Poi, di nuovo il silenzio
«SAKURA!!!»
“Ohi, ohi”, pensò una
certa ragazza dai bizzarri capelli rosa.
Sasuke non urlava mai. Di solito.
Tuttavia, da quando
stavano insieme, Sakura aveva sperimentato che anche un Uchiha poteva perdere
il controllo. Sasuke passava da un estremo all’altro: o parlava poco e piano, o
strillava con tutta la voce che aveva in gola.
Per Sasuke Uchiha, le vie
di mezzo non esistevano.
Ad ogni modo, il punto focale della questione non era tanto il
fatto che Sasuke stesse urlando; bensì era il motivo, per cui lo stesse
facendo.
E Sakura lo conosceva,
quel motivo.
Decise, coraggiosamente, di rispondere.
«Sì, Sas’ke?»
«Vieni di sopra, immediatamente!», tuonò lui,
sottolineando l’ultima parola.
Sakura deglutì, ma obbedì.
Così, a passi lenti, salì le scale, come se stesse andando al
patibolo.
E giunse lì, dove Sasuke
l’aspettava, seduto sul letto della loro camera.
Teneva le braccia
conserte, le labbra serrate e gli occhi neri di rabbia puntati su di lei.
Sakura si avvicinò a testa
bassa, sentendosi colpevole come un bambino dopo aver compito una birichinata;
e si fermò in piedi davanti a lui.
«…C-che succede?», mentì, intimorita dallo sguardo del ragazzo.
«Dimmelo tu», tagliò corto Sasuke.
«Ehm…», tergiversò lei.
«Sakura Haruno! Vieni con me», si spazientì il moro, alzandosi
di scatto e trascinandola via per un polso. La condusse in bagno, e lì si
scoprì lo scempio: se non tutti, la maggior parte dei vestiti di Sasuke si era
ristretta di quattro taglie dopo un palese lavaggio sbagliato, e ora giaceva a
terra, più simile ad una pila di stracci.
«Cos’hai da dire a tua discolpa?», chiese lui, indicando con gli
occhi il pavimento.
«Mmm… Che giusto ora stavo andando a comprarti dei vestiti
nuovi…?», rispose, alzando progressivamente il tono di voce.
Sasuke sollevò un
sopracciglio. E Sakura sospirò pesantemente.
«Oh, andiamo Sasuke! Te l’avevo detto che non sono brava in
queste cose!»
«È vero, me l’avevi detto. Tuttavia pensavo, anzi, speravo, che
non fossi così imbranata!»
«Scusa… Che altro posso dirti?», disse lei, sinceramente
dispiaciuta.
Sasuke la fissò, e
sospirò.
«Sei un caso senza speranza»
«…»
Sasuke, sbuffando, uscì
dal bagno.
«Dove vai?», si riscattò Sakura, seguendolo.
«Secondo te?», ribatté
lui, scendendo rapidamente le scale.
L’ultima cosa che Sakura
vide fu il portone chiudersi.
Sospirò, abbattuta. Come
poteva farsi perdonare?
All’improvviso la rosa
s’illuminò.
Corse giù in cucina e,
senza perdere altro tempo, cominciò a cercare fra gli scaffali l’occorrente,
disponendolo sul tavolo. Quindi si mise al lavoro.
Sasuke tornò che erano le dieci, con due sacchetti in mano.
Come ogni volta che
rientrava a casa, non disse una parola.
Fece per dirigersi al
piano di sopra, quando si accorse della luce fioca proveniente dalla cucina.
«Sakura?», la chiamò. Ma non ottenne risposta, né sentì rumori.
Entrò in cucina e la vide:
Sakura dormiva appoggiata al tavolo, con la testa sprofondata tra le braccia e
i capelli rosa davanti al viso.
Al centro della tavola, il
suo piatto preferito: torta salata. Con un “scusa” pasticciato sopra con la
salsa. Sasuke sorrise ad occhi chiusi, risollevando lo sguardo sulla compagna.
Le si avvicinò,
scuotendole piano la spalla.
«Sakura, prenderai freddo», mormorò.
La ragazza pian piano aprì
gli occhi, mettendo a fuoco.
«Oh! Sasuke… Ma… Oddio, mi sono addormentata. A che ora sei
tornato?», bofonchiò stropicciandosi gli occhi.
«Adesso. Vieni, andiamo a dormire», rispose piano, prendendola
in braccio.
«Ti ho preparato la torta salata. Hai mangiato qualcosa?»,
domandò Sakura contro il petto del ragazzo, mezza intontita dal sonno.
«Ho visto. Sì, ho incontrato Naruto e Hinata, così abbiamo
mangiato qualcosa insieme»
«Ramen, ovviamente»
«Ovviamente»
Mentre facevano le scale,
Sakura urtò con un piede i sacchetti di Sasuke, e per un attimo si risvegliò
dal torpore.
«Oh, già. È vero. Ho combinato un casino. Hai trovato qualche
vestito?»
«Naruto ha insistito per prestarmi qualcosa»
«Non mi dirai…»
«No. Niente tuta arancione»
«Pheew! Stavo seriamente cominciando a preoccuparmi… Yaaawn!»,
disse, aggiungendo un sonoro sbadiglio.
«Comunque, il sacchetto che hai urtato non è quello dei vestiti»
«Ah, no?»
«No», rispose atono il moro, mentre entrava nella stanza e
stendeva la ragazza sul letto.
«Che cos’è?», chiese Sakura, sebbene sentisse le palpebre molto
pesanti.
Sasuke si sedette vicino a
lei, porgendole la busta di plastica, ma senza dire una parola.
Sakura cercò una risposta
qualsiasi nei suoi occhi. Ma subito capì che avrebbe fatto prima sbirciando il
contenuto del sacchetto; così lo prese in mano e ne trasse fuori una scatola
colorata, tipica da dolci.
Sakura lo fissò accigliata.
«Vuoi vendicarti su di me facendomi ingrassare?»
«Apri», le ordinò lui, con tono seccato.
Detto fatto, la ragazza
aprì la scatola, con estrema delicatezza; e nel momento in cui vide cosa c’era
al suo interno, sgranò gli occhi: torta alle ciliegie. La sua preferita.
Rimase incantata, a fissare la parola “scusa” scritta col
cioccolato, per due buoni minuti.
Quando si riprese, guardò
il bell’Uchiha, che tentava di nasconderle il visibile rossore delle sue guance
guardando dritto, davanti a se.
La ragazza ridacchiò e si alzò per abbracciarlo. Ma slanciandosi
per farlo, tirò una ginocchiata alla
scatola, e così la superficie della torta si spiaccicò sull’ultima maglia pulita di Sasuke, che ebbe solo
il tempo di dire: «Sakura!».
Sakura si staccò da lui immediatamente, portandosi le mani alla
bocca non appena vide quel che aveva combinato.
«I-Io… È che… Cioè… Scusami!»
Un sbuffo uscì dalla bocca
di Sasuke.
«Dai! Vieni in bagno! La butto in lavatrice!», esclamò,
alzandosi di scatto dal letto.
«No! Meglio di no…»
«Solo lavaggio a mano questa volta. Promesso»
«Uff… Ok»
Sakura sorrise. «Ok! Dai,
vieni che te la levo!»
Sasuke la fissò interdetto
per qualche secondo. «Puoi ripetere?»
«Che te la… Wah! Lavo! Te la lavo!…Lavo… Idiota!», sussurrò alla
fine a se stessa.
Sasuke sogghignò.
Si avvicinò a lei, e l’abbracciò.
«S-sasuke… Hah! Nooo! Così hai sporcato anche me!!!», si
lamentò lei, mentre cercava di scrollandoselo via.
Sasuke ridacchiò, prima di
cominciare a “torturarle” il collo con le sue labbra.
«E qual è il problema? Andiamo al bagno e le leviamo
insieme…»
«F-forse intendevi dire laviamo»
«No, no. Volevo proprio dire leviamo», disse spingendola
in bagno.
Poco dopo, lo scroscio
d’acqua della doccia, riempì la stanza.
Ma, quella notte, solo un
altro rumore si udì in quella casa: quello sordo di una porta che si chiudeva.
Poi, di nuovo il silenzio.
End