On the other side of the mirror, I want to go
back.
Non
mi appartenevano molte cose di quel mondo.
No, in verità non mi apparteneva proprio nulla.
Quell’ambiente così immenso, questi abiti
sfarzosi, la gente che ora mi circonda…
Niente.
Tutti non sono che al di la di uno specchio, dove, a riflettersi con
loro, è solo la mia immagine.
Dietro lo specchio tutto si muove, e vedo me stessa lì
immersa. Ma la mia mente, il mio cuore…il mio vero cuore,
è altrove.
Sono seduta in un angolo ormai buio, in un posto di cui non
farò mai parte.
Di questa me stessa, quella me stessa dall’altra parte dello
specchio, nessuno si chiederà più.
Tutti da oggi vedranno solo il mio riflesso in questo specchio fasullo.
Il riflesso di Rukia, tra poco Rukia Kuchiki.
Una ragazza dai folti capelli neri aprì debolmente gli
occhi. Ciò che si presentò dinanzi al suo sguardo
non fu che il nero. Il nero di una notte che non voleva passare e che
minuto dopo minuto appesantiva il suo spirito. Era ormai la settima
volta che alzava le palpebre e rimaneva ferma, con i suoi occhi blu
spalancati, a fissare il soffitto.
In realtà non c’era una precisa immagine sulla
quale erano puntate le sue attenzioni. Rimaneva semplicemente ferma,
con le dita incrociate fra di loro all’altezza dello stomaco,
in quel buio nero che pian piano le faceva focalizzare i lineamenti
essenziali dell’arredamento di quella stanza
sproporzionatamente grande per lei.
Girò appena lo sguardo, scrutando per l’ennesima
volta l’ambiente.
Una stanza vuota, ingombrata unicamente da una specchiera, una
cassettiera e dal futon sul quale era sdraiata. Il tutto
immerso in uno spazio infinito, smisurato per quei pochi arredi.
Sentiva sulla sua schiena il freddo del pavimento, e nonostante ci
fosse abituata date le sue umili origini, in quel momento era
insopportabile. Gelido, agghiacciante…
Strinse i pugni e sentì la sua morbida pelle bianca essere
diventata rigida e gelata. Quasi come se il sangue avesse smesso di
scorrere sul suo corpo, e i suoi arti avessero già preso ad
irrigidirsi. Le sue labbra erano pallidissime, e pian piano
cominciò a tremare…sempre più forte.
Improvvisamente una lacrima rigò il suo viso. Una goccia
sgorgata dai suoi occhi, che racchiudeva tutte le sue paure e le
tensioni di quell’istante.
Arrivò sullo spigolo delle sue labbra, e bastò
che potesse assaggiarne appena il gusto salmastro che la sua bocca si
contorse in ghigno che fece scatenare dalla sua gola un grido
disperato, che si disperse rompendo il silenzio di quella notte buia.
“Aaaaaaaaaaah……!!!!”
Subito le porte della sua stanza si aprirono e delle persone
dall’aspetto assolutamente sconosciuto la afferrarono per i
posi e per le caviglie. Istintivamente la ragazza cominciò a
dimenarsi, lasciando che i capelli le inondassero il viso mentre si
bagnavano nelle sue lacrime, appiccicandosi sulla sua pelle.
Uno di questi la afferrò per la mascella e le
avvicinò un bicchiere facendo per costringerla a bere. Lei
serrò la bocca, ma le dita premettero così forte
sull’osso che non riuscì in nessun modo ad
opporsi, così fu costretta ad ingerire quel liquido, mentre
quelle persone la tenevano ancora ferma e le alzavano appena il collo.
Quando ebbe ingoiato fino all’ultima goccia, la lasciarono e
lei prese ad ansimare fortemente, spaventata. Guardò con gli
occhi smarriti e pieni di agitazioni le loro figure che adesso pian
piano si allontanavano piegando il capo.
La ragazza dai capelli neri sentì il sudore scorrerle sulla
fronte e la testa girarle, fino a costringersi a sorreggersi sui
gomiti. Non riuscì a sostenere il suo peso, così
si accasciò battendo forte la testa sul cuscino.
Sentì freddo, sempre più freddo…
Girò la testa e mentre distingueva le lunghe sagome delle
ombre che trafiggevano la penetrante luce giallognola delle lanterne
accese, la sua vista si annebbiò e perse conoscenza.
Non prima che sentisse delle voci chiamare qualcuno, in un subbuglio
insolito da udire in quella casa.
“Cosa è successo?” pronunciò
una voce dal tono asciutto.
“Signore…”
Cosa
è successo…
Cosa…
….è…
…successo…?
La vita che non volevo.
Una vita agiata, in una famiglia nobile e ricca. Una vita che non
potevo rifiutare.
Che però…non lo volevo.
---
“Signorina?”
“Uh?”
La giovane ragazza dai capelli scuri aprì gli occhi.
Era ormai giorno. I raggi del sole filtravano tra i vetri delle
finestre, dalle quali poteva vedersi un bellissimo cielo limpido.
L’aria soffiava appena, accarezzando dolcemente la sua pelle
in un tocco davvero piacevole, rappresentando soprattutto la
nottataccia appena trascorsa. Sentiva infatti ancora gli occhi pesanti,
ed un fastidioso amaro in bocca.
Un sapore che ormai aveva imparato a riconoscere già dopo la
prima notte che aveva trascorso in quel luogo.
La giovane donna seduta di fianco a lei si sollevò e chiuse
la finestra temendo che il vento potesse infastidire la ragazza appena
svegliata.
La ragazza dai capelli neri la seguì con gli occhi e quasi
avrebbe voluto implorarle di lasciarla aperta, ma le parole le
sfuggirono completamente, così quel soffio che accarezzava
il suo viso si disperse e la abbandonò lasciando sola
definitivamente.
“Perdonatemi, ma avevo avuto ordine di svegliarvi presto.
Vogliate alzarvi, vi ho preparato il bagno e gli abiti che potrete
indossare questa mattina.”
Quella donna doveva essere sicuramente più grande di lei,
eppure la trattava con una riverenza tediosa, quasi incomprensibile,
rappresentando che questo atteggiamento era rivolto verso una ragazza
considerevolmente più giovane di lei. Proveniente dal
Rukongai per di più.
Con tutte le probabilità scorreva più sangue
nobile nelle sue di vene, che era solo una servitrice, che in lei, che
non aveva mai visto neanche da lontano il mondo aristocratico delle
famiglie nobili.
Sollevò il busto e sentì leggermente la testa
pulsare, probabilmente ancora per la overdose di tranquillanti che le
avevano buttato in gola.
Ebbe appena il tempo per mettersi più dritta, che subito le
mani della donna toccarono l’apertura del suo yukata, che
aprì delicatamente facendo per sfilarglielo.
Nonostante non fosse ancora una ragazza sviluppata, e il suo primo
accenno di seno fosse ancora di piccole dimensioni, la giovane dai
capelli scuri bloccò la donna e strinse i lembi
dell’abito attorno a se.
Subito la serva ritrasse le mani e con un gesto lento piegò
il capo in segno di sottomissione.
“Le chiedo perdono. Non intendevo essere impudente. Vogliate
darmi il vostro abito, così che possa poi accompagnarvi
nella vasca.”
La ragazza sgranò gli occhi di fronte tanta costernazione.
Non le piaceva essere guardata così, come se ad ogni passo
falso, avrebbe inferto cinquanta frustate.
Abbassò il viso, e seppur titubante, si costrinse a far
scivolare il vestito dalle sue spalle. Levò via la cintura e
permise alla donna di avvicinarsi di nuovo per coprirla con un sottile
panno di lino leggero. Si alzò e si posizionò
dentro la vasca fatta portare appositamente nella stanza per lei.
Ancora una volta la donna le si avvicinò e, nonostante ebbe
di nuovo il fortissimo impulso di fermarla, lasciò che lei
la aiutasse a lavarsi. Sentì l’acqua calda della
brocca che aveva riempito scivolare sulle sue spalle ripetutamente,
bagnandole le punte dei capelli che arrivavano sulle spalle. Poi prese
una quantità maggiore d’acqua e la fece scorrere
anche sulla sua testa, bagnandola completamente. Sentì un
leggero solletico per le gocce d’acqua che dal suo capo
scorrevano sulla sua schiena.
Nonostante il bagno fosse caldo e rilassante, non riuscì a
sciogliere i nervi. Strinse le mani fra di loro all’altezza
del petto, sollevando allo stesso tempo le gambe, cercando di
proteggere ancora le sue parti intime visto che in verità
nessuno mai le aveva fatto il bagno prima di allora.
La serva sembrò non curarsene minimamente, concentrata sui
suoi capelli, intenta a sciogliere i suoi nodi.
Strinse i denti, sperando che finisse il prima possibile.
Reprimere e continuare a reprimere il suo male e i suoi turbamenti era
l’unica soluzione che al momento riusciva a farle mantenere
un certo auto controllo.
La sua mente le sfuggiva, perché dove era, era un mondo che
non le apparteneva minimamente.
Osservò la sua immagine riflessa nello specchio mentre la
donna le allacciava un nuovo kimono dal colore molto delicato.
Fece passare i lembi del kimono e li strinse con forza
nell’obi, che decorò con un fiore sul lato, oltre
che con il tipico fiocco dietro la schiena. Le aggiustò le
maniche, adagiandogliele lungo il vestito, dopodichè prese a
tamponarle i capelli, e a pettinarli con una attenzione addirittura
fastidiosa.
Dopo averli sistemati, li acconciò con un fermaglio floreale
molto particolare, di un colore a metà fra il rosa e il
giallo, dal quale cadeva una lunga ciocca di capelli che le arrivava
oltre le spalle. Gliela sistemò, movimentando quei capelli
finti che incidentalmente corrispondevano al suo stesso colore,
poggiandole poi sulle spalle un michiyuki dall’aria molto
preziosa. Dopodichè piegò di nuovo la testa e si
allontanò dalla stanza facendo portare via tutto
l’occorrente che aveva utilizzato per prepararla.
La giovane rimase ancora ferma davanti allo specchio, vedendo riflessa
la sua immagine così diversa. Con i capelli fintamente
lunghi, ben sistemati, che cascavano sulla sua spalla raccolti un una
coda di cavallo. Il vestito elegante e prezioso certamente non tipico
per una ragazza del suo rango, nonché un sogno per qualsiasi
ragazzina romantica.
Qualsiasi persona, al suo posto, avrebbe pensato di vivere un sogno.
“Rukia.”
Si voltò all’istante, come presa da uno spavento,
nell’udire quella voce dai toni bassi, eppure così
altisonante, che la richiamava alle sue spalle.
Vide dietro di se la distinta figura, in un kimono elegante e scuro, di
Ginrei Kuchiki.
Era un uomo alto, dal portamento fiero ed altolocato. Nonostante la sua
tarda età, conservava una postura perfetta,
nonché uno sguardo agonistico e autorevole.
Il viso era segnato da delle profondissime rughe, e i capelli erano
lunghi e completamente bianchi. Nonostante i suoi baffi coprissero
buona parte della bocca, era sicura che sotto di essi si celava
un’espressione di disgusto e disapprovazione.
Dopotutto, non poteva sperare in uno sguardo migliore già
così presto.
Così abbassò gli occhi rifiutandosi di continuare
a farsi del male così, visto che solo incrociare quegli
occhi le sembrava come avere una lama infilzata in gola, e si
voltò di nuovo verso lo specchio.
“E’ così che credi si ci comporti e si
ci presenti di fronte il capofamiglia Kuchiki?” disse lui con
un tono pacato e dispotico.
La ragazza non se ne curò, e si limitò ad
abbassare ancora di più lo sguardo.
“Chiedo scusa.”
L’uomo continuò a fissarla dall’alto
verso il basso attraverso lo specchio, visto che solo da
questo poteva vederle il viso, dato che lei gli dava
spudoratamente le spalle.
Osservò la sua piccola costituzione. Sembrava gracile, e non
aveva per niente l’aria di una nobile donna, ne tanto meno
sembrava degna di riuscire a portare il nome del suo clan. Il clan dei
Kuchiki. Si rifiutava anche solo di pensare che oramai presto sarebbe
divenuta un membro della sua famiglia.
La cocciutaggine di suo nipote non aveva freni.
Avrebbe macchiato ancora una volta l’onore della sua casa
attraverso quella indegna ragazzina raccolta dal Rukongai sulla quale
non sapevano in realtà proprio niente, se non un nome.
Un nome e una somiglianza a lei…
Una somiglianza impressionante, certo.
Ma non un dato concreto.
Chi era dunque? Era solo un nome. Rukia.
Una ragazzina che sarebbe stata erede di un grande patrimonio, carica
di grandi onori e responsabilità. Questo solo
perché le somigliava.
Era qualcosa di inaudito. Assurdo da credere che potesse succedere
proprio nel suo casato, sul quale aveva investito tutta la sua vita.
Per di più la ragazza conservava quel comportamento
sfrontato e rozzo tipico della gente non aristocratica. Non era mai
cresciuta nell’alta borghesia, non sarebbe mai diventata una
di loro.
Era giovane, ma decisamente troppo grande per imparare.
Si chiese se fosse ancora possibile cambiare le cose, dato che neanche
la ragazza in questione sembrava dimostrare un minimo di riconoscenza.
Anzi, se poteva dimostrare malessere, o disapprovazione, non sembrava
crearsi troppi problemi.
“Signore, mi spieghi perché sono qui.”
L'uomo la guardò intensamente mantenendo la sua
postura perfettamente eretta e quel suo sguardo sprezzante. Strinse
impercettibilmente gli occhi prima di risponderle.
“Desidero che, quando ti rivolgi ad un membro della mia
famiglia, usi le parole Nobile Kuchiki.”
“Come desidera.” Rispose quasi in un sussurro la
ragazza abbassando di nuovo lo sguardo.
Ogni sua parola, ogni suo gesto…sembrava come se tutto
quello che faceva o che avrebbe fatto sarebbe stato giudicato e
corretto nel caso. Il suo modo di parlare, il suo portamento, i suoi
gusti…era come se da adesso in avanti tutto sarebbe passato
sotto esame. E il bello era che il più delle volte i suoi
sforzi per migliorarsi non erano compresi da quegli occhi
impenetrabili, ne da nessun altro con cui avesse avuto a che fare fino
a quel momento.
Chiuse gli occhi. Sperava con tutta se stessa di svegliarsi, e che
tutto non fosse mai accaduto in realtà. Poi si
riguardò nello specchio.
Lei era lì.
Lei era per davvero lì.
“Riformula la tua domanda, adesso.”
“Mi chiedevo perché sono qui…nobile
Kuchiki.”
Il nobile Ginrei annuì, poi fece qualche passo verso di lei,
ma non sembrava avere alcuna intenzione di parlare.
Rukia sospirò in silenzio. Dopotutto se lo aspettava.
Nessuno l’aveva mai degnata di una risposta soddisfacente
fino a quel momento.
“Stasera saranno completati gli atti con i quali entrerai a
far parte della famiglia a tutti gli effetti. Ti basti sapere questo,
al momento.”
La risposta più probabile che si poteva aspettare.
La ragazza si mise in piedi.
Sistemò meglio l’allacciatura del mickiyuki sul
collo e lentamente si girò verso il capo clan della famiglia
Kuchiki, guardandolo con uno sguardo a metà deluso, a
metà saccente, alzando le sopraciglia.
Pur sapendo che assumendo quell’espressione
l’avrebbe sicuramente fatto adirare, non le venne proprio di
mostrarsi diversamente.
Meritava delle risposte. Anche vaghe. Ma le meritava visto che,
apparentemente senza motivo, la sua vita era stata sconvolta dalla
famiglia Kuchiki, che da un lato sembrava averla voluta accogliere a
tutti i costi, dall’altra era come se la guardassero sempre
con disgusto.
L’uomo notò quell’espressione, che
chiaramente poco gradì, e non fece che riconfermare
l'opinione che aveva su quella ragazza. Per questo non la
degnò della sua attenzione. Le diede le spalle e raggiunse
la soglia del fusuma. Pronunciò solo poche parole prima di
sparire completamente dalla sua vista.
“Manderò la servitù a prenderti per
raggiungerci quando Byakuya sarà di ritorno.”
La ragazza dai capelli neri sgranò gli occhi
nell’udire quel nome.
Il fusuma si chiuse e rimase nuovamente da sola.
Byakuya Kuchiki…
…Il signor Byakuya Kuchiki.
In verità aveva potuto vederlo solo in poche occasioni.
Quando era venuto per lei all’accademia degli shinigami e
quando era entrata in quella casa la prima volta.
Ricordava ancora nitidamente quell’uomo dai capelli neri,
lunghi fino alle spalle, con quei tratti molto giovani e delicati. Il
suo portamento altolocato, a tratti persino agghiacciante,
eppure attraente. Lo aveva visto soltanto per poche manciate di
secondi, mentre sfilava elegantemente, non curante, lasciando sgomento
in coloro che incrociavano il suo sguardo.
Sapeva diffondere sulla sua figura un’aura distinta ed
inavvicinabile anche in coloro che gli lanciavano appena uno sguardo.
Per dir la verità era molto curiosa di rivederlo.
Per quanto ne aveva saputo, era stato lui a volere questa adozione.
Chissà cosa c’entrasse in realtà lei
con lui.
Si sentì inquieta. Erano troppe le cose che non sapeva e
così tanti i dubbi che l’affliggevano.
Ed il vero problema era che sarebbe stata completamente sola a
combattere per riuscire a vivere quella che sarebbe diventata la sua
nuova vita, fra pochi istanti. Pochissimi.
Erano giorni ormai che non pensava ad altro, neppure la notte la
preservava da questi pensieri.
In poco più di una settimana la sua vita era stata
sconvolta, ed aveva perso tutto.
Tutto...
Chiuse gli occhi, abbandonandosi ai suoi ricordi. All'immagine di
quella che prima di allora era la sua vita. A quelle strade povere e
mal frequentate che però avevano accompagnato la sua
infanzia.
Il rukongai...
Da quanto aveva memoria la sua vita era cominciata proprio li.
Il rukongai non era certo il migliore dei posti dove abitare.
Anime erranti che vagavano disorientate per gli stretti e labirintici
distretti della Soul Society, in attesa di trovare qualsiasi cosa che,
in qualche modo, le facesse sentire parte di quel mondo.
Un amico, un parente…qualcosa…
Invece, nella maggior parte dei casi, l’unica
possibilità era quella di radunarsi con il maggior numero di
persone possibili e ricominciare assieme una nuova vita, per non
sentirsi più soli.
Da qual momento in poi, in effetti, il rukongai non diventava
più un posto tanto orribile.
Questo era accaduto anche a Rukia e, da quando aveva cominciato a
vivere per chi amava, quello squallido distretto settantotto sembrava
essere diventato un ambiente più felice.
Era dura, era dura per un gruppo di sei o sette ragazzini vivere da
soli, sopportare il disprezzo di occhi indiscreti, e intanto
sopravvivere in quelle strade malfamate e piene di sofferenza. Ma in
qualche modo ce la facevano e così erano volati via i primi
anni di adolescenza.
Questo finché un giorno non le capitò di vedere
uno di loro per la prima volta.
Finché, tra le strade polverose e le capanne logore non le
capitò di vedere uno di quei famosi uomini vestiti di nero.
Vederne uno al rukongai, e in particolar modo nel distretto
settantotto, era un qualcosa che Rukia identificava perfettamente con
la parola ‘irripetibile’.
Al rukongai era davvero difficile trovare una persona in grado di
spiegare esattamente chi fossero gli uomini vestiti di nero. In
verità, nella maggior parte dei casi, venivano attribuite
loro parole di disprezzo e di sdegno.
Uno sdegno che traspariva dalle parole e dagli occhi di chi aveva avuto
modo di sapere di chi o cosa si stesse parlando.
Rukia non sapeva cosa fossero esattamente e non si era mai chiesta
effettivamente cosa accadesse tra gli uomini in nero dentro la
seiretei. Ma vederne uno le illuminò gli occhi e, a sua
sorpresa, non ebbe affatto l’impressione che si aspettava.
Ne aveva sentito parlare così male…eppure lo
shinigami su quel trasporto le era sembrata una persona gentile.
Le aveva mostrato un sorriso e una cordialità che le erano
stati rivolti così poco nella sua vita, in quella
sfrenata lotta di sopravvivenza che lei e i suoi amici dovevano
affrontare ogni giorno.
Il sorriso e l’eleganza di quel dio della morte le fecero
credere che non tutti fossero meschini e crudeli. Che, forse, nella
corte delle anime pure ci fosse spazio anche per la gente per bene, che
cerca di migliorare il suo status per proteggere a sua volta chi, uno
status, non sa nemmeno cosa sia.
Quel lungo abito nero non le mostrò più
inquietudine da quel giorno. Al contrario, divenne fonte centrale dei
suoi pensieri.
“Renji, diventiamo shinigami.”
È questo quello che aveva detto, un giorno, al suo
più caro amico. Lottare, correre,
sopravvivere…non poteva durare all’infinito.
Divenire shinigami avrebbe significato per loro una vita migliore. E
forse, sarebbero diventati come quel dio della morte che si faceva
largo nel rukongai.
All’inizio sembrava un gioco, all’inizio erano in
tanti fra loro a studiare sui libri di testo, ad allenarsi nel
concentrare il reiatsu e nel controllare i poteri…ma alla
fine erano rimasti solo in due.
Rukia e Renji si allenarono per anni e anni ottenendo risultati giorno
dopo giorno. In molti, in quello stesso periodo, avevano
provveduto nel farsi allenare dai migliori maestri della Soul Society e
di utilizzare qualunque altro mezzo per entrare assolutamente in quella
graduatoria così selettiva.
Rukia e Renji non potevano far affidamento su nient’altro che
la loro forza di volontà. Conquistando con le loro uniche
forze le piccole vittorie di ogni allenamento.
Anche se spesso non era sufficiente rispetto agli altri…
Però loro due…lei…ce la stava facendo
da sola.
Questo le faceva credere di essere migliore di quegli aristocratici
dietro le mura della seiretei, i cui alti voti non avrebbero mai avuto
lo stesso significato dei risultati ottenuti da lei e i suoi amici.
“Non demordere! Noi ce la metteremo tutta! Loro non lo sanno,
perchè nessuno di loro può nemmeno immaginare
quello che abbiamo vissuto noi…”
Erano queste le parole di Rukia.
Erano queste le parole che ripeteva una continuazione a Renji.
Era grazie a queste parole che era riuscita ad andare avanti e ad
arrivare all’accademia per shinigami.
Studio, delusioni, soddisfazioni, perdite, vittorie,
solitudine…
Spesso era stato frustrante.
Ma divenire shinigami avrebbe rappresentato una vita migliore per lei e
per coloro che avrebbe potuto aiutare.
E così le lacrime e la rabbia venivano prontamente
cancellate in onore di quel obbiettivo che l’aveva spinta a
studiare ininterrottamente, a sacrificare tutta se stessa per
raggiungere un traguardo che per una del rukongai come lei era un sogno
ad occhi aperti. Un obiettivo che, se avesse raggiunto, non avrebbe
equiparato lo stesso sudore di nessun altro.
Questo finché non arrivò l’esame finale
per il diploma…
Questo finché non chiuse la porta della sua stanza
nell’accademia…
Questo finché non raggiunse l’aula e le si
parò davanti un destino pronto a deviare il corso
degli eventi.
Cosa le sarebbe accaduto, invece, se fosse entrata in aula?
Avrebbe ottenuto il diploma e dopo lunghi addestramenti, forse, sarebbe
entrata nella seiretei e, chissà? Sarebbe potuta diventare
uno shinigami sul serio? Un obiettivo semplice dopotutto, ma che per
una come lei, che aveva sudato tutto nella vita, avrebbe significato
tutto ciò che non poteva significare per chi, invece, aveva
già il posto pronto ancora prima del diploma.
Da quanto aveva memoria era nata e vissuta nel rukongai. Da quanto
aveva memoria, era sempre stata sola. Da quanto aveva memoria, sapeva
che la sua unica certezza era chi le era rimasto accanto per tutto quel
tempo, abbattendo così tutti assieme quella tristezza e
solitudine che accumulava un po’ tutti quelli del rukongai.
Quella possibilità, quella di vivere la sua vita come aveva
premeditato, i suoi progetti, i suoi sogni, ciò per cui
aveva lottato, le sue piccole vittorie personali...
Tutto...
Tutto fu stroncato violentemente da una parola che non avrebbe mai
potuto dimenticare: la nobiltà.
Quella stessa nobiltà che, con la potenza cui disponeva, le
impose di cancellare la vita vissuta fino a quel momento promettendole
sfarzo, diploma e un posto di lavoro tra le tredici brigate nella corte
degli spiriti puri.
Il tutto ad un unico prezzo.
Ad un primo impatto, nel vedere quel uomo così
alto, dai lunghi capelli sottili e
dall’abbigliamento elegante, non riuscì proprio a
credere che il suo stile di vita sarebbe andato proprio in quella
direzione.
Però non esisteva più la possibilità
che lei potesse vivere normalmente la sua vita come aveva premeditato.
Vivere la vita di quella giovane orfana del rukongai che era riuscita
con le sue sole forze a divenire una shinigami.
Ora aveva solo la possibilità di onorare a testa alta il
grande privilegio che gli aveva offerto un nobile chiamato Byakuya
Kuchiki, mentre i suoi occhi vitrei e glaciali le trafiggevano
l’anima.
“Ce l’hai fatta rukia!”
“Il clan Kuchiki è una delle principali famiglie
della nobiltà!”
“Hai fatto centro! Se vieni presa in un posto del genere,
puoi rimbecillirti nell’ozio! Mi chiedo che genere di cibo
mangino i nobili!”
“Wow, dannazione…sono invidioso!! Oh, diavolo. Ti
faranno diplomare immediatamente? Sono così invidioso da
sentirmi incazzato! Incredibile, Rukia! Questo si che è fare
centro!”
“Arigatou….Renji.”
La ragazza corrucciò la fronte, con l'immagine ancora fissa
nella sua memoria di un passato che non sarebbe più tornato.
Di quel giorno che aveva cambiato la sua vita per sempre.
Dopo pochi minuti, alcuni membri della servitù tornarono da
lei e la accompagnarono lungo i portici che contornavano casa Kuchiki,
affacciati su un ampio giardino curato nei minimi dettagli.
Il prato ben tagliato, il terriccio battuto per far strada ai numerosi
sentieri che portavano ad ogni angolo di esso, circoscrivendo il
laghetto che spezzava tutto quel verde assieme ai numerosi alberi di
ciliegio non ancora in fiore.
Spostò più volte lo sguardo verso
quell’ambiente e si chiese se avesse potuto chiedere di
visitarlo liberamente dopo la riunione, però forse non era
il caso esprimersi al momento. Date le circostanze, sembrava come se
tutti preferissero che lei rimanesse muta e ferma nella sua stanza per
tutto il tempo a sua disposizione, per non arrecare fastidi in alcun
modo, e se fosse stata inanimata sarebbe stato anche meglio.
Mentre avanzava affiancata dai domestici, improvvisamente
rallentò il passo.
I suoi occhi si posizionarono su una figura in lontananza che camminava
leggiadra dalla sua parte opposta.
Il Kimono elegante scuro, l’haori bianco che ampliava le sue
spalle, legato sotto il collo da una spilla color oro dalla quale
scendevano dei pendenti, e il Keinsekan fra i capelli.
Sentì il cuore pulsare e le sue gambe si immobilizzarono
immediatamente.
Lui stava raggiungendo la stessa sala dove lei era diretta, e di
lì a poco si sarebbero incrociati.
Lui, Byakuya Kuchiki.
Sentì un nodo in gola. Le venne quasi la tentazione di
annunciare di non sentirsi nelle condizioni di uscire tanta
l’ansia che solo vedere quell’immagine le aveva
provocato.
“Signorina, è tutto a posto?”
Guardò di nuovo nella direzione dove aveva scorto il nipote
di Ginrei Kuchiki. Si era appena inoltrato nella stanza che tra pochi
passi avrebbe raggiunto anche lei, non degnandola nemmeno di uno
sguardo. Eppure lui doveva certamente sapere che anche lei era diretta
lì. Chissà perché aveva preferito
avanzare da solo e entrare separatamente da lei.
“Sì…sì…”scosse
appena la testa rassicurando i collaboratori familiari che si erano
fermati con lei e riprese a camminare con loro.
Era assurdo agitarsi così.
Questo era un giorno molto importante e doveva rimanere serena.
Perché, dopo questo incontro, sarebbe diventata a tutti gli
effetti Rukia Kuchiki. Non si tornava più indietro.
Le fu aperto lo shoji e si ritrovò nuovamente
all’interno della casa, in una stanza libera e vuota come le
altre, nella quale emergevano i massicci e preziosi mobili di ciliegio
posti sulla parete di fronte a lei, che sembravano contenere i
fascicoli della famiglia Kuchiki forse.
Sentì la porta scorrevole chiudersi dietro di se ed ebbe un
attimo di sbandamento. Ritornò velocemente a perlustrare
quella stanza, quando una voce richiamò la sua attenzione.
“Rukia, prendi posto.”
Immediatamente si inginocchiò, unendo le caviglie fra di
loro e cercando di rimanere nella posizione più composta
possibile, data la sua agitazione.
Sbirciò davanti a se, ed oltre alla figura di Ginrei
Kuchiki, di fronte a lei c’era proprio lui, Byakuya.
Abbassò lo sguardo cercando di non incrociare per nessun
motivo i suoi occhi.
Era una presenza imponente che sembrava riuscire ad atterrirla e
metterla in soggezione anche con pochissimi gesti.
Più che il capofamiglia, era proprio il nipote che la
intimoriva di più. Forse per il fatto che fino a quel
momento non le aveva mai dato alcuna attenzione, ne attraverso una
parola ne uno sguardo.
Questo la faceva sentire indesiderata. Una sensazione certo non
piacevole.
Allora perchè aveva voluto adottarla?
“Rukia” la voce di Girei spezzò quel
silenzio.
Aveva come sempre uno sguardo serio, probabilmente perché
inquietato dalla strana piega che stava prendendo la sua famiglia. Una
piega verso la quale mostrava palesemente di essere contrariato.
Sembrò infatti costringersi a parlare di famiglia
coinvolgendola.
Sollevò appena le labbra e parlò da sotto i suoi
grigi baffi.
“Da oggi in avanti sarai un membro del casato Kuchiki, una
delle quattro famiglie nobili della Soul Society. Spero tu sia al
corrente di questo tuo grande privilegio, nonché dei
grandissimi doveri cui dovrai fronteggiare.”
La ragazza riuscì solo a fare un debolissimo cenno con la
testa, non distogliendo lo sguardo dalle sue mani premute fortemente
contro le sue ginocchia. Privilegio… sapeva
che l’avrebbe sottolineato. Sapeva che era questo quello che
non gli andava giù.
“Devi giurare, Rukia Kuchiki, che non permetterai mai il
disonore della famiglia Kuchiki. Che terrai alto il nome che da oggi
accompagnerà il tuo.”
Si sentì tremare. Quell’atmosfera, quei paroloni
che sembravano pieni di aspettative e responsabilità di cui
non ne aveva idea, le stavano facendo crescere quello stato di ansia
che l’accompagnava da quando aveva messo piede in quella
stanza.
Alzò appena lo sguardo e si accorse che gli occhi dei
presenti erano tutti puntati su di lei. Assunse uno sguardo impaurito,
e per qualche motivo i suoi occhi scelsero di cercare quelli del
ragazzo dai capelli neri, che la guardava a sua volta.
Era la prima volta che si guardavano così. I loro occhi
erano puntati l’uno sull’altro e lei non
riuscì in nessun modo a distogliere lo sguardo da
quell’uomo. Le sembrò quasi come se le mancasse
l’aria, come se avesse potuto affondare nel profondo di
quegli occhi grigi.
“Rukia, devi promettere.”
La voce di Girei tuonò in quella stanza. Nonostante il suo
tono fosse basso e controllato, aveva sempre comunque
un’impronta imperativa che riscuoteva timore anche
semplicemente proferendo un piccolo comando.
Rukia così piegò profondamente la testa fino a
toccare la fronte con le ginocchia. Strinse i denti,
dopodichè si fece forza nel cercare di parlare nel miglior
modo possibile.
“Sì. Io mi impegnerò nel rispettare
queste volontà, nel nome della vostra famiglia.
Signor…" si corresse "Nobile Kuchiki.
E…” alzò appena lo sguardo verso il
giovane erede della famiglia, ma si ripiegò immediatamente
concludendo la frase. “ ...e…nobile Kuchiki
Byakuya.”
Una volta pronunciate queste parole, vide la figura longilinea di
Byakuya mettersi in piedi e fare per abbandonare la stanza.
Subito la ragazza si girò seguendolo con lo sguardo mentre
andava via, chiedendosi se avesse sbagliato qualcosa.
Si morse le labbra e suo malgrado fu costretta a rivolgersi al signor
Ginrei, che la osservava sprezzante come suo solito.
Lui fece un piccolo cenno e chiuse gli occhi.
“Adesso puoi andare.”
La ragazza dai capelli scuri non se lo fece ripetere, così
fece un piccolo inchino, dopodichè si alzò e
quasi sgattaiolò via da quella stanza.
Ginrei Kuchiki sospirò, chiedendosi come avrebbero
fronteggiato questa imbarazzante situazione, provando sdegno anche solo
a pensare che quella ragazza si sarebbe presentata da adesso in avanti
come una Kuchiki.
Intanto Rukia aveva già oltrepassato la soglia dello shoji e
si poggiò ansimante su di esso mentre faceva per chiuderla.
Ispirò ed espirò più volte prima di
riprendere controllo sulla sua mente.
Quell’ambiente…bastava che si girasse intorno per
sentirsi smarrita. Aveva paura, paura di quello che sarebbe stato il
suo futuro.
“Ah!
Ah! Che invidia! Sarai adottata da una famiglia nobile? Non ci posso
credere! Ti invidio proprio, Rukia!”
Maledetto stolto!
Perché…perché dovevi fingerti felice
per me?!
Grazie…grazie
per averlo fatto.
Pur
sapendo benissimo che non potremmo più vederci adesso, mi
hai incoraggiata verso una vita migliore.
Perché sei mio amico, Renji.
Però…
Però…
Proprio perchè sei mio amico, avresti dovuto leggere nei
miei occhi che…non…
Non lo so!
Non sono pronta!
Ho
paura di cambiare!
La
mia vita, le mie lotte quotidiane, le nostre promesse, le nostre
aspettative, i nostri sogni…
Io…
Io ci credevo ed avrei voluto che le cose, seppur così
difficili, continuassero così.
Non
sono pronta ad un cambiamento così drastico.
“Bravissima, Rukia! Sono felice per te!”
Adesso…
Io sono sola. Completamente sola.
Cosa devo fare?!
Renji…
Renji!! Vienimi a prendere!!
Qualcuno
mi dica che tutto questo è uno sbaglio!!
Uno
sbaglio che non potevo rifiutare.
Non
potevo per rispetto di tutta la gente del Rukongai che sogna ad occhi
aperti una vita come quella che avrò io.
Ma è davvero questa la felicità a cui si aspira
nella vita?
Io non voglio tutto questo.
Ne sono grata.
Ne sono grata, accidenti!!
Però…ho paura.
Signor
Byakuya…perché
è venuto a prendermi?!
Perché mi hai prelevato dalla vita che conducevo e mi hai
messo nelle condizioni di accettare? Perché lo sapevate che
non potevo rifiutare.
Perché?!!
Improvvisamente si sentì girare forte la testa.
Poggiò una mano sulla fronte come per cercare di
sorreggersi. Fece qualche passo, ma camminava a stento, così
si inginocchiò a terra. Era totalmente priva di forze.
Incapace di muoversi. La sua testa pulsava sempre di più, e
i suoi occhi presero a lacrimare senza che lo volesse.
Tutto cominciò a girare vorticosamente. Poggiò le
mani sul freddo pavimento, come per afferrarsi da qualche parte, fino
ad infilare le unghie. Sentì i residui di quella passerella
in legno sfregarsi fra le sue dita che presero a sanguinare debolmente,
ma lei non sentì alcun dolore. Sentiva
solo tutto così confuso.
Lanciò un ultimo sguardo al giardino. Così bello,
elegante, curato. Avrebbe voluto visitarlo, un vero peccato.
Dopodichè svenne.
---
“E’ molto debole. Nonostante sia giovane e piena di
energie, ha bisogno assolutamente di rimettersi in forze. Intanto
consiglierei di tenere sotto controllo la sua alimentazione e farla
riposare il più possibile.”
La ragazza dai capelli neri aprì debolmente gli occhi.
La sua vista era completamente appannata, riusciva a stento a
distinguere i colori presenti in quella stanza. Girò
più volte lo sguardo cercando di orientarsi, ma era ancora
molto debole.
Le sue attenzioni si focalizzarono su due persone che parlavano di
fianco a lei. Erano due voci maschili.
Dischiuse appena la bocca, poi cominciò a muovere le dita
delle mani cercando di riprendersi dal sonno.
“La ringrazio.”
“Ci mancherebbe, signor Kuchiki. Dunque, un’ultima
cosa. Vorrei dirle che …oh? Si è
svegliata?”
Il ragazzo dai capelli scuri si girò verso di lei e
costatò che, come aveva appena proclamato il medico di
famiglia, gli occhi della giovane erano aperti.
Rukia sbandò quando si rese finalmente conto di essere
probabilmente svenuta e che ad essere lì con lei era proprio
Byakuya.
Cercò di alzarsi ma la testa ancora le doleva,
così fu costretta a riabbandonarsi sul futon, limitandosi a
guardarlo sentendosi smarrita ed in imbarazzo.
“Per qualsiasi cosa, signore, sono a sua
disposizione.”
Byakuya fece un piccolo cenno di ringraziamento abbassando soavemente
il capo, dopodichè lascio che l’uomo si
allontanasse dalla stanza, in modo da rimanere solo con il nuovo e
giovanissimo membro della sua famiglia.
La guardò con uno sguardo gelido, che non lasciava
trasparire alcuna emozione. La ragazza non riuscì in nessun
modo a divincolarsi da quegli occhi, esattamente come quando era
successo prima, quando avevano ufficializzato la sua adozione.
Fu lui a distogliere lo sguardo, e, come libera da quel vincolo, Rukia
si sentì di nuovo padrona del suo corpo. Avvicinò
di più a se le coperte, coprendosi fin sulla bocca. Non
voleva che la vedesse con solo addosso il bianco e
sottile hadajuban.
Sbirciò di nuovo in direzione di Byakuya, che intanto
sembrava star prendere parola, così si girò di
nuovo all’istante, puntando le sue attenzioni sul soffitto
attraverso uno sguardo in verità poco convincente.
“Anche questa notte non hai dormito.”
La ragazza deglutì. Non sapeva assolutamente cosa
rispondere. Si limitò solo a cercare in ogni modo di
sembrare seria e composta ai suoi occhi inquisitori.
“Preferirei tu non ti trascurassi. Se
c’è invece qualcosa che ti disturba...”
“No! Non c’è assolutamente niente
che…” pronunciò di getto, e solo mentre
le parole uscivano dalla sua bocca si accorse di averlo bruscamente
interrotto mentre parlava. Si sentì subito
un’emerita stupida. Come poteva dimenticare così
facilmente di essere al cospetto di un membro di una delle
famiglie nobili?
Cercò di porre rimedio al suo irrispettoso modo di agire,
sperando che le sue scuse bastassero.
“Perdonatemi, Nobile Byakuya Kuchiki.”
Byakuya assunse uno sguardo ancora più serio, e non
continuò più a parlare. Questo mise ancora
più distanza fra i due, che rimasero fermi e muti per
diverso tempo. O per lo meno fu questa l’impressione della
ragazza dai capelli neri, che si sentiva terribilmente sconvolta.
Guardò di nuovo verso di lui.
La sua postura era perfetta. La schiena dritta, e le mani congiunte
sulle sue gambe, inginocchiate sui suoi talloni. Certe volte non
riusciva neanche a guardarlo tanto gli sembrava distante. Il suo
sguardo divenne pian piano cupo e girò la testa
dall’altra parte.
Lui invece puntava ancora i suoi occhi su di lei. La guardò
intensamente e dopo quel lungo e frustrante silenzio riprese la parola.
“Suppongo che ‘fratello’
sia più che sufficiente, adesso.”
Rukia subito scattò, rivolgendoglisi sorpresa.
“Che cosa?”
Il ragazzo la guardò in qualche modo incuriosito da quel
modo di fare ai suoi occhi un po’ strano della ragazza.
Comunque decise di ribadire il concetto, comprendendo la sua confusione.
“Non chiamarmi più Nobile Byakuya.
Non è appropriato. Sono tuo fratello maggiore
adesso.”
Rukia tentennò prima di riuscire a parlare. Le sue labbra
tremavano e non era sicura di dare una buona impressione con quello
sguardo pietrificato.
Sentì il viso caldo e in realtà fu indecisa se
parlare o no.
“Non…non posso…io, nobile
Bya...Fra…fratello..?” cercò di
correggersi come lui le aveva chiesto, ma la parola "fratello"
davvero le uscì a stento. Non poteva chiamarlo
così. Non...
Byakuya abbassò lo sguardo.
Premette una mano sulla sua gamba e fece per alzarsi. Così
leggiadramente si mise in piedi e rimase a osservarla
dall’alto.
“Riposa. Più tardi ti farò portare la
cena.” Detto questo, si allontanò da lei e
uscì dalla stanza.
Rukia rimase incantata ad osservarlo mentre lui andava via. Con il
vestito che si muoveva ad suo passo e l’haori che ondeggiava
assecondando i suoi leggeri movimenti, contornando la sua figura
longilinea dal portamento sicuro e nobile. Il suo sguardo rimase fisso
anche dopo che lui se n’era andato e non riuscì
proprio a distogliere i suoi occhi dalla sua immagine che ancora
rimaneva proiettata nella sua mente in maniera nitida.
Il nobile Byakuya racchiudeva tutto questo dentro di se. Ed era
assolutamente capace di ammaliarla. Anche solo dopo una banale
conversazione di cortesia.
Lui era ciò che più si avvicinava al suo concetto
di irraggiungibilità ed eleganza. Le sembrava addirittura
impossibile che tutto questo si trovasse per davvero davanti ai suoi
occhi.
---
“Come non posso riprendere i miei allenamenti?”
La giovane Rukia Kuchiki scattò in piedi di fronte
l’uomo ben distinto che da li a qualche giorno sarebbe stato
il suo educatore.
L’uomo aggiustò i rotondi occhialini sul naso,
nauseato dalla poca grazia della ragazza. Vissuto sempre negli ambienti
borghesi, non era per niente abituato al modo di comportarsi certamente
più spontaneo di una ragazzina del Rukongai. Per
pregiudizio, inoltre, vedeva più facilmente il male che il
bene in lei. Per di più, il vocio sull’adozione di
quella ragazza nella nobile famiglia Kuchiki già stava
facendo il suo corso, ed erano ormai diversi i pettegolezzi in giro su
di lei, cose che certo non stuzzicavano solo le persone di rango
medio-basso, ma forse più gli altolocati, che amavano tenere
in vita i loro discorsi da salotto con notizie di questo genere.
“Le ho già detto, signorina Kuchiki, che ci sono
diverse cose che dobbiamo riguardare della sua educazione. Per questo
il signor Kuchiki Ginrei ha disposto che dovrà sospendere
tutte le sue altre attività, intanto.”
Era già la seconda volta che le rispondeva in quel modo.
Credeva forse che fosse stupida?
Rukia aveva compreso che, avendo da sempre vissuto per le strade di
periferia, certo non aveva innato quel modo di fare regale tipico di un
qualsiasi membro nato in una famiglia nobile. Però
perché addirittura dare tale disposizione?
Dal canto suo, l’istruttore riprese a parlare, sempre
guardandola con la puzza sotto il naso.
“E me lo lasci dire, avremo molto su cui lavorare. Ora mi
rendo conto che le valutazioni del signore erano del tutto
corrette.”
“Certo. Perchè lui non mi può vedere,
no?” rispose lei fra se, alzando le sopraciglia e deformando
le labbra in una sorta di smorfia.
Non seppe cosa la trattenne nell’uscire ed andarsene da
quella stanza. Sapeva perfettamente che era stato Ginrei Kuchiki a
parlare a quel modo di lei e a dare tutte le disposizioni per
trasformarla in una ragazza nobile, facendola passare intanto per una
rozza.
Che lui non la sopportasse, oramai era chiaro ai suoi occhi. Rifiutava
di vederla come un membro della famiglia, come una futura erede del suo
casato. Ancora adesso, se parlava dei Kuchiki, faceva ben attenzione a
non coinvolgerla e a farla sentire comunque in disparte. Non che lei lo
volesse, però quella situazione non era stata voluta da lei.
Quindi tanto astio stava cominciando a trovarlo irritante.
“Tanto per cominciare, ad esempio, dovrebbe unire meglio i
suoi piedi.”
Disse lui improvvisamente, colpendole le gambe con una piccola e
sottile bacchetta di legno, cominciando a girare attorno a lei come una
iena.
Rukia non abbassò lo sguardo e lo seguì con gli
occhi facendogli capire palesemente la sua disapprovazione. Strinse i
pugni e cercò di trattenersi. Quello sguardo saccente ed
irritante...sperò in cuor suo che non mettesse troppo alla
prova la sua pazienza, perchè se no sapeva glielo avrebbe
fatto levare lei. Tuttavia al momento si limitò a lasciare
quei pensieri tali, e assecondò il volere del maestro unendo
i piedi.
“Adesso si inginocchi, prego.”
Ricambiò ancora una volta il suo sguardo provocatorio, ma
continuò a tenere serrata la bocca. Piegò le
ginocchia e lentamente scese sul pavimento poggiandosi su di un cuscino
di velluto rosso.
“Come immaginavo, ha i movimenti di un elefante, signorina
Kuchiki.”
“Io non ho mai visto un elefante inginocchiarsi su un
cuscino, signore.” Sussurrò di nuovo, e
l’insegnate si voltò verso di lei avendo colto
appena qualche parola.
“Come, scusi?”
“Oh, niente.” Disse lei con fare arrogante,
guardandolo con un’espressione da santarellina.
L’uomo capì che la ragazza lo stava deridendo
così rispose anche lui a suo modo, con l’intento
di farle abbassare la testa.
“Credo che le nostre lezioni dovranno addirittura raddoppiare
visto che non sapete dare un freno neanche alla vostra
lingua.” Fece una pausa guardandola attraverso i vetri delle
lenti sperando di metterla in soggezione. “Stia dritta
adesso, e cerchi di rendere i suoi movimenti più naturali,
armonici…”
La ragazza mosse appena le spalle, cercando di posizionarsi bene, ma
non ebbe il tempo nemmeno di assumere una qualche posizione che subito
l’uomo quasi le urlò contro.
“E’ un completo disastro, ma si guardi. Dritta, si
sistemi con fare aggraziato.”
“Ma io non mi sono neanche mossa..!”
“Forza, non ci vuole mica tutta una giornata per posizionarsi
correttamente.”
“Le sto dicendo…”
Prima che potesse completare la frase, l’uomo la
colpì di nuovo.
“Si muova, non ho tutto il tempo. Mi sa che dovrò
informare il nobile Kuchiki che lei non si impegna, signorina. Altro
che una settimana, con lei mi sa…”
“Adesso basta!!!”
---
In casa Kuchiki cominciò ad esserci un subbuglio davvero
insolito.
I servitori correvano da una parte all’altra, allarmati, non
sapendo bene come comportarsi. Il caos sembrò calmarsi con
l’arrivo di Ginrei Kuchiki, che casualmente quel giorno non
si era allontanato dalla sua abitazione. Fece prontamente convocare
Rukia nella sua stanza di lavoro, e si sentì altamente
mortificato e disonorato quando si ritrovò la giovane ed il
suo istruttore davanti agli occhi.
“Lei…Lei…è una squilibrata,
mi perdoni signor Kuchiki! Ma è letteralmente impazzita.
Sono…sono scioccato da tale insolenza.”
Disse il maestro portandosi più volte un fazzoletto sulla
bocca, per pulirsi dal sangue ancora appiccicato sulla faccia, che fino
a pochi attimi prima fuoriusciva fresco dal suo labbro superiore.
Ginrei guardò accigliato Rukia. La ragazza non
ricambiò il suo sguardo, perfettamente consapevole che non
le avrebbero lasciato spiegare la sua versione dei fatti.
Dal suo punto di vista, la ragazza sapeva di aver sbagliato a colpirlo.
Non che ci volesse molto a capirlo. Però
quell’uomo, se così poteva definirlo, aveva
turbato la sua psiche e ripetutamente aveva messo a prova la sua
pazienza in meno di un quarto d’ora. Se l’aveva
colpito era solo perché se l’era cercata. Doveva
già ritenersi fortunato visto che nel Rukongai reagiva per
molto meno, visto che doveva badare da sola a se stessa.
“Sono costernato. L’avevo informata del carattere
della ragazza, che adesso, sono sicuro, porgerà le sue
scuse.” Intervenne di nuovo Ginrei mantenendo un tono una
postura ferma. Portò lo sguardo verso Rukia e notando
l’espressione assente e non curante della giovane,
alzò leggermente i toni. “Rukia. Porgi
immediatamente le tue scuse.”
Rukia continuò a sostenere la sua posizione, imperterrita.
Non le importava cosa avrebbero pensato di lei.
L’insegnate allora riprese parola, come se già non
avesse fatto abbastanza per mal disporla.
“Signore, so bene che la colpa non è vostra.
E’
questa gente del Rukongai che non sa quando abbassare la testa. Sembra
strano data lo loro posizione, ma è proprio così.
Eppure dovrebbero rivalutare questo loro modo di fare date le
condizioni in cui…”
“La smetta!”
Il silenzio piombò in quella stanza.
Tutti rimasero inorriditi nel vedere la ragazza agire in quel modo, in
presenza del capofamiglia per di più.
“Come si permette a parlare così di cose che non
conosce nemmeno?! Lei non sa nulla! A noi non importa cosa pensa.
Piuttosto dovrebbe essere lei a rivalutare la sua posizione!”
La ragazza, presa da una forte scarica di adrenalina, aveva perso il
controllo. Cominciò a tremare ed urlò contro quel
uomo, che invece si definiva dotto ed istruito, non curante delle
conseguenze, sotto gli occhi attoniti dei presenti.
Mentre stava ancora pronunciando la sua frase, sentì il
fusuma alle sue spalle strisciare. Il rumore impercettibile di quei
passi, l’aria che appena si muoveva…una presenza
che ormai riconosceva a distanza, anche solo attraverso il semplice
respiro.
Si voltò e spalancò gli occhi alla vista di
Byakuya Kuchiki.
Era vestito di scuro, come al solito, avvolto nella sua lunga sciarpa
bianca, e la guardava con quei suoi occhi intransigenti ed
irraggiungibili.
Rimase immobile, tremante, incapace di riorganizzare i suoi pensieri.
L’unica cosa che dopo qualche secondo riuscì a
fare fu un profondo inchino verso di lui.
“No-nobile Bya…nobile Byakuya!” si morse
le labbra. Proprio non le venne di dire ‘fratello’.
Non ci riusciva nonostante lui glielo avesse espressamente chiesto.
Byakuya sembrò farci caso, e per un attimo
sembrò anche infastidito nell’essere stato
chiamato così. Questo rattristò ancora di
più Rukia, già mortificata della pessima figura
fatta proprio davanti a lui.
“Cosa succede?” chiese lui asciutto, con
quella sua voce calda e pacata, severa ed autoritaria. Una voce che la
seduceva e l’atterriva allo stesso tempo.
La ragazza alzò gli occhi verso di lui, mentre il giovane
dai capelli neri li rivolgeva a sua volta a suo nonno, che lo
ricambiò serio per poi scuotere la testa con
disapprovazione.
“Rukia, puoi andare.”
Rukia rivolse due occhi molto sconfortati verso Ginrei Kuchiki, che le
aveva appena ordinato di allontanarsi dalla stanza.
Si sentì profondamente mortificata. Sapeva che adesso
avrebbero parlato di lei, e ne avrebbero parlato male. Chiuse gli occhi.
Si piegò di nuovo, dopodichè raggiunse il fusuma
e li lasciò soli.
Non appena mosso qualche passo, già vide l’ombra
del nobile Byakuya prendere posto, e la voce del suo istruttore
prendere parola.
Istintivamente aumentò il passo per allontanarsi
più velocemente. Non voleva sentire cosa avessero da dire,
non voleva sapere cosa avrebbero detto su di lei a Byakuya.
Così velocemente si inoltrò per i corridoi della
casa, non sapendo di preciso dove dirigersi.
Era in quella abitazione da pochissimi giorni, non sapeva
già orientarsi in quegli spazi immensi, così
arrivò fino in giardino e si sedette sull’orlo di
una delle fontane di marmo li posta, lasciando che lo schizzo
dell’acqua la colpisse di tanto in tanto. Il rumore di quello
scroscio l’aiutò a sentirsi meglio, e i suoi nervi
presero finalmente a rilassarsi almeno un po’.
Riaprì gli occhi.
C’era un bellissimo profumo di erba tagliata in giro. La
temperatura dell’aria era perfetta quel giorno, ed un lieve
venticello rinfrescava quel leggero tepore che sentiva su di se.
Certo che, visto la dì, quel posto non era poi tanto male.
Visto da quella prospettiva, sembrava un luogo incantato, la classica
abitazione in cui chiunque sognerebbe di vivere. Solcate le
sue mura, invece, si avvertiva immediatamente la pesantezza delle
persone che ci abitavano e delle regole sulle quali vertevano.
Però, fuori, c’era una calma rilassante e
piacevole. Un silenzio dolce, che non le portava alcuna inquietudine, e
anzi, la trasportava in una dimensione di assoluto benessere.
Rimase lì senza controllare il tempo che trascorreva, senza
importarsi di nulla.
Se ci fosse riuscita, quello sarebbe stato il suo rifugio. Dopotutto,
non le sembrava molto chiedere una stanza che affacciasse sul giardino.
Magari quando le cose sarebbero andate meglio. Intanto voleva godere di
quell’attimo quanto più le sarebbe stato concesso.
Distrattamente prese a guardare di nuovo verso la casa.
Chissà se un giorno sarebbe riuscita a sentirsi parte di
loro. Era così difficile abituarsi a qualcosa di
così estraneo.
Adesso aveva una casa, una famiglia, ricchezza e portava
l’alto nome dei Kuchiki. Quelle persone le avevano donato una
nuova vita, un vita che non aveva meritato, le era stata donata. Per
questo, nonostante i suoi turbamenti, doveva cercare di moderarsi ed
essere molto, molto più riconoscente verso di loro.
In cuor suo lo era per davvero. Ma i suoi dubbi e le sue paure erano
troppe per far si che manifestasse apertamente i suoi sentimenti.
All'improvviso i suoi occhi si puntarono di nuovo sulla figura del
ragazzo dai capelli neri, che passeggiava parecchi metri distante da
lei sulla passerella che contornava il giardino.
Camminava con la sua solita fierezza, sfilando con una eleganza
imparagonabile, facendo oscillare il lungo kimono nero.
Ogni volta che lo vedeva aveva un attimo di vertigini ed il suo cuore
cominciava a pulsare. Rimase immobile, seguendolo incantata con gli
occhi, non sbattendo le palpebre neanche per un momento,
finché lui non svoltò un angolo e
sparì dalla sua vista. Solo allora riprese coscienza e si
rimise di scatto in piedi.
Era solo adesso, era la sua occasione per scusarsi per il suo
comportamento.
Chissà cosa gli avevano detto quel insulso maestro e il
nobile Ginrei per demolirla ancora di più. A loro
però non dava troppa importanza. Se c’era qualcuno
di cui però le importava il giudizio, era proprio lui,
Byakuya.
Sicuramente lui avrebbe tenuto molto più in alto il giudizio
e le parole di suo nonno, tuttavia Rukia almeno a lui voleva dare delle
spiegazioni. O se non quelle, almeno mostrarsi sinceramente mortificata
per come l’aveva trovata. Non era necessario che le desse
ragione, ma solo che guardasse i suoi occhi sinceri.
Girò lo stesso angolo da dove aveva visto sparire il
ragazzo, ma non lo vide. Subito si allarmò facendosi
prendere dal panico. Perlustrò il lungo corridoio di corsa.
Il nobile Byakuya non poteva averlo percorso tutto così
velocemente, eppure era sparito. Subito corrucciò la faccia
e si sentì infinitamente stupida per aver desistito prima di
raggiungerlo. Si era immobilizzata a guardarlo ed adesso
chissà quando le sarebbe ricapitata l’occasione di
rivederlo in quella stessa giornata. Perché parlargli dopo
sarebbe stato insensato.
Abbassò lo sguardo. Forse, dopotutto, era meglio
così. Almeno non avrebbe rischiato di sembrare patetica.
Prese così a ciondolare per il corridoio, strascinandosi
quasi.
Sì, perché in verità ci era rimasta
davvero male. Sembrava che tutto andasse storto.
Girò vagamente lo sguardo.
Quella zona della casa era assolutamente vuota. Forse non era il caso
rimanere lì. Così fece dietro fronte, intenta a
ritornare sulla sua fontana. Meglio rimanere lì, che
richiudersi in quella sua vuota e triste stan…za.
Mentre formulava i suoi pensieri, fece qualche passo indietro verso un
fusuma lasciato appena semi chiuso. Quando era passata prima non ci
aveva proprio fatto caso. Sbirciò istintivamente dentro.
Dopotutto Rukia era solo una giovane ragazza, che si lasciava attirare
da tutto in quella casa, per il suo spirito di fondo molto curioso.
Buttò appena un occhio ed impallidì quando
focalizzò la figura di Byakuya Kuchiki li dentro.
Sgranò gli occhi e fu assolutamente incapace di distogliere
lo sguardo.
Si inginocchiò lentamente e rimase lì ad
osservarlo per quel poco che si vedeva da quella fessura. La stanza era
grande, libera, e arredata unicamente da un tavolino basso al centro,
un futon più grande del suo, di colore blu e decorato con
dei delicati ricami su tinta. Intravide anche dei mobili color mogano,
ma non si vedeva bene a dire la verità.
Ad un certo punto il ragazzo si posizionò in una zona della
stanza a lei più visibile e fu allora che si accorse che lui
era nudo.
Arrossì di colpo.
In verità non era nudo, era solo col petto scoperto, ma data
la giovane età della bruna, non le era mai capitato di
vedere un ragazzo svestito. Per di più non un ragazzo
qualsiasi.
Lo vide lentamente raccogliere l’hadajuban dal letto e
coprirsi le ampie spalle. Come immaginava, il nobile Byakuya aveva un
corpo bellissimo, allenato, e seppur fosse molto magro, i muscoli erano
ben evidenti e abbastanza scolpiti. Quel suo sguardo serio a tratti
malinconico, poi, lo rendevano decisamente affascinante.
Deglutì quando si girò col busto verso di lei,
facendole vedere più nitidamente i pettorali. Lui
continuò a vestirsi non accorgendosi di lei e, sempre con
movimenti molto lenti, chiuse delicatamente il sottile hadajuban, per
poi indossare il kimono.
Avvicinò le mani al copricapo che abitualmente aveva fra i
capelli. Lo smontò facilmente e lo sfilò via,
facendo ritornare al loro posto le ciocche di capelli che intanto si
erano scomposte. Non essendosi ancora specchiato, aveva qualche ciocca
ancora fuori posto, seppur comunque i suoi capelli fossero sempre in
ordine poiché liscissimi. Però rappresentando
come era solito vederlo, bastarono quei pochi fili di capelli alzati a
dargli un’aria diversa.
Già pensava che fosse un bel ragazzo, ed era innegabile
visti i lineamenti regolari. Ma fu allora che si rese conto di
trovarlo veramente…bello.
Si sentì ancora più accaldata. Cosa stava
pensando? Quell’uomo…quell’uomo le aveva
detto lui stesso di voler essere chiamato da lei
‘fratello’. Per di più abitavano sotto
lo stesso tetto, lui era un ragazzo nobile, un Kuchiki, per di
più nipote di suo nonno. Non doveva assolutamente pensare
cose di questo genere.
Anche se…
Riprese ad osservarlo.
Anche se era bello. Non c’era null’altro da
aggiungere. Non c'era niente di male a pensarlo.
Si accorse improvvisamente che era scesa un po’ di ombra su
di lei. Si voltò lentamente pensando che il cielo si fosse
oscurato per via delle nuvole, ma subito si accorse di aver
completamente frainteso.
Si pietrificò quando si accorse di avere dietro di se
l’imponente figura di Ginrei Kuchiki.
Aveva le mani congiunte sotto le maniche del kimono, e la guardava con
uno sguardo sprezzante e indagatore. La ragazza si sentì
morire e fu sicura che le sue labbra divennero completamente pallide.
Sentì il cuore in gola e rimase lì, immobile,
incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
Ginrei, vedendola inginocchiata di fronte la stanza di suo nipote,
strizzò gli occhi e le parlò laconico.
“Cosa stai facendo qui?”
La ragazza deglutì.
Cosa poteva mai rispondergli? Tremando, si alzò e gli
rivolse appena uno sguardo pieno di sgomento. Dopodichè, in
preda al panico, piegò appena la testa in segno di
costernazione e scappò via allontanandosi dalla sua
vista con una velocità incredibile.
Che…Che figura ci aveva fatto! Cosa…cosa avrebbe
pensato?
E se…e se l’avesse detto a Byakuya?!
Si fermò inorridendo solo ad immaginare una prospettiva del
genere. Già il nobile Ginrei Kuchiki aveva la sua
“bella” opinione su di lei. Se si ci aggiungeva
anche questo?
Scosse la testa. Non voleva neanche pensarci!
Così, con il cuore ancora a mille, sgattaiolò
nella sua stanza e si butto sul futon maledicendo tutte le stupidaggini
che stava facendo, tutte le cose che stava sbagliando, questa sua nuova
vita che non l’apparteneva. Girò lo sguardo e si
vide ancora lì, riflessa in quel grande specchio che non
faceva che perseguitarla.
Guardò sprezzante la sua figura, con le lacrime agli occhi e
colmi di malinconia e rabbia. Non poteva restare lì, era
tutto troppo più grande di lei. Non ce l’avrebbe
mai fatta! Come avrebbe mai potuto diventare una di loro? Non ne aveva
le qualità, non aveva le competenze, non aveva assolutamente
nulla. Aveva però i suoi sogni, la sua forza d'animo e i
suoi amici...perchè? perchè le sue uniche
certezze non si riflettevano con lei in quello specchio?
Perchè doveva vedere una se stessa che non riconosceva e che
non avrebbe mai riconosciuto? Quella Rukia non era lei. Dove aveva
lasciato i suoi sogni? Dove era finito il suo mondo? Era giovane, ma
non così tanto da ricominciare proprio tutto.
In un attimo di rabbia, cominciò a battere con le mani
ripetutamente sullo specchio, facendolo vibrare ad ogni colpo, fino a
quando si cominciarono a creare delle crepe. Non si fermò e
continuò a colpirlo, finché si spaccò
e dovette ritirare la mano sanguinante, che prese a pulsarle dal
dolore, con una grossa scheggia ancora conficcata nel palmo.
Gemette, portando la mano sul petto e sorreggendola con l'altra.
Cominciò a piangere più intensamente, le sue
labbra presero a tremare fra i singhiozzi, non solo per il dolore
fisico. Il suo lamento divenne così forte che i domestici
dovettero affacciarsi per controllare cosa fosse successo. Si
allarmarono quando videro lo specchio frantumato, e centinaia si
schegge attorno alla giovane Kuchiki, con la mano e il kimono sporco di
sangue. Le vennero vicino, ma lei non permise loro di avvicinarsi,
dimenandosi istericamente. Così questi l'afferrarono di
nuovo, intenzionati a somministrarle per l'ennesima volta quei
disgustosi calmanti. Rukia era così irrequieta che
dimenticò il dolore e fece per scappare via, ma fu subito
bloccata da uno dei servi, più massiccio rispetto
agli altri, che la prese per la vita e la sollevò da terra
facilmente.
"Lasciatemi! Lasciatemi...!! Sigh...sigh..."
"Vogliamo solo curare la sua ferita, si calmi."
"Basta...bas...ta......."
Continuò a singhiozzare. Le avvicinavano alla bocca
quell'intruglio e fu costretta ancora una volta ad ingerirlo.
Sentì i suoi occhi pesanti e la sua testa leggera.
"Nobile Byakuya..."
Non seppe perchè, ma volle pronunciare il suo nome.
Le si parò nella sua mente la sua figura aristocratica e
distinta. Voleva vederlo.
Voleva...
Chiuse gli occhi.
"Signore!"
"Lasciateci soli."
Rukia sentì di nuovo il pavimento sotto i suoi piedi.
Aprì appena gli occhi, e si accorse che i servi l'avevano
lasciata. Un po' intontita per l'effetto del medicinale,
cercò di mettersi bene in piedi, e fu allora che vide di
fronte a se il ventre di un uomo vestito di scuro.
Alzò lo sguardo riconoscendo quel kimono e
impallidì vedendo Byakuya Kuchiki.
Lui la guardava con severità. Aveva saputo da Ginrei che
l'aveva spiato mentre si vestiva?
Le si avvicinò e lei chiuse istintivamente gli occhi
aspettandosi un rimprovero da parte sua, cosa che però non
avvenne.
Infatti il ragazzo le sollevò il braccio ed
osservò la ferita che aveva sul palmo della mano. La ragazza
rimase senza parole, incantata mentre lui scrutava il taglio e la
scheggia ancora conficcata in esso.
Osservò il suo viso e per la prima volta rimase a guardarlo
da vicino, palpitando ad ogni suo tocco, ad ogni respiro che sentiva
soffiare sulla pelle della sua mano vicinissima a lui.
Il ragazzo poi prese la scheggia fra due dita e con fermezza la
levò via, costringendo Rukia a levare via la mano dalla sua
per il dolore lancinante infertole. Subito però si
scusò per la sua impulsività e
riallungò la mano verso di lui, costernata.
Byakuya la osservò per diverso tempo, soffermandosi
sopratutto sul suo vestito imbrattato di sangue. Mosse appena le
sottili labbra, schiudendole, poi portò una mano dietro le
caviglie della ragazza e con un gesto veloce la sollevò da
terra, portandola fra le sue braccia. Rukia portò le mani
sul petto e arrossì violentemente. Quando lui
ricambiò il suo sguardo, abbassò il viso sperando
che lui non si accorgesse del suo stato d'animo. Il suo cuore
cominciò a palpitare forte.
Abbandonò involontariamente la testa sul suo petto, forse
per effetto del calmante, e sentì il cuore di Byakuya
battere regolarmente. Era un suono dolce, che la
tranquillizzò completamente.
Byakuya rimase in silenzio, trasportando la ragazza in una stanza
più sicura dove farla medicare, rivolgendole di tanto in
tanto i suoi occhi ed osservandola mentre pian piano lei si abbandonava
su di lui e cominciava a chiudere le palpebre ancora inumidite dalle
lacrime.
Quell'apparenza debole, quel viso innocente e quella pelle
così pallida...rimembrava in lui ricordi che non pensava di
poter toccare così con mano.
Gli sembrava quasi di rivivere tutto quello che aveva passato,
attraverso un'estranea ragazzina che insopportabilmente non faceva che
ricordargli lei.