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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    31/05/2010    5 recensioni
"Con un fischio sommesso, il convoglio della metropolitana si fermò; data l’ora, erano poche le persone che sostavano sulla banchina, in attesa, e ancora meno quelle che scendevano dai vagoni, tra musicisti con le custodie degli strumenti in spalla ed espressioni stravolte e donne che rientravano a casa, solo una figura si distingueva dalle altre, magra e alta, avvolta in un cappotto color petrolio che la proteggeva dal freddo di fine novembre, quando Londra veniva ammantata di nebbia e malinconia, una malinconia che nemmeno il gelido vento del Nord riusciva a spazzare via, quando i Docks di St. Catherine vengono avvolti dalle argentee foschie che dalle brughiere scozzesi giungono al mare, quando i fantasmi della vecchia Torre si risvegliano, gemendo, quando i corvi gracchiano malinconici sui rami scheletrici.". Piccolo tributo per il mio gruppo preferito...
Genere: Generale, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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WE'RE STILL HERE

Con un fischio sommesso, il convoglio della metropolitana si fermò; data l’ora, erano poche le persone che sostavano sulla banchina, in attesa, e ancora meno quelle che scendevano dai vagoni, tra musicisti con le custodie degli strumenti in spalla ed espressioni stravolte e donne che rientravano a casa, solo una figura si distingueva dalle altre, magra e alta, avvolta in un cappotto color petrolio che la proteggeva dal freddo di fine novembre, quando Londra veniva ammantata di nebbia e malinconia, una malinconia che nemmeno il gelido vento del Nord riusciva a spazzare via, quando i Docks di St. Catherine vengono avvolti dalle argentee foschie che dalle brughiere scozzesi giungono al mare, quando i fantasmi della vecchia Torre si risvegliano, gemendo, quando i corvi gracchiano malinconici sui rami scheletrici.

Un cappello scuro calato sul viso ne nascondeva i lineamenti al mondo esterno.

La misteriosa figura seguì il corridoio angusto e illuminato a giorno dai neon, immerso nei suoi pensieri sembrava non fare nemmeno caso alla strada che stava percorrendo, lo sguardo era insistentemente puntato verso il basso.

Si orientò alla perfezione nell’intrico di corridoi e tunnel sino a sbucare, finalmente, nel quartiere di Kensington.

Una volta fuori dalla stazione sussultò, non era più passato da quelle parti ma nulla era cambiato.

Quell’angolo, tra le due case in stile vittoriano…

Ricordava di aver trovato un gattino una volta, e di averglielo regalato…

La caffetteria dall’altro lato della strada…

I caffè e gli strudel più buoni di Londra, non passava giorno senza che ci avessero passato almeno un paio d’ore, soprattutto in inverno, quando Vickie, la proprietaria, sfornava quelle deliziose formine di pasta sfoglia farcite di marmellata di mele e guarnite con piccoli granelli di zucchero colorato, immancabilmente trasformavano il bancone in un campo di battaglia cosparso di appiccicosa dolcezza.

Socchiuse gli occhi, l’aroma dei dolci lo poteva sentire sin da lì.

Sorrise piano, sentendo il peso di qualche moneta nella tasca dei pantaloni.

Dieci minuti dopo, lo strano personaggio uscì dal negozio, salutando allegramente la commessa, tra le mani aveva un fagotto pieno di fragranti delizie e il cuore colmo di gioia, una gioia effimera ma era così bello sentire di nuovo quella sensazione.

Consapevole di essere in ritardo, egli allungò il passo, costeggiando la strada trafficata e caotica, ma non ci fece molto caso, Londra era la sua città, la conosceva bene e scene del genere le aveva viste ogni giorno della sua vita; High Kensigton Road scivolò tranquilla sotto i suoi occhi appena abituatisi alla luce fioca del crepuscolo d’inverno, mentre i suoi pensieri scorrevano rapidi con lei.

Era nervoso, sentiva il cuore battere fortissimo e il respiro affannoso, erano passati davvero troppi anni e si chiedeva come mai non ci avesse pensato prima…

Logan Place si stendeva dinanzi a sé, muta e tranquilla come sempre, immersa in quel torpore che sa di attesa del Natale, attraverso le finestre vedeva distrattamente famiglie e gruppi di amici al caldo in salotti pieni di affetto e risate mentre facevano l’albero, sistemavano le decorazioni e si godevano appieno quei momenti speciali…

Provò una fitta improvvisa al cuore mentre vagava tra ricordi fumosi e talmente lontani da essere quasi sbiaditi.

Sapeva di sbagliarsi, era certo che fosse la sua immaginazione, ma per un momento fu come se qualcuno stesse ridendo alle sue spalle, una risata genuina e conosciuta.

Una lacrimuccia fuggiasca scese dalle palpebre, celate dagli occhiali scuri.

Voltò finalmente l’ennesimo angolo, trovandosi dinanzi una lunga strada, costeggiata per un tratto da un alto muro di arenaria grigia; nell’ombra, illuminati dalla fioca luce di un lampione, poggiati, quasi rannicchiati, contro una porta in legno, verde se la memoria non lo ingannava, stavano due uomini.

Sapeva che lo stavano aspettando e il calore dei dolci appena sfornati sulle sue dita gli diede la forza di raggiungerli.

"Ciao…" azzardò timidamente, consegnando a ognuno di loro uno degli strudel, "Sono passato a prenderli, ecco perché sono in ritardo." Si giustificò con un sorriso, levandosi il cappello e scoprendosi la testa; quello più vicino a lui gli diede uno scherzoso pugno sulla spalla: "Lo immaginavo" esclamò quello con aria saputa, "Brian credeva che non saresti venuto…" confessò a voce bassissima, quasi in colpa, "Ma io ero certo che ti saresti almeno fatto vedere, Johnny! È un giorno speciale, non saresti mai potuto mancare." replicò, guardando con aria torva il compagno che sbocconcellava il delizioso dolcetto, "non è proprio così, Roger," intervenne l’altro con un sorriso malinconico sul volto cosparso di rughe, "ero preoccupato per il suo ritardo, di solito quello puntuale è sempre stato lui.".

John scoppiò a ridere, cingendo con le braccia le spalle dei suoi amici: "Scusatemi…" borbottò al loro orecchio, "di tutto…" aggiunse, "Di dieci anni di lontananza o per esserti dimenticato di prendermi lo strudel con le more?" chiese Brian con piglio severo, esaminando il sacchetto con attenzione, "sicuro di aver controllato bene?" ghignò il bassista, aumentando la pressione della stretta; Roger gli prese improvvisamente il cappello di mano, sventolandolo come una bandiera, "non dire stupidaggini Johnny," lo rimbeccò il batterista, "Avevi tutte le ragioni di questo mondo, non hai nulla di cui rimproverarti." lo rassicurò l’amico, giocherellando con il copricapo, "se non ti sentivi di andare avanti non hai colpa. E poi, hai accettato di rivederci: per quanto mi riguarda, ogni risentimento che potevo avere con te è morto non appena ti ho visto in fondo alla strada, anzi, sono in debito io con te per il dolce!" esclamò il biondo, levandosi gli occhiali.

La via si riempì delle risate sincere dei tre amici, quelle stesse risate di cui era orfano il grande cortile al di là del muro alle loro spalle, quelle risate che a loro volta erano orfane di una quarta.

Ci vuole coraggio per affrontare la vita anche con gli amici più cari al proprio fianco, ma ce ne vuole di più per affrontarla senza l’amico più speciale e sincero.

Erano passati ormai diciotto anni, eppure le ferite del cuore non erano guarite, non ancora almeno.

E John Deacon era sicuro che non sarebbero mai guarite del tutto.

Gentilmente, si staccò dai due compagni, sfiorando con le dita pallide la grigia muraglia, come una carezza, disegnava semplici forme geometriche sulla pietra fredda.

"Mary mi ha dato la copia delle chiavi nuove," esordì improvvisamente Brian, "Ha detto che possiamo entrare quando vogliamo." aggiunse il chitarrista, poggiando una mano sulla spalla del bassista; ma lui scosse la testa cupo: "Che senso avrebbe entrare lì dentro?" chiese con semplicità, puntando i grandi occhi colmi di lacrime e parole non dette sul viso dell’amico, "Nessuno… quel posto è troppo pieno di ricordi." decretò, voltando lo sguardo per prendere un fazzoletto dalla tasca.

Roger fece per aprire bocca quando una voce femminile, stonata ma allegra, ruppe il silenzio della notte.

I tre fecero appena in tempo a rimettersi gli occhiali e i cappelli prima che, dal fondo della strada, comparissero due figure, intabarrate con sciarpe e giacconi, la più bassa era quella che cantava, saltellando accanto all’altra, che sembrava scrutarla con aria severa.

Con stupore, i tre identificarono la canzone.

"Piantala!" proruppe improvvisamente il compagno della cantante improvvisata, era un ragazzo a giudicare dalla voce profonda, "Su, muoviti! Qual è la casa?" disse lui con tono affrettato e scocciato, "è quella laggiù!" rispose la ragazza, puntando un dito paffuto verso l’edificio alle spalle dei tre musicisti, "forza, dammi la macchina fotografica, ci penso io." le replicò il maschio, consegnandole una cartella in pelle. (*)

Nascosti nell’ombra del cancello, Brian e Roger osservarono con interesse quella coppia di adolescenti, notarono come il ragazzo s’arrampicava agilmente sul muro della villa davanti a loro per scattare alcune foto, mentre la ragazza vagava con aria sognante avanti e indietro, gli occhi puntati con affetto e ammirazione sull’abitazione.

"Sono italiani…" sussurrò John, riconoscendo finalmente la lingua con cui si erano espressi i due, "devono essere turisti… avete sentito?" disse, richiamando la loro attenzione; entrambi i suoi amici annuirono, osservando con curiosità la ragazza afferrare la macchina fotografiche che le aveva passato il coetaneo e scattare qualche foto dal basso del muro e del cancello in legno.

Sino a notarli.

Per qualche istante, rimasero immobili, guardandosi negli occhi come belve feroci intente a studiarsi.

Poi, la ragazza si avvicinò a loro, goffamente, con la fotocamera in mano: "Excuse me, Can I take some pictures of this?" chiese timidamente, indicando la porta dipinta di verde.

Brian e Roger annuirono all’istante, spostandosi subito.

Ma John rimase lì, fermo immobile, sotto lo sguardo curioso e inquieto della ragazzina; il compagno di lei fece per tirarla via, ma la giovane glielo impedì, opponendo una decisa resistenza.

In un gesto di pace, lei consegnò al bassista, un perfetto sconosciuto per quanto la riguardava, una cuffietta da iPod da cui si diffondevano le note di Who Wants to Live Forever.

"My bro and I are Italians," spiegò pazientemente lei, vedendo l’espressione confusa e stupita del suo interlocutore, "I simply love Queen band and we’re here to take some pic of Freddie’s house." aggiunse, "I have this," e da dietro la schiena tirò fuori una rosa rossa, bellissima nel suo involto di carta crespa, "I want to leave it here, so I can stay always in this place with my heart.".

I tre Queen erano semplicemente rimasti a bocca aperta.

Permisero con gioia ai due fratelli di poggiare il piccolo tributo accanto alla porta, li salutarono con calore mentre li vedevano allontanarsi, abbracciati nella notte, per qualche minuto sentirono i loro passi allontanarsi sino a scomparire del tutto, riportando il silenzio nella via nuovamente deserta.

Gentilmente, Brian prese il fiore, consegnandolo poi a John: "Che dici?" sorrise il chitarrista, cingendogli le spalle con un braccio, "Entriamo in casa prima che questo povero fiore soffra per la mancanza d’acqua.".

Roger li raggiunse e, non visti da nessuno, s’intrufolarono dal cancello, chiudendoselo poi alle spalle.

 

 

"I still love you..."

   
 
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