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Autore: _Miss_    15/06/2010    15 recensioni
Immaginatevi una premiere di Eclipse nel capoluogo inglese: Londra. Immaginatevi Robert alle prese con una fan un pò diversa. Forse migliore delle altre. Migliori di lui. Immaginatevi la voglia che lei ha di vivere e rapportatela allo stile di vita di Robert che consiste nel nascondersi senza vivere per davvero. Due vite diverse che s'incontrano per un pomeriggio. Questa fan ficton nasce senza pretese e ha voglia di fare un inno alla vita. Che sia dura e difficile o semplice, bisogna volerla sempre vivere. Fatemi sapere cosa ne pensate per favore. *ONESHOT CON SEGUITO QUASI CERTO*
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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The Life Is Important. Don't Waste It

 

LONDRA Convention Eclipse (situazione inventata per esigenze della storia)

Faccio vagare lo sguardo tra le mie fan. Oggi mi sento strano, come se dovesse accadere qualcosa. Ma cosa potrebbe mai succedere ad una convention su Eclipse? Credo di aver sperimentato tutto e niente mi è più nuovo ormai.

Quando la convention finisce, dopo tantissime risate fatte con Taylor e Kristen, mi reco dietro le quinte. Taylor è scappato perché veniva a trovarlo sua sorella, mentre Kristen è andata in bagno e mi ha chiesto di aspettarla. E così sto facendo.

< Robert scusa, potresti firmare degli autografi? > mi chiede gentilmente una ragazza minuta e dall’aria stanca. Deve essere giunta proprio allo stremo per avermi chiesto degli autografi.
< Ok, arrivo. > e mi alzo seguendola fuori e mi ritrovo nello stesso auditorium di prima. Solo che questa volta sono al di sotto del palco.
Un’orda di ragazze impazzite e che continuano a urlare il mio nome e a spingersi tra loro m’investe. Quelle in prima fila, a pochi passi da me, mi sorridono provocanti. Come se potessi sfruttarle per del sesso. Sono tutte delle ragazzine e io mi reputo un uomo o per lo meno cerco di esserlo.
Inizio a scribacchiare il mio nome su i vari fogli e cartoncini che mi vengono dati e Dean, il mio body-guard, cerca in tutti i modi di far retrocedere le ragazze che hanno già avuto il mio autografo. Però l’impresa sembra davvero ardua.

Improvvisamente il rumore della grande porta che sbatte fa zittire tutto. Il sorriso divertito che avevo sulle labbra muore da solo. È forse questo quello che mi aspettavo?
Tutte le persone presenti si guardano sbalordite perché non sanno cos’è successo. Ma il silenzio tombale viene spezzato da un gruppo di ragazzette che si trovano in fondo alla sala. Le loro risate riecheggiano nella grande sala e riesco solo a sentire < Ma cosa voleva fare? Così conciata che voleva da Rob? > e altri commenti simili. Ma tutti davvero cattivi.
Spinto da non so quale forza aggiro tutte le ragazze ed esco anch’io. Per fortuna Dean e gli altri mi sono venuti dietro e bloccano l’uscita dall’interno. Esco fuori e cerco questa ragazza. Il perché non lo so.

< Che sciocca che sono… > sento dire da una voce femminile. E quel pianto mi entra nel cuore. Seguo l’istinto e la trovo. È seduta ai piedi di un albero e ha la testa posata sulle ginocchia. Indossa un berretto in testa e i suoi singhiozzi le scuotono il corpicino esile coperto da una camicia nera a tre quarti e il pantaloncino.
< Ehi… > dico soltanto.
< Andate via! > esclama urlando. Ma quando si volta verso di me rimane pietrificata. Gli occhi verdi sono lucidi per le lacrime che sta versando ancora. Le labbra molto chiare che sembrano bianche. Tutto di lei è bianco. Ha il viso leggermente scarno. Ma nonostante si veda lontano chilometri che non sta bene è una ragazza molto carina.
< Piacere, Robert. Alzati da lì o ti sporchi tutti gli shorts. > le dico di getto allungandole una mano. < Forza! > le dico quando leggo lo smarrimento e anche lo sbigottimento davanti al mio gesto.
Afferra titubante la mia mano che sparisce una volta che la stringo e la tiro su. Ci metto un po’ troppa forza nel tirarla su e si scontra con il mio petto. È piccolina davvero. Esile e sembra delicata tra le mie braccia. D’istinto l’abbraccio. Oggi sembra che l’istinto domini tutte le mie azioni.
Ricomincia a piangere tra le mie braccia. Piange bagnandomi la camicia ma non m’importa. Le sue lacrime hanno una loro storia. Non sono scaturite dalle parole di quelle ragazzine. Lei ha qualcosa che la turba da tanto, troppo tempo. Lo dicono i suoi occhi. Il suo corpo. Lo dimostrano le sue mani che si arpionano alle mie braccia come a trovarvi un appiglio. Sembra non abbia mai pianto. Credo che in effetti sia così.
Le accarezzo la schiena per rassicurarla ma sembra essere entrata in un vortice senza via di ritorno. Oggi non ho alcuna certezza. Non sono sicuro neanche di quello che sto guardando i miei occhi. Ma sono certo almeno di una cosa. Questa fragile ragazza ha bisogno di qualcosa, o forse di qualcuno. E io voglio aiutarla.
< Ehi… dai non piangere… > le dico spaventato per una sua eventuale reazione. Alza la testa dal mio petto e mi guarda negli occhi. Poi il panico s’impossessò di me.

< Dottore, ma cos’ha? > chiedo al dottore camminando su e giù per il salotto di casa mia quando viene fuori dalla mia camera con un viso a dir poco sconvolto. La ragazza mi è svenuta tra le braccia e l’ho portata immediatamente a casa mia chiamando il mio medico curante.
< Mi ha chiesto di non dirti niente. > risponde lui pacato e con il solito tono professionale che contraddistingue i medici così come gli avvocati.
< Va bene. Grazie comunque. > gli rispondo frettolosamente stringendogli la mano ed entrando in camera mia.

< Mi hai fatto prendere un bel colpo. Come stai? Hai bisogno di qualcosa? > le chiedo come fosse mia sorella o mia cugina.
< Ho la leucemia. > mi dice senza guardarmi negli occhi. Resto così, con le mani sospese a mezz’aria senza essere capace di dire qualcosa che possa aiutarla. Come si può aiutare qualcuno che ha la leucemia? < Sono scappata dall’ospedale. > continua dopo il mio silenzio. < Sto facendo delle chemioterapie. Loro dicono che ho buone probabilità di guarire. Ma io non credo che questo avverrà. Ho anche già perso i capelli. > e alle ultime parole, soffiate appena, si sfila il berretto. Non è visibile un solo capello. Ma è bella. È bella comunque. Lei vuole vivere. Lo dicono i suoi occhi che ora mi guardano supplici. Cosa posso fare per te?
< Come ti chiami? > anche stavolta mi faccio guidare dall’istinto. Non so dove mi porterà tutto questo. Ma è scappata dall’ospedale per vivere probabilmente. Voglio farla sentire normale. Almeno oggi.
< Karen > e si sforza di sorridermi.
< Bene, Karen. > le sorrido quando pronuncio il suo nome. < Quanti anni hai? >
< 17. >
< Io 18. > rido. < Scherzo! >
< 24. > diciamo contemporaneamente. Ci guardiamo e ridiamo ancora. Ha un bel suono la sua risata. E anche quando sorride le si riempiono i zigomi e diventa molto più bella. Sembra davvero viva. Non che non lo sia. Sembra che stia vivendo per davvero, adesso.
< Allora… che ci facevi all’hotel prima? >
< Secondo te? Ero venuta a vedere Taylor, no? > e ride. < Sono una fan della Saga. >
< Dopo questa puoi scendere anche dal mio letto. Prego… >
< Sono nella tua camera? Scusa! Scusa! > dice alzandosi dal letto.
< Ehi frena! Puoi stare, tranquilla! >
< Sono stanca dei letti veramente… > dice rabbuiandosi.
< Usciamo allora! > la vedo guardarmi un po’ dubbiosa. Ma una volta capito che faccio sul serio sul suo viso si allarga un sorriso enorme. < Non è troppo caldo quel cappello? > chiedo indicando il suo berretto che è di lana.
< Sono entrata in ospedale a Dicembre… > per non uscirne più. Le sue parole non dette aleggiano nella stanza.
< Ne ho uno più o meno identico. Ma più leggero. Te lo prendo. Aspetta qui, eh! > le dico intimandole di restare seduta in cucina.

Rientro in cucina con il berretto con aria trionfante. Lo avevo nascosto e mi ero dimenticato di dove l’avevo nascosto. E l’avevo nascosto perché la mia agente me ne aveva vietato l’uso e nascondendolo avrei resistito all’impulso di indossarlo visto che era il mio preferito.
< Ma me lo ricordo! > esclama lei.
< Diciamo che lo usavo anche per dormire! > dico mentre glielo porgo.
< Non posso prenderlo. È tuo! >
< E allora consideralo un regalo. D’accordo? >
< D’accordo. >

< Vorrei rivedere Hyde Park. > esclama lei ad un certo punto mentre siamo in macchina. Ho ripreso la mia vecchia utilitaria e ho congedato Dean e i suoi uomini.
< Andiamo. > rispondo semplicemente.
< Non possiamo. Se ti vedono ti rovini… > lei sta pensando a me invece di godersi questa giornata di “libertà”?
< Non scherzare. > e guido verso Hyde Park. In fondo manca anche a me. Ma le nostre vite sono completamente differenti. Senza dubbio la mia è migliore. Lei forse sta davvero per morire. Forse no. Forse la sua è soltanto paura. Ma è da Dicembre che non usciva e siamo a Giugno. Mi chiedo dove abbia raccattato gli abiti leggeri che indossa.

< Eccoci. > dico parcheggiando e sistemandomi gli occhiali sul naso e il berretto simile a quello che ho dato a Karen.
< Ehi… > le dico quando vedo delle lacrime uscire dai suoi occhi. Siamo in macchina. Non siamo ancora scesi e non so se lo faremo. Non so se lei è forte abbastanza da camminare un po’. < Sono solo un mucchio d’alberi! > esclamo cercando di farla ridere. Sparo sempre tante cavolate ed ora? Mi sento impotente. Non sono mai riuscito a risollevare l’umore di una persona.
< Che hanno vissuto sicuramente più di me. >
< Pensa che vita. Sempre qui. Sempre le stesse cose. >
< Sai Rob, quando dicono che sei buffo e un po’ scemo hanno ragione. > dice lei cercando di aiutarmi nell’impresa di sollevarle l’umore. Che grande ragazza!
< Questo pensi di me? Allora scendi! Su! > e quando vedo che non sta capendo se sono serio. Oppure scherzo. Oppure entrambe le cose. E sono entrambe le cose. Scherzando le sto dicendo seriamente di scendere. Ma dato che non recepisce il mio messaggio scendo dall’auto e vado dalla sua parte dove apro la portiera. Con un sorriso la invito a scendere. Come se fosse una cosa naturale afferro il suo braccio stringendolo al mio. Mi ringrazia con un timido sorriso. Ha capito che sono tanto stupido da non capire la sua situazione.
Sento il suo peso gravarmi, che poi dire peso è troppo, dopo aver camminato per un po’ ed essere arrivati al lago. Sta facendo scuro in cielo.

< Sono stanco! Sediamoci! > e invece sto benissimo. Ma percepisco il suo respiro affannato e vedo che si trascina. Non sono esperto di questa malattia, e a dirla tutta non voglio diventarlo, ma è chiaro come il sole che è debolissima. Forse è colpa delle chemioterapie.
< Qui ci venivo sempre con il mio ragazzo. > dice una volta che ci siamo seduti a terra.
< Non pensi che ti starà cercando? > chiedo. E un po’ sono deluso dal fatto che sia fidanzata.
< Non credo proprio. Forse non vedo l’ora che muoia così non vivrà nella colpa di avermi lasciata per la malattia. > e non riesco a crederci. Chi è questo cretino che doveva starle accanto proprio adesso in attesa della sua guarigione?
< Stupido. > dico soltanto questo.
< Perché? Non è così. Non si sa se guarirò o morirò. Potrò anche restare così per sempre. Certo, a lungo andare morirei comunque. Lui perché doveva restare accanto a me? Aveva la sua vita. Lo avevano accettato a Yale. Rob sinceramente è meglio. So che lui se ne pente di avermi lasciata ma sono stata io, seppur in modo velato, a farmi lasciare. Lui si dimenticherà di me. E io non avrò paura di lasciare un'altra persona. > e adesso sembra più grande di me. Sembra una madre in punto di morte che ha paura di lasciare i suoi figli. E d’istinto l’abbraccio. Lei contraccambia il mio abbraccio infondendomi forza. Com’è strana la vita. Dovrebbe essere il contrario.

< Perché sei scappata oggi? > le chiedo dopo un po’.
< Mi avevano offesa per il mio abbigliamento. Per la mia testa calva quando avevo tolto il berretto per il caldo. Io sono scappata dall’ospedale perché volevo vederti prima di morire. E solo adesso che ho ancora un po’ di forze potevo farlo. > la guardo scioccato. Non so perché, a dirla tutta. Sembra così surreale. < E adesso sto passando un pomeriggio con te. > le sorrido annuendo. < E prima che tu me lo chieda ti rispondo io. Ho pianto tanto perché da quando so della malattia non ho mai pianto per far forza ai miei genitori. A mia madre soprattutto. Anche lei sta conducendo una non-vita per colpa mia. > ha capito già cosa volevo chiederle. È proprio brava a capire le persone. E deve essere davvero brutto sentirsi offendere. E mi viene una rabbia nel pensare che chi l’ha fatto non sa cosa sta passando Karen.
< E tua madre non sa dove sei? > le chiedo preoccupato.
< No. > sussurra.
< Allora dobbiamo andare da lei. > le dico risoluto mentre mi alzo in piedi.
< NO! > e mi afferra per un braccio. < Godiamoci il tramonto e poi mi riporti in ospedale. >
< Godiamoci il tramonto e poi andiamo a casa tua. Non ti va di rivederla? >
< Meglio di no. Ho quasi dimenticato la disposizione dei mobili di casa mia. > dice con voce rotta dal pianto.
< Un modo in più per andarci. La tua memoria deve essere pronta a quando ritornerai in pianta stabile a casa tua. > e cerco di farle credere che vivrà. Ho bisogno di credere che vivrà!

< Rob… > dice quando rientra in auto. L’ho accompagnata a casa ma ho preferito fare andare solo lei. Ma mi sono raccomandato di lasciare le chiavi dietro la porta perché nel caso in cui non la vedevo tornare sarei salito a vedere. < Ho preso la digitale. > e sorride cercando di asciugarsi le lacrime con il dorso della mano. < Una foto da fare con te quando mai mi ricapiterà? > e pensare che non la rivedrò più fa male. È strano ma un dolore forte e prepotente si concentra nel mio petto e alla bocca dello stomaco.
< Certo! Spariamoci qualche posa. > dico ridendo e attirandola a me per iniziare a fare qualche scatto.
 

< Karen, non se ne parla. Ti accompagno fino a dentro. > ripeto per l’ennesima volta quando cerca di salutarmi davanti l’ingresso del St. Thomas Hospital.
< Ok. Non credo ti distoglierò mai da quest’idea. > mi dice scendendo dall’auto.
< L’hai capito finalmente! > e mentre sto per scendere un’idea mi viene in mente. < Karen aspetta un minuto per favore. > le dico mentre apro il cofano e cerco in una scatola quello che mi serve e prendo una penna scrivendoci alcune cose sopra. < Possiamo andare. > le dico riprendendomela a braccetto.

< Oh Karen! Dove sei stata? Ho avuto tanta paura! > la accoglie così sua madre abbracciandola e seguono a ruota i suoi parenti. Mi avvicino al comodino di fianco al suo letto e vi poso sopra la mia cosa. Guardo Karen per l’ultima volta e me ne vado.
Guarisci Karen, te lo meriteresti davvero! E hai ragione quando hai parlato del tuo ex, è brutto doverti perdere. Ti mando un abbraccio Karen. Vivi. Vivi per te stessa e anche per me. E non dimenticarti mai di questa giornata.


KAREN


< Tesoro, cos’è questo? > mi chiede mia madre dopo aver fatto una visita e essermi sistemata nel letto da dove posso scorgere nient’altro che il cielo scuro della notte. Penso a Robert. Penso al sogno che ho vissuto oggi.
< Cosa mamma? > mi sforzo di guardarla. Piangere una volta ti porta ed essere troppo debole. È per questo che non ho mai pianto in questi mesi.
< Questo. > e mi passa un Dvd. Lo volto e il nome ‘Eclipse’ campeggia a grande spiano. Lo apro e esce un foglietto piegato e apro anche questo iniziando a leggere.

Sei arrivata oggi come un fulmine a ciel sereno. Sarà difficile dimenticarti. Sarà difficile dimenticare la tua risata e i tuoi occhi sorridenti oppure lucidi. Piangi Karen. Piangi ogni volta che ne hai bisogno. Ogni tanto pensa anche a te stessa e non a tutte quelle persone a cui tieni. Se ti vogliono bene capiranno. Pensare che sei scappata per vedere me mi fa uno strano effetto. Non sono importante quanto te. O perlomeno, non più di te. Tu sei speciale e non te ne rendi neanche conto. Ti lascio il Dvd di Eclipse così lo vedrai in anteprima. Anche prima di me! E ricordati di me, Karen. Io mi ricorderò di te. Mi hai fatto sentire bene oggi. E mi hai fatto ricordare che non sono nessuno. Mi sono sentito impotente. I soldi, la fama… non servono a niente quando si sta male. Goditi il film e pensa a quanto sono stupido. Sappi che l’avrei visto volentieri con te ma mi veniva da urlare nel vederti con quel camicie bianco. Tu non sei quella persona. Io ho conosciuta la tua vera te. E scusami per non averti salutato come avrei voluto fare.

Un bacio, Rob.

 

 

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E termina qui. Allora questa storia è nata alle 14:00 di questo pomeriggio o meglio, è nata sulla pagina di Word perchè vortica nella mia mente da questa mattina. E ora sono le 16:30 e la sto postando dopo aver ricevuto l'ok da parte di ChiaraBella e di Piccola Ketty. Vi consiglio tutte le loro storie comunque! E le ringrazio per il loro sostegno!

Ritornando alla storia. Questa è una One Shot che ha voglia di far capire a tutti che chi è malato, di qualunque malattia, non è diverso da chi sta bene. Forse chi è malato è anche migliore. Questa storia è nata per far capire che secondo me la vita è fondamentale viverla. Karen dice che secondo lei morirà ma non rifiuta la vita. Lei vuole vivere. Certo forse se uno crede di stare lì lì per morire non fugge dall'ospedale per andare a vedere Robert Pattinson ma è nata così la storia. Non potevo modificarla. Non sarebbe stata la stessa.

Vi assicuro che ci sarà un'altra OS o magari una serie di OS. O meglio ancora una long fic. Sta a voi decidere. Le idee non sono precise ma ho in mente diverse cose che spero di potervele far leggere.

Fatemi sapere se è stata una sciocchezza scrivere questa cosa ma ci tengo davvero tanto.


   
 
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