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Autore: E u r eka    07/06/2010    3 recensioni
La voce arrochita resa più profonda dal tempo trascorso o forse dal desiderio che lei stessa sentiva scorrerle sotto pelle a scacciare il freddo, una presa al collo che era sua, nulla di più nulla di meno e soffocante profumo di colonia ad inondarle le narici e i polmoni.
«Ne è passato di tempo. Ma guarda.. ora ti stanno spuntando perfino le prime rughe. Sbaglio o quelle sono zampe di gallina?»
Usava un tono casuale, ironico, quasi amichevole e a lei sembrava di aver perso improvvisamente la capacità di parlare, rispondergli per le rime a quell’affronto alla sua giovinezza oltraggiata.
George era lì, a pochi passi da lei.
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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rak


Rakuen ~ Un pezzo di paradiso tutto per sé
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Le strade di New York brulicavano di vita come non mai. Le vetrine luccicavano attirando gli sguardi obliqui dei passanti tra le strade affollate e i fiocchi di neve cadevano dal cielo come fuochi fatui nella notte illuminata a giorno. Odore dolce ed aspro contemporaneamente nell’aria, l’aroma caratteristico della città. Quello delle colonie costose che si mischiava allo smog, della pulizia che sapeva di fumo sfuggente e dell’ispido del selvatico domato.
Fresca sposina in luna di miele, Yukari aggiustò  il collo della pelliccia, stringendo leggermente il morbido visone tra le dita lunghe. Spolverò la neve come fosse polvere, scrollandosela dalle spalle con un movimento deciso delle mani e prese a fissare insistentemente l’ingresso del Winter Garden Theatre e la locandina dello spettacolo che poco più sopra faceva bella mostra di sé.

Il taxi alle sue spalle attendeva paziente, ma non senza sbuffi di rimostranza all’interno dell’abitacolo, che quello studio d’opera terminasse al più presto e che la cliente lo lasciasse libero di trovarne di altri più facili da accontentare. Aveva provato non poche volte l’autista a far comprendere alla passeggera che lui non potesse starsene tutta la notte lì buono ad osservare il nulla, ma la signora l’aveva messo a tacere con uno sguardo infuocato e una banconota da cento dollari.
Da quel momento tanti altri piccoli Benjamin Franklin avevano affiancato il primo, ma all’ennesima lamentela, il ringhio poco promettente ricevuto in risposta da lei gli aveva davvero fatto temere per la propria incolumità, costringendolo ad un totale e sfiancante silenzio.

Con uno scatto impercettibile si arrischiò ad osservarla dallo specchietto retrovisore. Nella penombra dorata offerta dal lampione, il profilo di lei appariva etereo. Il collo sottile eburneo e il guizzare di una vena poco sotto il mento orgoglioso, lo sguardo plumbeo puntato con decisione di fronte a sé, la piega languida delle labbra tinte di un rosso cupo di lussuria scadente.
E come un velo impalpabile di alterigia scostante, la nuvola serica di capelli nerofumo intorno al viso pallido, di un candore che eguagliava il pianto candido che stava piovendo. Una statua di marmo, fredda e dura e resistente alle intemperie, algida e di una bellezza cesellata senza tempo, che nulla aveva da invidiare all’intensa freschezza di un fiore appena sbocciato e già in procinto di appassire.

All’interno di quell’involucro d’alabastro però, celato un cuore di cera pronto ad essere plasmato a piacimento secondo il gusto e i desideri del suo creatore.
Yukari sapeva bene che l’unico che potesse aspirare a quell’appellativo non fosse l’uomo con cui aveva scelto di trascorrere il resto della vita ed era anche a conoscenza di aver rifiutato lei stessa l’opportunità che quei due ruoli coincidessero, ma non se ne rammaricava.

Scrutò nuovamente il marciapiede affollato di giornalisti e curiosi e i flash delle macchine fotografiche la riportarono per qualche istante all’antico splendore del suo lavoro abbandonato, così come il tappeto e l’insulso sfilare di donne dall’aspetto scialbo su quella passerella di scaglie rosso rubino.

Il rumoroso cicaleccio cessò di colpo e il serpente curvato si riempì di macchioline fosforescenti dai colori abbaglianti di un arcobaleno rubato.
E come di fronte all’arrivo del sovrano, divinità discesa sulla terra per assurgere e prestare orecchio alla vox populi, paggi e cortigiane si fecero da parte inchinandosi impercettibilmente all’arrivo dei commedianti.
Attori svestiti dell’incanto faccia a faccia con gli spettatori che avevano ammaliato e chi aveva fatto sì che il labile confine tra fantasia e realtà diventasse invisibile, rivestendolo di seta e perle, tra loro.

Piume di struzzo ardesia improponibili su chiunque altro, turchese a cingergli il capo e oro sui lobi, un sorriso accennato che nulla di timido aveva se non la consapevolezza del proprio fascino. Malinconica figura di tempi andati, subdola e di una dolce femminilità mendace. Mani curate, gentili alla vista e morbide al tatto.

Yukari inalò un’ampia boccata d’aria gelida e le parve quasi di sentirvi agrodolce l’odore di lui in sottofondo.
Ne seguì l’andatura sicura e veloce come un pensiero lo vide scomparire in una vettura coperta.

George non sarebbe mai salito su una macchina del genere.

Non sarebbe, passato. Ora era il futuro, un tempo della sua vita di cui non le era concesso far parte, di cui non sapeva nulla.
Mai, avvenire promesso. Non sarebbe riuscita a dimenticarlo, a sotterrare i ricordi dell’amore vissuto appieno dietro quelli di un primo mai realizzato se non come tappabuchi dell’altro.
Del genere, presente incerto. E a quale genere apparteneva George se non quello tracciato secondo il proprio volere?

E lei? Quale contribuiva a riempire con la propria esistenza?
Ignavi.

Non lo era e scosse la testa. Non aveva scelto da tempo dopotutto? Guardò in tralice il cerchio di promesse sigillate al suo anulare, quel legame invisibile come un’ancora di salvezza.
Hiroyuki che era stato amico e fratello maggiore, consigliere e confidente, ma mai padrone e il suo destino intrecciato ormai indissolubilmente al suo da diciannove ore e quarantadue minuti.
Indissolubile, impossibile da recidere.
E allora perché era lì?
Meccanicamente alzò il bavero proteggendosi dal pungente vento dicembrino che spirava e portandosi una mano agli occhi che già lacrimavano feriti. 
Non si accorse dell’ombra alle sue spalle né di altre banconote cadute in grembo al povero tassista.
Le guance bagnate e i singhiozzi attutiti, le mani tremanti ghiacciate e il tepore mancato di altre poggiate sopra le sue e tanto più fredde.

«Ero sicuro fossi tu. Nessun’altra farebbe sfigurare la neve in questo modo.»
O sarebbe tanto stupida da aspettarti nel mezzo di una bufera, vero?

La voce arrochita resa più profonda dal tempo trascorso o forse dal desiderio che lei stessa sentiva scorrerle sotto pelle a scacciare il freddo, una presa al collo che era sua, nulla di più nulla di meno e soffocante profumo di colonia ad inondarle le narici e i polmoni.

«Ne è passato di tempo. Ma guarda.. ora ti stanno spuntando perfino le prime rughe. Sbaglio o quelle sono zampe di gallina?»
Usava un tono casuale, ironico, quasi amichevole e a lei sembrava di aver perso improvvisamente la capacità di parlare, rispondergli per le rime a quell’affronto alla sua giovinezza oltraggiata.
George era lì, a pochi passi da lei.

Piume di struzzo ardesia improponibili su chiunque altro, turchese a cingergli il capo e oro sui lobi, un sorriso accennato che nulla di timido aveva se non la consapevolezza del proprio fascino. Malinconica figura di tempi andati, subdola e di una dolce femminilità mendace. Mani curate, gentili alla vista e morbide al tatto.

Sentì salirle un singhiozzo e morse forte il labbro per quel fremito di natura indefinibile.
Era paura? Trovarselo di fronte così, all’improvviso. Certo spiarlo da lontano era tutt’altra cosa.
Era eccitazione? Il suo corpo lì, così vicino da poterne ascoltare il respiro, così lontano da non poterlo sfiorare se non con la punta delle dita.
Era freddo? Cos’era rimasto di freddo in quel fiume di lava che le aveva invaso gli arti liquefacendoglieli a poco a poco?
Era colpa? Verso Tokumori che era già sul punto di..

«Cosa hai? Ti senti poco bene, Yukari?»
Ogni tentativo di difesa crollò miseramente al dolce richiamo del suo nome, castello di carte in cui la regina chinava il capo al suo re.

Braccia intorno alle spalle, viso schiacciato contro il suo torace, stretta da lui tanto da non riuscire respirare se non lui, a non pensare a niente se non a lui.
E labbra calde, bollenti premute sulle sue con fare urgente, disperato, avido, corroborante.

«George..» riuscì a sussurrare in un attimo in cui si erano staccati di poco per riprendere fiato.
E poi di nuovo..
«Dillo ancora.» Voce pacata all’orecchio contro il battito impazzito del suo cuore sotto la mano.  
«George..» mormorò.
«Mi farai impazzire.»

E a lei venne da ridere. Piangere come stava già facendo e sorridere come sapeva lui invece stesse già facendo. Divertiti, risate tra una parola e l’altra, tra un bacio e l’altro, commossi, felici.

 

*

 
Seduti sui sedili posteriori del taxi, abbracciati senza il minimo desiderio di volersi staccare, Yukari studiò con sguardo strano la propria mano sinistra. La vera nuziale era sparita, cedendo il posto all’antico anello di perline.
«Quando l’hai cambiato?»

George giocava con i suoi capelli e prese a carezzarle la mano baciandole il collo.
«Eri troppo distratta dai miei baci per accorgertene.»
«Idiota.» sbuffò lei senza rabbia o un’intonazione particolare che desse l’idea fosse contrariata.
«Sai, ammetto di essere quasi dispiaciuto per Tokumori..»

Il riaffiorare di una coscienza e del senso di colpa che ne conseguiva per qualcosa che sapeva bene non fosse nulla di sbagliato, ma che avrebbe comunque fatto soffrire un amico. Eppure anche lui doveva aver sempre supposto, saputo che il suo non fosse vero amore. Era affetto, reciproca compagnia, confidenza, interessi comuni e rispetto, ma non amore. Non passione, non complicità né attrazione o venerazione, gelosia o impazienza, tensione.
E averla mandata lì sola forse era stato un regalo, il volerle concedere un’ultima possibilità di scelta, l’occasione di prendere quella più giusta.
Le dispiaceva per  
Hiroyuki, ma..

«.. sopportarti per dieci anni. L’ho completamente rivalutato.»
La risata di lui bassa e carezzevole a sorridere della sua rabbia e della voglia che aveva di prenderlo a pugni.
«Se stare con me ti sembra impensabile allora puoi anche andartene al diavolo brutto..!» tentò di staccarsi, ma la teneva bloccata a sé, le mani sui polsi.

«Sei proprio una sciocca Yukari..» strofinò il naso sulla guancia e le leccò l’attaccatura del versoio.
«Ci sono solo due generi di uomini capaci di starti accanto: quelli che cercano una battaglia persa in principio o i pazzi visionari. Per tua fortuna si dà il caso che io sia entrambe le cose.»

Scoppiare in lacrime come una bambina non appariva poi così orribile.
Aveva immaginato avrebbe pianto a quello spettacolo, ma certo non si sarebbe aspettata che sarebbe stato lui ad asciugarglielo, prendendo in giro il suo sentimentalismo sopra la media.
E in fondo l’odore di New York non era più tanto aspro, ma forse anche quello era opera di George.  
Era arrivata in Paradiso e l’avrebbe stretto tra le dita, attenta a non farselo scappare di nuovo.

«Mi stai stritolando.»
«Oh.. scusa!»
«Per questa volta chiuderò un occhio.. Fa pure.»

Come aveva detto, pensò sorridendo soddisfatta e tuffando la testa nel cappotto di George, attenta a non farselo scappare.

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Allora.. Mi ritrovo senza parole e senza sapere cosa dire in una nota il ché non è certo un’esperienza piacevole. Ecco, questo è il risultato di un’intera nottata spesa a vedere l’anime e mentre già cercavo di reperire il manga e mi lambiccavo il cervello riguardo un finale alternativo meno tormentato per il mio povero cuoricino ecco ciò che è nato: RakuenàParadiso.
Ho rivisto l’ultimo episodio, soprattutto l’ultimo incontro tante volte da averne perso il conto e infatti come avrete notato o forse no, alcune frasi sono proprio state scritte sulla falsariga dei pensieri di Yukari in quel momento. Sinceramente avevo molto dubbi sul fatto di postarla o meno.
Temevo che i personaggi non fossero IC e poi non sono sicura Yukari tradirebbe il marito così, ma.. ma, quanti ma XD Oltre la mia indecisione cronica mi sono divertita e commossa un mondo scrivendola, soprattutto la parte del tassista.
Che dite.. in una notte ha fatto la sua fortuna, no? Secondo voi tra Yukari e George quanto avrà guadagnato? Riguardo il nome George, lo so, lo so, probabilmente avrei dovuto inserire quello originale, ma ormai mi sono affezionata a questo e poi ha un suono diverso, mi sembra più musicale. Insomma io non riesco ad immaginarlo o chiamarlo in modo diverso per cui vi prego di perdonare questa che potrebbe sembrare ad alcuni una mancanza.
Ultima cosa.. Ci tengo a dire che nonostante tutto, io credo che le ultime pagine del manga possano essere lette con una chiave diversa. Insomma tra tanti luoghi da scegliere per la luna di miele andate proprio a New York e a vedere uno spettacolo i cui costumi sono realizzati da.. ?
Permettetemi di vederci anche una microscopica speranza di rinsavimento, senza nulla togliere a Tokumori ovvio. Come detto sopra, per sopportare Yukari ce ne vuole.. Spero la lettura sia stata piacevole e di avervi regalato un sorriso. Un bacio a tutti e un grazie <3  

  
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