Respirò a fondo prima di aprire gli occhi.

Olympia e François, i due fisioterapisti del centro di recupero, la incitarono a camminare.

-Ce la puoi fare!- ripetevano mentre osservavano con attenzione la giovane tentare di muovere gli arti inferiori.

Eva sentì uno stranoo formicolìo alla gamba destra e riuscì a muoverla in avanti. Si appoggiò ad essa, ansimando per la fatica e l'emozione di sentirsi di nuovo viva.

Il suo volto fu illuminato da un sorriso puro, il primo dopo mesi di ricovero e di paura.

Sorriso che però scomparve, sostituito da una smorfia di dolore, quando avvertì la sua gamba cedere. François la prese in tempo, ridendo.

-Bravissima! Non sovraccaricare le tue gambe!- esclamò.

-Hai fatto un bel lavoro, Eva.- le disse Olympia mentre la faceva sedere sulla sedia a rotelle.

Eva sorrise appena e si lasciò riportare in camera.

-Dai, ragazzi ci vediamo domani, faccio da sola.- disse giunta alla porta 23 di un colorato corridoio. I due alzarono le spalle e le chiesero di avvertirli, con l'interfono, se avesse avuto problemi nel mettersi a letto.

Lei annuì e li lasciò andare. Aprì la porta e con lentezza entrò nella sua stanza privata.

Sentì improvvisamente la presenza di qualcuno, ma le tende erano ancora abbassata e non riusciva a vedere molto bene i contorni della figura che stava seduta sul suo letto. Allungò la mano sinistra ed accesse la luce.

Era un viso conosciuto, un volto che aveva amato per quasi due anni. Lui.

La sua mente ripercorse velocemente quel loro primo incontro. La rabbia attraversò ogni sua cellulla.

-Che cosa vuoi, Dean?- domandò con stizza mentre cercava in tutti i modi di allontanarsi da lui, visto che si stava avvicinando. Non sapeva che cosa avrebbe fatto se lui avesse cercato di toccarla.

-Eva...-mormorò lui. Alzò un braccio e posò la sua mano sulla sua guancia. -Perdonami. Io sarei venuto prima ma Johnson mi ha bloccato. Non voleva farmi prendere una multa da milioni di dollari.-

-Questo non giustifica nulla.- sussurrò lei, non riuscendo più a trattenere le lacrime. -Io aspettavo solo te.-

Dean sobbalzò dalla sorpresa. Una volta che la sua agente, la signora Johnson lo fece scendere dall'aereo e lo obbligò a fare le ultime due date in America del suo tuor, riflettè a lungo. Era convinto che quel Leo, che lo aveva chiamato ben tre volte...Beh, fosse di più di un collega. Più di un amico. La conferma poi gliela aveva data la madre, al telefono.

A quella frase, ogni speranza si frantumò in mille pezzi, lasciando ferite profonde su ogni parte del suo corpo.

Eppure, ora vederla affranta, debole ed arrabbiata perchè...lui non era riuscito a venire prima, lo colpì come un cazzotto nello stomaco.

-Non ho smesso di pensarti. Ti prego, Eva, perdonami.- s'inginocchiò , ponendosi all'altezza dei suoi occhi che fissavao il pavimento.

-Non voglio perdonarti. Voglio solo dimenticare.- disse lei fra le lacrime, stringendo il collo della sua camicia. Lentamente, come se fossero due poli distinti, l'uno attratto dall'altro, le loro labbra si toccarono lievemente.

-Scusami.- Dean tentò di reprime i singhiozzi che stavano bruciando nel suo petto. -Non voglio perderti mai più, Eva.- disse fissandola negli occhi ed asciugando le sue lacrime. -Mai più.-

__________________________________