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Autore: Yoko Hogawa    18/06/2010    11 recensioni
Ogni notte riviveva quel momento.
Il clangore delle spade, le grida, i nomi urlati di gente conosciuta e sconosciuta.
Il nero dei pirati, il bianco dei marines.
Pelle e denti e ossa e fango e polvere e legno e acciaio.
Fiamme.
Sangue.
[SPOILER dal capitolo 574 in poi][Rufy p.o.v.]
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Lo ammetto: seguo One Piece a targhe alterne. Ma quei capitoli che ogni tanto mi salta in testa di leggere – chissà cosa mi dice il cervello... – hanno la capacità di distruggermi e di farmi flashare dell’angst che, ammettiamolo, con il lavoro originale di Oda-sensei non c’entra niente, ma nella mente di una otaku prolifica come la muffa.

Motivo per cui, nonostante io ritenga Rufy il personaggio più difficile da tenere IC in tutta la storia dei miei tentativi di ficwriter, invado questa sezione per la prima volta con un tributo.

E questo tributo è SPOILER dal capitolo 574 in poi.

Sì, per chi segue le uscite del manga ha capito benissimo l’ambientazione. Let’s die all together 8D.

 

Disclaimer: One Piece, ambient e personaggi, è © di Oda Eiichiro-sensei. Motivo per cui, per quanto mi piacerebbe avere avuto un’idea simile, io non possiedo niente e nessuno. Solo la voglia di costruirci sopra del puro angst XD

 

Rufy p.o.v.; un po’ PWP, un po’ missing moment, un po’ schifezza ^^’’’

Dedicato ad Ace; a riprova che tutti i personaggi migliori muoio sempre troppo presto.

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So Die Pirates

 

Ogni notte riviveva quel momento.

Il clangore delle spade, le grida, i nomi urlati di gente conosciuta e sconosciuta.

Il nero dei pirati, il bianco dei marines.

Pelle e denti e ossa e fango e polvere e legno e acciaio.

Fiamme.

Sangue.

Non sapeva perché fosse costretto a rivedere tutto, anche se in sogno – o meglio, nell’incubo. La sua coscienza incosciente proiettava semplicemente quei ricordi sui suoi occhi chiusi, così come altrettanto semplicemente riproduceva quei suoni nelle sue orecchie immerse nel silenzio di una meritata notte.

Dormiva, ma era come se non lo facesse; perché quando si svegliava era più stanco di prima, era più atterrito del giorno precedente.

Più demoralizzato. Più vuoto.

Sì... nonostante non fosse bravo con termini e significati, probabilmente quella era la definizione giusta per come si sentiva in quel momento. Vuoto.

Era una sensazione strana.

Non tristezza, anche se vagamente, ai margini, c’era anche quella. Nemmeno disperazione, o arrendevolezza.

Non c’era semplicemente niente.

In quell’attimo, in quel momento di cui non riusciva a bloccare il ripetersi onirico, qualcosa era cambiato.

Per la prima volta probabilmente da quando era nato, tenendo fra le braccia il corpo esanime di Ace, si era girato indietro.

Mai guardare indietro. Se ti guardi alle spalle non puoi proseguire in avanti.

Aveva visto il ricordo di ogni risata, di ogni litigio, di ogni sorriso. Aveva riassaporato il primo incontro, così come il primo “arrivederci”, entrambi saturi dell’odore salmastro del mare portato dal vento fresco del Regno di Goa.

Aveva rivisto Sabo, i bicchierini da saké, Gray Terminal e le promesse urlate al mondo.

Aveva osservato la sua vita e, per la prima volta, la prima in assoluto e per un solo istante... tutti quei ricordi erano pesati come macigni, chiudendogli lo stomaco e bloccandogli il respiro in gola. Tutto il mondo che come un matto aveva cercato, la libertà che come pirata aveva guadagnato, per quel singolo momento era sfumata e attorno a lui era comparso un universo totalmente bianco, sterile, cieco.

Vuoto.

Non sentiva più quella voglia che aveva mostrato a Shanks, così come aveva rimosso dalla mente la promessa rappresentata dal cappello di paglia. Non provava più lo stimolo che lo aveva spinto a salpare, tre anni dopo Ace, guadagnandosi la tanto agognata libertà che aveva sempre desiderato; innalzando quella bandiera col teschio che per anni aveva sognato, analizzato, immaginato nei minimi dettagli cambiando di volta in volta il disegno sopra dipinto.

Ti stai rendendo conto di aver vissuto un’utopia.

Non sentiva più i legami, la fretta di rivedere i suoi nakama, la foga del combattimento. Non aveva più voglia di far vedere quanto fosse forte, di sfidare la Marina per dimostrare i traguardi che aveva raggiunto.

Traguardi disegnati a tratti infantili con del gesso su di un marciapiede.

Basta la pioggia, per lavarli via.

Tutto quello che vedeva, era quel corpo fatto di fiamma – eppure così freddo...? – giacere fra le sue braccia nell’ultimo abbraccio che suo fratello avrebbe potuto concedergli.

Che crudeltà, Ace.

Aveva visto le proprie mani sporche del sangue di suo fratello.

Aveva udito le sue ultime parole.

Aveva pianto.

Aveva urlato.

Ancora una volta.

« Rufy? »

Basta una sola voce a spezzare l’irrealtà, e un intero secondo per ripiombare nel presente reale.

Scompare la sabbia, le spade, le urla. Si estingue il fuoco. Evapora il sangue.

Un letto, lenzuola, un guanciale. Le bende che pizzicano sulla pelle, la sensazione degli occhi gonfi e stanchi, il respiro debole e affannato; le ferite che fanno un male d’inferno, ma mai abbastanza.

Non dolgono mai come le ferite che non si vedono.

« Mh? »

Un momento di silenzio, la figura di Jimbei in controluce sulla porta.

« Niente. Dormi. »

« Mh. »

Il cigolare dei cardini, la porta che si richiude, il buio che circonda.

Quel vuoto che ritorna.

E’ la punizione di chi si è sempre cibato di sogni.

Una volta persi quelli, che cosa rimane?

Niente.

Non rimaneva niente.

Sapeva di non essere solo, di avere ancora molte persone al suo fianco.

C’era la sua ciurma: Zoro, Nami, Usopp, Chopper, Robin, Franky, Brook e la Sunny. C’erano amici vecchi e nuovi, dispersi a grappolo fra le isole della Grand Line. C’era Shanks, là fuori da qualche parte, disperso fra le avventure che ogni pirata condivideva dal momento in cui metteva piede sul legno vissuto del ponte di una nave.

Ma non c’era Ace. Non c’era più.

E la consapevolezza che lui fosse là fuori da qualche parte, in mezzo al mare di sogni del mondo dei pirati, era un punto fermo che era venuto a mancare troppo in fretta.

Lui aveva sempre vissuto un sogno di cui molte persone ora facevano parte, ma che era nato dalla sua infanzia.

Da Shanks, da Sabo... e da Ace.

...o no?

Rimane la volontà di tenerli in vita.

Era nato dal passato, forse, ma cresceva nel presente.

La volontà di non rinunciare.

Sulla nave e in ciò che rappresentava.

La volontà di non mollare.

Sui ricordi delle avventure vissute.

La volontà di non cadere.

Sulle avventure che ancora dovevano venire.

E se si cade, la volontà di rialzarsi in piedi.

Sui suoi amici. I suoi nakama.

La volontà di ammettere la verità:

Sullo One Piece, là fuori, in mezzo ai sogni. Sul titolo di Re dei Pirati, là fuori.

« Io vivo per il mio sogno. »

E muoio per il mio sogno.

 

Sorrideva, nel chiudere gli occhi.

Solo per un altro po’. Avrebbe passato con Ace solo un altro po’.

Poi, riaprendo gli occhi su un nuovo sogno, avrebbe ripreso la vita da dove l’aveva lasciata. Avrebbe ridipinto quell’oceano bianco di tutti i colori di cui erano fatti i suoi desideri, i suoi ricordi, le sue avventure... i suoi sogni.

 

Rincorrendo i sogni.

E’ così che muoiono i pirati.

   
 
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