Lo
ammetto: seguo One Piece a
targhe alterne. Ma quei capitoli che ogni tanto mi salta in testa di leggere –
chissà cosa mi dice il cervello... – hanno la capacità di distruggermi e di
farmi flashare dell’angst
che, ammettiamolo, con il lavoro originale di Oda-sensei
non c’entra niente, ma nella mente di una otaku
prolifica come la muffa.
Motivo
per cui, nonostante io ritenga Rufy il personaggio
più difficile da tenere IC in tutta la storia dei miei tentativi di ficwriter, invado questa sezione per la prima volta con un
tributo.
E
questo tributo è SPOILER dal
capitolo 574 in poi.
Sì,
per chi segue le uscite del manga ha capito benissimo l’ambientazione. Let’s die all together 8D.
Disclaimer: One Piece, ambient e personaggi, è © di Oda Eiichiro-sensei.
Motivo per cui, per quanto mi piacerebbe avere avuto un’idea simile, io non
possiedo niente e nessuno. Solo la voglia di costruirci sopra del puro angst XD
Rufy p.o.v.; un po’
PWP, un po’ missing moment, un po’ schifezza ^^’’’
Dedicato
ad Ace; a riprova che tutti i personaggi migliori muoio sempre troppo presto.
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So Die
Pirates
Ogni
notte riviveva quel momento.
Il clangore
delle spade, le grida, i nomi urlati di gente conosciuta e sconosciuta.
Il nero
dei pirati, il bianco dei marines.
Pelle e
denti e ossa e fango e polvere e legno e acciaio.
Fiamme.
Sangue.
Non
sapeva perché fosse costretto a rivedere tutto, anche se in sogno – o meglio,
nell’incubo. La sua coscienza incosciente proiettava semplicemente quei ricordi
sui suoi occhi chiusi, così come altrettanto semplicemente riproduceva quei
suoni nelle sue orecchie immerse nel silenzio di una meritata notte.
Dormiva,
ma era come se non lo facesse; perché quando si svegliava era più stanco di
prima, era più atterrito del giorno precedente.
Più
demoralizzato. Più vuoto.
Sì...
nonostante non fosse bravo con termini e significati, probabilmente quella era
la definizione giusta per come si sentiva in quel momento. Vuoto.
Era una
sensazione strana.
Non
tristezza, anche se vagamente, ai margini, c’era anche quella. Nemmeno
disperazione, o arrendevolezza.
Non
c’era semplicemente niente.
In
quell’attimo, in quel momento di cui non riusciva a bloccare il ripetersi
onirico, qualcosa era cambiato.
Per la
prima volta probabilmente da quando era nato, tenendo fra le braccia il corpo
esanime di Ace, si era girato indietro.
Mai guardare
indietro. Se ti guardi alle spalle non puoi proseguire in avanti.
Aveva
visto il ricordo di ogni risata, di ogni litigio, di ogni sorriso. Aveva
riassaporato il primo incontro, così come il primo “arrivederci”, entrambi
saturi dell’odore salmastro del mare portato dal vento fresco del Regno di Goa.
Aveva
rivisto Sabo, i bicchierini da saké,
Gray Terminal e le promesse urlate al mondo.
Aveva
osservato la sua vita e, per la prima volta, la prima in assoluto e per un solo
istante... tutti quei ricordi erano pesati come macigni, chiudendogli lo
stomaco e bloccandogli il respiro in gola. Tutto il mondo che come un matto
aveva cercato, la libertà che come pirata aveva guadagnato, per quel singolo
momento era sfumata e attorno a lui era comparso un universo totalmente bianco,
sterile, cieco.
Vuoto.
Non
sentiva più quella voglia che aveva mostrato a Shanks,
così come aveva rimosso dalla mente la promessa rappresentata dal cappello di
paglia. Non provava più lo stimolo che lo aveva spinto a salpare, tre anni dopo
Ace, guadagnandosi la tanto agognata libertà che aveva sempre desiderato;
innalzando quella bandiera col teschio che per anni aveva sognato, analizzato,
immaginato nei minimi dettagli cambiando di volta in volta il disegno sopra
dipinto.
Ti stai rendendo
conto di aver vissuto un’utopia.
Non
sentiva più i legami, la fretta di rivedere i suoi nakama, la foga del
combattimento. Non aveva più voglia di far vedere quanto fosse forte, di
sfidare la Marina per dimostrare i traguardi che aveva raggiunto.
Traguardi disegnati
a tratti infantili con del gesso su di un marciapiede.
Basta la pioggia,
per lavarli via.
Tutto
quello che vedeva, era quel corpo fatto di fiamma – eppure così freddo...? – giacere fra le sue braccia
nell’ultimo abbraccio che suo fratello avrebbe potuto concedergli.
Che crudeltà, Ace.
Aveva visto
le proprie mani sporche del sangue di suo fratello.
Aveva
udito le sue ultime parole.
Aveva
pianto.
Aveva
urlato.
Ancora una volta.
« Rufy? »
Basta
una sola voce a spezzare l’irrealtà, e un intero secondo per ripiombare nel
presente reale.
Scompare
la sabbia, le spade, le urla. Si estingue il fuoco. Evapora il sangue.
Un
letto, lenzuola, un guanciale. Le bende che pizzicano sulla pelle, la
sensazione degli occhi gonfi e stanchi, il respiro debole e affannato; le
ferite che fanno un male d’inferno, ma mai abbastanza.
Non
dolgono mai come le ferite che non si vedono.
« Mh? »
Un
momento di silenzio, la figura di Jimbei in
controluce sulla porta.
«
Niente. Dormi. »
« Mh. »
Il
cigolare dei cardini, la porta che si richiude, il buio che circonda.
Quel vuoto che ritorna.
E’ la punizione di
chi si è sempre cibato di sogni.
Una volta persi
quelli, che cosa rimane?
Niente.
Non
rimaneva niente.
Sapeva
di non essere solo, di avere ancora molte persone al suo fianco.
C’era la
sua ciurma: Zoro, Nami, Usopp, Chopper, Robin, Franky, Brook e la Sunny. C’erano amici
vecchi e nuovi, dispersi a grappolo fra le isole della Grand
Line. C’era Shanks, là
fuori da qualche parte, disperso fra le avventure che ogni pirata condivideva
dal momento in cui metteva piede sul legno vissuto del ponte di una nave.
Ma non
c’era Ace. Non c’era più.
E la
consapevolezza che lui fosse là fuori da qualche parte, in mezzo al mare di
sogni del mondo dei pirati, era un punto fermo che era venuto a mancare troppo
in fretta.
Lui
aveva sempre vissuto un sogno di cui molte persone ora facevano parte, ma che
era nato dalla sua infanzia.
Da Shanks, da Sabo... e da Ace.
...o no?
Rimane la volontà
di tenerli in vita.
Era nato
dal passato, forse, ma cresceva nel presente.
La volontà di non
rinunciare.
Sulla
nave e in ciò che rappresentava.
La volontà di non
mollare.
Sui
ricordi delle avventure vissute.
La volontà di non
cadere.
Sulle
avventure che ancora dovevano venire.
E se si cade, la
volontà di rialzarsi in piedi.
Sui suoi
amici. I suoi nakama.
La volontà di
ammettere la verità:
Sullo One Piece, là
fuori, in mezzo ai sogni. Sul titolo di Re dei Pirati, là fuori.
« Io vivo per il
mio sogno. »
E muoio per il mio sogno.
Sorrideva,
nel chiudere gli occhi.
Solo per
un altro po’. Avrebbe passato con Ace solo un altro po’.
Poi,
riaprendo gli occhi su un nuovo sogno, avrebbe ripreso la vita da dove l’aveva
lasciata. Avrebbe ridipinto quell’oceano bianco di tutti i colori di cui erano
fatti i suoi desideri, i suoi ricordi, le sue avventure... i suoi sogni.
Rincorrendo i
sogni.
E’
così che muoiono i pirati.