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Autore: Strekon    22/11/2003    39 recensioni
Per chi vuole sapere come due persone tanto diverse si siano incontrate...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Mi dispiace” Draco strinse Ginny con freddezza

“Mi dispiace” Draco strinse Ginny con freddezza. La avvolse involontariamente con il suo lungo mantello invernale. La neve sferzava la faccia di tutti i presenti. Loro erano gli unici a non correre, a non agitarsi inutilmente. Lui, freddo come quella candida tempesta invernale. I suoi occhi si confondevano fra i fiocchi cangianti. Neanche la fissarono quando si allontanò da lei così come si era avvicinato. Silenzioso, freddo e impassibile.

Ginny ancora doveva rendersi conto di cosa era successo. Aveva ancora il volto rigato dalle lacrime ormai non più calde. La neve si posava sulle sue spalle e cominciava ad accumularsi. Il vento le sferzava i capelli sul volto. Come era possibile tutto ciò? Cosa era successo. Hogwarts vista da lì fuori era inquietante. Vedeva chiaramente una patina scura coprire l’antico castello. Vedeva decine di persone andare in cerca di superstiti per il lago e per il parco. Inutili speranze. Pallide bugie che presto sarebbero state spazzate via dallo stesso vento. Perse di vista il giovane dai capelli color del platino e subito si guardò intorno per trovarlo. Solo ora si era accorta di essere stata abbracciata e consolata da Draco Malfoy. Un brivido la pervase. Forse per il freddo. Forse perché quel verme seguace di Voldemort l’aveva sfiorata. Altre braccia l’avvolsero in un caldo abbraccio.

“Ginny vieni via. Qui prenderai solo freddo” gli disse amorevolmente Percy in un attimo di pausa dal suo continuo va e vieni dal bosco. Insieme a molti altri era arrivato subito dopo l’esplosione magica. Le macchine del ministero avevano registrato uno squilibrio tale di energia magica che avrebbe potuto spazzare via mezza Londra. Decisero di intervenire. E subito. Numerosi si immergevano, con particolari incantesimi protettivi, in acqua per cercare altri sopravvissuti. Sopravvissuti… Quella parola dava i brividi a Ginny. Il pensiero che Harry… no. Non poteva pensarlo neanche lontanamente. Lui e suo fratello se la cavavano sempre. Loro ed Hermione. Nulla li fermava quei tre.

“Andiamo Ginny. Vieni con me. Ti accompagno al coperto” propose il fratello. Ginny annuì con il capo e seguì Percy fin verso le baracche allestite in fretta e furia per ospitare i primi soccorsi.

Fred li raggiunse e gli corse incontro.

“Ginny! Percy! E’ un casino! Un vero casino!” dalla voce strozzata si sentiva che qualche cosa non andava.

“Avanti Fred, calmati” gli disse Percy accennando a Ginny con il capo. Era meglio non metterla sotto ulteriori stress per quella sera. Fred cadde in ginocchio e cominciò a ciondolare la testa da destra a sinistra. Singhiozzava rumorosamente. Ginny non ce la fece a vederlo così. Non avrebbe mai pensato di vedere uno dei gemelli piangere per la disperazione. Si chinò a terra con lui e lo abbracciò con tutto il cuore. Con tutta l’anima. Fred parlò.

“George… Non ce l’ha fatta. L’ho visto dentro…è…è...non può essere…”

Percy trattenne a stento un’imprecazione. Altre orribili notizie non era quello che serviva in quel momento. A stento lui cercava di trattenersi e non lasciarsi andare alle emozioni. Ora che suo padre era impegnato altrove per conto del ministero era compito suo preservare e proteggere la famiglia. Era sicuro che Charlie e Bill sarebbero arrivati al massimo il giorno dopo. Aveva bisogno anche di loro.

Si chinò sui due pregandoli di alzarsi dal terreno fangoso e di raggiungere un posto coperto. Finalmente si alzarono e li condusse al riparo in una tenda vuota. Li affidò alle cure di un’infermiera pregandola di dare loro qualcosa per calmarsi e dormire. L’infermiera, cupa in volto, annuì.

Percy tornò nella tempesta. Quel vortice di neve sembrava fatto apposta per peggiorare le loro ricerche. La notte era appena iniziata e fino al mattino sarebbe stato difficile trovare altri superstiti. Più il tempo passava più le speranze si assottigliavano. Senza contare quella barriera che copriva a cupola tutta Hogwarts. Era impenetrabile. Assolutamente impenetrabile. Avrebbero potuto aiutare solo quelli all’esterno, per ora.

Si unì di corsa ad un gruppetto di maghi che stavano trascinando dei corpi fuori dal lago. Afferrò una cima e tirò con tutte le sue forze. Purtroppo riconobbe il corpo appena lo vide.

“Ron!” grido fra il vento sferzante. Si avvicinò al ragazzo. Se non era morto in quel momento non lo sarebbe stato mai più. A parte il fatto di essere completamente bagnato, una ferita, più simile ad uno squarcio, era ben visibile sulla sua spalla.

“Presto, è anche ferito! Portatelo subito in una baracca!” urlò contro il vento furioso. Gli altri annuirono e lo trascinarono verso il posto coperto più vicino.

Non poteva farcela. Non era il suo lavoro trascinare cadaveri. Tantomeno quello di suo fratello. Non poteva reggere ancora. Le ginocchia cedettero e piombò a terra in preda ad una nera disperazione.

 

Se il campo provvisorio attorno ad Hogwarts era nella confusione più completa, l’ospedale magico di S.Mungo era l’essenza stessa del caos. La confusione era tale che sembrava più il mondiale di una qualche partita di quidditch che un luogo di ricovero. Ginny quasi rischiò di essere investita da una barella che trasportava di corsa uno dei ragazzi in stato comatoso appena giunti da Hogwarts. Si schiacciò contro la parete. La gente parlava urlava. Le madri gridavano cercando notizie dei figli. I bambini piangevano. I medici urlavano ordini a destra e a manca. Qualcuno inciampava in quella calca di persone e spesso rischiava di essere schiacciato dalla furia di chi non vedeva nulla. Solo la propria preoccupazione.

Un bambino scivolò a terra mentre rincorreva la madre fra quella calca di persone. Lei neanche se ne accorse. Ginny lo trascinò via da quella bolgia dell’inferno e lo mise a sedere su una barella sistemata lungo il corridoio. Chi era steso su di essa sembrava troppo occupato a sopravvivere per protestare. Il piccolo era in lacrime. I singulti gli sconquassavano il corpo e grossi lacrimoni correvano dai suoi occhi e per tutto il bel volto. Ginny gli scompigliò dolcemente i capelli neri e ribelli. Farlo le riportò alla mente Harry. Non era questo il momento per pensarci. Non ora e nemmeno fra molto.

Sollevo la testa del bimbo e incrociò il suo sguardo dolce con gli occhi lucidi del piccolo.

“Ehi, che succede? Stai attento, qui stasera sono tutti matti” sorrise con incredibile sforzo Ginny. Se si lasciava prendere dalla tristezza lei non avrebbe certo sollevato il morale del bambino. Lui tirò su col naso un paio di volte e singhiozzò rumorosamente.

“La mamma mi ha portato qui. Dice che Kirk sta male. Dice che non è niente, ma io non ci credo perché lei piangeva” tirò ancora su col naso “Lei dice che io non devo piangere perché sono grande, ma io ha paura. Io voglio bene a Kirk…” cominciò a singhiozzare e abbassò ancora la testa sulle sue gambe. Ginny gliela risollevò dolcemente con la mano e mantenne tutto il sangue freddo che poté.

“Sono sicura che Kirk sta benissimo. E’ tuo fratello vero?” il bimbo annuì con la testa.

“Sì, e ci voglio bene anche se mi fa arrabbiare ogni tanto… Non voglio che sta male…Non voglio che la mamma sta male”

“Ehi, avanti, non hai detto che sei grande? Quanti anni hai?” cercò di risollevarlo Ginny più preoccupata di lui. Almeno lui era inconsapevole. Lei sapeva benissimo cosa era successo. Sapeva benissimo che l’unica cosa che si poteva provare era paura. Probabilmente quel bambino era più umano di lei.

“Ce ne ho sette e mezzo. Papà mi ha regalato la bicicletta per il compleanno. Dice che sono grande per avere la bicicletta così me l’ha regalata. Ci ho scritto sopra il mio nome con i colori magici. Ci ho scritto “Lucas” in rosso e poi ci ho messo anche il disegno di un drago. Però ce l’ha fatto Kirk, io non sono capace di farlo…”

“Lucas è un bel nome sai?” incalzò Ginny per distrarlo il più possibile “Sai cosa ti dico? Adesso io e te andiamo a prendere una cioccolata calda, che ne dici?”

“Davvero?” sorrise Lucas asciugandosi gli occhi con la manica del maglione. Ma il suo buon umore sparì tutto d’un tratto.

“Non posso. Mi sono già lavato i denti stasera. La mamma si arrabbia se mangio la cioccolata” Ginny lo sollevò da sotto le braccia e lo mise a terra. Gli sistemò il maglione stropicciato e lo prese per mano.

“Non preoccuparti. Glielo dico io alla tua mamma. Sgriderà me” e gli fece l’occhiolino. Lucas rispose al suo ammiccamento con un altro sorriso, e insieme si diressero verso la sala d’aspetto.

Presero la cioccolata calda in una tazza e la bevvero a lunghi sorsi. Anche Ginny si compiaceva di quel momento di pausa, sperando nell’arrivo di buone notizie da parte di Percy. Gli aveva promesso di aspettare in ospedale. Con questo tempo era da pazzi restare nelle tende di soccorso attorno ad Hogwarts. Se ne era andata subito seguita da Fred, che però preferì tornare alla tana a riposare un po’. Ginny non lo aveva mai visto ridotto così. Né lui ne George.

Finirono la cioccolata e ne presero un’altra tazza da portare alla mamma di Lucas. La trovarono in una camera fitta di persone seduta accanto al letto dove Ginny pensò si trovasse il fratello del piccolo. Fortunatamente Kirk si trovava fuori dal castello al momento del disastro. Era cosciente ed aveva solo una brutta ferita ad un braccio che un medimago gli stava già medicando. La signora corse verso il figlio più piccolo abbracciandolo con le lacrime agli occhi. Il bimbo non capiva molto quella reazione, si limitò ad offrire alla madre la tazza di cioccolata.

“Io ne ho bevuta solo un po’ mamma. Ci avevo detto che non potevo, ma Ginny ha detto che poi sgridavi lei e non me, allora l’ho bevuta” la signora mise a terra Lucas che si avvicinò al fratello ormai bendato e a riposo a letto. Kirk gli strapazzò i capelli e lo tirò sul letto accanto a se.

“Io non so cosa mi è preso… ero fuori di testa… dimenticare Lucas” disse la madre rivolta a Ginny.

“Non si preoccupi. Credo che sia normale in queste situazioni avere simili comportamenti… e poi mi ha fatto bene conoscere Lucas”

 La madre del bambino la ringraziò ancora per poi salutarla appena Ginny lasciò la stanza. Girovagò un po’ in quel reparto dell’ospedale che sembrava essere più tranquillo del resto dell’edificio. Sicura di essere sola, o di non essere notata, si appoggiò al muro e si lasciò scivolare a terra. Quando tocco il pavimento chiuse la testa fra le gambe e si concesse di piangere.

Piangere. Non lo aveva ancora fatto realmente. Era troppo pressa da capire che cosa stava succedendo per sfogarsi e piangere come una bambina. Anche se a lei, dopotutto, poteva ancora essere concesso di piangere, non voleva farlo. Si era trattenuta. Non poteva sfogare ogni sua frustrazione con il pianto. I sentimenti erano potenti in lei. Le emozioni gli sconquassavano l’animo dal profondo. Il cuore sembrava impazzito ora. Tutta quella paura, tutta quella frustrazione stava uscendo dal guscio che la avvolgeva. Doveva cacciarla via, lo sapeva. Era l’unico modo per stare meglio, per sopravvivere un altro po’. Il modo migliore per espellere quelle spiacevoli sensazioni erano le lacrime. Lacrime che scioglievano come acido le catene dei demoni dentro di lei. Lacrime che spegnevano, come una pioggia improvvisa, quel fuoco mortale che le bruciava l’anima. Lacrime che risvegliavano i suoi sensi e la spingevano a reagire. Lacrime e solo lacrime. Spregevoli lacrime cariche di odio, rabbia, paura. Scorrevano sul suo volto. Bagnavano la sua pelle. Nulla più. Erano fuori e non sarebbero più rientrate a farla soffrire. Anche questa volta si era salvata. Il suo cuore stava tornando vuoto, libero dalle emozioni che lo strapazzavano come il sacco di un pugile.

Lentamente risollevò la testa dalle ginocchia in cui era rinchiusa. Sentiva gli occhi pesanti, la bocca secca. Quanto tempo era passato? Minuti? Ore? Giorni? Che importava. Quel che era successo non sarebbe potuto sparire tanto facilmente, anche se ora riusciva ad analizzare il tutto in maniera più razionale. A mente fresca e libera si ragionava sicuramente meglio. Un primo pallido raggio di sole illumino il cielo terso. Segno che la mattina stava per tornare anche quel giorno. Per un attimo Ginny sperò che il giorno non tornasse più. Solo la notte era adatta ad esprimere la tragicità di quel momento.

Senza voglia si sollevo da terra. Sbatté con una mano la lunga veste, inutilmente, per togliere dello sporco che non se ne sarebbe più andato via. Scosse la testa e sistemò i capelli all’indietro, così che non gli dessero fastidio, davanti agli occhi. C’era silenzio. Tanto silenzio. Un silenzio avvolgente che Ginny si godeva dal più profondo del cuore. L’emergenza sembrava finita. Quando passò vicino alle scale non sentiva più rumore. Nulla. Silenzio. Percorse il corridoio fino in fondo, ma sembrava non avere mai fine. Ora iniziava a preoccuparsi. Dove erano tutti? Infermieri, dottori, medimaghi, dove erano? Cominciò a correre e i suoi passi divennero l’unica cosa presente lì assieme a lei. Si fermò a riprendere fiato. Non era abituata agli sforzi fisici e aveva già il fiato corto. Respirava debolmente. Solo allora lo sentì. Un altro respiro, altri passi. Davanti a lei. Vedeva un ombra allungarsi sempre di più e sbucare dall’oscurità del corridoio. Dai suoi passi capiva che era zoppo. Erano passi irregolari e affannati. Forse era ferito. Ginny non attese e gli andò incontro. Il cuore le si fermò. Harry era davanti a lei, piegato in due, completamente coperto di sangue. Non aveva gli occhiali e il volto era una maschera di dolore e risentimento. Alzò gli occhi ridotti a due malefici puntini ed incrociò lo sguardo di Ginny.

“Tu mi hai ucciso”

Ginny arretrò. Troppo spaventata per parlare.

“Mi hai ucciso Ginny. E’ colpa tua. Sono morto per colpa tua” continuava Harry con voce ferita.

“Perché mi hai ucciso Ginny? Cosa ti ho fatto? Io ti amo…”

Ginny arretrò ancora. Cadde a terra inciampando nella veste sgualcita. I suoi occhi fissavano ancora il ragazzo morente.

“Tu… tu sei vivo, Harry. Sei qui… non ti ho ucciso…”

“Perché mi hai ucciso Ginny? Perché? Io ti ho sempre amato…”

“Non puoi essere morto. Sei qui e cammini Harry!”

“Ti ho sempre amato. Perché l’hai fatto? Ginny…”

Harry si fece sempre più vicino. La sua presenza la avvolgeva. Le faceva paura in quel momento. I suoi minuscoli occhi verdi. Così pungenti. Così intensi. Così accusatori. Non poteva crederlo.

 

“No!”

“Ginny sveglia. Avanti calmati” Percy la teneva per una spalla. La ragazza era tremante e aveva pianto molto prima di addormentarsi. Anche adesso aveva gli occhi lucidi. Quell’incubo l’aveva colpita profondamente. Disse la prima cosa che realizzò dopo essersi stropicciata gli occhi con le mani.

“Allora, Harry? E Ron? E gli altri?”

Percy abbassò lievemente il capo. Con sforzo la risollevo da terra e la circondò con il braccio.

“Seguimi, per di qua” Percy fece strada e raggiunsero una stanza dello stesso piano.

Ginny vide il fratello, Ron, steso su un letto. Aveva le spalle ustionate e ferite. Era un brutto colpo. Un incantesimo lo aveva colpito in pieno. Era addormentato e parecchi tubi ed aghi lo collegavano ad altrettante macchine che pulsavano e trillavano insistenti. Un infermiera gli stava cambiando la fasciatura e medicando la spalla. Ron non sembrava reagire. Più che addormentato pareva morto. Ma non poteva esserlo. Non si sarebbe trovato in ospedale se era morto.

“E’…” cominciò Ginny.

“E’ in coma Gin. Non sappiamo come si sia fatto la ferita, ma ora è in coma, come la maggior parte dei ragazzi che abbiamo recuperato. Anche Hermione. Li abbiamo trovati nel lago, vicini. Probabilmente erano assieme quando è successo” Ginny si voltò ad osservare il fratello. Con voce rotta si rivolse a lui.

“Cosa è successo?” Percy scosse la testa e guardò altrove.

“Non lo sappiamo ancora, Gin. Ma per certo si sa che centra Colui-che-non-deve-essere-nominato. Solo lui avrebbe potuto architettare un simile piano”

Ginny si avvicinò al letto. L’infermiera se ne andò sorridendo debolmente per confortarla. Ebbe poco successo. Passarono minuti scanditi solo dallo sbuffo regolare del respiratore artificiale di Ron.

Percy si girò verso l’uscita.

“Ti lascio sola. Mamma arriverà fra poco. Non volevo farla venire subito e poi…”

“Dov’è Harry?” chiese d’un tratto Ginny.

Altro silenzio.

Troppo silenzio, pensò Ginny.

“Mi dispiace Gin, non ce l’ha fatta”

A Percy sembrò quasi di sentire la sorella smettere di respirare, anche perché fu quello che fece.

“Lo ha comunicato da poco il ministro Caramel. Ha verificato lui stesso riconoscendo la salma. Non era ancora certo nulla, ma ora…” Ginny gli passò accanto e lo sfiorò appena.

“Gin io…”

“Lasciami in pace Percy!” gridò la ragazza e corse fuori dalla stanza. Lungo il corridoio quasi buttò a terra un medimago che si appiattì al muro per schivarla.

 

Dolore. Sempre e solo dolore. Perché doveva soffrire sempre? Credeva di essersi liberata piangendo. Inutile. Una libertà dalle ali di pietra. Dolore. Ancora dolore. Lei ci aveva sperato. Fino all’ultimo aveva sperato che il suo incubo fosse solo tale. Un brutto sogno. Una sensazione sgradevole che se chiudi gli occhi sparisce. Ma a volte la realtà non è altro che la nostra ansia, le nostre paure che diventano realtà. Dolore. Sempre più forte.

“Signorina stia attenta! Via da qui!” gridò una voce. Ginny si voltò verso quella voce. Un medico. Fece appena in tempo a tirarsi indietro per far passare una barella in tutta corsa spinta dal medico che l’aveva chiamata. Attorno al lettino stavano un paio di infermiere intente a ossigenare il paziente con un respiratore e a reggergli una flebo.

Fu un attimo. Sentì il medico gridare ancora mentre correva davanti a lei, superandola. Fu un attimo, ma avrebbe riconosciuto quel ragazzo fra altri mille. Draco Malfoy.

Il suo volto era segnato da una profonda ferita. Quasi un taglio. Solo a vederla Ginny provò dolore. Ancora dolore.

Lo squarcio correva per tutta la tempia e, probabilmente, anche sull’occhio. Una ferita così orribile poteva essere stata causata solo da un incantesimo. E ben mirato, per giunta. Draco aveva combattuto. Eppure poche ore prima lo aveva visto illeso, ad Hogwarts. Cosa poteva essergli capitato?

La barella era già lontana quando Ginny decise di seguirla. Si ritrovò a sbattere contro una doppia porta con una luce rossa, brillante, accesa. Era sotto intervento. Quindi era abbastanza grave, come aveva supposto. Che avesse combattuto contro Harry?

Era storico, ormai, l’odio fra i due. E poi Malfoy era figlio di un grande mangiamorte “pentito” se così si può dire. Poteva essersi scontrato con Draco subito fuori Hogwarts. Il biondo era scomparso così misteriosamente. Che fosse così? Che fosse realmente andata così? Solo Draco poteva darle una risposta.

 

Gola secca. Mal di testa da primato. Bene, era vivo. Mentre suo padre era bello che andato. Si era ribellato. Ce l’aveva fatta. Ma a quale prezzo.

Gli sembrava di avere un buco in fronte. Quella terribile sensazione gli dava la nausea. Aveva entrambi gli occhi bendati. Una benda un po’ stretta, a dire il vero. Ricordava vagamente quello che successe dopo lo scontro. Lucius lo aveva colpito e lui aveva perso i sensi. Da quel momento in poi gli sembrò di vivere in un libro a cui mancavano delle pagine. Le voci intorno a lui. Una luce blu, pesante. Gente che urlava intorno a lui. Poi, il buio. Un letto, le lenzuola pulite sopra di se. E quella sgradevole sensazione di tamburi che gli suonano in testa.

Si mosse lievemente, stiracchiandosi i muscoli delle spalle. Pessima mossa. Emise un gemito di dolore. Anche solo muoversi gli procurava dolori lancinanti alla tempia. Forse suo padre non lo aveva ucciso subito. Forse sarebbe morto in quel letto d’ospedale. Lentamente, come i vigliacchi e i perdenti.

“Non ti devi muovere. Stai fermo” disse una voce femminile alla sua sinistra. Draco spostò lo sguardo verso quella direzione, poi si accorse dell’inutilità del suo movimento. Un sorrisetto gli increspò le labbra. Era proprio uno straccio. Sarebbe stato mille volte meglio morire, a quel punto.

“Me la cavo benissimo da solo, grazie” disse freddamente rivolto alla fantomatica persona al suo fianco. Restò un po’ in silenzio, poi la ragazza si mosse sulla sedia provocando un forte stridio. Draco chiuse gli occhi sotto le bende maledicendola.

“Non ha nient’altro da fare che spaccarmi i timpani? Se ne può anche andare adesso, grazie” più che un invito sembrava un ordine perentorio. Draco si allungò sul comodino per cercare dell’acqua. Ammesso e non concesso che quegli idioti del ospedale gliela avessero lasciata. Agito un po’ la mano con attenzione a non farla cadere a terra, se mai ci fosse stata.

“Aspetta. Faccio io” disse la voce. Draco si sentì afferrare la mano ed allontanarla. Con uno scatto un po’ troppo brutale la ritirò ficcandola sotto le coperte.

“No, non importa. Non ho sete” nonostante questo sentì la bottiglia aprirsi e versarne il fresco contenuto dentro un bicchiere. Poteva sentirne la freschezza anche solo ascoltando il rumore cristallino delle gocce che scendevano dal collo della bottiglia. Non era vero che non aveva sete, ma non si sarebbe fatto servire come un disabile. Non ne aveva bisogno.

“Peccato, è bella fresca. Ti dispiace se la bevo io?” Draco si girò verso dove presumeva si trovasse la ragazza e allungò la mano sinistra.

“Non ci provi, è la mia acqua. Ma lei è un infermiera o cosa?” chiese stizzito cercando di afferrare il bicchiere che lei gli passava. Strinse la sua mano intorno a quella del ragazzo. Draco sentì prima il gelo del bicchiere colmo d’acqua, poi il tepore di quelle mani morbide. Mai era stato sfiorato da mani più morbide e calde. Ringraziò di essere bendato e di non poter far vedere il suo volto. Sarebbe stato parecchio imbambolato, e non voleva fare la parte del poveretto in quella situazione.

Trangugiò la sua acqua fresca in un batter d’occhio. Non si ricordò di aver mai bevuto in vita sua tanto volentieri anche solo un bicchiere d’acqua. Concluse il tutto con un sospiro soddisfatto, umettandosi le labbra. Allungò il bicchiere alla sua sinistra e subito venne afferrato dalle mani della ragazza. Draco si ritrasse subito onde evitare di sfiorarla ancora una volta. Non che non le piacesse, ma non la trovava una buona cosa. Gli dava fastidio, ecco.

“Non si ringrazia?” chiese la voce. Draco si stese con la schiena sul letto nuovamente.

“E di cosa? Non è il suo lavoro? Anzi, ora può tornare a farlo senza che si disturbi e mi disturbi ancora. Con tutta quella confusione ad Hogwarts avrà sicuramente da fare, credo”

“Non sono un infermiera” disse la voce. Draco risollevò la testa e strinse i denti per il dolore lancinante appena provato. Aveva l’impressione che l’aria fredda gli attraversasse la fronte e uscisse dalla nuca.

“Non è un infermiera? E allora che ci fa lei qui?”

“Cerco risposte, signor Malfoy. Risposte che solo tu puoi darmi”

“Allora sa chi sono” sorrise Draco “Questo non la turba? Draco Malfoy, il figlio del grande mangiamorte. Dovrebbe avere paura”

“Malfoy sei cieco ferito e pieno di acciacchi. Non potrei avere paura di te neanche se volessi” Draco non la vide, ma era sicuro che avesse una faccia strafottente, in quel momento, la ragazza. A quel pensiero si girò da un lato dando la schiena alla sua misteriosa interlocutrice.

“Grazie ma ora non ho voglia di parlare. Può andarsene. Dica ad una vera infermiera che ho bisogno di parlarle” Draco sentì ancora la sedia strisciare. Probabilmente la ragazza si era alzata di scatto. Infatti, alzando la voce si rivolse a lui.

“No, adesso tu mi ascolterai e mi risponderai signor Malfoy. Ti ho dato l’acqua, ti ho aiutato, ed ora tu aiuterai me!”

Draco strinse gli occhi. Tutto quel rumore non faceva che aumentare il suo mal di testa.

“Nessuno le ha chiesto aiuto. E la smetta di urlare, aumenta il mio mal di testa tutto questo rumore”

La ragazza sembrò zittirsi tutto d’un tratto. Sollevò la sedia e si sedette nuovamente.

“Ti prego Malfoy, ascoltami. Ho bisogno che mi rispondi” la sua voce era quasi supplichevole e questo piacque molto a Draco che sorrise, dando ancora le spalle alla ragazza. Il fatto di essere stato supplicato gli dava ancora qualche punto a favore. Incuteva ancora timore e aveva ancora il rispetto degli altri. Molto lentamente si mise ancora di lato, ma stavolta girato verso la sua sinistra, verso la ragazza.

“D’accordo, ma non ne posso più di darle del lei. Le darò del tu se mi dice il suo nome. Siccome sa chi sono vorrei essere al pari con lei” nessuno dei due disse nulla per un po’, poi la ragazza parlò.

“Virginia”

“E’ il tuo nome? Virginia? Che nome stupido” commentò pungente Draco.

“Invece il tuo è molto meglio. Draco, che razza di nome” Draco parve stizzito al commento sul suo nome. Nessuno si era mai permesso di criticarlo.

“E’ latino, stupida! Vuol dire drago”

“Siamo passati dal darmi del lei allo “stupida”?” Draco abbozzò un sorriso che assomigliava più alla reazione che si ha quando si inghiotte una medicina amara.

“D’accordo, Virginia, lasciamo stare il discorso dei nomi. Siccome sai già tutto di me, potrei sapere io qualche cosa di te?”

Cadde ancora silenzio. Fu Virginia a romperlo.

“Che vuoi sapere?”

“Quanti anni hai?” chiese Draco.

“Anni? Io… bè, non credo possa interessarti” Draco si rigirò dandogli le spalle.

“Va bene, chiamami l’infermiera quando esci”

Virginia sbuffò stizzita.

“E va bene… diciotto, compiuti da poco…” lo afferrò per la spalla e lo girò ancora verso di lei.

“Non mi toccare!” gridò Draco. La colpì con forza al braccio. Virginia spaventata arretrò e prese contro alla bottiglia d’acqua che si frantumò sul pavimento.

“Non mi devi toccare! Mai!” Virginia arretrò di qualche passo ancora. Poi Draco sentì i suoi piedi veloci correre via da quella stanza.

Con il capo ancora pulsante per il forte dolore, Draco piombò sul letto, stringendo i denti.

 

Due giorni che era lì fermo a letto. A lui sembravano essere un eternità. Non era abituato a fare l’infermo e il disabile. Draco era di un’altra stoffa. Forse più che una stoffa era un metallo duro e spesso. L’acciaio, ad esempio. Si sarebbe spezzato, ma non piegato tanto facilmente. Draco dal cuore tenero. Sciocchezze. Erano due giorni che se lo ripeteva. Mentalmente rivedeva quello che aveva fatto e non lo capiva. L’istinto aveva forse avuto la meglio? Che cosa lo aveva spinto?

Era appena comparso nel giardino di Hogwarts con una passaporta di suo padre. Era il caos più completo. Quello schifoso di Voldemort aveva distrutto uno dei luoghi che preferiva più in assoluto. Perché lo preferiva? Non lo sapeva. Perché era la sua scuola. Perché non era il maniero Malfoy, perché non c’era suo padre per ben nove mesi a dirgli cosa doveva fare. Perché da lì tutto il mondo schifoso attorno sembrava scomparire. Forse era per quello che amava Hogwarts.

Potter e gli altri erano un simpatico passatempo. Nulla di più nulla di meno. Quasi tutti un simpatico passatempo. Bè, Potter lo detestava perché era Potter. La Granger perché riusciva sempre a prendere voti migliori dei suoi. Weasley, spalla-di-Potter, perché era un mago puro e si riduceva in quel modo. Tutta la famiglia Weasley era così. Schifosi filobabbani sempre senza un soldo. E allora perché lo aveva fatto?

Inconsapevolmente aveva abbracciato al sorella di Weasley. Non sapeva come e perché. Vederla in lacrime, silenziosa, nella bufera che si schiantava su Hogwarts gli aveva stretto il cuore. Ma forse non era la prima volta che il suo cuore si stringeva per la giovane Weasley.

Ma che cavolo dici Draco?! Quella è soltanto una ragazzina che non merita neanche il nome di mago!

Si girò furiosamente sul letto da un lato all’altro annodando le coperte attorno a lui. Maledicendo il suo stato di infermo si scoprì completamente e si riassettò il letto come meglio poté. La porta della sua stanza si aprì e, contemporaneamente sentì un rumore alla sua destra, verso la finestra.

“Chi c’è?” chiese d’impulso guardando verso la fonte di quel rumore. Passi veloci partirono ed uscirono dalla stanza. Altri passi più pesanti e lenti si avvicinarono al suo letto.

“Allora signor Malfoy, come sta oggi?” gli chiese quella che sembrava essere un infermiera. Draco si rigirò verso di lei a bocca spalancata.

“Chi c’era qui dentro?” chiese con voce ferma. L’infermiera lo infilzò con una nuova flebo e boffonchiò qualcosa di incomprensibile. Draco gli avrebbe gettato addosso uno sguardo di ghiaccio se solo i suoi occhi fossero stati liberi dalle bende.

“Non ho capito nulla, può parlare senza mangiarsi le parole? Ma venite pagati per qualche cosa qui dentro o no?” domando con arroganza Draco. L’infermiera si irrigidì e rispose a tono.

“Ho detto che se la sua ragazza viene qua a farle visita non c’è problema, e che farò finta di nulla!”

La sua ragazza?

“Io non ho ragazze. Chi è uscito da qua? Com’era fatta?” chiese Draco quasi alzandosi dal letto e saltando addosso alla donna.

“Mah non ho guardato bene. Sembrava una sua coetanea. Aveva un mantello con il cappuccio. Non so altro”

Nascondersi? Che fosse Virginia, la ragazza della prima sera? No, lei era più grande di lui. E se gli avesse mentito. Non sa perché, ma gli sembrava l’ipotesi più probabile.

L’infermiera se ne andò e lui si stese ancora sul letto ad elaborare un buon piano per smascherare la misteriosa visitatrice.

 

Draco se ne stava steso sul letto con le coperte fin sopra la testa. Virginia aprì lentamente la porta della stanza e con passi felpati camminò fino alla finestra alla destra del letto.

Perché era tornata lì? Erano giorni che non tornava a visitare la stanza di Draco, da quando l’aveva quasi scoperta. Aveva paura capitasse di nuovo. E lei non voleva farsi scoprire mentre lo osservava, silenziosa. Le bastava fissarlo. I capelli biondi scompigliati che cadevano in ciuffi sulla fascia. Quella sua candida pelle. Così bianca. Ma che le prendeva?

Venire in ospedale solo per osservare Draco Malfoy nel suo letto mentre dormiva? E si muoveva come un bambino nel letto in cerca di qualcosa. Più di una volta aveva pensato di tranquillizzare i suoi incubi con una carezza, un gesto d’affetto. Ma ogni volta che lo pensava le tornava alla mente quel suo ultimo gesto con cui l’aveva scacciata. Lo aveva appena sfiorato, ma aveva reagito in modo così brusco. E lei non capiva perché. Ma allora perché tornava lì?

Era per Harry. Certo, lei voleva solo sapere se era stato lui ad uccidere Harry. Se così fosse stato sarebbe finito dritto ad Azkaban, questo è certo. Lei era lì solo per capire se si era scontrato con Harry. Certo, solo per quello.

Osservava le coperte che coprivano completamente il corpo del ragazzo. Peccato, le piaceva vedere i suoi capelli biondi arruffati. Ma che pensava?! Lei era lì solo per Harry. Se lo ripeteva continuamente come per darsi un buon motivo per cui entrare di soppiatto nella stanza di un ragazzo ricoverato e spiarlo senza il suo consenso.

Si appiattì fino a raggiungere la finestra e si sedette sulla sedia lì accanto. Fece più silenzio che poté. E il suo sguardo era fisso sulle lenzuola. Certo che…come pretendeva di scoprire qualcosa se veniva a visitarlo solo di notte? E soprattutto senza parlargli. Ma che le era preso?

Sigillum!” tuonò la voce di Draco da dietro la porta di ingresso. Con un colpo secco si chiuse sigillandosi magicamente. Virginia fissò impaurita prima il letto, poi Draco in piedi, poi ancora il letto. Le aveva teso una trappola!

“Bene bene” rise Draco afferrando una sedia e mettendola davanti all’uscita “Il topo è in trappola. A meno che tu non voglia volare dalla finestra dovrai passare da qui…” la sua aria strafottente era un incentivo per la rabbia di Virginia.

“Naturalmente puoi anche rivelarti e allora non ci saranno problemi di sorta” si sedette tastando bene il sedile della sedia di metallo “Nessuno la fa a Draco Malfoy” ghignò trionfante.

La pazienza di Virginia raggiunse il limite.

“E va bene signor Malfoy” carico molto quest’ultima parola “Sei contento? Mi hai preso in trappola e adesso?”

A dire il vero a questo Draco non aveva pensato. Non pensava che si sarebbe arresa così facilmente. Pensava sarebbe stata una cosa lunga da cui, infine, avrebbe tratto profonda soddisfazione a vederla sconfitta. Invece la sua gioia per quel piano perfetto non solo non c’era, ma non aveva neanche provato ad esserci! E adesso?

“Bè…stai ferma lì mentre raggiungo il letto” Draco si alzò camminando a tentoni per raggiungere la branda. Virginia lo guardò volgendo gli occhi al cielo. Draco sentì i suoi passi avvicinarsi decisi.

“No! Ce la faccio da solo! No voglio assolutamente il tu…” Virginia tese il braccio e lo costrinse ad appoggiarsi con l’altra mano. Draco si ritrasse subito con uno scatto talmente violento da perdere l’equilibrio e finire disteso per terra.

“Sei proprio scemo” lo ammonì lei. Eh sì. Draco si sentiva proprio scemo in quel momento. Non tanto per quello che aveva fatto, forse un po’ anche per quello, ma per la situazione in cui si trovava. Per terra, cieco, con una ragazza sconosciuta nella camera. E poi, forse era solo una sua impressione, ma probabilmente aveva anche il pigiama mezzo sfilato…

“Senti il…il mio pigiama…è…?” chiese a testa bassa imbarazzato.

“Le tue grazie sono coperte Malfoy” ridacchio Virginia “E’ l’ultima cosa che mi interessa di uno come te”

Quella fu una batosta niente male per il giovane e affascinante Draco Malfoy. Lui che credeva di vere dietro la bava di qualsiasi ragazza, trovarsi ignorato proprio da questa ragazza che cominciava ad odiare con tutto il cuore, gli diede un gran fastidio.

“Al diavolo…” cercò sempre a tentoni di rimettersi in piedi inutilmente. Virginia gli si avvicinò e lui lo avvertì.

“Posso?” chiese questa volta prima di permettersi di agire. Draco bofonchiò qualcosa.

“Come?” chiese ancora la ragazza.

“S-sì…”

“Come si dice piccolo Draco?” lo prese in giro ancora Virginia. Draco andò su tutte le furie e strillò.

“Ora te ne stai approfittando sciocca ragazza!”

“Come vuoi” fece per allontanarsi facendo sentire bene i passi.

“Oh, al diavolo!…Per-favore!” Virginia sorrise. O almeno immaginò Draco. Si sentì afferrare per la spalla destra, intanto anche lui si aggrappò al suo braccio così da reggersi meglio. Una volta in piedi Virginia lo condusse fino al letto. Scostò i cuscini che volevano simulare il corpo del ragazzo e lo mise a sedere. Draco si sdraiò e si coprì con lenzuolo e panno.

“Prego non c’è di che” lo punzecchiò ancora Virginia che sperava, inutilmente, in un “grazie”

“Non montarti troppo la testa ora…” la riprese serio in volto Draco. Virginia poté scommettere che i suoi occhi l’avrebbero perforata se fossero stati scoperti.

“E poi sei tu che mi devi dare spiegazioni: che ci fai a notte fonda in camera mia?” Draco constatò il silenzio che si era venuto a creare. Probabilmente l’aveva messa in imbarazzo. Ottimo. Proprio quello che voleva. Il silenzio si prolungò parecchio.

“Mi manda Harry” disse d’un tratto Virginia con un nodo alla gola. Draco smise di gongolarsi nel suo piacere e si rizzò di scatto sulla schiena. La testa prese questo gesto come una sfida e prese a suonare un ritmo incalzante e rockeggiante udibile solo da lui. Si strinse le tempie con la mano.

“Potter?” strinse i denti per il dolore alla testa. Virginia pensò di aiutarlo, ma ci ripensò subito. Quello era un probabile assassino.

“Che vuole Potter da me?” chiese dopo un momento di pausa. Quella fu per Virginia la prova che Draco non aveva ucciso Harry.

“Niente…” continuò “Harry è…lui non c’è più…” rispose con voce spezzata e in un qualche modo Draco se ne accorse. E oltre a quello si accorse di ciò che gli era stato appena rivelato. Harry Potter era morto. Inconsapevolmente provò una sorta di…nausea alla base dello stomaco. Non era la solita nausea che aveva quando lo vedeva a scuola. Era qualcosa di incolmabile a pensieri…forse…dispiacere?

Per Potter? Assurdo! Si buttò sui cuscini con la testa e ridacchiò.

“Se lo è meritato…babbanofilo del caz…” la sua frase fu interrotta da un dolore acuto alla guancia sinistra. Senza preavviso Virginia lo aveva colpito con uno schiaffo da guinnes. Draco non ricordava di aver mai provato nulla di simile. I tamburi ripresero a suonare ritmati nella sua testa.

“Ma che cazzo ti prende!” le urlò contro tenendosi la guancia offesa. Fermandosi per un secondo la sentì chiaramente singhiozzare nel silenzio della stanza. Virginia si alzò di scatto allontanandosi.

Alohomora” disse, probabilmente puntando la porta con la bacchetta, pensò Draco. Ma, come ben sapeva, l’incantesimo non si sciolse.

“Toglilo…” disse lei con voce spezzata. Draco non sapeva bene che fare. Poteva toglierlo e lasciarla andare, che gli importava? E invece qualcosa gli importava. Voleva parlare e aveva paura che non l’avrebbe sentita mai più.

“Senti Virginia, scusami…” dire questo costò a Draco Malfoy una fatica superiore all’immaginabile. Ci vollero una decina di secondi prima che continuasse.

“Siediti, ti prego. Finiamo di parlare…” sotto le bende lo sguardo di Draco era supplichevole. Ma tanto lei non l’avrebbe mai saputo. Una parte d’onore era salvo. Virginia ritornò sui suoi passi e Draco la sentì sedersi ancora sulla sedia accanto al letto. Draco se la immaginò imbronciata e con le gambe accavallate con profonda ira. Sì, se la vedeva proprio così.

“Scusami” disse di nuovo lui, questa volta con più facilità, ci stava prendendo la mano.

“D’accordo…tanto ti conosco Malfoy. Non cercare di fregarmi”

“Mi conosci? Allora non hai diciotto anni se eri ad Hogwarts…” concluse sibillino lui. Virginia capì di aver fatto un passo falso e neanche provò a rimediare disse solo.

“Bravo. Uno a zero per te. Contento?” c’era dell’astio nella sua voce. Draco capì al volo il problema.

“Senti…a quanto ho capito eri una sostenitrice di Potter” e qui fece una smorfia “Va bene, ok…solo che…”

“Solo che cosa Malfoy?” continuò lei fredda come l’inverno.

“Solo che…non volevo che andassi via” Draco lo disse tutto d’un fiato sperando che Virginia non avesse capito le sue parole. Ma Virginia aveva capito benissimo.

“C-Come?” tentennò curiosa davanti a quella sconcertante affermazione.

“Non lo nego. Ti detesto. Detesto i tuoi modi, i tuoi metodi, e il modo altezzoso con cui mi tratti…però…” Draco esitò cercando di captare, invano, qualche suono proveniente dalla ragazza.

“Però…mi, mi dispiacerebbe non sentirti più” Draco cadde in un profondo senso di disagio. Non sapeva che fosse, ma così, d’acchito, non gli piaceva granché. Passarono almeno due minuti in completo silenzio che per Draco sembrarono durare un eternità.

“Ok…” disse solo lei, ma con un tono tutt’altro che aggressivo, forse commosso, sorpreso, fuori luogo..non lo sapeva con precisione. E non lo sapeva bene neanche lei.

“Amici?” domandò Virginia poggiando una mano sulla sinistra del ragazzo che stava poco fuori dal lenzuolo. Draco si ritrasse appena da quel tocco. Non voleva essere toccato eppure…

Sollevò la sua mano libera e la mise su quella di lei.

“Amici…”

 

“Toc toc, si può?” Virginia entrò di corsa. La gioia sprigionava dalla sua voce e questo a Draco piaceva davvero molto.

“Buon primo giorno di primavera Draco. Ti ho portato qualcosa di commestibile da casa invece che la solita roba del S.Mungo” poggiò un cestino che Draco immaginò di vimini ai piedi del letto e lo aprì iniziando a distribuire varie scatole e scatoline sulla coperta di cotone.

“Grazie Virginia…lo apprezzo” la ragazza si fermò di scatto e Draco lo intuì dal bloccarsi dei rumori tipici della carta.

“Che c’è?” chiese lui preoccupato. Spesso diceva cose senza volerlo. E a volte litigavano per un non nulla. Sperava di non aver detto nulla di sgradevole, anche perché non se ne era accorto ad essere sincero.

“Non viziarmi Draco Malfoy!” disse lei col sorriso nella voce e riprese a aprire e spacchettare.

“Ah, mi prendi in giro! Lascia che ti prenda…” allungò le mani in avanti cercando di rintracciarla, ma Virginia lo schivò e lo colpì con un cricco sul naso.

Beep, beccato!” rise lei mentre lui cercava di afferrarle al volo la mano che lo aveva colpito al naso.

“Non vale! Solo perché sono ancora bendato!” ridacchiò lui scoprendosi completamente e cercando di afferrarla ancora. Virginia lo aggirò di nuovo e lo ricolpì nello stesso punto.

Beep! Fuori due!” ridacchiò ancora salendo sul letto e accucciandosi nell’angolo in fondo. Draco continuò a tentoni a cercarla lamentandosi che si approfittava della sua cecità, quando, involontariamente, prese contro alla bottiglia del succo di frutta appena estratto da Virginia e cascò di peso in avanti. Ora l’aveva trovata visto che ci era proprio finito sopra di peso.

Sentire il calore di lei su tutto il suo corpo fu la sensazione migliore che avesse mai provato. Inconsapevolmente le passò una mano fra i capelli mossi accarezzandoglieli per tutta la lunghezza. Aprì un po’ la bocca a metà fra la sorpresa di trovarsi in quella situazione e l’estasi del momento. Pesca. I suoi capelli profumavano di pesca matura. Un profumo così intenso che Draco rischiò di perdersi.

D’altro canto, anche virginia non fece molto per impedire a Draco di accarezzarle i lunghi capelli o di annusare il suo profumo fruttato. Si rese conto un attimo più tardi, dopo essersi risvegliata dal quel piacevole torpore che erano in una situazione alquanto imbarazzante.

“Draco…scusa…” disse lei con voce piccola. In quel momento si svegliò anche Draco che si alzò subito da sopra di lei s tornò a sedersi sul letto.

“No scusami tu…” seguì un silenzio imbarazzate per cui non si parlarono per quasi tutto il pranzo.

Le loro discussioni, di solito, erano lunghe e variegate. Parlavano di tutto. Vestiti, sport, roba da mangiare. A volte di Hogwarts, ma se c’era qualcosa di cui non avevano mai parlato era Virginia. Draco non sapeva nulla di lei se non che aveva, forse, sui diciotto anni, che era ad Hogwarts e che i suoi capelli profumavano di pesca. Ma quella era un informazione recente. Quando lui si lamentava che non sapeva nulla della sua famiglia e della sua vita al contrario di lei, Virginia rispondeva “Tanto sono qui, che altro vorresti sapere?” E a Draco, in effetti, quello bastava eccome.

Solo al dolce uno dei due azzardò.

“Allora…ehm…cosa ti hanno detto i medici?” chiese lei per iniziare il discorso e cercare di far scordare ad entrambi l’accaduto. Almeno per il momento.

“Eh? Ah, grandi notizie! Mi tolgono la benda, dicono che il recupero della vista all’occhio destro è stato completo, al sinistro più di sette decimi…non male eh?” disse Draco.

“Come ti tolgono la benda? Quando?” Virginia sembrava allarmata da quella notizia. Draco non capì bene il perché ma le rispose.

“Fra un paio di giorni…perché sei così allarmata?” le domandò intimorito. Non sapeva perché essere intimorito…una specie di sesto senso. Virginia tacque per un po’.

“Io…Draco…non…non posso più venire a trovarti, mi dispiace” disse lei risentita incominciando ad impacchettare le sue cose nel cestino da pic-nic. Draco non voleva credere alle sue orecchie. Scostò il piatto con la fetta di torta a metà e le afferrò il braccio. Più per istinto e fortuna che per altro.

“Cosa? Perché?”

“Perché…perché…Oh, Draco non potresti capire!”

“Cosa non potrei capire!” lui stava lentamente andando su di giri.

“Io…Draco tu non…non voglio darti una delusione”

“Delusione?” disse Draco “Delusione di cosa? Cosa c’è che non va Virginia?” le scosse il braccio forse con un po’ troppa violenza. Lei si liberò con uno strappo dalla sua presa. La sua voce era rotta dal pianto.

“Scusami, scusami tanto… non avrei mai dovuto…” la frenesia con cui il cestino si riempiva degli avanzi del pranzo era aumentata drasticamente. Draco cercò di fermarla.

“Aspetta! No, ferma, non andare…no!” era arrabbiato, era fuori di se! Era…dispiaciuto, ferito…sentiva la solitudine avvolgerlo come già temeva lo avrebbe avvolto senza di lei.

“Io…Io ho bisogno di te…” disse senza rabbia ma con grande tristezza. Lei scostò il cestino A Draco parve di vederla di nuovo. Sorridere con gli occhi lucidi dal pianto.

“No, tu hai bisogno di Virginia” gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla fronte. Fece scivolare le labbra sulla benda e lungo il naso fino a poggiare la sua fronte contro quella di lui.

“Ma Virginia non esiste. Addio Draco, è stato bello” Virginia si staccò da lui come un frutto si stacca dal ramo per non tornare mai più. Sentì solo chiudersi la porta della stanza e la benda che lentamente si stava inzuppando delle sue lacrime.

 

“Ecco signor Malfoy…allora, come andiamo?”

Draco sbatté gli occhi numerosi volte. Le palpebre gli dolevano e la luce, seppur fioca luce della sera, gli bruciava terribilmente gli occhi sensibili. Scosse la testa per darsi una svegliata e finalmente annuì con la testa.

“Io…ci vedo, sì vedo…” ma non vedeva quello che voleva vedere. Virginia.

“Eccellente, ancora qualche controllo e poi sarà libero di andare signor Malfoy” disse entusiasta il medico che prese a esaminargli le pupille e puntargli entrambi gli occhi con la bacchetta la quale emetteva luci particolari.

Draco si lasciava fare tutto come una bambola di pezza. Aveva paura di essere solo? Bene, ora lo era veramente. Virginia aveva mantenuto la sua parola e né il giorno dopo né quello successivo, cioè quel giorno, era venuta a fargli visita. Perché se ne era andata? Quel suo discorso alla fine. Su di lei che non era lei. Che significava? Che…aveva forse paura del suo aspetto? Ma andiamo! Lui aveva uno sfregio permanente che non gli avrebbe senz’altro giovato a notorietà. Cosa poteva avere di strano lei?

Draco non se lo spiegava. Non riusciva a darsi una risposta, purtroppo. E tutto ciò lo avviliva ancora di più. Non sapeva dove trovarla, o come rintracciarla. D’accordo che la magia semplifica di molto le cose, ma con quei pochi dati su di lei che aveva non sarebbe riuscito a fare una ricerca come si deve.

“Tanto sono qui, che altro vorresti sapere?”

La tua vera età, il tuo cognome, la tua vita, tutto!

Niente da fare era proprio solo.

Se ne uscì dalla sua camera di sei mesi raccogliendo quei pochi stracci, lavati e riparati dalle sapienti mani di Virginia durante il suo ricovero. La divisa di Hogwarts gli stava eccessivamente stretta e appena un po’ corta. Anche se non sembrava in quei mesi era cresciuto. Poco male. Si sarebbe cambiato a casa…appena avesse avuto una casa stabile.

Percorse i corridoi e, senza saperlo, si ritrovò a passare davanti alle stanze delle vittime di Hogwarts. Forse era solo una sua impressione, ma quei pochi che lo vedevano, fra genitori e studenti, lo fissavano male, come se fosse una macchia di muffa sulla parete. No, non c’era posto per nessun Malfoy lì in quel momento. Sia fosse colpevole, sia non lo fosse.

Sospirò e girò l’angolo. E chi non doveva trovare fuori dalla stanza del pidocchioso fratello? La giovane Weasley. Tutta stretta nel suo mantello di seconda scelta. Si teneva le ginocchia con le mani e aveva la testa appoggiata sulle gambe. Seduta lì su quella branda lungo il corridoio a compiangere se stessa. Non che lui fosse messo meglio in quel momento, ma quello che per i Weasley era la norma per lui era un eccezione. Una delle peggiori, in effetti.

Si avvicinò facendo gonfiare il mantello e con il ghigno dipinto sul volto. Lei alzò lo sguardo, ma appena lo vide spalancò gli occhi come terrorizzata.

Cavoli, questa cicatrice deve essere davvero orribile…vediamo di farla fruttare un po’…

A meno di un metro il suo sguardo divenne di ghiaccio e inspirò a fondo per iniziare la sua preparata sequenza di insulti.

“Ehi Weasley se…” un odore già conosciuto stravolse i suoi sensi. Era un profumo. Un profumo dolce, non uno qualunque. Un profumo che aveva già sentito, a cui non voleva rinunciare e non avrebbe rinunciato se non se ne fosse andato egli stesso. Il suo ghigno si trasformò in un’espressione attonita, mentre il suo passo veloce e rapido rallentò quasi fino a fermarsi. Gli occhi sottili di Malfoy venero gli occhi grandi di Draco e la sua bocca, preparata al peggiore turpiloquio, disse solo una parola.

“Pesca…” fece scivolare le mani sottili fra i suoi capelli mossi e rossicci. Chiuse gli occhi e tutto gli ricordò la situazione di un paio di giorni prima. Strinse dolcemente il viso lacrimante di lei fra le mani e lo avvicinò al proprio. Incrociò le sue sottili labbra con quelle carnose di lei e prese a baciarla. Si staccò quasi subito prima di rituffarsi nel suo dolce volto e succhiargli dolcemente il labbro superiore. Solo per un attimo, piano.

Affondò ancora le labbra e questa volta anche Ginny rispose al bacio giocando con la lingua del suo amante e avvicinandosi a lui quasi inconsapevolmente. Si ritrovò seduta al limite della branda, mentre le sue mani lo afferravano per le spalle e lo tiravano a se. Passò le mani dalle spalle ai capelli, mente il bacio non cessava di essere consumato con sempre maggiore voracità e passione.

Dopo un tempo che sembrò ad entrambi troppo breve, si lasciarono e si guardarono negli occhi.

“Scusami…” disse lei commossa. Le lacrime avevano bagnato il volto di Draco. E comunque lui era fin troppo orgoglioso per ammettere di aver pianto.

“Stupida…”la riprese lui amorevolmente sollevandole la testa che puntava verso il basso e passando ancora le labbra sulle sue in un ennesimo bacio. Fu lei a lasciare quell’unione per prima e guardarlo ancora negli occhi.

“Ti hanno conciato proprio male eh?” rise nervosamente ancora con gli occhi pieni di lacrime.

“Eh sì…” rispose lui ridacchiando a sua volta. Le massaggiò i capelli crespi come se non dovesse mai più accarezzarli in tutta la sua vita.

“Cosa facciamo?” chiese lei asciugandosi le lacrime con la manica del vestito. Draco scosse la testa.

“Non lo so…mi faccio vivo io fra qualche giorno…il tempo di sistemarmi un attimo e…” non riuscì a concludere e la baciò di nuovo. Ginny di certo non si tirò indietro. Fu un bacio prolungato seppur così improvviso.

“Ok…fra qualche giorno…ti aspetterò qui…” disse Ginny riprendendo fiato dall’ultimo bacio.

“D’accordo…” concluse Draco annuendo con la testa “D’accordo, fra qualche giorno…ok” la baciò di nuovo, velocemente, senza darle il tempo di replicare. Sciolse malvolentieri l’abbraccio e si diresse verso le scale per il piano terra.

Ginny rimase fissa con lo sguardo all’angolo che Draco aveva appena girato. Era pazzesco era incredibile! Lei e Draco Malfoy! Le sembrava impossibile solo pensarlo eppure…eppure l’amore e cieco…e Draco non era come lo si dipingeva la maggior parte della gente. Tutti quei mesi per conoscerlo erano serviti.

Scosse la testa coprendosi gli occhi e sorridendo come una pazza. Scuoteva tutte le gambe e la testa per l’agitazione.

Due mani le afferrarono le sue e le scostarono dagli occhi. Draco le stringeva i polsi e aveva il fiatone di chi aveva corso parecchio, probabilmente facendosi anche qualche piano di scale.

Appoggiò ancora le labbra sulle sue e, quello che era iniziato come un altro bacio veloce, si concluse solo dopo parecchi secondi.

“Ti amo Virginia” ridacchiò lui prima di sparire ancora dietro l’angolo del corridoio senza dare il tempo a Ginny di rispondergli, ma lasciandole una piacevole sensazione addosso.

Allora che ne dite? È una cosuccia fatta per spiegare un po’ la storia fra questi due “besughi”. Che dite è un po’ più chiara? Bè fatemi sapere con un commentino!! Non fate come a solito, leggo e non scrivo! Dai per favore ç ç

 

Ciao raga!!!

 

See you again!!!

   
 
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