comoda stamane poiché avrei cominciato solo alle 2. Andai in cucina per prepararmi un caffè. Erano 2 giorni che usavamo lo stesso fondo e ormai il caffè sporcava solo l'acqua, ma il denaro scarseggiava... Assaggiai la mia dose d'acqua sporca: faceva letteralmente schifo! Aveva un sapore di sporcizia misto a fango.

Dopo averlo buttato giù d'un sorso pulii la misera cucina e le stanze. L'odore degli agenti chimici mi disturbò in modo tale da costringermi a spalancare le finestre in pieno dicembre e respirare una boccata d'aria popolare.

In questo paese di cemento non cresceva più un filo d'erba da anni ormai e i negozi erano quasi tutti chiusi o mezzi vuoti.

Come tutte le mattine era doloroso alzarsi e cominciare un'altra giornata presumibilmente uguale alla precedente...


Di restare a casa non se ne parlava quella mattina. Mi sentivo troppo strana e irrequieta per potermene stare tra queste quattro mura aspettando le 2.

Stranamente quella mattina non avevo affatto freddo. Normalmente mi sarei lamentata per ore dell'acqua che aveva battuto insistentemente sul vetro della mia finestra stanotte e del ghiaccio che si era formato sul balconcino e che aveva sostituito le goccioline di pioggia. Il freddo della giornata invernale non aveva reso il mio animo più grigio di quanto non fosse di solito.

La mia vita sembrava non avere ne inizio ne fine. Se non fosse per il certificato che decretava la mia data di nascita avrei giurato di stare su questa terra sin dai tempi della pietra.

Dopo aver indossato jeans e maglione, presi il cappotto dalla sedia e mi avviai per le scale del pianerottolo dell'antica palazzina dove occupavo, insieme a mia zia Sasha, l'interno 16.

Arrivata al secondo piano mi fermai titubante alla porta di Pavel.

Sicuramente a quell'ora era completamente immerso nel mondo dei sogni e, magari, stava sognando i suoi magnifici paesaggi tropicali o semplicemente una bella città vivace e colorata.

Questi però sarebbero rimasti solo sogni. Per noi non c'era colore se non il bianco della neve e il verde degli agenti chimici che usavamo per ripulire le cisterne e i macchinari della fabbrica.

Pavel Lazareva lo conoscevo da quando avevo 10 anni, quando mi trasferii qui da mia zia dopo l'abbandono da parte dei miei genitori.

Lui mi aveva trovato piangente, seduta su di un gradino di pietra del palazzo.

Che fai?” mi chiese, con tutta l'innocenza che un bambino di 11 anni può avere.

Piango. Non si vede?” risposi io. Un po' troppo acida per essere una bambina.

E perché?”

Perché voglio andare via.” dissi, con la voce rotta dal dolore.

Dai, non fare così. Sai, anche i miei dicono sempre di voler andare via. Io però gli ho promesso che, quando sarò grande e diventerò ricco, andrò a vivere in una città stupenda, di quelle che si vedono solo in TV, e li porterò con me. Puoi venire anche tu, se ti va.”

Grazie.” risposi in maniera automatica, e gli sorrisi. Dentro di me però vi era solo il desiderio di assecondare la sua illusione, infondo cos'è la vita senza illusione e senza sogni? Beati coloro che vivono di fantasie, perché non guardano ogni giorno in faccia i dolori della vita e vivono sempre di nuove speranze.

Da allora Pavel non aveva mai smesso di sognare, nemmeno dopo la morte dei suoi genitori, quando aveva dovuto rimboccarsi le maniche e provvedere a se stesso.

Noi eravamo amici, fratelli, amanti... per lui io ero tutto e mi adorava come una musa. Trascorrevamo intere giornate insieme.

Il suo era un affetto speciale: lui non cercava solo il mio corpo e non aveva bisogno di me per non sentirsi solo. Pavel mi amava di un amore illimitato, impossibile, inspiegabile. Un amore sincero e naturale, vissuto nella più suprema ingenuità e che purtroppo io non riuscivo a corrispondere in maniera così genuina.

Anche io, a modo mio lo amavo. Per me lui era tutto. Era lui che mi faceva sorridere, che mi tirava su il morale, che mi consolava e che mi tendeva la mano. Ma io ero diversa. Io non ero in grado di amare. Non so da dove partisse il mio problema, ma l'affetto che rivolgevo agli altri era intriso di compassione. Eppure non sarei mai stata capace di vivere senza di lui.

Dopo aver indugiato per qualche minuto sulle scale decisi di bussare, ma non ebbi neanche il tempo di far scontrare le mie nocche con il duro legno della porta che questa si aprì e delle labbra morbide e tiepide premettero sulle mie con passione.

Ah”sospiro soddisfatto Pavel, una volta staccatosi da me.

Hey!!” dissi io con disappunto “ ma ti pare il modo? Mi hai fatto prendere un colpo!”

si” disse semplicemente lui, e mi baciò ancora.

Io sorrisi sulle sue labbra e passai le dita tra i suoi morbidi capelli castani. Il bacio divenne più passionale e per farlo smettere gli tirai leggermente una ciocca alla base della nuca.

guarda che siamo ancora sul pianerottolo di casa...”

si?”

si..”

beh, allora perché non ti accomodi?” e sfiorò col suo naso la punta del mio.

Spalancò la porta ed io mi accomodai.

allora, mi fai vedere qualche nuovo capolavoro?” gli chiesi mentre mi dirigevo in cucina alla ricerca di un caffè decente. Si, Pavel era un artista o meglio, oltre ad essere un operaio era un artista: dipingeva, intagliava, scolpiva, e il suo studio era off-limits per tutti gli esseri dotati di cuore e polmoni.

Recentemente erano venuti a fargli visita degli amici dalla Germania e avevano rifornito il suo frigo di cose di alta qualità (biscotti, pasta, caffè... ), ed io mi sentivo più che in diritto di approfittarne!

Non oggi” mi rispose, spuntando improvvisamente dalle mie spalle e cingendomi la vita con le braccia.

come non oggi? Cos'è, illegale?”

no no, è una sorpresa... “

mmm... io odio le sorprese!” non era vero.

non è vero. Tu le adori e dici che non è vero perché speri che io ceda e ti faccia spiare.” Duh!

la sorpresa non è ancora pronta. Quando lo sarà potrai vederla.”

sei ingiusto! Non dirmi allora che c'è una sorpresa per me se poi non posso godermela! E poi è una sorpresa a metà se mi hai già detto che... “

Shhh... zitta. Sono le 8, ieri abbiamo fatto abbastanza tardi e stamattina abbiamo dormito poco. Smettila di blaterare.”

Fece per andare in salotto ed io lo seguii, accomodandomi sul divanetto a due posti e rilassando le gambe sulle sue. Pavel mi tolse le scarpe e mi massaggiò i piedi.

sono già gelati.” disse sottovoce, come dispiaciuto. Io avevo sempre gli arti gelati, e questo poteva infastidire molto le persone, dato che il freddo in questa zona non mancava.

eh si. A proposito, grazie per avermi riportata a casa sana e salva ieri. Beh, in verità io non ricordo molto...”

Pavel scoppiò in una fragorosa risata, ed io con lui, anche se non sapevo di preciso perché. Ma era sempre così: il suo sorriso mi metteva sempre di buon umore... per fortuna.

certo che non ricordi nulla”

ero brilla e... “

no, no. Non eri brilla. Eri sbronza! Ubriaca persa! Ieri dicevi perfino di voler avere un bambino!” altra risata “ lo chiedevi a chiunque al pub, e qualcuno ha anche risposto di si! Fortuna che c'ero io... tzè.”

scusa”mormorai imbarazzata “il mio comportamento deve averti molto infastidito. Ti capisco se vuoi farmi una ramanzina coi contro-fiocchi. E poi dovevo essere del tutto ubriaca per dire una del genere!!”

si, ti assicuro che lo eri o queste parole non le avremmo mai sentite da te.”

Gli diedi un pizzicotto giocoso sulla guancia per poi distendermi di nuovo sui cuscini.

Pavel si tirò addosso il plaid e si stese su di me, avvolgendomi col suo abbraccio e lasciando una scia di bacetti sul mento e sulla linea della mascella. La sua pelle leggermente abbronzata, i suoi occhi ambrati così penetranti, i suoi capelli così morbidi, le sue spalle larghe e le sue mani calde mi mandavano in paradiso e mi facevano sentire la donna più fortunata dell'universo, ma anche quella più egoista perché nei suoi confronti mi sentivo sempre ingiusta, inadeguata. Avrei voluto ricambiarlo in modo adeguato, come un uomo unico come lui meriterebbe, e forse io inconsciamente lo facevo ma non mi sembrava mai abbastanza...

dai...”

...dai che? Vuoi già passare oltre eh? Però, non ti facevo cos...”

ma non gli diedi il tempo di finire la frase che gli chiusi le labbra tra due dita. Come al solito aveva voglia di scherzare... e non solo.

volevo dire dai, no! Se mi lasciassi finire una frase ogni tanto ci capiremmo al volo. Tesoro” dissi cercando di prenderlo dal punto giusto “mi sono svegliata da un'ora più o meno, ho ancora la testa che mi pulsa e lo stomaco mezzo vuoto. Ti dispiace?”

no amore mio” disse lui con un sorriso. Ce l'avevo fatta: lo avevo respinto con grazia, se così si può chiamare il mio rifiuto. E ancora una volta mi baciò.

a che ora vai oggi? “

alle due e dovrei tornare a casa per le otto. Ceniamo insieme?”

non posso... io comincio alle 19, quindi non ci vedremo fino a domani, a meno che...”

a meno che...?

a meno che non pranzi con me oggi! Dai, ti preparo un pranzo degno di una regina!”

ok. Ma solo se lavi anche i piatti!”

scoppiammo a ridere e ci alzammo dal divano per riordinare casa e preparare il pranzo. Il piano di prendere una boccata d'aria fresca era andato in fumo...


Sei mesi dopo...

tok tok...” e mia zia aprì la porta senza aspettare una mia risposta.

Avanzò tendendomi le braccia e stringendomi la vita.

come va?” mi sussurrò all'orecchio con fare materno e comprensivo.

bene. Perché?”

tesoro non hai bisogno di mentire con me. Io so come ci si sente in queste situazioni.”

ma io sto davvero bene! Sono dieci giorni che continui a chiedermelo e a costringermi a confidarti le mie pene!io sto B-E-N-E!”

va bene, va bene. Non c'è bisogno di essere così acide!”

ah. Scusa. É che non sei l'unica a pressarmi per questa storia e, davvero, sono esausta.”

davvero stai bene? Tu e Pavel siete stati insieme per così tanto tempo! Come fai a non soffrire? Non ti manca? Non sei... gelosa?” disse, mentre mi poggiava le mani sulle spalle e mi scrutava dritta in viso.

no, non lo sono. Davvero. A dire il vero non mi interessa neppure. Va bene così. Non ci siamo mai promessi niente. Lui ha fatto la sua scelta, ed io la mia. È stato meglio così, credimi. Prima o poi sarebbe successo comunque, ma grazie per l'interessamento.”

tesoro, tu lo amavi.”

no zia, io non lo amavo.”e forse era vero. Pevel si era sposato il mese scorso. Era successo tutto così velocemente che, a dir la verità, non avevo nemmeno ben capito come.

Il regalo che Pavel mi aveva tenuto nascosto era un perfetto ritratto di me avvolta in una asciugamano, appoggiata ad una finestra con lo sguardo perso a guardare il mare.

ti piace?” mi chiese, cingendomi i fianchi e baciandomi una guancia.

si, è stupendo.”

ma non è l'unica sorpresa.”disse, nella sua voce ansia e impazienza.

eh?”

mi girò verso di lui, tracciò i contorni del mio viso e mi bacio dolcemente poi, lasciandomi imbambolata al mio posto, si chinò su di un cassetto e ne estrasse una scatolina in velluto scuro. Non ebbi il tempo di realizzare quello che stava per fare che lo vidi inginocchiarsi di fronte a me, con la scatolina di velluto tra le mani.

ti amo. Ti ho sempre amata e ti amerò per sempre. Vuoi sposarmi?”

Niente. Avrei tanto voluto parlargli, rispondere alla sua domanda, o alle mille altre che, in questi secondi che mi sembravano ore, i suoi occhi mi stavano ponendo, ma nulla. Il mio cuore sembrava immobile. Il respiro era lento, come se stessi dormendo. E poi, come a voler concludere velocemente quell'incontro sussurrai un “non posso. No.“ Mille emozioni passarono sul suo viso. Paura, dolore, frustrazione... e poi l'ultima:rabbia.

Ci scrutammo a lungo, occhi negli occhi, fin quando non fui io a prendere l'iniziativa, e uscii dalla porta dello studio.

Pavel mi rincorse e mi afferrò per un polso. Io non mi girai, rimasi con gli occhi incollati alla porta di ingresso.

Lasciami” sussurrai. Lui mi si avvicinò da dietro mki strinse un po' di più il polso e mormorò al mio orecchio:

ti lascio, ma non tornare mai più”.


È così che è terminata la nostra storia. Con un “mai più” sussurrato ad un orecchio.

ti aspetto fuori” disse zia Sasha, e si chiuse la porta alle spalle.

Mi voltai e, dando un'ultima occhiata alla stanza dalle tendine plastificate, chiusi con un gesto la valigia che avevo preparato.

Mi avviai pesantemente per le scale con un unico desiderio: la fine di questo viaggio non ancora iniziato.

Scesi i gradini piano, uno ad uno, senza fratta e senza badare troppo a ciò che mi circondava, fin quando non raggiunsi il secondo piano e mi scontrai con degli occhi azzurri che mi squadrarono da capo a piedi.

La ormai signora Lazareva mi guardava con un'espressione indecifrabile sul viso. I suoi occhi mi penetrarono come due spine in cerca di qualcosa poi, con noncuranza mi superò, infilò le chiavi nella toppa e si chiuse la porta alle spalle. Io invece ricominciai a scendere le scale, molto lentamente.

  
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