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Autore: Ilaja    13/06/2010    7 recensioni
Vorrei dedicare questa fanfiction a Erica, la mia più cara amica sognatrice, e a tutti quelli che bramano di vivere in un sogno. A volte la realtà è dura da affrontare, e non rimane altro che rifugiarsi nell'incavo del tuo cuore che contiene la fantasia. Ed è proprio di fantasia che voglio parlare, all'interno del più grande libro fantasy di tutti i tempi: Il Signore degli Anelli.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Elficamente sognando

 

A Erica, perchè la vita non possa essere per lei che un meraviglioso sogno incantato

 

 

≈♣≈♥≈♣≈

 

“Erica! Dove sei finita, dannata ragazzina? Vieni fuori!”

Fruscio di foglie. Passi affrettati nel sottobosco. Rametti spezzati.

“Erica, ti prego, ritorna! Sono tua madre! Non puoi abbandonarmi così!”

Ansimi. L’aria fredda della sera che bruciava i polmoni assetati.

“Elica! Solellina! Dobbiamo ancola giocale con le bambole!”

Il pianto di una bambina. Il suo cuore ormai spezzato.

Ma non poteva tornare indietro. Non adesso. Non lì. Troppe cose si stava lasciando indietro, e troppe cose dovevano rimanere indietro. Il suo futuro non era più legato alla sua famiglia.

Era crudele ammetterlo, lo sapeva. Sua madre le voleva un bene dell’anima, sua sorella nutriva in lei un affetto e una stima enormi.

Eppure non poteva.

Non poteva stare con loro, perché con loro c’era lui.

Il mostro.

L’uomo che le aveva distrutto la vita, prendendo il posto di suo padre. L’uomo che picchiava la madre ogni sera. L’uomo che maltrattava la sorella.

Erica chiuse gli occhi. Non poteva continuare a sopportarlo. E l’unico rimedio era scappare.

Corse, corse fino a che non fu costretta a fermarsi perché le mancava il fiato. I piedi le facevano male, stretti in quegli insulsi stivaletti. Se li strappò via con rabbia.

Ormai era calata la notte. Erica si strinse, rabbrividendo, tra le vesti leggere di primavera. Anche il vento che le scuoteva i lunghi capelli castani pareva gelido come il ghiaccio d’inverno.

Sospirò. Quanto le sarebbe piaciuto essere l’eroina di uno dei suoi romanzi! Una delicata Giulietta della tragedia di Shakespeare avrebbe sicuramente saputo come fare… così come le intelligenti sorelle Elizabeth e Jane di Orgoglio e Pregiudizio che avrebbero sicuramente trovato la soluzione in un secondo. Ma, ahimè, lei non era altri che una ragazzina di appena tredici anni, arrabbiata con il mondo intero, impulsiva, irragionevole e per di più esasperata fino alla morte di quell’orrendo sentimento che le rodeva il cuore da quando aveva iniziato la sua fole corsa nel bosco.

Perché doveva essere sempre tutto così perfidamente doloroso? Perché il Fato aveva riservato per lei il destino più amaro?

Elen síla

Erica scattò in piedi, attenta. “Chi ha parlato?” chiese, risoluta a far fuori chiunque osasse ribattere. Per il come aveva ancora qualche dubbio.

 “Elen síla

La ragazza si voltò. La strana voce proveniva da più parti diverse. “Cosa…?”

Un fruscio riecheggiò nella radura un cui riposava sino a poco prima. Qualcosa di leggero e apparentemente senza peso si stava muovendo. In quel momento. Attorno a lei.

La ragazzina era spaventata, malandata e totalmente fuori di sé. Quella cosa stava obiettando contro di lei, contro la sua mala sorte. Come si permetteva, quel vigliacco?

“Fatti vedere!” abbaiò, arrabbiata. E tutti quelli che la conoscevano sapevano che non era consigliabile stare nella sua stessa stanza quando era di quell’umore.

Dall’ombra si mosse qualcosa, con lentezza esasperante, dapprima sepolto nell’oscurità, poi sempre più luminoso. Infine, quando il debole raggio di luna illuminò il suo volto, la giovane cacciò un urlo.

La creatura le posò un dito sulle labbra. “Elen síla lùmenn’ omentielvo. Una stella brilla sull’ora del nostro incontro.”

Erica non seppe cosa rispondere. Che la luna splendeva sull’ora del loro addio? Quella frase non aveva senso.

Eppure non riusciva a scrollarsi. Quella creatura le aveva incantato lo sguardo. Come allontanarsi da un essere di tale perfezione, così etereo, bello, infinitamente affascinante?

La sua pelle bianca scintillava sotto lo sguardo delle stelle notturne, mentre profondi occhi scuri le percorrevano incessantemente il volto, alla ricerca di qualcosa. Esploravano le labbra, il naso, le guance rosse e accalorate, le ciglia che sbattevano incessantemente, eppure non sembravano soddisfatti.

“Chi sei?” Forse la domanda più giusta era cosa era, visto che non assomigliava per niente ad un essere umano.

Lui la scrutò con attenzione, quasi indeciso se fidarsi o no di lei. Tra i due, non sono io quella che parla una lingua sconosciuta, pensò la ragazza.

Dipende dai punti di vista. La risposta le attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno, velocissima e imprendibile sotto le sue membra. Erica ci mise qualche secondo per realizzare che stavano comunicando telepaticamente. E in una lingua che non aveva mai sentito né pronunciato.

Man ea etye? Chi sei?”

La creatura sorrise. “Man ea etye? Chi essere tu? Umana, hai ancora tanto da imparare dall’elfico.”

Elfico? Mi sta prendendo in giro? Dove sono finita?

“Sei un… un elfo?” Non riusciva nemmeno a credere alle sue parole. Gli elfi esistono solo nelle favole inventate da quel pazzoide del nostro vicino di casa. Pazzoide. Il suo patrigno lo chiamava sempre così. Non aveva mai nutrito particolare fiducia nel signor Tolkien. Lo considerava un visionario senza altro scopo nella vita che quello di riempire la testa dei futuri militari con sciocchezze fantasiose, e proibiva costantemente a Erica e sua sorella di rivolgergli la parola, anche solo per salutarlo. Un’altra cosa che non tollerava.

Lei, invece, ne era sempre stata affascinata, sin da quando aveva letto la prima riga di quell’immenso romanzo in lavorazione. Spesso, quando il padre era al lavoro, la ragazza faceva visita al signor Tolkien per aiutarlo a fare i lavori di casa e, quando ne aveva l’occasione, sbirciava qualche nuova pagina del manoscritto. Ne aveva sempre seguita la creazione, suggerendo all’anziano qualche idea e rallegrandolo con i suoi commenti entusiasti sui personaggi. “Perché fare di Frodo un eroe? Cos’ha lui più di Sam?” Aveva sempre odiato il povero Hobbit e il signore non poteva fare a meno che ridacchiare ogni qualvolta inscenava una tragedia perché il giardiniere non era altri che il suo secondo. “Guarda che presto avrà anche lui un ruolo fondamentale nella vicenda” osservava, malizioso. Ed Erica non poteva fare a meno che assediarlo con domande su domande.

La ragazza cacciò indietro una lacrima. Anche quella vita era terminata.

L’elfo le carezzò una guancia. “Nostro padre era davvero così originale?”

Lei sorrise. “Più che originale, gli mancava qualche rotella.”

“Gli volevi bene?”

Il sorriso s’incrinò. “Più di quanto tu possa immaginare.” E le lacrime esplosero, cadendo dalle lunghe ciglia squassate dal dolore. Non riusciva a credere di stare singhiozzando sulla spalla di un elfo, eppure, se davvero quello era un sogno, allora una speranza era ancora insediata nel suo cuore. Avrebbe potuto schioccare le dita e si sarebbe risvegliata nella sua casetta nello Hampshire, in Inghilterra, il naso immerso nel delizioso profumo del forno sulla strada accanto, le morbide coperte odoranti di lavanda che le coprivano il volto fresco di riposo.

Forse era più un sogno quell’immagine che il fatto di essere abbracciata ad un elfo estremamente affascinante.

Quando i singulti si placarono, la ragazzina rimase accanto alla creatura, ancora scossa da quello sfogo. Poi, d’un tratto, rendendosi conto di quanto appena fatto, si ritirò, le guance scarlatte dall’imbarazzo. Per fortuna che è notte, pensò, mordendosi un labbro, così non può vedere questa scena penosa.

Io invece preferirei fosse giorno, così avrei potuto osservare come brilli nel sole del mattino. Erica avvampò di nuovo. Si era scordata che persino la sua mente non era più una fortezza invalicabile.

“Allora, Elen” iniziò il giovane.

“Mi chiamo Erica” puntualizzò la ragazza, ma non troppo forte. Il complimento di prima sembrava le avesse paralizzato le labbra e intrappolato il suo respiro.

“Elen” sorrise l’elfo. “Stella” tradusse poi, in seguito al suo sguardo confuso.

“Perché stella?”

“Perché brilli sempre, in qualunque situazione ti trovi”

Erica si rabbuiò. “Non credo di essere degna di questo nome” ribatté. “Tu non mi conosci.”

L’elfo si accomodò sull’erba morbida e umida della sera. “Fatti conoscere” disse. Quella frase suonava tanto come in invito. “Ti fidi di me?” chiese poi, per la diffidenza letta nello sguardo della ragazza.

In tutta risposta, Erica, o Elen, si sedette accanto a lui. E, dopo un attimo di esitazione, raccontò, sfogandosi con tutta la forza che aveva in corpo.

Alla fine della storia, il giovane elfo aveva una smorfia amara dipinta sul volto. “Che urco!” esclamò scandalizzato. “Un vero mostro” annuì Erica.

Rimasero in silenzio per un po’. Poi…

“Adesso è il mio turno” L’elfo si alzò e le tese la mano. “Vieni con me. E’ giunto il momento che ti racconti la mia storia.”

 

*

 

La radura era immensa. Un enorme spiazzo erboso si dipanava sotto i loro piedi, abitato dalle più straordinarie creature che Erica avesse mai visto. Animali colorati e sfavillanti si agitavano allegri nel prato sotto enormi costruzioni che si arrampicavano, insieme alle fate e ai folletti, sugli alberi, abitanti della foresta. Case marmoree, bianche come la neve immacolata di prima mattina, sembravano librarsi sui loro rami, illuminate dalla luce che le eteree ninfe emanavano, solari.

Elfi, Hobbit, Nani e Gnomi, Stregoni e Creature di tutte le forme e dimensioni ridevano, ciarlavano, urlavano divertite e sospiravano passionali sotto la pura luce della luna.

“Ma… cosa…” Erica non aveva parole per esprimersi. Semplicemente, si limitò a riempirsi gli occhi di tutte quelle meraviglie che, ne era sicura, al suo risveglio non sarebbero state altro che cenere nel suo camino spento.

Sembrava un stupendo flash del libro di Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie. La ragazza socchiuse gli occhi, godendosi quei memorabili momenti, sicura che di lì a poco si sarebbe dovuta risvegliare.

Là ea, sii sicura. Non è un sogno.” La voce dell’amico le arrivò quasi ovattata.

Erica si girò verso di lui. “Lo spero” sospirò, lo sguardo colmo di meraviglie stupefacenti. Come se l’intero mondo fantasy del suo vicino di casa si fosse ritrovato nel bosco accanto al paese.

“Come… come…” Inutile, le parole non riuscivano a salirle sulle labbra.

Lui le strinse gentilmente la spalla. “Come siamo arrivati sin qui? Non ti sei mai chiesta cosa ci fosse al di là dei Porti Grigi?”

“Porti Grigi?” Il cervello di Elen ci mise qualche istante per comprendere il tutto. Alla fine del libro di John Tolkien si vedevano creature di ogni origine e provenienza imbarcarsi ai Porti Grigi verso un’altra dimensione, un altro tempo, un altro luogo. Spalancò le labbra. “Non mi dirai che c’è un collegamento diretto con il mondo… con il nostro mondo!”

L’elfo annuì silenziosamente. Gli occhi scuri brillavano di eccitazione. “E il nostro desiderio di conoscere la vera origine della Terra di Mezzo ci ha guidati fin qui, insieme ad un altro punto di riferimento. Che, di sicuro, non è la comune Stella Polare” ridacchiò argentino. Elen lo guardava, estasiata e rapita.

“Sei tu, Elen, Stella. I tuoi sentimenti, le tue passioni, la tua voglia di vivere in un universo all’infuori della vita normale ha condotto l’oggetto dei tuoi desideri sin qui. E ti ritrovi, a due miglia da casa tua, un intero popolo ‘fantastico’ pronto ad acclamarti come sua regina.”

“Regina?” Elen non sapeva che dire. “Ma io non posso essere la vostra regina! John lo è! E’ il vostro creatore!”

“Con John abbiamo parlato ieri. E ci ha indicato la prescelta.”

“Prescelta? Aspetta un attimo!” D’un tratto tutto tacque. Persino gli alberi smisero di frusciare al fresco vento della notte. Elen aggrottò le sopracciglia. “Io sono scappata dal mio patrigno, ma per essere libera, non sicuramente per essere imprigionata nel mio stesso sogno!”

L’elfo parve deluso. “Non ci vuoi?”

Erica sospirò. “Non può esistere un mondo così meraviglioso. Mi sto prendendo in giro da sola.”

Lui le prese la mano, e la ragazza trasalì al suo tocco. Era fresca. “Un sogno può essere fresco, Elen? Io sono Elendil, l’innamorato delle stelle.”

E d’un tratto, Elen sentì. Senti il terriccio sotto i suoi piedi scalzi essere bagnato d’acqua piovana, sentì l’aria profumata d’alba innalzarsi su per il cielo, sentì gli alberi ondeggiare al suono del vento, le foglie danzanti sui rami percorsi da piccole, gentili creature, sentì il sole appena nato fare capolino dietro il corpicino di una fata solare, baciandole la pelle con i suoi raggi tiepidi di primavera.

E sentì che, in fondo, un sogno non poteva valere una vita intera.

 

≈♣≈♥≈♣≈

Buongiorno! Be’, il significato di questa storia è leggermente intricato, ma come facevo a non scriverla, a simboleggiare se non con un racconto misterioso l’animo di una delle mie più care amiche?

Voglio dire che un sogno non è la realtà, ma, anche se è inutile crogiolarsi in un universo parallelo, a volte è necessario, come necessario era questo racconto, rifugiarsi nelle proprie idee e nei propri sentimenti. Poichè, se si ha il sosetgno delle proprie idee e dei propri ideali, la forza di andare avanti viene spontanea, come viene spontaneo voler bene a una amica come te, Eyrin.

Abbi fiducia nel tuo futuro e in tutto ciò che ne costituirà il periodo più florido e colorato della tua vita

Un bacione

Ilaja

 

Naturalmente, un bacione anche a tutti voi che vi siete letti questa storia! Spero di non avervi annoiato troppo^^! 

  
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