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Autore: Eos del Tramonto    02/06/2010    1 recensioni
A volte è necessario andare contro la propria natura: un servitore può divenire il cavaliere di un'assassina, se ciò può essere utile a salvarla. Se però il servitore è legato al suo padrone, possibile vittima dell'assassina...Chi dev'essere salvato?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                                           Io sono un grande amante del passato

Non amando nulla,perché è già tutto finito;

al suo pensiero godo e mi rallegro

Ma se lo perdo, cresce il mio dolore,

Come colui che è condannato a morte

E da tempo lo sa e si forza,

E gli danno a credere che sarà graziato

E lo mandano a morte senza nessun ricordo”.

Ausias March

 

 

 

 

Che cos’è il vero amore?

 

Presa. Calore e freddo di stoffa sulle mani.

Urla e rancore.

Sapore di sangue.

Odore di polvere da sparo.

Verde e Rosso.

Confusione.

 

Che sto facendo?

 

“Lo ucciderò la prossima volta!”

 

Sto correndo.

 

“Fermati, te lo ordino!”

 

Sto disubbidendo.

 

“Dove va quel signore docile come un’ombra?”

 

Non lo so, le gambe si muovono da sole…Ehi, un momento, ma non le aveva sparato?

 

“Fermati!”

 

Sto disubbidendo.

Sì, so di averlo già detto…Ho ubbidito tante di quelle volte che, per rendermi conto di quello che sto facendo, devo ripetermelo un paio di volte.

 

“Corri! Prendila!”

 

O forse sto ubbidendo?

Come al solito, come sempre?

A chi sto ubbidendo?

 

Sono veloce.

 

Tutti mi dicevano sempre che ero lento, in tutto.

Per correre.

Per lavorare.

Per capire.

Lento.

 

Non che la lentezza sia poi così male, eh? Me ne lamentavo, ma in alcune situazioni poteva risultare comoda; chi è lento, tutto sommato, non crea troppe aspettative e mi sono potuto crogiolare per molto tempo in fantasie irrealizzabili, di bambino, senza che nessuno cercasse di spingermi in una direzione piuttosto che in un’altra. Nei limiti del possibile, ovviamente.

 

Questa volta però voglio essere veloce.

Non voglio fermarmi, anche se mi manca il fiato, a correre così.

Dio mi deve aver dato davvero dei polmoni piccoli, mi sento come se dovessero implodere da un momento all’altro, incapaci di trattenere l’aria che avidamente cerco di respirare, nonostante l’affanno che mi ha preso al petto.

In compenso il cuore fa benissimo il suo dovere, pure troppo: batte come un metronomo regolato su una melodia troppo frenetica, pulsa convulsamente, quasi dolorosamente; lo sento premere contro la carne del torace, a ogni battito.

 

Il dolore alla ferita sta passando quasi in secondo piano.

 

Sono diventato bravissimo a sopportare il dolore.

 

Il Principe Ludwig mi ha usato tante di quelle volte come sacco per tirare pugni, scendiletto, bersaglio mobile per la frusta,per la  fionda, per l’arco, per il fucile, il bazooka, tavolo per i libri, puntaspilli per il sarto, collaudatore di torture, anti-stress per gli alani prima che li castrassero…

 

Sì, è un miracolo che sia ancora vivo.

Ormai posso sopportare veramente tutto..

 

Che poi…Non è che sia proprio dolore…E’ più un fastidio, un misto di pizzicore e bruciore, leggero, ma persistente…

Come tagliarsi con la carta, sbucciarsi un ginocchio, strofinare la schiena nuda contro una pietra; va via solo un leggero strato di pelle, tanto sottile quanto superficiale, e la carne sotto rimane viva e intatta nei nervi e nella polpa, inerme a qualunque agente esterno.

E’ una sensazione diffusa ovunque, sul mio corpo… Sarà colpa della stoffa dei pantaloni, troppo raffinata e delicata; troppo spesso qualche sterpaglia porta a termine un suo assalto, mentre corro, e  si conficca nella pelle tenera.

Come in basso, così in alto, quando i rami più bassi incontrano il mio viso e lo accarezzano, come mani di amante dalle unghie troppo lunghe.

 

Pazienza. Si confonderanno con i graffi che mi sono procurato per sfuggire alla signorina Amalie…Mi ha messo le mani ovunque ed è arrivata in zone che non credevo fosse possibile raggiungere con gli abiti addosso.

 

Una così con tre fratelli in casa…Oh che pensieri orribili! Non ci voglio neanche pensare.

 

Non aggiro nulla, non esiste una deviazione.

Corro solo dritto davanti a me, contro il vento che mi fischia nelle orecchie, contro queste maledette fronde che stormiscono e coprono le tracce che devo seguire, i tuoi  passi, leggeri e ovattati sull’erba fresca.

 

A te non dovrei dimostrare niente, Lisette.

 

Non mi hai mai detto che ero lento…Ero contento, sai?

Ed ero contento anche quando mi guardavi.

Anche se perdevo la conta, sempre e comunque, e mi toccava correre, per prenderti, mentre sfrecciavi tra le case, i viottoli, gli alberi e io riuscivo a malapena a seguire il tuo cappuccio grigio, come un piccolo sbuffo di fumo da un camino che si perde per l’aria.

Allora rallentavi e ti fermavi a guardarmi, un attimo.

Un sorriso e riprendevi a correre.

Era il premio di consolazione perché non riuscivo ad acchiapparti. Più brillante di qualunque coppa, della corona del re, delle medaglie sulla giubba di una guardia cittadina.

Ti giuro che mi bastava, in quei momenti non volevo chiedere nulla a Dio o al destino, nemmeno l’investitura a cavaliere. Guardarti e ridere.

 

Invece ora devo dimostrarti qualcosa.

Correre. Essere più veloce. Prenderti.

Non c’è nessun premio di consolazione,non ti fermerai.

C’è solo il vuoto. Immenso, profondo, insanabile.

Qualcosa che non potrei più recuperare.

 

“Fermati!”

 

Parole al vento.

 

“Fermati, Lisette, per favore!”

 

Non si ferma.

Per una volta, una sola, una delle mie richieste può suonare come uno dei perentori ordini che mi dà il principe, quelli a cui non riesco a sottrarmi?

Magnetici e ipnotizzanti come i suoi occhi.

 

Spalare l’acqua con un forcone sarebbe più facile.

 

Suona più come una supplica.

 

Da parte dei miei polmoni, delle mie gambe, della mia mente e del mio petto. Cuore compreso, in tutte le sue accezioni.

 

“Ti prego, Lisette….”

 

Mi brucia. Mi fa male.

 

Il sorriso di Lisette era il mio passato.

Gli ordini di Louis sono il mio presente.

 

Essere chiamati per servire principalmente il principe, su sua esplicita richiesta, era un onore.

O almeno, io dovevo considerarlo tale, a detta dei miei, e non mi dette particolare fastidio accondiscendere.

 

Ubbidire è un’altra cosa, particolarmente comoda, con l’indubbio vantaggio di far parte del mio ordine naturale delle cose.

 

Ubbidire ai genitori che si sono spaccati la schiena per crescerti, tutto sommato neanche troppo male.

Ubbidire al signore del regno che governa saggiamente e merita rispetto.

Ubbidire al principe Louis che…Be’, che fa quello che fa sempre.

 

Ero felice, tutto sommato. Avevo trovato il mio posto nel mondo e volevo mantenerlo.

 

Io sono l’unico che lo comprende veramente. L’unico con cui non si sente solo.

Io so quello che prova Lisette, anche. Sono sicuro di saperlo.

E capisco anche me stesso.

 

Il problema sono io.

Io lo so che è colpa mia.

E’ colpa mia perché non sono stato vicino a Lisette. E’ colpa mia perché ho portato un’assassina vicino al mio principe.

 

Voglio salvarli.

 

Entrambi.

 

“AH!!!”

 

Ecco un’altra cosa da tenere a mente: non lasciarsi andare a riflessioni esistenziali mentre stai correndo… Si rischia di prendere oggetti non identificati...

...Come nel mio caso; non ho la più pallida idea di che cosa ho urtato.

Radice? Pietra? Resto di cadavere di qualche scemo come me che si è inoltrato nel bosco ed è finito vittima di animali/briganti/streghe e altro su cui non voglio nemmeno provare a indagare?

 

So solo che sto rotolando: ho preso la faccia con il terreno, baciandolo appassionatamente, con le gambe all’aria, tornando poi giù per effetto del peso di queste ultime, colpendo con la schiena qualunque sporgenza disponibile.

Il ciclo si è ripetuto un paio di volte.

 

Wilhem, il salvatore rotolante.

 

Dio avrebbe fatto un favore all’umanità se avesse permesso agli uomini di desiderare solo cose proporzionate alle loro possibilità: avrebbe reso tutti più felici.

 

Scuoto la testa un paio di volte, sento i capelli umidi di terra bagnata che mi frustano il viso; si sono sciolti, il nastro di seta che mi ha dato il principe dev’essere caduto da qualche parte, mentre correvo…O rotolavo. Più probabile la seconda.

 

Mentre formulo questo pensiero, sento una risata.

Forte, squillante, sardonica.

Una risata fatta di labbra rosse carnose e sode come la buccia delle mele rosse del mercato, quando è autunno inoltrato e i meli danno quei meravigliosi frutti che sembrano volersi confondere con il fogliame.

Un fogliame color del sangue.

Color del sangue come un cappuccio.

Cappuccetto Rosso.

 

Non è Lisette a ridere di me; questo non è il premio di consolazione della mia infanzia, per la mia lentezza, è la beffa di un’assassina per la fatica di uno stolto.

 

Quel senso di sollievo, quelle preziose sensazioni non si presentano quando la vedo avanzare verso di me, il fucile sfoderato, tenuto tra le dita agili, pronto a colpire.

Sono lontane, come un’eco.

Cappuccetto Rosso, sotto il cappuccio, ha i capelli d’oro.

I capelli d’oro di Lisette.

Lo stesso colore del denaro che guadagni e che tinge il tuo cappuccetto di rosso.

Un brivido freddo mi percorre la schiena, forse sto tremando; spero davvero che mi pensi infreddolito dal fango.

 

Cappuccetto Rosso mi fa paura.

Eppure è Lisette.

Mi fa paura ciò che è diventata.

 

No! Non è così che fa un salvatore. Non è così che fa un cavaliere.

Una parte del lavoro è fatta: si è fermata. Almeno adesso posso parlarle. Spiegare. Capire. Salvarla.

 

“Lisette…”

 

Ecco. Ora ci vorrebbe qualcosa di intelligente. Qualcosa che possa farle capire ciò che sento e indurla ad ascoltarmi.

 

“Parliamone.”

 

Se fossi in una situazione normale, potrei desiderare di sprofondare. Il problema è che a desiderarlo ora non ci guadagnerei molto, visto che è molto probabile che sprofonderò se mi ammazza e se ancora ha abbastanza ricordi della nostra infanzia per volermi seppellire.

 

BANG!

Mi ha sparato! E sono vivo! Quale delle due cose è più sorprendente?

La pallottola è esplosa a pochi centimetri dallo spazio che separa le mie gambe,tenute  divaricate; sto seduto, sono appena rotolato!

Spontaneamente, mi rannicchio, abbracciando le ginocchia con le braccia, di modo che tocchino il mio petto. In posizione fetale.

Oddio, sono patetico. E tremo, come una foglia.

 

“Ti piace come argomento di conversazione?.”

Per niente. Chissà se l’ha notato.

  “Lisette…”

”Ti ho già detto tutto quello che ti dovevo dire, Wil, e dovevi ringraziare il cielo di essere ancora vivo, dopo avermi ostacolato... Quindi ora…Questo…”

 

CLANK!

 

Sarà il mio unico argomento di conversazione.”

  Me lo dice nello stesso modo in cui un’altra persona parlerebbe del tempo; tono monocorde. Gelido. Distaccato.

Imbraccia il fucile e me lo punta addosso; il suo viso, con qualche tratto ancora infantile, mi sorride, come se stesse giocando con il suo balocco preferito.

Il sorriso calmo e soddisfatto, frutto dell’appagamento e del piacere.

"Lisette! Tu non sei così!”

  Mi scopro ad urlare, senza motivo…E so benissimo che sto dicendo le cose sbagliate. Continua a sorridere e non abbassa il fucile.

  "Così come?”

  Già, così come? E’ una buona domanda…Così assassina? Così malvagia? Così sadica?

Lisette…La mia Lisette. La mia amica…  Un’assassina malvagia e sadica?

La mia amica d’infanzia. Quella con cui giocavo. Quella che mi sorrideva perché ero lento.

Quella che divideva la merenda.

Quella che mi teneva per mano mentre tornavamo a casa.

Quella che mi abbracciava quando le dicevo che volevo diventare cavaliere.

Quella che ha ucciso i suoi genitori.

Quella che mi ha detto che tutti si approfittavano di me, che ero uno stupido, ingenuo.

Quella che forse si è approfittata di me.

 

Chi è Lisette? Com’è Lisette?

 

Certo il mio silenzio non le sta piacendo; sta caricando il fucile, sento la molla che viene fatta scattare.

Sorridi.

Come allora.

 

Respiro a pieni polmoni; l’aria del bosco è buona, sa di erba, di bacche, di terra bagnata. Profuma di vita e di verde. Il vento porta con sé tanti piccoli rumori, piccole esistenze nascoste, ignare della reciproca presenza, per la maggior parte del tempo, eppure tasselli del medesimo mosaico.

E’ bello respirare tutto questo.

 

“Tu sei Lisette. Sei sempre stata Lisette. Sempre e comunque. E a me vai bene così.”

 

Non esiste Cappuccetto Rosso. Esiste solo Lisette.

Una Lisette triste, arrabbiata, persa, sola…Ma sempre Lisette.

  “Io so che sei sempre tu…Anche se lo nascondi. Anche se ti comporti così.”

  Mi sembra di scorgere un cambiamento; il sorriso si incrina, l’espressione diventa seria.

  “Andrà tutto bene, Lisette. Basta che smetti di nascondere ciò che sei sotto quel cappuccio. Basta che…”

  Ho un groppo in gola a dirlo. Non so nemmeno come mi viene una frase del genere.

  “…Che torni da me…”

 

Mi accorgo solo ora di essermi alzato in piedi e di stare camminando verso di lei: passi lunghi e lenti come le oscillazioni di una pendola. I piedi che quasi non fanno rumore sull’erba.

Sembra un attimo da sogno, quasi etereo, come gli incontri delle fiabe…Be’, non proprio.

I personaggi delle fiabe non sono inzaccherati di fango, non hanno i capelli pieni di terra, la faccia sporca, non rotolano. Ci siamo quasi però.

  Tendo la mano verso Lisette, che si ritira di scatto.

 

“Sì e magari poi torneremo nel regno del Principe Ludwig a giocare con i cavallini.”


Sarcastica e pungente, ma almeno mostra un’emozione. Continuo ad avvicinarmi, piano, come si fa con i cuccioli quando si vogliono accarezzare, dopo che ti hanno visto per la prima volta.

 

“Non si può tornare indietro. Questo non può tornare grigio.”


Indica la mantella rossa con lo sguardo, senza lasciare la presa sul fucile.

 

“Io lo odio, Wil!”

 

Sembra una frase senza senso. Prorompe dalle sue labbra forte, spontanea, liberatoria.

 

“Uccidermi…Ti aiuterebbe?”

 

Una domanda a bruciapelo. Lisette che sgrana gli occhi.

 

“Se uccidermi ti aiutasse a placare il tuo odio, a me andrebbe bene morire per te.”

  Respiro ancora. E’ buona l’aria qui.

  Ho il fucile puntato in mezzo agli occhi, basta una leggera pressione del suo dito…

Si muove.

Chiudo gli occhi di scatto.

Ho paura di morire…Ma voglio che lei stia bene.

Certo, preferirei star bene  con lei da vivo e averla salvata da vivo…Ma non si può aver tutto. Far star bene una persona così è un compito già più adatto alle mie capacità.

  Perché ancora non spara?

  Mi azzardo a riaprire gli occhi; la canna del fucile non è più all’altezza del mio sguardo.

  L’ha abbassata.

  Ce l’ho fatta!

  Completo il mio movimento e vado verso di lei, tentando di metterle le mani sulle spalle.

  “Smetti di tenere in mano quel fucile, Lisette. Torniamo a casa insieme…Sono sicuro che il Principe Ludwig ti…”

  Non so che altro ho detto, perché poi vi è stato solo dolore. Alla testa e poi su tutto il corpo.

Urla e rancore.

Odore di polvere da sparo misto a erba.

Un tonfo e il verde.

 

 

“Stupido di un servitore! Sei pure fortunato che non ti abbia ammazzato, ti ha solo colpito con il calcio del fucile!”

 

Fine primo capitolo.

  Note: Dopo tantissimo tempo, scrivo nuovamente una fanfiction. Questa mia piccola fatica vuole essere un’occasione per riprendere, senza avere la pretesa di fare chissà che, spero comunque che sia una piacevole lettura per chi passa di qua.

L’idea mi è venuta dopo aver letto il primo volume di Ludwig Kakumei, ma ho potuto scriverla solo ora, comunque non terrà conto dei successivi volumetti; è anche un What if….? Visto che nel primo volume, Wil non insegue Lisette.

Alcuni forse troveranno Wilhem un po’ fuori personaggio, però volevo accentuare il suo lato più divertente, visto che Yuki-sensei ogni tanto gli fa dire delle belle battute; inoltre, più che bonaccione e delicatino, mi piace pensarlo pieno di abnegazione verso il prossimo: debole nel difendere sé stesso e fortissimo per difendere gli altri. Avviso in anticipo che i capitoli successivi conterranno yaoi e cose per stomaci non delicati, siete avvisati:P

La beta-reader è Elos, visto che è la principale confidente dei miei deliri da otaku su msn!XD

   
 
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