It's necessary to come back
Justin
allungò il braccio nel sonno, perso ancora in un sogno dal sapore dolce.
- B...- era
sul punto di dire mentre gli occhi cominciavano a schiudersi; fortunatamente
recuperò in tempo la lucidità.
- Ehi,
bello - salutò Jack, con cui condivideva la casa da circa sei mesi.
Era
dolce, quel nuovo ragazzo, sapeva di zucchero messo nel latte alla mattina, e
miele spalmato sulle fette biscottate.
Eppure
non poté evitare una punta di delusione appena si accorse del corpo che stava
accarezzando.
Per un
istante, un solo istante, aveva pensato davvero di essere di nuovo a casa,
quell'unico luogo avvertito come tale. E aveva pensato di svegliarsi con la
luce che entrava dalla finestra proprio sopra al letto, di aprire gli occhi e
vedere che sì, Brian era ancora al suo fianco.
E il
corpo di Jack sembrò sbagliato, in quel momento, riapriva ferite che dopo due
anni e mezzo avrebbero dovuto lasciare a malapena la cicatrice; eppure sentì il
calore del sangue inondargli il petto, scorrere ancora da quei tagli
impossibili da ignorare.
Il
richiamo di casa lo sentì con prepotenza, forte come non mai.
Si alzò
dal letto deciso a schiarirsi le idee, davanti a una tazza di caffè e i suoi
biscotti ipocalorici. Fu così che lo trovò Jack, seduto al tavolo e con le
pagine d'arte del giornale spiegate tra le dita. Leggeva una recensione, sulla
sua ultima mostra. Non li contava nemmeno più io complimenti ricevuti, ricordava
meglio le assai più rare critiche; non era presuntuoso a considerarsi
talentuoso, erano stati i più importanti critici stessi a ribadirglielo.
-
Espressioni di colori sentite e fantasiose - giudicavano ogni sua nuova
creazione.
Quei
quadri erano il suo unico mezzo per esprimersi, l'unica cosa che lui era.
Lui aveva
bisogno di dipingere, avvertiva
quell'esigenza come se ne andasse della sua stessa vita. E ogni volta che era
triste si chiudeva nello studio e buttava giù qualcosa; era per questo che
c'era un po' di Brian in ogni sua opera, a volte dettagli impercettibili, che nessuno
avrebbe potuto riconoscere. Brian.. Quel nome faceva male, aveva timore perfino
di pronunciarlo ad alta voce. Non lo sapeva nessuno, infatti, cosa si fosse
lasciato dietro; pensava che al solo parlare di lui avrebbe potuto rompere quel
sottilissimo filo che lo teneva lontano dalla
distruzione, dalla disperazione, giorno dopo giorno.
Jack lo
baciò sulla guancia, lo infastidì quel contatto.
- Buongiorno
amore - lo salutò.
Justin
avrebbe voluto dirgli che non ne aveva il diritto; ma aveva fatto la sua scelta tanto tempo
prima.
Aveva preso
un aereo convinto di non essere costretto a rinunciare a niente, che la sua
vita sarebbe rimasta invariata. I week-end a Pittsburgh, o a
New York con Brian. Ma
gli impegni si erano innalzati di fronte a lui come ostacoli insormontabili:
prima c'era stato lo studio da affittare, poi i contatti giusti da cercare e infine
la sua prima mostra da organizzare. Aveva finto di non sentire quel distacco
crearsi tra di loro, "una settimana ancora" rimandava ogni volta, o
si convinceva che Brian gli avrebbe fatto una sorpresa, quel week-end, come se
non lo conosceva abbastanza bene. E aveva smesso di telefonare, e il telefono aveva smesso di
squillare con il nome di Brian sul display.
I primi
tempi era stato preso dalla frenesia del debutto, era stato troppo indaffarato
tra mostre e feste per sentire il dolore; quando infine il successo era
diventato una costante e non era più stato un anestetizzante era troppo tardi
per tornare indietro. Aveva cominciato a perdersi tra locali, alcool e droghe,
in una pallida imitazione di quello che era stato Brian prima di incontrare
lui.
In alcune
di quelle occasioni avevi incontrato i primi ragazzi, con alcuni aveva perfino
tentato una storia seria. Si limitava a due, tre mesi il tempo di
sopportazione. Poi erano tutti troppo sdolcinati, troppo casalinghi, troppo
poco Brian. Jack poteva avere la palma per la durata: ben sei mesi.
Ma in
quel momento lo sentiva che non gli bastava più. Stava per spogliarlo, per
dargli il suo personale buongiorno con un fantastico pompino quando Justin lo fermò.
Gli mise il palmo aperto sul petto, e lo spinse lontano da sé.
- Jack,
dobbiamo parlare - cominciò senza esitazione.
Quelle parole non preannunciavano niente di
buono, ma forse, per una volta, la medicina giusta sarebbe stata proprio
parlare.
- Che succede,
Jus? - chiese l'altro preoccupato.
- Ti devo
solo raccontare una cosa. Tu non sai molto della mia vita prima di qua, beh è
ora che ti dica la cosa più importante che c'è da sapere -
E
cominciò, dalla notte in cui si erano incontrati, senza tralasciare alcun
dettaglio, senza dimenticare niente di quello che avevano vissuto insieme.
Ogni
parola rendeva il dolore più acuto, ma ormai il racconto scorreva come un
veleno di cui non riusciva a fare a meno.
Era una
dolcezza dolorosa quella che provava nel ripensare alle mani di Brian su di sé,
ai primi disperati tentativi di legarlo in qualcosa di più che una semplice
scopata.
I minuti
trascorsero mentre la loro storia veniva svelata a quell'inusuale ascoltatore.
- E così
lo ami ancora - cercò di dire Jack con tranquillità, ma la delusione.. quella
forse era impossibile da evitare.
Justin
neanche avrebbe saputo dire da cosa l'aveva capito; non poteva vedere il
brillio dei propri occhi al solo pensare a Brian, accorgersi del tremore delle
mani quando pensava al percorso eccitante che quelle avevano tracciato sul
corpo del compagno. Ma i segnali si erano mostrati di fronte agli occhi di
Jack, inconfondibili.
E Justin
capì che sì, l'amava ancora... Con tutto se stesso. Finalmente colse il
significato delle parole che Brian gli aveva rivolto la sera prima di partire.
"E'
solo tempo", "è solo tempo", "è solo tempo"... In quel
momento si ripeteva come una maledizione nella sua testa, come la sua maledizione. Non sarebbe bastato un
mese, un anno, tutta la vita per dimenticare Brian Kinney.
Un dolore
opprimente gli nacque dal petto, divenne impossibile perfino respirare. La
nostalgia, quella che ti stringe il cuore in gabbia, che ti fa desiderare soltanto
di vedertelo strappato dal petto, perché è troppo doloroso perfino che batta.
Quel dolore che forse Brian provava ogni giorno, da quando era partito. Che
affogava nei corpi di ragazzi sempre diversi, nei loro culi perfetti che però
non erano quello di Justin.
Che ci
faceva ancora a New York?
- Jack,
mi dispiace... - sussurrò quando si fu reso conto che non era quello il suo
posto.
Jack lo
guardò negli occhi, forse comprendendolo per la prima volta.
- L'ho
sempre avvertito che non eri mai del tutto mio - quella sensazione finalmente
era stata spiegata.
Fu
incredibilmente rapido chiamare l'aeroporto, prenotare il primo volo
disponibile per casa, chiedere a un taxi di prenderlo in mezz'ora.
Scelse
dal cassetto qualche maglietta, un paio di jeans, tutte le mutande pulite;
recuperò le chiavi del loft da un angolo remoto della casa, dove le aveva
buttate non appena aveva capito che aveva scelto
di non tornare più a casa.
Scese al
volo, in tempo per vedere il taxi arrestarsi di fronte al suo portone.
- L'aeroporto
- e la macchina prese a volare in mezzo al traffico, magicamente spinta dal suo
desiderio di tornare, ancor prima che dalla benzina.
La fila
al check-in, l'imbarco, il decollo. E infine era in volo, col cuore che batteva
a mille, col sangue che finalmente smetteva di sgorgare dalle ferite
"Brian,
Brian, Brian" lo sapeva che stava volando per lui, che stava perfino
respirando per lui, e si chiedeva come fosse riuscito a vivere per due anni e
mezzo senza andare a riprenderselo.
Si sentì
a casa quando finalmente scese dall'aereo, quando lo accolsero le sale che
quasi tre anni prima aveva salutato, e che per lungo tempo era stato convinto
di non rivedere mai più.
L'indirizzo
del loft di Brian si srotolò sulla sua lingua rivolto al primo tassista
disponibile, come se fino a quel momento si fosse annidato nella sua gola,
soltanto in attesa di essere pronunciato nuovamente. Non era cambiata di una
virgola, Pittsburgh, pensava mentre si muovevano lungo le strade affollate.
Infine giunse di fronte al palazzo familiare, allungò l'importo che lampeggiava
sul display all'autista, si caricò la sacca su una spalla e si affrettò a
scendere dalla macchina, ad aprire il portone, ad azionare il montacarichi che
lo avrebbe portato a destinazione. Il ronzio familiare si arrestò di fronte alla
porta scorrevole in metallo, che tante volte aveva aperto e chiuso solo per
vedere Brian, per ritagliarsi quei momenti insieme. La mano gli tremava mentre
tentava di infilare la chiave nella toppa, ma si impose di riuscirci; non si
sarebbe fatto ostacolare dallo stupido nervosismo.
E l'odore
delle stanze lo colpì; era qualcosa di unico, che non era riuscito a ricreare
neanche dopo aver comprato gli stessi detersivi e lo stesso deodorante per
ambiente usati da Brian. Era l'odore di casa,
solo questa parola gli veniva in mente nell'essere di nuovo in
quell'appartamento che aveva abitato per quasi cinque anni, nonostante le
innumerevoli interruzioni.
Si
sedette sul divano ad aspettare il ritorno di Brian, a formulare un discorso
che sicuramente avrebbe dimenticato.
Brian
lasciò la macchina in garage, con una strana sensazione in fondo al cuore.
Quella mattina si era svegliato triste, abbattuto, forse più del solito. Non
era stato più lo stesso da quando Justin era partito, si era sentito idiota,
patetico oltre ogni dire e aveva ostentato innumerevoli sorrisi finti, si era stampato un'espressione impertubarbile sul volto per fingersi il Brian di sempre. Ma non
rimorchiava più con la stessa voglia di prima, non viveva più con la stessa
intensità; e sapeva che tutte le persone a lui più care erano preoccupate per
lui, che Michael aspettava il momento in cui il dolore sarebbe sparito dal
fondo dei suoi occhi, che Debbie pregava che tornasse
il vecchio bastardo, prima di essere costretta ad abituarsi al suo eterno pallore, alla passività con cui si costringeva a vivere.
Chiamò il
montacarichi che era fermo al suo piano, la cosa lo stupì alquanto.
"Justin..."
pensò subito il suo cervello, il suo cuore, prima che si obbligasse ad
allontanare quella speranza, immaginandosi il ragazzo nel proprio appartamento
a New York, ben lontano dal loft.
L'allarme
era disinserito, e di fronte a quell'inconfondibile segnale i suoi battiti
accelerarono, non fu in grado di riarginare la speranza. Aprì la porta
tremando, perché non avrebbe resistito alla delusione di essersi sbagliato, di
trovare l'appartamento vuoto.
La figura
bionda sul divano, che lo aspettava tenendosi la testa tra le mani, diede
ragione a quei sospetti. Quei capelli.. Non erano dei gigolò che aveva pagato,
pur di avere l'illusione di essere di nuovo col suo Raggio di Sole.
-
Justin... - scandì con dolcezza, con un amore che aveva seppellito per troppo
tempo.
- Brian!
- Justin scattò su dal divano, si avvicinò a lui con timore quasi reverenziale.
Brian
lasciò cadere la valigetta accanto a sé, si affrettò a stringere il ragazzo a
sé dopo quello che gli era sembrato un tempo interminabile.
Ragazzo...
Ogni dolcezza dell'adolescenza aveva lasciato il suo viso, i suoi lineamenti si
erano induriti, e indubbiamente era un uomo quello che si trovava a stringere
tra le proprie braccia. Ma i dieci centimetri di vantaggio, quelli Justin non
era proprio riuscito a recuperarli. Poggiò la testa sulla sua spalla, ad
annusare di nuovo il profumo del suo collo. E strinse Brian con tutte le
proprie forze, con l'unica certezza di essere proprio lì, nell'unico posto a
cui apparteneva per davvero.
Una
lacrima punse l'occhio di Brian, minacciando di uscire, e si fece largo tra le
sue ciglia, lungo la guancia, fino a posarsi proprio tra i capelli di Justin.
Era solo gratitudine, che le sue preghiere erano state esaudite, che il
pensiero che aveva cercato di ricacciare nei meandri del suo cervello, ma che
si era fatto largo ogni volta, era divenuto finalmente realtà.
- Che ci
fai qui? - chiese infine; l'aveva convinto a partire per un motivo, non poteva
mandare tutto all'aria per una debolezza d'amore.
- E' solo
qui che voglio stare. Puoi offrirmi New York, l'Italia, la luna o perfino
un'altra galassia, ma non riuscirai mai a impedirmi di tornare. Mi mancavi
Brian, ogni giorno, per quanto mi ripetessi di aver fatto la scelta giusta, di
dovermi concedere una possibilità. E di possibilità me ne sono concesse a
palate, ho perfino avuto più di una relazione. E tu?
-
Nessuna, ho rispettato le regole. - si sentiva patetico ad ammetterlo, ma
fingere non gli sembrava poi così utile - Mai due volte con lo stesso, niente
nomi né numeri di telefono, neanche un bacio e a casa per le tre, ogni sera. -
. Così
sono quasi tre anni che non baci nessuno? - chiese Justin già fissando le sue
labbra invitanti.
-
L'ultimo sei stato tu -
E Justin
si sporse verso di lui, fino a sentire il sapore di Brian di nuovo nella
propria bocca. Quel bacio fu la cosa più dolce che avesse mai scambiato,
sentiva che sarebbe stato in grado perfino di nutrirsene.
- Ma.. -
azzardò Brian quando si furono separati.
Justin
gli mise un dito sulle labbra, gli fece capire che ci sarebbe stato un altro
momento per parlare. SI inginocchiò davanti a lui, come il più impeccabile dei
gentiluomini e prese una scatola di velluto blu dalla tasca destra. Mostrò un anello,
semplice, in oro bianco o forse solo in argento, era stato l'unico che era
riuscito a recuperare nella gioielleria dell'aeroporto nella fretta di scappare
da New York.
- Brian
mi vuoi sposare? - gli chiese con serietà, guardandolo negli occhi.
- Jus.. - cominciò quello.
- No
Brian, non ti permetto di obiettare alcunché. Mi hai spinto via al momento
giusto, mi hai convinto a farcela con le mie forze, dando solo il massimo. Ma
adesso niente mi potrà fermare, perfino a te risulterà impossibile. Sono qua
per restare, perché è solo a questo che riesco a pensare, perché ho bisogno di
te e perché in confronto dipingere non è nulla. Perciò dimmi adesso che mi
sposerai, o insisterò finché non sarai costretto ad arrenderti.
- Perché
tutto questo, Justin? Perché rinunciare al tuo grande futuro?
- Per
amore, Brian, e a questo non c'è una spiegazione. Posso avere tutto il successo
che voglio, ogni singolo centesimo dei collezionisti che mettono piede nella
mia galleria, ma non è nulla se poi mi trovo a essere il solo a goderne.
- Ma è la
tua grande possibilità -
- L'ho
provata infatti, l'ho vissuta ma ho capito che mancava l'unica cosa davvero
importante.
-
Justin...
- Brian,
concediti ciò che desideri per una volta, sposami!
- Si
Justin, ti sposerò... Tra dieci anni.
- Non ho
intenzione di aspettare un attimo di più, devi solo dirmi che lo farai.
E Brian lo baciò, come faceva ogni volta che
non sapeva cosa dire.
Entrambi,
in quel momento, realizzarono che vero amore non significava non perdersi, ma
tornare sempre sulla strada per ritrovasi.
Questa NON è la mia prima fanfiction,
ma è la prima del fandom Queer
As Folk. So che sono passati parecchi anni da quando è stato concluso, ma
ehi... su Jimmy lo danno ancora e quindi magari qualcuno se lo ricorda!^^ Per
quanto mi riguarda, io l'ho scoperto di recente questo telefilm, forse perché
prima sarei stata decisamente troppo piccola per vederlo; inutile dire che è
stato amore a prima vista, Brian e Justin mi sono entrati nel cuore e sono
rimasta assolutamente insoddisfatta dalla conclusione della serie. So che non
esiste, e non esisterà mai uno spin-off o un seguito all'ultima puntata, che
non ci sarà mai una risposta alla domanda che ogni singola persona che abbia
visto la serie fino alla fine si pone: "saranno insieme, i nostri
eroi?" Questa è la risposta che ho deciso di dare io, alla domanda; non
sono nemmeno sicura se crederci o meno, però Justin torna sempre, e Brian lo
accoglie sempre, e se si amano davvero è impossibile che possano resistere
lontani in eterno. Dunque posso solo sperare che siano dei personaggi senza
tempo, e che qualcuno abbia voglia di sentirne ancora parlare. Recensite se
passate di qui, fate un favore a me, e voi guadagnate punti! ^-^