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Autore: dublino    13/06/2010    6 recensioni
"Si dice che uccidere una bestia non sia peccato, solo un uomo. Ma quando finisce l’una e inizia l’altro?"
Remus Lupin e il suo mare di ricordi, di perle consapevoli e nascoste.
Il cammino di un uomo, di una creatura.
Buona Lettura,
dublino
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Remus Lupin__ Vita di confine

 

Si dice che uccidere una bestia non sia peccato, solo un uomo…
Ma quando finisce l'una e inizia l'altro?

 

2 maggio 1998
Il vento:menestrello di notizie, fuggevole portatore di pace e afflizione scava nei cuori affannati dell'uomo, cambia celere prima di concedere il tempo di abituarcisi.
Sempre così mi sono sentito: ogni volta preda di qualcosa troppo grande per essere combattuto, alla ricerca della speranza che mai sono riuscito ad afferrare... Nonostante io mi sia sempre sforzato, nonostante non abbia dato niente per scontato.
A cosa porta il desiderio innocuo di realizzazione e felicità? mi chiedevo spesso mentre osservavo tremante la mia miserevole vita…
A nulla... Rispondevano le mie labbra come colpite dal bisogno delle mie orecchie di nascondersi dietro la verità; se non ad uno stato infinitamente peggiore a quello in cui ci si trovava prima che la malsana idea fuggisse agli argini della propria razionalità.
Il bisogno di vita, il calore forte che divampa in ogni cuore e ogni corpo consuma, in me si è trasformato sfortunatamente in una frustrazione amara e terrificante. Sorridevo dolcemente, riflettendo, trasformando il mio dolore in consapevolezza... Mi incutevo timore rammentandomi che dovevo avere pazienza, che non potevo desiderare altro che un po' di comprensione, nient' altro. Solo comprensione, niente affetto, niente amicizia.
E allora la guardavo da lontano, fuggivo il suo sguardo multicolore come se potessi scottarmi... Avevo paura di lei?
No di certo... Solo di me stesso e del mio desiderio in evidente crescita, del mio sogno di cambiamento ingiustificato e ingiustificabile.
Per quanto tempo un individuo, un essere vivente, può sopportare prima di esplodere?

Giorni. Mesi. Anni…

Io avevo aspettato per decenni, nascondendo dentro di me, accumulando come può fare una formica meticolosa, il mio desiderio di vivere, la mia voglia di cambiare e crescere, di realizzare qualcosa, di mostrare agli altri quello che in realtà covava nel mio cuore e nella mia anima. Avevo paura... Perchè mai qualcuno avrebbe dovuto abbassarsi a capire uno come me?

Una creatura oscura, un essere pericoloso, una bestia?

Non c'era niente da guadagnare e molto da perdere.

Ne ero consapevole e rimuginavo chiudendo dentro di me il malessere che occupava l'ambra del mio sguardo...  Ero stanco sin dall'inizio, sin dal principio ma continuavo con abnegazione ad ammortizzare i danni, legare gli errori, ingoiare le umiliazioni inflittemi. Se ero quello che ero, lo dovevo a me stesso, alla mia inopportuna tempestività nell'allontanarmi da casa, alla mia ingenuità di bambino. Ero stato condannato, avrei vissuto così: senza crescere, senza cambiare, senza aprire a chicchessia il mare di sensazioni più che umane che covavano nel mio cuore malato.

Soffrivo, e ne ero consapevole, di una malattia cronica che mi scavava nel petto, introducendosi con forza nel tunnel di miseria e solitudine che l'aiutavo a crearsi, neanche in modo inconsapevole... Lo sapevo anche allora, volevo aiutarlo, aiutare lui: il mostro che in me viveva, a tirarmi giù, a spingermi verso il fango che avevo terrore di abitare e che fuggivo sconvolto dopo ogni luna piena, dopo ogni riflessione, dopo ogni sguardo terrorizzato.

Mi osservavano con curiosità... Li sentivo, i loro occhi, annidarsi fra i miei capelli precocemente ingrigiti, scrutare con attenzione i miei occhi profondi, analizzare il mio vestiario sporco e trasandato... Lo facevano senza darsi pena che io potessi accorgermene, che io potessi infastidirmi o almeno sentirmi offeso nell'intimità del mio animo. All'inizio credevano, a torto, che io fossi uno dei tanti, smarritisi nell'inferno senza ritorno delle droghe o degli psicofarmaci. Magari fosse stato quello, dicevo loro con uno sguardo, in quel caso avrei saputo di sicuro come riprendermi e avrei nuotato senza remore fuori da quell'oceano di brutture. Nel mio caso non era possibile, e mi sembrava quasi ironico in modo macabro e scontato, il paragone che sorgeva spontaneo dopo averci riflettuto:  La luna non è la tua droga, bensì la signora oscura che governa il tuo corpo.

Sarebbe stato meglio se quella notte fossi morto, annegato nel mio stesso sangue.

Le prime parole che pronunciavano erano quasi sincere, normali... Lo sentivo dal tono che impiegavano mentre si rivolgevano a me... Volevano rendersi simpatici, forse, apparire ai miei occhi come persone in grado di aiutarmi, degne di fiducia... Ricambiavo allora il sorriso ammortizzando le mie espressioni, addolcendole come al solito in un modo che mi riusciva spontaneo e veloce. Era così da troppo tempo ormai, da così tanto che non ricordavo neanche quando avevo iniziato.

Scavavo nei miei ricordi per trovare quel momento in cui tutto aveva cominciato ad avere un sapore diverso per me...

Dove era? In quale spazio lontano e angusto si era nascosto, perchè non riuscivo a farlo emergere dalla mia parte irrazionale? Forse era solo un meccanismo di difesa, un semplice modo per proteggere l'unica inconsapevolezza che mi era rimasta;oppure si trattava di un modo banale che la mia mente aveva escogitato per non pensarci?

E allora riflettevo, scavavo...  Ignorando le urla provenienti dal mio corpo e dal mio cuore:
Non farlo, Remus. Continua ad ignorarci; Almeno questa umiliazione, almeno questa opprimente prova della tua bassezza umana, lasciala da parte… Ed io continuavo, mi facevo beffe, deciso a non lasciare niente al caso, di quelle voci sottili e penetranti. Non sapevo che sarebbero solo aumentate se non avessi lasciato stare, non mi interessava, non davo loro importanza.

'Lascia stare, Remus...' Era la voce della mia coscienza sporca, non solo della mia mente desiderosa di uno stato di pace che non poteva avere. Ero vittima, protagonista consapevole di un dramma che si consumava poco a poco e che coinvolgeva sfortunatamente ogni parte della mia anima dolorosa.

Non pensarci. Non scavare. Non cercare. Continua ad ignorarci.

Non avevo fatto niente del genere, non avevo dato retta alla saggia e penetrante voce della mia coscienza… Mi ero addentrato con forza nei miei ricordi lanuginosi, secchi, grigi e cosa avevo scoperto?

La verità mi era caduta addosso con la sua mole di pesanti avvisaglie minacciose, era scivolata dall'incubo in cui l'avevo relegata ed ora immobile, minacciosa, brutta, avariata, mi stava davanti aspettando una mia mossa...

Ero pronto? Lo sarei mai stato?

Dopotutto chi è mai pronto a lasciarsi andare ai propri dolori, chi accetta chinando il capo di perire senza nemmeno alzare un dito?

La risposta: Solo io, io Remus Lupin…
Perché? Perché l'avevo sempre fatto e anche in quel momento, in quei momenti confusi e lunghi, durati secoli e mai finiti... Ero pronto in modo consapevole a donare l'ulteriore sprazzo di lucida speranza di vita, di realizzazione e di crescita…

In cambio di cosa? Solo di un altro dolore, problema, affanno e verità. Perché cosa trova colui che spera di cambiare e realizzarsi? L'uomo ingenuamente stolto e ardito? Solo affanno, solo infelicità, solo consapevolezza amara e forte della propria sconfitta.

 

Certe volte ho anche pensato che sarebbe stato preferibile per me nascere sotto forma di cane o di farfalla... Almeno non avrei avuto da sopportare la mole di distruzione che dovevo sorbirmi mentre cupo e maledetto cercavo di evitare i fossi in cui potevo cadere.

In fine la risposta, il ricordo, la dannazione che avevo fuggito e cercato con tutto me stesso...

Lo sguardo del medimago il mattino dopo la disgrazia: pena, falsa comprensione, incertezza... Avevo sei anni, avevo già capito.

 

                                                                                ****
13 febbraio 1974
'Ti fai troppi problemi, Lunastorta' Mi aveva detto con il suo solito espansivo sorriso, mi aveva battuto una pacca sulle spalle e mi aveva strizzato l'occhio.

Troppi problemi...

Troppi problemi…

No, non troppi... Uno solo

Il mio problema... Quello che mi bloccava il respiro nel petto al solo pensarci, quello che infestava le mie notti con incubi terrificanti e limpidi di veridicità. Era il mio problema: si fondeva fra sogni e realtà durante quelle notti in cui non ero solo.

Solo questo... Il pensiero che dentro di me abitava una creatura malsana e diabolica bastava a sfiancarmi e affliggermi a fare correre attraverso il mio corpo brividi freddi di terrore manifesto. Dentro di me: nel mio corpo, attaccato con gli artigli sporchi alla mia anima stava la bestia ruggendo piano, sibilando maligna, schernendomi divertita. Mi svegliavo la notte in preda agli incubi che erano ormai diventati miei compagni fedeli, sentivo il sudore asciugarsi sulla mia pelle a contatto con le lenzuola tiepide;si appiccicavano alle gambe e mi intrappolavano rendendo vani i miei tentativi di alzarmi per lavare il viso con acqua fredda. Restavo a letto, allora, sentendo le forze abbandonarmi, le risate rauche e terrificanti farmi quasi scomparire nel letto, attraversarmi e stringere una morsa sul mio stomaco magro.

Occhi rossi, gialli, luminosi, terrificanti, cupi e aridi come pozzi di melma mi scrutavano, mi chiamavano, rendendo impossibili i miei tentativi di dormire qualche ora, così da somigliare ad un essere umano, almeno nell'aspetto esteriore, visto che dentro non avrei mai potuto esserlo. Il mio cuore cominciava a battere forte, lo sentivo galoppare aumentando la sua corsa mano mano che il sogno si approfondiva, le mie mani racchiudevano il mio volto segnato da tante piccole ruvide cicatrici, cercavano di proteggermi in modo ingenuo chiudendomi dentro di loro. Mi trovavo, in quelle visioni lugubri e realistiche in modo sconvolgente, in stanze buie prive di finestre, colme soltanto del greve odore di paura che sentivo addosso troppo spesso anche durante la veglia. Io me ne stavo rannicchiato in un angolo, le mani coprivano il volto nello stesso modo in cui lo facevano nella realtà... le mie gambe tremavano dal freddo e dall'angoscia che premeva con i suoi lenti rintocchi su di me e sul mio cuore. Voci terribili e sottili, a volte rauche e mostruose si espandevano nella stanza, mi relegavano in quell'angolo, mi ordinavano di odiare, di disprezzare... Quello che mi sconvolgeva di più e che immancabilmente comprendevo alla fine era che... Provenivano dal mio stesso cuore, dal mio stesso corpo. Esplodeva allora dentro di me la paura, il disgusto e la pena di me stesso. E allora urlavo, o almeno cercavo di farlo, mentre mi alzavo di scatto inclinando in avanti il busto, stendendo le gambe aggrovigliate nelle lenzuola umide..

umide del mio terrore, della mia pena, dei miei lunghi incubi reali.

Il respiro mi moriva in gola, la mia voce si tacitava veloce quando dallo specchio che mi stava di fronte scorgevo due enormi occhi iniettati di sangue in concomitanza del mio volto.

Ero io: la bestia, la creatura oscura, l'essere pericoloso e inumano, il lupo mannaro.

'Ti fai troppi problemi, Lunastorta'

E allora rispondevo, ricordando la notte appena trascorsa... 'No, James. Solo uno.'

 

****

10 0ttobre  1975
Avevamo litigato aspramente per la prima volta quando avevano deciso di restare con me durante le mie notti, durante quelle notti… Come al solito decidevano di ignorare la mia volontà, pronti a fare qualcosa di utile per me, mettendo da parte la possibilità di mettersi nei guai oppure di morire per causa mia. I miei occhi mandavano scintille mentre sorridevano come si poteva farlo con un bambino capriccio, con una persona immatura che non vuole comprendere e accettare ciò che è giusto per lui.

‘James, non sapete quello che state dicendo! Io non voglio che lo facciate. Finireste per mettervi nei guai, più del solito, vi farei del male… Potrei uccidervi!’ urlavo mettendo da parte il mio pacato modo di esprimermi per adottare la difesa delle mie convinzioni.

E sorrideva Ramoso, rassicurante e deciso; ghignava Felpato sicuro e persino divertito;si associava docile Codaliscia.

Li vedevo avanzare verso di me, nei miei incubi come figure forti e amorevoli, li vedevo dilaniati dai miei stessi artigli quando la voce del mio demonio personale prendeva il sopravvento su di me.
‘Lunastorta, ci ritieni così imbecilli da gettarci in un impresa impossibile?’ chiedeva divertito Felpato carezzandosi la rada barba che affascinava tanto le ragazze.
Scuotevo il capo fulminandoli con lo sguardo, cercando di ricacciare indietro le loro decisioni folli. Non avrei permesso che si mettessero nei guai per me, che rischiassero addirittura la loro vita per me. Infilavo allora le mani fra i capelli, come se volessi strapparmeli uno ad uno, furioso e disperato.
‘No, la mia risposta e no! Non lo farete, oppure lo dirò a Silente’ dissi veloce. Compresi solo un istante dopo che le mie parole erano inutili e persino esilaranti per loro.
Loro che cercavano il pericolo;loro che più erano grossi i guai, più ne ridevano soddisfatti di loro stessi; loro i miei migliori amici. Avrebbero rischiato la vita per me, me lo stavano dimostrando…  Ma chi ero io per lasciare che loro si sacrificassero per me in quel modo? Perché sacrificarsi per me, loro che avevano tutto? Perché rovinare la loro vita? Persino Codaliscia poteva avere una vita più serena della mia, eppure per compiacenza, per adulazione, per amicizia, lo faceva… aveva deciso di forzare il suo animo pauroso e di diventare animagus.

La risata di Felpato, simile ad un gioioso latrato si era estesa nella camera che condividevamo, aveva avuto il potere di farmi cadere dalle nuvole, di svegliarmi dai miei pensieri dolorosi e colmi di inquietudine e dissenso.

‘Lunastorta, amico mio, non crederai che ci tiriamo indietro per questo cavillo!’

‘Si Lunastorta, Felpato ha ragione… Noi siamo i tuoi amici. Vogliamo aiutarti, ne saremo in grado’ aveva detto James sorridendomi. Ed ecco, l’aveva fatto di nuovo…  Era riuscito con quel sorriso fuori luogo a sciogliere i miei nervi, a darmi coraggio. Il sorriso di James era aperto, espansivo, gioioso, rassicurante, frivolo, amichevole e spesso tutto insieme. Il suo coraggioso desiderio di starmi vicino si amalgamava immergendosi in tutta la sua persona ed esplodeva in quei suoi occhi scuri lanciando scintille di sicuro affetto. Era lo sguardo di un amico, di un compagno, di un malandrino.
Peter annuiva ansioso di mostrarsi compiacente e si avvicinava fissandomi con occhi imploranti… Sembrava quasi un bambino che pregava per ottenere un dolce dalla madre. Spesso si risolvevano così, tutte le nostre discussioni: io non volevo, mi impuntavo, loro pregavano e mi dimostravano con la certezza delle loro opinioni che sbagliavo, che dovevo lasciarli fare e così avveniva. Mi sentivo accolto, allora, come sempre, in una nube di fraterno affetto ed ero felice di avere delle persone che mi volessero bene sapendo con chi avevano a che fare, con chi passavano le loro giornate, con chi scherzavano e per chi in quel momento avevano deciso di rischiare la vita.

 

 Settembre 1995- Grimmauld place
Erano passati quegli anni in modo gioioso per quanto era stato possibile. Li vedevo salutarmi da lontano, sorridermi in modo malinconico come volessero dirmi che non sarebbero più tornati e che dovevo farne tesoro, che dovevo custodirli gelosamente. Così avevo fatto…  Avevo racchiuso dentro di me quei momenti spensierati, li avevo nascosti lontano, dove lui non avrebbe potuto contaminarli e storpiarli, dove io avrei potuto trovarli e riviverli quando ne avevo più bisogno.

Erano le mie piccole perle di gioia consapevole… Così le chiamavo quando mi sentivo in vena di pensarci. C’erano dei momenti, invece, in cui mi sentivo talmente solo e ignobile che avevo paura di afflosciarmi su di loro, con loro, per paura di contaminarli, di renderli impuri. Non volevo che cambiassero, perciò li racchiudevo con forza dentro di me, dentro la mia parte innocente e quasi invisibile persino ai miei occhi. I miei ricordi erano la cosa più preziosa che possedevo, non dovevo essere così avido e sciuparli.

‘Lunastorta, mi ascolti quando ti parlo?’ chiese Sirius. Alzai il capo dal libro che stavo leggendo, che restava da ormai ore sempre sulla stessa pagina 713, sempre quella pagina ingiallita che non riuscivo a superare. I miei occhi incontrarono quelli profondamente grigi di Felpato, mi sentì vagamente in colpa ad aver permesso alla mia mente di evadere per così lungo tempo mentre lui parlava con me.
Annuì quindi scusandomi con lo sguardo, cercando di renderlo partecipe, pur senza parlare delle mie problematiche interiori che sapevo non essergli completamente estranee, anzi…
Lo sguardo decisamente seccato di Sirius si tramutò lentamente. Me ne accorsi perché notai il frenetico calore dovuto alla rabbia evanescere e amalgamarsi soffocando nel grigio naturale, ma mai calmo. Annuì ancora deciso a non cedere a quello sguardo assiduo e indagatore. Vidi le sue labbra piegarsi lentamente all’insù e il famoso ghigno Black espandersi celermente sul suo volto da ragazzo nel corpo di un uomo.
‘Perciò, visto che ascoltavi vuoi mettermi a parte delle tue opinioni in merito?’ chiese lentamente gustando ogni parola che pronunciava. Sospirai allungo, visibilmente abbattuto dalla sua tattica sopraffina e elaborata appositamente per me e per i miei momenti di silenzio pubblico e brusio scottante interiore. Era inutile tentare di combattere visto il suo sguardo vittorioso, la luce nei suoi occhi, per una volta non dovuta all’ultima goccia di wisky incendiario presente nel suo bicchiere.
‘Hai ragione, Felpato. Scusami… Sono pronto ad ascoltare adesso’ dissi con un tono di voce sottomesso e cordiale, consono a chi, come me in quel momento, ammette ad un altro di avere sbagliato. Lo vidi posare il bicchiere sul pavimento in parquet, continuare a ghignare malandrino. Ero pronto a sorbirmi una conversazione lunga e snervante sui difetti illimitati di Mocciosus, oppure una prominente lamentela sulle idee di Molly e una dettagliata descrizione di una delle loro conversazioni. Sarebbe stata lunga e snervante, visto che vertevano sempre più spesso sulle mancanze in dispensa e sull’alloggio di Fierobecco. Ero pronto, però, ero lì per ascoltare.

‘Non crederai di cavartela in questo modo, vero Lunastorta?’ mi chiese alzandosi dalla poltrona nera su cui sedeva e lisciandosi i pantaloni in velluto. Inarcai un sopracciglio…

‘Ora sono molto curioso di conoscere i soggetti delle tue seghe mentali..’ Il termine usato in modo consapevole e pungente mi fece drizzare in modo del tutto inconsapevole sulla mia poltrona. Lo vidi ridere… Niente gli sfuggiva
‘Felpato… Non darti pensiero, erano le solite cose a occupare le mie divagazioni…’ dissi piano cercando di modulare la voce in modo che non sembrasse colma di affettato desiderio di cavarmela bene e velocemente. Respirai affondo inghiottendo il singulto che avrebbe dimostrato la mia colpevolezza e mi strinsi le mani l’una con l’altra, le gambe si incrociarono nervosamente.
Sirius sorrise stranamente e preoccupantemente tranquillo, aprì la bocca come per dire qualcosa… La richiuse.
Tirai un sospiro di sollievo… Possibile che mi avesse creduto, per una sola volta nella mia vita?
‘Peccato che io conosca le tue abituali masturbazioni cerebrali e perciò ti incito a parlarmene…’ disse con un tono che voleva essere colmo di professionalità.
‘No Felpato, non mi va..’
‘Forse perché qualcuno non gradirebbe che si parlasse di lei quando non è presente?’ chiese riassumendo quel ghigno cattivo
‘No…’dissi cercando di mantenermi paziente
‘Allora non stavi pensando a lei?’
Scossi il capo: meglio una mezza bugia in questo caso; anche perchè se gli avessi detto che nel bel mezzo della riflessione sui miei problemi esistenziali avevo inserito anche Nymphadora annettendola in modo schematico e veloce fra i miei imbarazzanti problemi, avrebbe cominciato a dare sfogo ai suoi consigli comportamentali in presenza di lei. Non mi andava di ritornare a spiegargli le mie motivazioni.
‘Pensavo a quando mi avete detto che diventavate animagus per causa mia…’ dissi fissando lo sguardo nel fuoco
‘Già…’ disse con tono sognante, strascicando le lettere in modo lento come se volesse consumarle con calma.
‘E pensare che avete agito contro il mio volere… Non so come avrei fatto senza di voi’ dissi continuando a fissare instancabilmente il fuoco

‘E’ questo il momento!’ esclamò con convinzione Felpato, alzai gli occhi e li fissai sul suo viso leggermente rubicondo, nobile, soddisfatto. Mi sembrò in quel momento fosse velato da una leggera nube di malinconia.
‘Di cosa stai parlando?’ chiesi poggiando i gomiti sulle ginocchia, sporgendomi verso di lui. Era strano quel suo tono, il suo sguardo.
‘Questo è il momento che io e Ramoso aspettavamo dal pomeriggio in cui ti abbiamo convinto lupo testardo!’
‘Ebbene è arrivato…’ dissi lentamente, più a me che a lui.
‘Peccato che non potrà mai saperlo’ un sussurro confuso il suo, un espressione velata di tristezza che non mi sfuggì. Dopotutto ero famoso per sapere ascoltare, per essere un buon confidente
‘Già non potrà…’ gli feci lentamente eco e chiusi gli occhi prima di potere vedere Sirius, il mio unico amico, riempirsi il bicchiere di whisky incendiario. Quella sera i suoi occhi avrebbero brillato di nuovo, falsamente.

 

****

Novembre 1995
La mia esistenza era passata come attraverso un filtro: un grosso filtro nero che cancellava con meticolosa perfezione ogni possibile momento felice o spensierato... Restavano solo le cose peggiori. Niente che non fosse legato alla mia anima sporca, al mio corpo corrotto, sopravviveva...

Ed ora... Ed ora lei.

Nymphadora Tonks: la creatura più bella che avessi mai potuto sperare di incontrare, la gemma più preziosa, l'anima piena di coraggio. Non avrei permesso a me stesso di rovinarla, non lo avrei permesso a lui. Mi ossessionava con le sue parole testarde, con le sue occhiate furenti, mi dava il tormento, mi uccideva con i suoi sguardi tristi, in seguito con quei capelli grigi, grigi come il mio più intimo essere. Furono molteplici le nostre liti... E mi viene quasi da riderne adesso, vista la somiglianza che avevano con quelle che affrontavamo noi malandrini... Io un testardo senza speranza, credevo nelle mie considerazioni sbagliate e loro cercavano e ottenevano di farmi rinsavire. Anche per lei era così... Mi osservava a lungo, con quegli occhi profondi, scuri, dolci ma incredibilmente colmi di una forza capace di sbaragliare il mio essere in modo profondo; scuoteva il capo e alzava le mani al cielo, come se quel movimento avesse potuto scuotere il mio torpore esistenziale, la mia paura atavica ma non priva di ragione. Non rispondevo inizialmente, deciso a rendermi docile e gentile come al solito, mettevo da parte per principio la voglia di urlarle contro, di dirle che si sarebbe rovinata la vita, che io gliela avrei rovinata in modo irreparabile. Mi additava, allora, le parole le uscivano dalle labbra come un fiume in piena, pestava il pavimento con gli scarponi neri con forza, quasi avesse voluto scaricare la sua rabbia su di esso, poi si girava dall'altro lato e non parlava più... ed io capivo che non potevo più tacere, cominciavo a spiegare e rispiegare, a parlare e a parlare. Cercavo di farla riflettere sulla conseguenza delle nostre possibili azioni, sulla vita che avrebbe dovuto condividere con me, porgevo l'accento su quello che avrebbe perso.
Nymphadora aveva sempre la risposta pronta, qualunque cosa io dicessi.
Era di spalle... Non vedevo oltre il lungo mantello nero che indossava, le scarpe massicce e sfilacciate che la accompagnavano durante le sue missioni... e naturalmente i suoi capelli: grigi.
Respirai a fondo prima di ricominciare a parlare, mi portai una mano fra i capelli scostandone qualche ciocca dal viso, chiusi gli occhi e respirai ancora, sospirai. Era sempre così fra noi due: ogni litigata era peggio dell'altra, ogni discussione accesa e accalorata ci lasciava come spenti e privi di forze;poi le mi stupiva, come al solito, girandosi verso di me quando ancora non ero pronto, e mi illuminava con gli occhi lucidi. Allora mi maledivo autonomamente rendendomi conto che la persona che amavo soffriva per me, per una mia decisione. Ero davvero un mostro, lei non meritava di stare con un come me, di provare qualcosa per me... Io non glielo avrei permesso.
Lei mi dimostrava ogni giorno di amarmi ed io spegnevo il mio cuore, ignorando il fuoco che mi dilaniava ogni volta che incontravo il suo sguardo e cercavo di dimostrarmi amico, paterno, fraterno... quello che lei odiava io potessi essere e che cercava di allontanare dai suoi occhi. Forse se io avessi continuato a gettare cenere sul mio sentimento, a nasconderlo e mortificarlo, lei si sarebbe accorta che non ne ero degno.

Pensavo, e a torto, che allontanandola da me, che ponendo un freno ai nostri rapporti il mio amore si sarebbe calmato, i miei sentimenti avrebbero smesso di vorticare e di infestare la mia mente malata… invece no, era tutto il contrario! Più mi prodigavo affinché lei capisse e comprendesse, affinché si allontanasse e si salvasse, più la amavo incondizionatamente e il sacrificio era diventata l'unica ombra masochista di cui potevo godere. Era bello, se pur doloroso oltre ogni immaginazione, soffrire affinché lei stesse bene. Durante la notte, durante il giorno, mi ripetevo che lei era lontana da me, che non avrei potuto farle del male, che il mio influsso negativo e malefico era libero di colpire solo me. Come una persona davanti ad uno specchio mi sentivo, poi gli specchi si allargavano e ricoprivano la parete del mio sogno... una luce nera, avvolgente e putrida usciva dal mio petto, colpiva con forza le pareti e ritornava dentro di me, gridando in mille urla di sangue la delusione di non aver potuto intaccare niente altro che me ancora e ancora.
Lei era salva, mi bastava.

 

31 ottobre 1981

Silenzio surclassava ogni mio senso instabile, eccitava la corsa dei miei pensieri scarni, rendeva vani i miei tentativi di domare la rivolta che si agitava dentro di me.
In piedi di fronte le macerie desideravo contarle quasi, affinché il mio cuore potesse colmarsi e poi esplodere di rassegnazione ultima. Le rovine quasi fumanti  rovistavano dentro di me, occludevano la mia vista riempiendomi gli occhi di tizzoni e fumo, di fuoco e urla. Se chiudevo gli occhi e mi concentravo riuscivo persino a sentire le urla che loro avevano dovuto emettere, che Lily e James avevano emesso prima di morire. Le mie orecchie cominciavano a fischiare dolorosamente quando la concretezza di quello che si era appena perpetuato mi colpiva con fermezza.
Stracci rotti, pezzi di metallo, tizzoni ardenti, cumuli di macerie.
Cosa rimaneva di loro? Solo aria, solo vento, solo fuoco.
Cosa rimaneva di me? Solo macerie.
Ero divenuto un pezzo vecchio, uno scarto ambulante nel medesimo istante in cui i miei occhi avevano colto i profili disastrati di quella che era stato il loro nido, la loro casa, il rifugio che spesso mi aveva ospitato. Era crollato tutto, velocemente.
Sciolto come neve al sole forte del mattino, degradato come un corpo morbido e caldo al contatto di un acido.  Finito.
Il  fumo per nulla spento sulle macerie mi entrava sempre più profondamente dentro, mi stordiva tanto che  dovetti piegarmi per reggere il peso di tutto quello. Mi sentivo come un novello Atlante, incapace di reggere il mondo, con il solo ausilio delle sue braccia stanche.
Io non ero un titano però… I miei occhi non rilucevano della gloria infinita dei cieli, della potenza che Giove stesso aveva inculcato nei miei muscoli. Io ero solo un essere, nemmeno una creatura, destinato a  soccombere sotto quel peso ingombrante e nauseante, completamente marcio che era il mondo, per me.
Le mie ginocchia si piegarono finché non percepì il terreno ancora caldo entrare in contatto con la stoffa lacera dei pantaloni.
In ginocchio guardai la mia vita scorrere davanti agli occhi.
I miei migliori amici non c’erano più.
James e Lily eroici  e morti per salvare loro figlio
Peter, vittima della furia della persona a loro più vicina…
Sirius… Il fratello mancato di James, l’amico presente, il testimone indispensabile, il padrino affettuoso, era in realtà il mostro terrificante e il traditore che aveva condannato tutti noi e soprattutto il piccolo Harry.
Una mano strinse la mia spalla destra e un ultima lacrima cadde dai miei occhi appannati di dolore quando  due braccia forti mi tirarono su.
Maceria di me stesso ero diventato.

 

 

 

 

****

  Maggio 1996

La morte di Sirius mi aveva colto in modo completamente diverso da quello che mi sarei potuto aspettare… Senza dubbio nessuno può dirsi padrone dei suoi sentimenti quando perde una persona cara. Io per primo credo di essere stato colpito.  L'impatto con l'avvenimento, con la notizia, era stato simile a quello con un fulmine a ciel sereno, ad una tempesta apparsa all'improvviso in un cielo senza nuvole. I miei occhi, però, dopo essere entrati in contatto con quella luce vennero improvvisamente accecati. Mi sentì svuotato, solo, inutile… Come se l'ultimo istante in cui avevo osservato il mio amico:quello che l'aveva visto cadere attraverso quel maledetto velo, mi avesse privato della compattezza e dello smalto che avevo serbato con totale riserbo per molti anni, in attesa. Scioccamente, in passato avevo pensato di conservare gli ultimi sprazzi di felice lucidità affinché potessi usarli in tempo di pace, quando avrei potuto rifarmi una vita degna di questo nome. Pensai in quei momenti terrificanti che, era stato solo un orribile e mortificante bluff... dietro la luce accecante del lampo si nascondeva la copia esatta del mio passato e la predizione del mio futuro.

Lo sguardo si perse mentre stringevo le braccia attorno al corpo di Harry,per fermarlo, senza sentire sul serio le urla di disperazione di quel povero ragazzo.

Sirius... Il mio caro Felpato, l'amico di tante scorribande, il sorriso malandrino per eccellenza... non c'era più.

Odiavo il modo in cui era successo sopra ogni altra cosa.. Non che se fosse successo in un altro modo sarei stato più contento, ma il dolore avrebbe raggiunto elevazioni talmente sublimi mentre avrei vegliato il suo corpo senza vita, che mi sarei sentito ancora più solo... forse la patina che aveva ricoperto i miei occhi sarebbe scivolata via e avrebbe lasciato spazio solo ai tuoni che avrei dovuto sentire e che invece rimanevano muti alle mie orecchie stanche.

 

L'avevo vegliata quella notte mentre lottava furiosamente contro i suoi incubi. I capelli nel sonno disturbato di cui non stava per nulla godendo, erano sciolti e le ricadevano sul viso, attorno al collo, morbidi e sbiaditi. Erano un po' come il mio sguardo, come il mio animo: sbiaditi.. Solo che io non avrei potuto, almeno credevo, di potere trovare di nuovo la vista normale, il suo opaco invece con un po' di esercizio e tempo sarebbe stato dimenticato e i colori avrebbero di nuovo brillato su di lei, come avevano sempre fatto. Si muoveva fra quelle lenzuola completamente bianche del letto, all'ospedale... mi si stringeva il cuore quando notavo che non poteva trovare una posizione per riposare, che i suoi occhi erano perennemente umidi, che le sue labbra sussurravano parole incomprese e tristi, lamenti spauriti di una giovane donna matura e coraggiosa che mi sembrava in quel momento poco più che una bambina. Scivolai allora dalla mia poltrona bassa, mi sfilai il mantello vecchio, con cura lo ripiegai e lo posai sul bracciolo della poltrona. Mi avvicinai al letto dove Nymphadora giaceva stanca e impaurita... Sentivo un profumo di fresco che niente aveva in comune con quello statico e sterile dell'ospedale. Era il profumo di lei, della donna che amavo e che ero aveva bisogno di me, che l'abbracciassi.

Mi sentì avvampare di vergogna quando mi sedetti sul letto accanto a lei, quando stesi con circospezione le gambe fuori dal lenzuolo, accanto alle sue. Erano nervose le gambe di Dora, si muovevano come tutto di lei, tremavano. Volevo che riposasse, che riuscisse a calmarsi almeno per un ora quella notte terribile in cui aveva rischiato la vita e in cui aveva perso anche lei una persona amata, di famiglia, unica. Il tepore accogliente del cuscino accolse il mio viso e mi sentì meglio ascoltando il respiro frenetico di Nymphadora entrare in contatto più approfondito con il mio corpo.

Era come una medicina... Una medicina indispensabile e colorata. Lo era stata sul serio, quando agli inizi della nostra conoscenza avevo cominciato a darle il nomignolo scemo di confetto colorato. Solo nei miei pensieri, si intende. Nymphadora era stata per lungo tempo il mio confetto colorato, l'antidoto contro la depressione e i malanni che mi coprivano completamente. Mi voltai sul fianco e feci scorrere le braccia oltre la sua vita. Era così piccola, sembrava troppo debole, fragile. Anche io avevo concorso al suo indebolimento interiore, senza dubbio. Questo pensiero mi fece provare un dolore acuto al petto e una pioggia di rimproveri mi calò addosso. Ero lì per farla stare bene, per una volta nella mia vita insensata. Strinsi il più dolcemente possibile la presa sul suo corpo delicato, sottile, e la tirai verso di me... Scivolò facilmente fra le mie braccia. Il calore mi incendiò velocemente il cuore, espandendosi in milioni di brividi in tutto il corpo, rendendomi difficile emettere un respiro. Sbattei le palpebre e un lampo di consapevolezza mi inondò... Sentì di poterci vedere ancora e sorrisi nell'oscurità. Lei era ancora la mia cura, lo sarebbe stata per sempre. Quella notte la cullai, la tenni stretta al mio petto e gioì profondamente quando la sentì rilassarsi contro di me e dormire. Il senso di colpa, per avere osato toccarla non sparì, ma si attenuò quando sentì il suo respiro diventare quasi normale, stabilizzarsi. Me ne andai prima che potesse aprire gli occhi.

Il tormento che provavo intesseva dentro di me la consapevolezza che non avrei mai potuto trovare pace... Non avrei potuto dimenticare i momenti passati con Dora, neanche se avessi voluto. Da un lato mi sentivo indubbiamente felice di averli vissuti, sapevo che le perle di consapevolezza che custodivo gelosamente erano ancora più preziose... Dall'altro mi sentivo immensamente colpevole per averle ceduto diverse volte, per averla illusa e avere fatto lo stesso con me. Mi ero sentito un povero idiota sognatore infinite volte mentre ripensavo a quei momenti tanto preziosi e perciò irripetibili.

 

24 dicembre 1995
Il Natale di appena un anno prima, sembrava appartenere ad un universo completamente distante, distaccato, perso. Un natale al nuovo quartier generale dell'ordine:Grimmauld Place. Quella casa vecchia, colma di mistero, oscura, trasudava disprezzo nei confronti di noi, membri dell'ordine, come se possedesse una mente e un anima. Molte volte sedevo su una vecchia poltrona nel piccolo salotto della libreria e osservavo le pareti, i quadri raffiguranti vecchi maghi scorbutici e razzisti. Quanto poteva essere vario il mondo? Quante meraviglie scottanti e paurose poteva nascondere? E allora i miei occhi brillavano, accompagnavano con il loro luccichio inopportuno l'entrata di lei in quella stanza. Osservavano con stupore e felicità ogni sua mossa, ogni suo passo buffo, ogni sua parola. La meraviglia del mondo per me era concentrata in due occhi blu notte tremendamente sinceri, in capelli talmente rosa da brillare al buio…  era lei.

'Cosa fai di bello, professor Lupin?' mi chiese venendo dalla mia parte con l'evidente intenzione di sedermi accanto. Le sorrisi, non era mia intenzione farlo, ma non riuscivo mai a trattenermi. C'era qualcosa nel suo viso così bello che mi impediva di rimanere serio per più di un istante. Incontravo il suo sguardo multicolore e la mia espressione si scioglieva inevitabilmente rendendomi malleabile, felice, sciocco.

Contai i secondi che la separavano dal sedersi accanto a me e respirai affondo il suo profumo quando si accoccolò sul posto libero. Poggiò incurante una mano attorno alle mie spalle, reggendosi prudentemente per evitare di cadere. Mi rivolse un gran sorriso e i suoi occhi brillarono quando mi voltai a guardarla con calma. Allungò una mano piccola, chiara.. mi sembrava talmente fragile.. e la portò al plaid con cui ero coperto, lo alzò lentamente e ne tirò un poco verso di se, coprendosi. Era incredibile come la condivisione di una sciocchezza del genere mi facesse bene. Essere coperto insieme a lei dallo stesso plaid mi piaceva, mi faceva sentire a casa come spesso non mi capitava. Ricordai improvvisamente che mi aveva rivolto una domanda e annuì notando l'espressione di giocosa attesa di cui il suo volto era colmo. Rischiavo di fare la figura dell'imbranato.

'leggo' dissi semplicemente. Mi sentì inadeguatamente conciso e decisi che era meglio darle qualche spiegazione in più, così da renderla partecipe in modo più completo di quello che facevo 'un libro interessante sull'anima...' spiegai infatti mostrandole la copertina.

Il viso di Dora si illuminò improvvisamente e un piccolo sorriso di divertimento apparve su di esso. Conoscevo quell'espressione: stava per canzonarmi su qualcosa che riteneva troppo affine alle mie abitudine e poco alle sue. Ricambiai il sorriso automaticamente e citai anche l'autore come per dare maggiore conferma della serietà delle mie intenzioni culturali. Il sorriso sul volto di Nymphadora si ampliò.

'ed è molto interessante?' chiese sbirciando attraverso le pagine

Annuì osservando divertito i capelli cambiare colore... erano diventati completamente verdi! Le succedeva quando era curiosa, di certo.

'Si, molto Dora...' le sussurrai senza smettere di osservare il suo sguardo blu scuro. Sorrise ancora e il mio cuore cominciò a battere forte.

'Me ne parli un po' Rem? Mi piace ascoltare i racconti...' sussurrò chinando il capo sul mio collo

'Certo, se ti fa piacere' risposi piano

'Naturale!' trillò dolcemente respirando a fondo. Respirai anche io, assorbendo il suo profumo dolce... Era un misto sensazionale di: zucchero filato e frutti di bosco. Chiusi gli occhi un momento per godermi appieno il profumo, poi cominciai a parlare.

'Parla di come dare il giusto nutrimento alla propria anima. Spesso noi non facciamo caso alla nostra vita interiore, Dora... Ci limitiamo a trascorrere le giornate, impelagati dagli obblighi. Dimentichiamo che l'anima ha bisogno di attenzioni proprio come il corpo. Se essa viene ignorata si avvilisce e gli effetti sono visibili anche sul fisico' dissi piano, facendo attenzione ad ogni parola. Per me quello era un argomento particolarmente caro... Io e la mia anima, divisa in due eravamo instabili come due artisti su una fune sottile.

'Continua...' mi sussurrò guardando verso il fuoco caldo che brillava nel camino. Sentivo che una strana sorta di torpore si impadroniva di me rendendomi propenso alle confessioni e mi piaceva particolarmente, mi faceva sentire bene. Perciò annuì contro i suoi capelli, sperando egoisticamente che non si spostasse mai da quella posizione e continuai come mi aveva chiesto.

'Sul libro viene riportato il parere di diversi autori riguardo a questo argomento. Naturalmente i pareri contrastano spesso su diversi punti... ma una cosa che mi ha colpito è che ripetono tutti che bisogna prendere coscienza di se stessi, essere completamente aperti con la propria anima e verso gli altri.' dissi lentamente, respirando affondo. Mi sentivo strano, come se le stessi confessando uno dei pensieri più intimi che mi appartenevano, eppure stavo solo parlando dell'ultimo libro che leggevo.

'Non dice come fare per nutrire la propria anima?' chiese poi, dopo un minuto di silenzio

'Si che lo dice. Ci sono diversi modi in effetti...' dissi covando dentro di me la sensazione che mi stavo cacciando in un grosso guaio, stavo imboccando un tunnel senza uscita. Un percorso attraente e indispensabile si apriva per me ed io non avrei mai saputo rinunciarvi. 'aiuto verso il prossimo, coscienza di se stessi, fede in Dio, amore per il bello, quotidianità serena e ...' mi bloccai nell'elencare percependo che il nodo formatisi nella mia gola si ingigantiva e mi impediva di proseguire.

La mano di Nymphadora raggiunse i miei capelli... Soppressi un sussulto quando cominciò ad accarezzarli

'Credo di sapere quale parola stavi per dire, Rem' mi sussurrò avvicinando le labbra al mio orecchio. Sentì il suo fiato caldo carezzarmi il lobo e le sue labbra sussurrare lentamente e in modo soave 'amore...' deglutì e annuì.

'Vuoi nutrire la tua anima, Rem?' mi chiese guardandomi intensamente. Mi lanciò uno sguardo eloquente quando non risposi, troppo impegnato ad osservare le sue labbra. Annuì e le sorrisi. I capelli di Dora erano diventati più lunghi, ondulati e di un colore caldo come il fuoco: rossi. Le sorrisi ancora, curioso di provare finalmente un contatto più intimo, ravvicinato, solo per noi due.

'Lo vorrei sopra ogni cosa...' le sussurrai contro le labbra

'Fallo, allora..' un sussurro il suo che ebbe la forza di scuotermi e costruire dentro di me la macchina del tormento.

Non risposi e piegai il capo verso di lei, le mie labbra trovarono le sue, vi si incollarono perfettamente. Il fuoco che avevo visto nel suo sguardo salì lungo la mia gola sciogliendo il fastidioso nodo, inondò gli argini e li annientò avvolgendo completamente tutto il mio corpo, riscaldando di un calore ineguagliabile il mio petto, il mio viso, rendendo la chiusura dei miei occhi confortante e colma di tepore. Aprì le labbra e sentì le forze venirmi quasi meno quando percepì il sapore delle sue labbra e della sua bocca entrare in contatto con il mio, amalgamarsi e renderlo unico, finalmente. Le mie mani raggiunsero veloci il suo viso, lo catturarono come un cristallo prezioso e lo strinsero con attenzione... Mi feci spazio sul divano e arretrai tirandomi Dora addosso.

Come potevo essere così egoista, così privo di tatto? Rabbrividì al pensiero di essere in grado di farle del male e arretrai velocemente come se mi fossi scottato. Il suo sguardo celeste si spense all'improvviso rasentando i tratti più tenui e tristi del marrone.

'Che cosa c'è?' chiese respirando sulla mia bocca, avvicinandosi ancora a me

'Lascia che mi alzi, Tonks..' la implorai lasciando scivolare le mani dalle sue braccia. Mi sembrava di essere un ladro in quel momento... Uno sporco e vile ladro.

Mi rivolse uno sguardo pieno di incomprensione, scosse il capo

'Come mai ora mi chiami con il mio cognome?' esclamò facendo leva sul mio petto e alzandosi di scatto. La separazione mi bruciò lo stomaco e i polmoni a causa della sua lontananza forzata. Il pensiero che lei avrebbe voluto continuare a baciarmi mi fece girare la testa e mi volsi dall'altro lato, tentando di calmarmi. Odiavo quando una parte di me prendeva il sopravvento sull'altra, mi accadeva spesso quando c'era lei.

'Non volevi che lo facessi? Non fai che ripetermelo...'

'Falla finita! Stiamo parlando di qualcosa che non centra niente, tu stai divagando Remus!' disse furente 'Perché hai voluto che mi levassi, eh? pensi che un po' di contatto in più con me sconvolgerebbe la corsa verso la salvezza della tua anima?' continuò fulminandomi con lo sguardo

'Dora, per favore..'

'Per favore, Remus? Per favore cosa?' Camminava avanti e indietro per il soggiorno, calpestando con foga il pavimento sotto i suoi anfibi neri. Scosse il capo con violenza e i suoi capelli divennero completamente neri, gli occhi blu rilucevano arrabbiati e il suo pallore... Stava male

'Per favore non farmi ripetere lo stesso discorso... Sai che non serve a niente, che sprechiamo solo parole' il suo volto impallidì ulteriormente a queste parole, poi una vampata di rossa rabbia si dipinse sulle sue gote.

'Oh certo... Ti capisco. Povero Remus, obbligato dalla strega cattiva a ripetere sempre le stesse cose! Ti annoi Remus? Credi che per me sia facile?' disse con foga... Si avvicinò al piccolo tavolo da gioco e gli diede un calcio.

'Dora..'

'No, non ci provare... Me ne vado!' esclamò

'Cosa? Non puoi andare via la notte della vigilia!'

'No, e perché mai? Non dirmi che ti verranno i sensi di colpa!' esclamò ridendo istericamente

'Non lo farai!'

'Si che lo farò! Anzi lo faccio ora...' disse afferrando il mantello che giaceva per terra

'Per Merlino, Dora... Lascia che...  No aspetta, me ne vado io! Vado io, così potrai restare' provai a convincerla

'Ecco il martire... No, Remus... Non attacca! Io non ho bisogno di sacrificio, hai capito? Io voglio solo, io vorrei...  Al diavolo!!' Esclamò prima di smaterializzarsi con un schiocco.

Imprecai ad alta voce e mi sedetti sul divano... Mi presi la testa fra le mani e cominciai a dondolarmi avanti e indietro per cercare di calmare le imprecazioni che nascevano spontanee dalle mie labbra. Ero riuscito a mandarla via! Possibile che non ne combinavo una giusta? Non solo l'avevo rifiutata per l'ennesima volta dopo averla illusa, ma l'avevo anche costretta ad andare via.

Maledizione

La porta si aprì velocemente, tanto che non me ne accorsi...

'Lunastorta... Ho sentito delle urla! Cosa è successo?' Chiese con evidente curiosità Felpato

Non risposi e mi alzai lasciando scivolare le mani dai miei capelli

Lo sguardo di Sirius si fermò sul tavolino rovesciato, si fuse nel mio con aria interrogativa e divertita...

'Avete rotto il tavolino? Non credevo che Tonks fosse una violenta, almeno non…' cominciò scrutando i particolari della scena

Alzai le mani al cielo per respingere le sue malsane idee.

'No, Felpato... Cosa ti salta in mente! E' andata via...'

'Via?'

'Via...'

'Proprio?'

'Via, fuori, lontano da qui, o meglio da me...' dissi affogando di nuovo nell'autocommiserazione

'E come è successo?'

'Devo spiegarti i particolari?!' esclamai seccato

'Ci terrei si...' disse lentamente con un ghigno poco confortante

'Lascia perdere... Ti basti sapere che non ne combino una giusta. Ci siamo, ehm... Baciati e poi le ho detto che non dovevamo,  abbiamo cominciato a discutere...  Lei ha dato un calcio al tavolino perché "ho cominciato a fare il martire"e si è smaterializzata via...  E non so dove!' finì con un tremito nella voce

'Cazzo, no!'

'Cazzo, si!'

'Lunastorta e ora dove vai?' chiese osservandomi infilare il mantello nero

'a cercarla...'

'ti schianterà di sicuro!'

'meglio così'

'In bocca al..' accenno ad un ghigno sadico

'si, si crepi Felpato!' dissi smaterializzandomi subito dopo

La sensazione di vaghezza che coglie chiunque si smaterializzi si impossessò di me completamente. Appena i miei occhi colsero la luce fioca di una lampione capì di essermi smaterializzato proprio davanti casa di Dora. Arrancai velocemente verso il portone vecchio del palazzo. Era chiuso e sembrava che non avesse intenzione di aprirsi. Presi la bacchetta e mi guardai intorno prima di posarla sul pomello arrugginito. Perché mai una strega, nonché un auror, volesse vivere in un condominio babbano restava ancora un mistero insolubile. In quel momento però i miei pensieri erano volti verso altri tipo di problemi. Decisamente più esistenziali.
Quando il portone si aprì salì in fretta le due rampe di scale che mi separavano dalla porta dell’appartamento di Tonks. Probabilmente bussare sarebbe stato del tutto inutile, ma lo feci con vigore, giusto per non smentirmi.
Bussai ancora
“Dora, sono io, Remus! Puoi aprirmi per favore? Vorrei chiarire la nostra discussione” dissi senza celare il dispiacere che sentivo, il senso di colpa, il dolore.
La porta si aprì poiché era stata senza dubbio lasciata aperta e mi infilai dentro attento a non produrre più rumore di quanto non fosse necessario. Non so perché mi venne spontaneo fare attenzione ai suoni che producevo, anche perché rivelarmi a lei era il mio obbiettivo principale.
Mi smaterializzai velocemente sul tetto dopo avere fatto un giro dell’appartamento e avere constatato che era vuoto.
Nymphadora era lì. Sedeva su una vecchia brandina rosa sbiadito, con il capo rivolto verso le stelle. Attorno a lei, sulla superficie rovinata del pavimento giacevano gli scarponi.
“Dora…” sussurrai avvicinandomi lentamente
“Che sei venuto a fare anche qui?” chiese con tono freddo “ te l’ha detto Malocchio, vero? Quell’uomo è un impiccione!” esclamò furiosa
“No. Alastor non centra…” mi affrettai
La sua risata isterica mi fece sussultare
“Si come no… E ti aspetti che io ti creda? Ha sempre fatto così!”
Si alzò di scatto dalla piccola branda che la reggeva. La guardai.
Il vestito blu notte che indossava la rendeva incredibilmente bella, le sue gambe nude risaltavano slanciate e snelle, nel loro biancore. Le braccia sottili anche esse nude erano strette sui fianchi. Le lasciò scivolare e si passò una mano fra i capelli corti fino al collo, scuri, e sfrangiati. Gli occhi blu scuro brillavano di rabbia.
“Hai finito?!” esclamò
“Di fare cosa?” le chiesi facendo un passo in avanti
“ti darmi il tormento, Remus…” sussurrò mordendosi le labbra
Il mio primo istinto era quello di abbracciarla, di stringerla, di dirle che niente per me era importante come lei. Avrei voluto gettarmi ai suoi piedi e baciarla, stringere le mani intorno alle sue gambe, chiudere gli occhi e piangere per quanto era bella.
“Ora non dici niente?” chiese con la voce incrinata
“Che sei venuto a fare?” disse ancora
“Hai ragione. Io mi sto comportando male, Dora. Avrei dovuto parlarti chiaro sin dall'’inizio, dirti quello che mi pesava ed invece mi sono lasciato andare, più di una volta. Ed ora mi sento uno sciocco, un illuso, un mostro che non sa fare altro che farti soffrire. Mi dispiace, se potessi cancellare tutto e lasciarti libera lo farei.”
“Sei venuto qui per dirmi questo?” chiese guardandomi fisso negli occhi. La delusione nella sua voce era tangibile. La stavo ferendo.

“No. Voglio dirti anche che ho bisogno che tu torni a Grimmauld place. Non posso pensarti qui sola, per colpa mia, la vigilia di Natale.” Le spiegai
I suoi occhi si inumidirono leggermente. Se avesse pianto non mi sarei trattenuto. L’avrei abbracciata e l’avrei scongiurata di prendermi con se.
“Che animo nobile, Remus. Ma non preoccuparti. Va. Non ho bisogno di stare lì, dove non mi vogliono.” Disse con voce astiosa, ma quasi infantile. Il suo tono era addolorato, roco.
“Nymphadora…” sussurrai guardandola cercare di infilare gli anfibi, le gambe nude tremare nel tentativo.
Alzò lo sguardo, fulminandomi.
“Maledizione! Lo vuoi capire che il mio nome è Tonks?!” sbottò esasperata
Feci un passo in avanti e la osservai sedere sulla brandina e infilare gli anfibi. Tirò su col naso e si passò una mano chiara e affusolata fra i capelli.
“Dora non ti lascerò qui” dissi con voce ferma
“A no? Io scommetto che te ne andrai invece.  Lo fai sempre e poi, non è forse il tuo sogno liberarti di me?” chiese alzandosi
Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso
“Come puoi dire questo? Credi che io vorrei lasciarti?” chiesi alzando il tono di voce
“E vuoi anche che risponda?!”
“Si mi farebbe piacere”
“Ma sentiti Remus… Stai diventando ridicolo! Prima dici che non mi vuoi, che devo lasciarti in pace, e poi cominci con la solfa del non potermi lasciare sola! Sei incoerente. Forse dovresti decidere cosa fare, non credi?!” esclamò
“Ah è così che la pensi, eh? Giusto. Io sarei incoerente?” dissi sentendo la rabbia investirmi e amalgamarsi al dolore di non poterla avere.
Annuì con forza e mi guardò mentre mi avvicinavo.
Posai le mani sulle sue spalle delicate, bianche, lisce come la seta la scrollai dolcemente.
“Sei tu la persona incoerente, ragazzina!” dissi mentre la guardavo intensamente
Scoppiò a ridere.
“Finiscila! Potrò anche essere giovane, più giovane, ma sono matura e seria, so badare a me stessa, e non ho mai dovuto giurarlo a nessuno, parlarne a nessuno, hai capito Remus Lupin?! E non mi interessa niente se tu non lo credi, se continui a vedermi solo come una ragazzina, non è colpa mia. Sei tu! Non lo vedi? Sei solo tu. Vedi problemi dove non ce ne sono, credi che rinnegare quello che provi ti renda maturo e uomo, forse credi di rendermi libera? Sappi che mi stai condannando a morte calpestando il mio amore per te!” disse con estrema forza, con la voce convinta e dura. I suoi occhi brillavano ma la sua voce era intatta.
Non le risposi.
Lasciai andare le sue spalle e rimasi immobile, ascoltando il suo respiro, respirando il suo profumo.
Chiusi gli occhi.
“Hai ragione, Dora. Sono una delusione.” Dissi lentamente
Alzai lo sguardo e la guardai
Tremava ora
“Perdonami” aggiunsi sperando che si calmasse
“Smettila di scusarti. Non serve a niente, Rem…” disse dolcemente
Ti amo pensai dentro di me. Sei la mia vita. Io ti amo. Non posso vivere senza di te.
“Va via, per favore”  sussurrò piano. Voleva stare sola.
“non posso” risposi dolcemente, fissandola negli occhi
“Vuoi che ti schianti?” chiese alzando di nuovo la voce
“Fallo pure, non mi importa”
“Maledizione Remus! Maledizione a me e a te, a tutti gli stupidissimi sentimenti che provo, alle tue seghe mentali del cazzo” imprecò
Sorrisi. Era stupenda anche quando si arrabbiava
“Io non riesco a capire bene…  Cos’è che ti frena più di tutto? Il pensiero continuo di essere un lupo mannaro? Il disagio che provi quando ti sto vicino, non mi sopporti, mi odi, ti faccio schifo, mi trovi orribile, sono solo una ragazzina idiota e indegna di stima?! Vuoi dirmelo o no?!! Io non sopporto più questa situazione, non riesco ad ignorarti e la cosa mi fa male visto che non sono sempre stata un asso nel fingere! Perché?! Te ne vuoi andare, per Merlino?! Te ne vai? Te ne vai, te ne vai o no?!”
“Smettila di urlare, Dora…  E non dire assurdità!”
“Smettila di dire assurdità Dora, non fare la bambina Dora, calmati Dora, non farmi ripetere quello che ti ho già spiegato Dora, non urlare Dora, fa attenzione Dora! Non ti ripeti, eh Remus? Ma chi sei Paganini per caso?!” cominciò a dire andando avanti  e indietro sul tetto in quella notte stellata.
“Scusa”
“E smettila di scusarti, cazzo! Ti ho detto che non lo sopporto. Io voglio risposte, Remus. Voglio sentire dalle tue labbra perché non mi vuoi, voglio sentirti dire che non mi ami, che ti faccio schifo, che sono orribile e non sono alla tua altezza. Dimmelo e poi va via. Domani io chiederò il trasferimento a Kingsley, il mio diretto superiore! E non mi vedrai più. Ma ora me lo devi dire!” urlò ricominciando a tremare ma non abbassando mai lo sguardo.
“Non posso”
Sgranò gli occhi sconvolta e mi girò le spalle. A passo di marcia si avviò verso l’uscita dal terrazzino esterno.
Un istinto forte si impossessò di me. Non potevo lasciare che si trasferisse, che credesse che io l’odiassi. La volevo più dell’aria.
Veloce scattai verso di lei e mi fermai a metà strada.
“ non posso lasciarti andare via perché stare lontano da te mi ucciderebbe. Non andare via, per favore.”
Si voltò e mi fissò sospettosa
“Ti amo, io ti amo. Come puoi dire che sei orribile, come puoi pensare di essere odiosa per me quanto sei la ragione della mia vita, Dora? Ti amo e non lo meriterei ma non posso farne a meno e non voglio farlo. Sei il mio primo pensiero quando mi sveglio e l’ultimo quando mi addormento. E ti sogno anche, sai? Non mi lasci un attimo e prego qualunque divinità esistente di continuare a preservare il tuo volto nei miei ricordi. Sei la mia aria, il mio respiro. Rappresenti la luce nella mia vita di tenebra. E scusami se non riesco a fare a meno di volere per te una vita migliore di quella che potrei darti io.”
Leggere lacrime solcavano le sue guance pallide, il suo volto meraviglioso.
“C-cosa? C-cosa dici?” balbettò chiudendo e aprendo gli occhi
“So che non mi credi. Ed è colpa mia...”
“tu, t-tu…  Hai detto che, si hai detto che”
Sorrisi e mi avvicinai
“Posso?” sussurrai facendole capire che volevo abbracciarla
Annuì.
Le mie mani circondarono la sua vita sottile e la strinsero dolcemente. La portai contro il mio corpo e l’abbracciai forte.
“Ti amo” le sussurrai fra i capelli
“Sei la mia vita” continuai dolcemente
“Ogni minuto senza di te è morte per me, Dora…” le sussurrai sul collo
Tremava convulsamente fra le mie braccia. La strinsi più forte e la cullai.
Le carezzai la schiena, per calmarla e rimanemmo così almeno mezzora. Poi si staccò da me e mi guardò negli occhi.
“No, io non posso… Tu te ne andrai domani ed io ne morirei, Remus”
“Dora” sussurrai mentre si allontanava tremando
“No! Io non posso ora, tu, poi, andrai via, domani dopo aver fatto l’amore con me ed io no. Non c’è la faccio.” Concluse
“hai ragione a non fidarti, ma giuro che non ti lascerò e poi non mi permetterei mai di fare qualcosa che tu non vuoi” dissi lentamente guardandola
Allungai una mano carezzandole i contorni del suo viso, il nasino perfetto.
“Sei così bella” sussurrai perdendomi nella contemplazione di lei.
Non rispose e mi prese per mano.
Senza parlare mi portò al piano di sotto, entrammo in casa.
“Ho voglia di baciarti” mi sussurrò quando la abbracciai ancora
“anche io, non sai quanto” risposi sentendo le sue labbra sul mio collo
Dolcemente posai le labbra sulle sue. Trattenni a stento un gemito quando sentì il calore perfetto e il profumo di lei.

 

 

 

 

 

 

****

2 maggio 1998
Era come rinascere, in lui, in noi, in una nuova splendida vita. I suoi occhi grandi sapevano di verità e di completamento. Lo guardavo sdraiato nella culla, con le piccole mani alzate in cerca di qualcosa di nuovo, di suo, di indispensabile. Era un essere perfetto, nuovo, ancora pulito e intatto. Era nato da me e da lei, era noi, era lei.
Il pensiero che Teddy fosse completamente nostro, essenzialmente parte di me e parte di Dora mi faceva sentire la forte morsa nel petto intensificarsi melodica e farmi chiudere gli occhi, sognare momenti come quello, momenti di pura felicità, sincera vita, dolcezza.
Essere padre.
Io stesso non mi ero mai permesso di pensarmi in questa veste, non avevo mai nemmeno trovato il coraggio di sognare me come genitore, come padre, come uomo con una discendenza, come persona donatrice di vita.
Questo perché non mi consideravo degno di esserlo, non ero la persona adatta, poiché in fin dei conti non ero una persona. Ma una persona, cosa è in realtà? Una massa di muscoli e carni, di pelle e ossa, di occhi, capelli, peli, orecchie, e un cervello, magari un cuore pulsante, magari un anima?
Quella persona che io avevo rincorso da sempre, che mi era stata sempre ad un passo e che avevo sentivo sfuggirmi dalle punte delle dita… Quello ero io, era lui, eravamo noi.
Per liberarsi dal male della vita, dal dolore dell’esistenza, l’uomo deve imparare a considerasi parte del grande tutto. Non è solo, non è uno. L’uomo, il piccolo e insignificante essere vivente, il cervello e le idee, il pensiero e il cuore puro, non è altro che la foglia, il ramo, l’orso, la roccia, il fratello, il figlio, l’aria.
Se oggi io mi sento parte del tutto, se la mia anima riesce a respirare e privarsi dell’odio degli altri, dell’odio di lui e grazie a Teddy, grazie a Dora.
Perché se c’è una cosa che vale alla fine della vita e sapere che hai fatto qualcosa di buono! Ed io cosa ho fatto? Di cosa potrei essere riconosciuto, di cosa i miei occhi brillerebbero insieme a quelli di mia moglie?
Teddy. Mio figlio, nostro figlio. Di lei e di me, di noi, per sempre.
Quindi se adesso mi vedo correre verso mia moglie in questa battaglia riesco anche a sorridere e a dire:
Sono pronto perché sono felice. Ho trovato me.
Si dice che uccidere una bestia non sia peccato, solo un uomo
Ma quando finisce l’una e inizia l’altra?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piccolo spazio per me:

Ciao ^ ^

Grazie di essere arrivati alla fine della mia nuova storia. Spero che vi sia piaciuta e che mi farere sapere cosa ne pensate!

Questa storia è costituita da ricordi che si susseguono come un fiume nella mente di Remus quando è arrivato alla fine della sua vita, quando si trova ad Hoghwarts per la battaglia finale.

I ricordi che ho descritto sono stati rappresentati perché semplicemente li ritenevo importanti, anche se c'è ne sarebbero tanti da esplorare. Per ora ho scelto questi.

Le date le ho trovate con qualche difficoltà, ma alla fine sono riuscita a concilliare tutto ^ ^

Grazie ancora

baci,

Dublino

   
 
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