Anime & Manga > Bleach
Segui la storia  |       
Autore: fiammah_grace    20/06/2010    3 recensioni
Ambientata durante i primi mesi dell'adozione di Rukia nella famiglia Kuchiki. Un mondo sfarzoso, immenso, troppo grande per una persona proveniente dal rukongai che aveva sempre lottato per ottenere tutto. Cosa sarebbe rimasto della sua vecchia vita? A cosa stava andando incontro?
Uno specchio frantumato, schegge di ricordi e sogni che non potevano più intersecarsi con questa nuova realtà che le era stata imposta. Ed in tutto questo, l'unica persona che non riusciva a comprendere era proprio lui, Byakuya Kuchiki. Nobile, autoritario e distaccato, sembrava non importarsi nulla di lei. Eppure aveva saputo che era stato proprio lui a volere questa adozione...a sconvolgere la sua vita.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Byakuya Kuchiki, Kuchiki Rukia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

On the other side of the mirror, I want to go back.






Non  mi appartenevano molte cose di quel mondo.


No, in verità non mi apparteneva proprio nulla.


Quell’ambiente così immenso, questi abiti sfarzosi, la gente che ora mi circonda…


Niente.


Tutti non sono che al di la di uno specchio, dove, a riflettersi con loro, è solo la mia immagine.


Dietro lo specchio tutto si muove, e vedo me stessa lì immersa. Ma la mia mente, il mio cuore…il mio vero cuore, è altrove.


Sono seduta in un angolo ormai buio, in un posto di cui non farò mai parte.


Di questa me stessa, quella me stessa dall’altra parte dello specchio, nessuno si chiederà più.


Tutti da oggi vedranno solo il mio riflesso in questo specchio fasullo. Il riflesso di Rukia, tra poco Rukia Kuchiki.






Una ragazza dai folti capelli neri aprì debolmente gli occhi. Ciò che si presentò dinanzi al suo sguardo non fu che il nero. Il nero di una notte che non voleva passare e che minuto dopo minuto appesantiva il suo spirito. Era ormai la settima volta che alzava le palpebre e rimaneva ferma, con i suoi occhi blu spalancati, a fissare il soffitto.
In realtà non c’era una precisa immagine sulla quale erano puntate le sue attenzioni. Rimaneva semplicemente ferma, con le dita incrociate fra di loro all’altezza dello stomaco, in quel buio nero che pian piano le faceva focalizzare i lineamenti essenziali dell’arredamento di quella stanza sproporzionatamente grande per lei.
Girò appena lo sguardo, scrutando per l’ennesima volta l’ambiente.
Una stanza vuota, ingombrata unicamente da una specchiera, una cassettiera e dal futon sul quale era sdraiata. Il tutto immerso in uno spazio infinito, smisurato per quei pochi arredi. Sentiva sulla sua schiena il freddo del pavimento, e nonostante ci fosse abituata date le sue umili origini, in quel momento era insopportabile. Gelido, agghiacciante…
Strinse i pugni e sentì la sua morbida pelle bianca essere diventata rigida e gelata. Quasi come se il sangue avesse smesso di scorrere sul suo corpo, e i suoi arti avessero già preso ad irrigidirsi. Le sue labbra erano pallidissime, e pian piano cominciò a tremare…sempre più forte.
Improvvisamente una lacrima rigò il suo viso. Una goccia sgorgata dai suoi occhi, che racchiudeva tutte le sue paure e le tensioni di quell’istante.
Arrivò sullo spigolo delle sue labbra, e bastò che potesse assaggiarne appena il gusto salmastro che la sua bocca si contorse in ghigno che fece scatenare dalla sua gola un grido disperato, che si disperse rompendo il silenzio di quella notte buia.

“Aaaaaaaaaaah……!!!!”

Subito le porte della sua stanza si aprirono e delle persone dall’aspetto assolutamente sconosciuto la afferrarono per i posi e per le caviglie. Istintivamente la ragazza cominciò a dimenarsi, lasciando che i capelli le inondassero il viso mentre si bagnavano nelle sue lacrime, appiccicandosi sulla sua pelle.
Uno di questi la afferrò per la mascella e le avvicinò un bicchiere facendo per costringerla a bere. Lei serrò la bocca, ma le dita premettero così forte sull’osso che non riuscì in nessun modo ad opporsi, così fu costretta ad ingerire quel liquido, mentre quelle persone la tenevano ancora ferma e le alzavano appena il collo. Quando ebbe ingoiato fino all’ultima goccia, la lasciarono e lei prese ad ansimare fortemente, spaventata. Guardò con gli occhi smarriti e pieni di agitazioni le loro figure che adesso pian piano si allontanavano piegando il capo.
La ragazza dai capelli neri sentì il sudore scorrerle sulla fronte e la testa girarle, fino a costringersi a sorreggersi sui gomiti. Non riuscì a sostenere il suo peso, così si accasciò battendo forte la testa sul cuscino. Sentì freddo, sempre più freddo…
Girò la testa e mentre distingueva le lunghe sagome delle ombre che trafiggevano la penetrante luce giallognola delle lanterne accese, la sua vista si annebbiò e perse conoscenza.
Non prima che sentisse delle voci chiamare qualcuno, in un subbuglio insolito da udire in quella casa.

“Cosa è successo?” pronunciò una voce dal tono asciutto.

“Signore…”






Cosa è successo…



Cosa…



….è…



…successo…?






La vita che non volevo.
Una vita agiata, in una famiglia nobile e ricca. Una vita che non potevo rifiutare.

Che però…non lo volevo.


---


“Signorina?”

“Uh?”

La giovane ragazza dai capelli scuri aprì gli occhi.
Era ormai giorno. I raggi del sole filtravano tra i vetri delle finestre, dalle quali poteva vedersi un bellissimo cielo limpido. L’aria soffiava appena, accarezzando dolcemente la sua pelle in un tocco davvero piacevole, rappresentando soprattutto la nottataccia appena trascorsa. Sentiva infatti ancora gli occhi pesanti, ed un fastidioso amaro in bocca.
Un sapore che ormai aveva imparato a riconoscere già dopo la prima notte che aveva trascorso in quel luogo.

La giovane donna seduta di fianco a lei si sollevò e chiuse la finestra temendo che il vento potesse infastidire la ragazza appena svegliata.
La ragazza dai capelli neri la seguì con gli occhi e quasi avrebbe voluto implorarle di lasciarla aperta, ma le parole le sfuggirono completamente, così quel soffio che accarezzava il suo viso si disperse e la abbandonò lasciando sola definitivamente.

“Perdonatemi, ma avevo avuto ordine di svegliarvi presto. Vogliate alzarvi, vi ho preparato il bagno e gli abiti che potrete indossare questa mattina.”

Quella donna doveva essere sicuramente più grande di lei, eppure la trattava con una riverenza tediosa, quasi incomprensibile, rappresentando che questo atteggiamento era rivolto verso una ragazza considerevolmente più giovane di lei. Proveniente dal Rukongai per di più.
Con tutte le probabilità scorreva più sangue nobile nelle sue di vene, che era solo una servitrice, che in lei, che non aveva mai visto neanche da lontano il mondo aristocratico delle famiglie nobili.

Sollevò il busto e sentì leggermente la testa pulsare, probabilmente ancora per la overdose di tranquillanti che le avevano buttato in gola.
Ebbe appena il tempo per mettersi più dritta, che subito le mani della donna toccarono l’apertura del suo yukata, che aprì delicatamente facendo per sfilarglielo.
Nonostante non fosse ancora una ragazza sviluppata, e il suo primo accenno di seno fosse ancora di piccole dimensioni, la giovane dai capelli scuri bloccò la donna e strinse i lembi dell’abito attorno a se.
Subito la serva ritrasse le mani e con un gesto lento piegò il capo in segno di sottomissione.

“Le chiedo perdono. Non intendevo essere impudente. Vogliate darmi il vostro abito, così che possa poi accompagnarvi nella vasca.”

La ragazza sgranò gli occhi di fronte tanta costernazione.
Non le piaceva essere guardata così, come se ad ogni passo falso, avrebbe inferto cinquanta frustate.
Abbassò il viso, e seppur titubante, si costrinse a far scivolare il vestito dalle sue spalle. Levò via la cintura e permise alla donna di avvicinarsi di nuovo per coprirla con un sottile panno di lino leggero. Si alzò e si posizionò dentro la vasca fatta portare appositamente nella stanza per lei.
Ancora una volta la donna le si avvicinò e, nonostante ebbe di nuovo il fortissimo impulso di fermarla, lasciò che lei la aiutasse a lavarsi. Sentì l’acqua calda della brocca che aveva riempito scivolare sulle sue spalle ripetutamente, bagnandole le punte dei capelli che arrivavano sulle spalle. Poi prese una quantità maggiore d’acqua e la fece scorrere anche sulla sua testa, bagnandola completamente. Sentì un leggero solletico per le gocce d’acqua che dal suo capo scorrevano sulla sua schiena.
Nonostante il bagno fosse caldo e rilassante, non riuscì a sciogliere i nervi. Strinse le mani fra di loro all’altezza del petto, sollevando allo stesso tempo le gambe, cercando di proteggere ancora le sue parti intime visto che in verità nessuno mai le aveva fatto il bagno prima di allora.
La serva sembrò non curarsene minimamente, concentrata sui suoi capelli, intenta a sciogliere i suoi nodi.
Strinse i denti, sperando che finisse il prima possibile.
Reprimere e continuare a reprimere il suo male e i suoi turbamenti era l’unica soluzione che al momento riusciva a farle mantenere un certo auto controllo.
La sua mente le sfuggiva, perché dove era, era un mondo che non le apparteneva minimamente.

Osservò la sua immagine riflessa nello specchio mentre la donna le allacciava un nuovo kimono dal colore molto delicato.
Fece passare i lembi del kimono e li strinse con forza nell’obi, che decorò con un fiore sul lato, oltre che con il tipico fiocco dietro la schiena. Le aggiustò le maniche, adagiandogliele lungo il vestito, dopodichè prese a tamponarle i capelli, e a pettinarli con una attenzione addirittura fastidiosa.
Dopo averli sistemati, li acconciò con un fermaglio floreale molto particolare, di un colore a metà fra il rosa e il giallo, dal quale cadeva una lunga ciocca di capelli che le arrivava oltre le spalle. Gliela sistemò, movimentando quei capelli finti che incidentalmente corrispondevano al suo stesso colore, poggiandole poi sulle spalle un michiyuki dall’aria molto preziosa. Dopodichè piegò di nuovo la testa e si allontanò dalla stanza facendo portare via tutto l’occorrente che aveva utilizzato per prepararla.

La giovane rimase ancora ferma davanti allo specchio, vedendo riflessa la sua immagine così diversa. Con i capelli fintamente lunghi, ben sistemati, che cascavano sulla sua spalla raccolti un una coda di cavallo. Il vestito elegante e prezioso certamente non tipico per una ragazza del suo rango, nonché un sogno per qualsiasi ragazzina romantica.

Qualsiasi persona, al suo posto, avrebbe pensato di vivere un sogno.

“Rukia.”

Si voltò all’istante, come presa da uno spavento, nell’udire quella voce dai toni bassi, eppure così altisonante, che la richiamava alle sue spalle.
Vide dietro di se la distinta figura, in un kimono elegante e scuro, di Ginrei Kuchiki.
Era un uomo alto, dal portamento fiero ed altolocato. Nonostante la sua tarda età, conservava una postura perfetta, nonché uno sguardo agonistico e autorevole.
Il viso era segnato da delle profondissime rughe, e i capelli erano lunghi e completamente bianchi. Nonostante i suoi baffi coprissero buona parte della bocca, era sicura che sotto di essi si celava un’espressione di disgusto e disapprovazione.
Dopotutto, non poteva sperare in uno sguardo migliore già così presto.
Così abbassò gli occhi rifiutandosi di continuare a farsi del male così, visto che solo incrociare quegli occhi le sembrava come avere una lama infilzata in gola, e si voltò di nuovo verso lo specchio.

“E’ così che credi si ci comporti e si ci presenti di fronte il capofamiglia Kuchiki?” disse lui con un tono pacato e dispotico.

La ragazza non se ne curò, e si limitò ad abbassare ancora di più lo sguardo.

“Chiedo scusa.”

L’uomo continuò a fissarla dall’alto verso il basso attraverso lo specchio, visto che solo da questo poteva vederle il viso, dato che lei gli dava spudoratamente le spalle.
Osservò la sua piccola costituzione. Sembrava gracile, e non aveva per niente l’aria di una nobile donna, ne tanto meno sembrava degna di riuscire a portare il nome del suo clan. Il clan dei Kuchiki. Si rifiutava anche solo di pensare che oramai presto sarebbe divenuta un membro della sua famiglia.
La cocciutaggine di suo nipote non aveva freni.
Avrebbe macchiato ancora una volta l’onore della sua casa attraverso quella indegna ragazzina raccolta dal Rukongai sulla quale non sapevano in realtà proprio niente, se non un nome.
Un nome e una somiglianza a lei
Una somiglianza impressionante, certo.

Ma non un dato concreto.

Chi era dunque? Era solo un nome. Rukia.
Una ragazzina che sarebbe stata erede di un grande patrimonio, carica di grandi onori e responsabilità. Questo solo perché le somigliava.
Era qualcosa di inaudito. Assurdo da credere che potesse succedere proprio nel suo casato, sul quale aveva investito tutta la sua vita.
Per di più la ragazza conservava quel comportamento sfrontato e rozzo tipico della gente non aristocratica. Non era mai cresciuta nell’alta borghesia, non sarebbe mai diventata una di loro.
Era giovane, ma decisamente troppo grande per imparare.
Si chiese se fosse ancora possibile cambiare le cose, dato che neanche la ragazza in questione sembrava dimostrare un minimo di riconoscenza. Anzi, se poteva dimostrare malessere, o disapprovazione, non sembrava crearsi troppi problemi.

“Signore, mi spieghi perché sono qui.”

L'uomo la guardò intensamente mantenendo la sua postura perfettamente eretta e quel suo sguardo sprezzante. Strinse impercettibilmente gli occhi prima di risponderle.

“Desidero che, quando ti rivolgi ad un membro della mia famiglia, usi le parole Nobile Kuchiki.”

“Come desidera.” Rispose quasi in un sussurro la ragazza abbassando di nuovo lo sguardo.

Ogni sua parola, ogni suo gesto…sembrava come se tutto quello che faceva o che avrebbe fatto sarebbe stato giudicato e corretto nel caso. Il suo modo di parlare, il suo portamento, i suoi gusti…era come se da adesso in avanti tutto sarebbe passato sotto esame. E il bello era che il più delle volte i suoi sforzi per migliorarsi non erano compresi da quegli occhi impenetrabili, ne da nessun altro con cui avesse avuto a che fare fino a quel momento.
Chiuse gli occhi. Sperava con tutta se stessa di svegliarsi, e che tutto non fosse mai accaduto in realtà. Poi si riguardò nello specchio.
Lei era lì.
Lei era per davvero lì.

“Riformula la tua domanda, adesso.”

“Mi chiedevo perché sono qui…nobile Kuchiki.”

Il nobile Ginrei annuì, poi fece qualche passo verso di lei, ma non sembrava avere alcuna intenzione di parlare.
Rukia sospirò in silenzio. Dopotutto se lo aspettava. Nessuno l’aveva mai degnata di una risposta soddisfacente fino a quel momento.

“Stasera saranno completati gli atti con i quali entrerai a far parte della famiglia a tutti gli effetti. Ti basti sapere questo, al momento.”

La risposta più probabile che si poteva aspettare.

La ragazza si mise in piedi.
Sistemò meglio l’allacciatura del mickiyuki sul collo e lentamente si girò verso il capo clan della famiglia Kuchiki, guardandolo con uno sguardo a metà deluso, a metà saccente, alzando le sopraciglia.
Pur sapendo che assumendo quell’espressione l’avrebbe sicuramente fatto adirare, non le venne proprio di mostrarsi diversamente.
Meritava delle risposte. Anche vaghe. Ma le meritava visto che, apparentemente senza motivo, la sua vita era stata sconvolta dalla famiglia Kuchiki, che da un lato sembrava averla voluta accogliere a tutti i costi, dall’altra era come se la guardassero sempre con disgusto.
L’uomo notò quell’espressione, che chiaramente poco gradì, e non fece che riconfermare l'opinione che aveva su quella ragazza. Per questo non la degnò della sua attenzione. Le diede le spalle e raggiunse la soglia del fusuma. Pronunciò solo poche parole prima di sparire completamente dalla sua vista.

“Manderò la servitù a prenderti per raggiungerci quando Byakuya sarà di ritorno.”

La ragazza dai capelli neri sgranò gli occhi nell’udire quel nome.

Il fusuma si chiuse e rimase nuovamente da sola.


Byakuya Kuchiki…

…Il signor Byakuya Kuchiki.



In verità aveva potuto vederlo solo in poche occasioni.
Quando era venuto per lei all’accademia degli shinigami e quando era entrata in quella casa la prima volta.
Ricordava ancora nitidamente quell’uomo dai capelli neri, lunghi fino alle spalle, con quei tratti molto giovani e delicati. Il suo portamento altolocato, a tratti persino agghiacciante, eppure attraente. Lo aveva visto soltanto per poche manciate di secondi, mentre sfilava elegantemente, non curante, lasciando sgomento in coloro che incrociavano il suo sguardo.
Sapeva diffondere sulla sua figura un’aura distinta ed inavvicinabile anche in coloro che gli lanciavano appena uno sguardo.
Per dir la verità era molto curiosa di rivederlo. Per quanto ne aveva saputo, era stato lui a volere questa adozione. Chissà cosa c’entrasse in realtà lei con lui.
Si sentì inquieta. Erano troppe le cose che non sapeva e così tanti i dubbi che l’affliggevano.
Ed il vero problema era che sarebbe stata completamente sola a combattere per riuscire a vivere quella che sarebbe diventata la sua nuova vita, fra pochi istanti. Pochissimi.

Erano giorni ormai che non pensava ad altro, neppure la notte la preservava da questi pensieri.
In poco più di una settimana la sua vita era stata sconvolta, ed aveva perso tutto.

Tutto...

Chiuse gli occhi, abbandonandosi ai suoi ricordi. All'immagine di quella che prima di allora era la sua vita. A quelle strade povere e mal frequentate che però avevano accompagnato la sua infanzia.

Il rukongai...

Da quanto aveva memoria la sua vita era cominciata proprio li.

Il rukongai non era certo il migliore dei posti dove abitare. Anime erranti che vagavano disorientate per gli stretti e labirintici distretti della Soul Society, in attesa di trovare qualsiasi cosa che, in qualche modo, le facesse sentire parte di quel mondo.
Un amico, un parente…qualcosa…
Invece, nella maggior parte dei casi, l’unica possibilità era quella di radunarsi con il maggior numero di persone possibili e ricominciare assieme una nuova vita, per non sentirsi più soli.
Da qual momento in poi, in effetti, il rukongai non diventava più un posto tanto orribile.
Questo era accaduto anche a Rukia e, da quando aveva cominciato a vivere per chi amava, quello squallido distretto settantotto sembrava essere diventato un ambiente più felice.
Era dura, era dura per un gruppo di sei o sette ragazzini vivere da soli, sopportare il disprezzo di occhi indiscreti, e intanto sopravvivere in quelle strade malfamate e piene di sofferenza. Ma in qualche modo ce la facevano e così erano volati via i primi anni di adolescenza.
Questo finché un giorno non le capitò di vedere uno di loro per la prima volta.
Finché, tra le strade polverose e le capanne logore non le capitò di vedere uno di quei famosi uomini vestiti di nero. Vederne uno al rukongai, e in particolar modo nel distretto settantotto, era un qualcosa che Rukia identificava perfettamente con la parola ‘irripetibile’.
Al rukongai era davvero difficile trovare una persona in grado di spiegare esattamente chi fossero gli uomini vestiti di nero. In verità, nella maggior parte dei casi, venivano attribuite loro parole di disprezzo e di sdegno.
Uno sdegno che traspariva dalle parole e dagli occhi di chi aveva avuto modo di sapere di chi o cosa si stesse parlando.
Rukia non sapeva cosa fossero esattamente e non si era mai chiesta effettivamente cosa accadesse tra gli uomini in nero dentro la seiretei. Ma vederne uno le illuminò gli occhi e, a sua sorpresa, non ebbe affatto l’impressione che si aspettava.
Ne aveva sentito parlare così male…eppure lo shinigami su quel trasporto le era sembrata una persona gentile.
Le aveva mostrato un sorriso e una cordialità che le erano stati rivolti così poco nella sua vita, in quella sfrenata lotta di sopravvivenza che lei e i suoi amici dovevano affrontare ogni giorno.
Il sorriso e l’eleganza di quel dio della morte le fecero credere che non tutti fossero meschini e crudeli. Che, forse, nella corte delle anime pure ci fosse spazio anche per la gente per bene, che cerca di migliorare il suo status per proteggere a sua volta chi, uno status, non sa nemmeno cosa sia.
Quel lungo abito nero non le mostrò più inquietudine da quel giorno. Al contrario, divenne fonte centrale dei suoi pensieri.

“Renji, diventiamo shinigami.”

È questo quello che aveva detto, un giorno, al suo più caro amico. Lottare, correre, sopravvivere…non poteva durare all’infinito. Divenire shinigami avrebbe significato per loro una vita migliore. E forse, sarebbero diventati come quel dio della morte che si faceva largo nel rukongai.
All’inizio sembrava un gioco, all’inizio erano in tanti fra loro a studiare sui libri di testo, ad allenarsi nel concentrare il reiatsu e nel controllare i poteri…ma alla fine erano rimasti solo in due.
Rukia e Renji si allenarono per anni e anni ottenendo risultati giorno dopo giorno. In molti, in quello stesso periodo, avevano provveduto nel farsi allenare dai migliori maestri della Soul Society e di utilizzare qualunque altro mezzo per entrare assolutamente in quella graduatoria così selettiva.
Rukia e Renji non potevano far affidamento su nient’altro che la loro forza di volontà. Conquistando con le loro uniche forze le piccole vittorie di ogni allenamento.
Anche se spesso non era sufficiente rispetto agli altri…
Però loro due…lei…ce la stava facendo da sola.
Questo le faceva credere di essere migliore di quegli aristocratici dietro le mura della seiretei, i cui alti voti non avrebbero mai avuto lo stesso significato dei risultati ottenuti da lei e i suoi amici.

“Non demordere! Noi ce la metteremo tutta! Loro non lo sanno, perchè nessuno di loro può nemmeno immaginare quello che abbiamo vissuto noi…”

Erano queste le parole di Rukia.
Erano queste le parole che ripeteva una continuazione a Renji.
Era grazie a queste parole che era riuscita ad andare avanti e ad arrivare all’accademia per shinigami.
Studio, delusioni, soddisfazioni, perdite, vittorie, solitudine…
Spesso era stato frustrante.
Ma divenire shinigami avrebbe rappresentato una vita migliore per lei e per coloro che avrebbe potuto aiutare.
E così le lacrime e la rabbia venivano prontamente cancellate in onore di quel obbiettivo che l’aveva spinta a studiare ininterrottamente, a sacrificare tutta se stessa per raggiungere un traguardo che per una del rukongai come lei era un sogno ad occhi aperti. Un obiettivo che, se avesse raggiunto, non avrebbe equiparato lo stesso sudore di nessun altro.

Questo finché non arrivò l’esame finale per il diploma…

Questo finché non chiuse la porta della sua stanza nell’accademia…

Questo finché non raggiunse l’aula e le si parò davanti un destino pronto a deviare il corso degli eventi.

Cosa le sarebbe accaduto, invece, se fosse entrata in aula?
Avrebbe ottenuto il diploma e dopo lunghi addestramenti, forse, sarebbe entrata nella seiretei e, chissà? Sarebbe potuta diventare uno shinigami sul serio? Un obiettivo semplice dopotutto, ma che per una come lei, che aveva sudato tutto nella vita, avrebbe significato tutto ciò che non poteva significare per chi, invece, aveva già il posto pronto ancora prima del diploma.

Da quanto aveva memoria era nata e vissuta nel rukongai. Da quanto aveva memoria, era sempre stata sola. Da quanto aveva memoria, sapeva che la sua unica certezza era chi le era rimasto accanto per tutto quel tempo, abbattendo così tutti assieme quella tristezza e solitudine che accumulava un po’ tutti quelli del rukongai.

Quella possibilità, quella di vivere la sua vita come aveva premeditato, i suoi progetti, i suoi sogni, ciò per cui aveva lottato, le sue piccole vittorie personali...

Tutto...

Tutto fu stroncato violentemente da una parola che non avrebbe mai potuto dimenticare: la nobiltà.
Quella stessa nobiltà che, con la potenza cui disponeva, le impose di cancellare la vita vissuta fino a quel momento promettendole sfarzo, diploma e un posto di lavoro tra le tredici brigate nella corte degli spiriti puri.
Il tutto ad un unico prezzo. 
Ad un primo impatto, nel vedere quel uomo così alto, dai lunghi capelli sottili e dall’abbigliamento elegante, non riuscì proprio a credere che il suo stile di vita sarebbe andato proprio in quella direzione.

Però non esisteva più la possibilità che lei potesse vivere normalmente la sua vita come aveva premeditato.
Vivere la vita di quella giovane orfana del rukongai che era riuscita con le sue sole forze a divenire una shinigami.

Ora aveva solo la possibilità di onorare a testa alta il grande privilegio che gli aveva offerto un nobile chiamato Byakuya Kuchiki, mentre i suoi occhi vitrei e glaciali le trafiggevano l’anima.


“Ce l’hai fatta rukia!”

“Il clan Kuchiki è una delle principali famiglie della nobiltà!”

“Hai fatto centro! Se vieni presa in un posto del genere, puoi rimbecillirti nell’ozio! Mi chiedo che genere di cibo mangino i nobili!”

“Wow, dannazione…sono invidioso!! Oh, diavolo. Ti faranno diplomare immediatamente? Sono così invidioso da sentirmi incazzato! Incredibile, Rukia! Questo si che è fare centro!”



“Arigatou….Renji.”






La ragazza corrucciò la fronte, con l'immagine ancora fissa nella sua memoria di un passato che non sarebbe più tornato.
Di quel giorno che aveva cambiato la sua vita per sempre.


Dopo pochi minuti, alcuni membri della servitù tornarono da lei e la accompagnarono lungo i portici che contornavano casa Kuchiki, affacciati su un ampio giardino curato nei minimi dettagli.
Il prato ben tagliato, il terriccio battuto per far strada ai numerosi sentieri che portavano ad ogni angolo di esso, circoscrivendo il laghetto che spezzava tutto quel verde assieme ai numerosi alberi di ciliegio non ancora in fiore.
Spostò più volte lo sguardo verso quell’ambiente e si chiese se avesse potuto chiedere di visitarlo liberamente dopo la riunione, però forse non era il caso esprimersi al momento. Date le circostanze, sembrava come se tutti preferissero che lei rimanesse muta e ferma nella sua stanza per tutto il tempo a sua disposizione, per non arrecare fastidi in alcun modo, e se fosse stata inanimata sarebbe stato anche meglio.
Mentre avanzava affiancata dai domestici, improvvisamente rallentò il passo.
I suoi occhi si posizionarono su una figura in lontananza che camminava leggiadra dalla sua parte opposta.
Il Kimono elegante scuro, l’haori bianco che ampliava le sue spalle, legato sotto il collo da una spilla color oro dalla quale scendevano dei pendenti, e il Keinsekan fra i capelli.
Sentì il cuore pulsare e le sue gambe si immobilizzarono immediatamente.
Lui stava raggiungendo la stessa sala dove lei era diretta, e di lì a poco si sarebbero incrociati.
Lui, Byakuya Kuchiki.
Sentì un nodo in gola. Le venne quasi la tentazione di annunciare di non sentirsi nelle condizioni di uscire tanta l’ansia che solo vedere quell’immagine le aveva provocato.

“Signorina, è tutto a posto?”

Guardò di nuovo nella direzione dove aveva scorto il nipote di Ginrei Kuchiki. Si era appena inoltrato nella stanza che tra pochi passi avrebbe raggiunto anche lei, non degnandola nemmeno di uno sguardo. Eppure lui doveva certamente sapere che anche lei era diretta lì. Chissà perché aveva preferito avanzare da solo e entrare separatamente da lei.

“Sì…sì…”scosse appena la testa rassicurando i collaboratori familiari che si erano fermati con lei e riprese a camminare con loro.

Era assurdo agitarsi così.
Questo era un giorno molto importante e doveva rimanere serena. Perché, dopo questo incontro, sarebbe diventata a tutti gli effetti Rukia Kuchiki. Non si tornava più indietro.

Le fu aperto lo shoji e si ritrovò nuovamente all’interno della casa, in una stanza libera e vuota come le altre, nella quale emergevano i massicci e preziosi mobili di ciliegio posti sulla parete di fronte a lei, che sembravano contenere i fascicoli della famiglia Kuchiki forse.
Sentì la porta scorrevole chiudersi dietro di se ed ebbe un attimo di sbandamento. Ritornò velocemente a perlustrare quella stanza, quando una voce richiamò la sua attenzione.

“Rukia, prendi posto.”

Immediatamente si inginocchiò, unendo le caviglie fra di loro e cercando di rimanere nella posizione più composta possibile, data la sua agitazione.
Sbirciò davanti a se, ed oltre alla figura di Ginrei Kuchiki, di fronte a lei c’era proprio lui, Byakuya.
Abbassò lo sguardo cercando di non incrociare per nessun motivo i suoi occhi.
Era una presenza imponente che sembrava riuscire ad atterrirla e metterla in soggezione anche con pochissimi gesti.
Più che il capofamiglia, era proprio il nipote che la intimoriva di più. Forse per il fatto che fino a quel momento non le aveva mai dato alcuna attenzione, ne attraverso una parola ne uno sguardo.
Questo la faceva sentire indesiderata. Una sensazione certo non piacevole.

Allora perchè aveva voluto adottarla?

“Rukia” la voce di Girei spezzò quel silenzio.

Aveva come sempre uno sguardo serio, probabilmente perché inquietato dalla strana piega che stava prendendo la sua famiglia. Una piega verso la quale mostrava palesemente di essere contrariato. Sembrò infatti costringersi a parlare di famiglia coinvolgendola.
Sollevò appena le labbra e parlò da sotto i suoi grigi baffi.

“Da oggi in avanti sarai un membro del casato Kuchiki, una delle quattro famiglie nobili della Soul Society. Spero tu sia al corrente di questo tuo grande privilegio, nonché dei grandissimi doveri cui dovrai fronteggiare.”

La ragazza riuscì solo a fare un debolissimo cenno con la testa, non distogliendo lo sguardo dalle sue mani premute fortemente contro le sue ginocchia. Privilegio… sapeva che l’avrebbe sottolineato. Sapeva che era questo quello che non gli andava giù.

“Devi giurare, Rukia Kuchiki, che non permetterai mai il disonore della famiglia Kuchiki. Che terrai alto il nome che da oggi accompagnerà il tuo.”

Si sentì tremare. Quell’atmosfera, quei paroloni che sembravano pieni di aspettative e responsabilità di cui non ne aveva idea, le stavano facendo crescere quello stato di ansia che l’accompagnava da quando aveva messo piede in quella stanza.
Alzò appena lo sguardo e si accorse che gli occhi dei presenti erano tutti puntati su di lei. Assunse uno sguardo impaurito, e per qualche motivo i suoi occhi scelsero di cercare quelli del ragazzo dai capelli neri, che la guardava a sua volta.
Era la prima volta che si guardavano così. I loro occhi erano puntati l’uno sull’altro e lei non riuscì in nessun modo a distogliere lo sguardo da quell’uomo. Le sembrò quasi come se le mancasse l’aria, come se avesse potuto affondare nel profondo di quegli occhi grigi.

“Rukia, devi promettere.”

La voce di Girei tuonò in quella stanza. Nonostante il suo tono fosse basso e controllato, aveva sempre comunque un’impronta imperativa che riscuoteva timore anche semplicemente proferendo un piccolo comando.
Rukia così piegò profondamente la testa fino a toccare la fronte con le ginocchia. Strinse i denti, dopodichè si fece forza nel cercare di parlare nel miglior modo possibile.

“Sì. Io mi impegnerò nel rispettare queste volontà, nel nome della vostra famiglia. Signor…" si corresse "Nobile Kuchiki. E…” alzò appena lo sguardo verso il giovane erede della famiglia, ma si ripiegò immediatamente concludendo la frase. “ ...e…nobile Kuchiki Byakuya.”

Una volta pronunciate queste parole, vide la figura longilinea di Byakuya mettersi in piedi e fare per abbandonare la stanza.
Subito la ragazza si girò seguendolo con lo sguardo mentre andava via, chiedendosi se avesse sbagliato qualcosa.
Si morse le labbra e suo malgrado fu costretta a rivolgersi al signor Ginrei, che la osservava sprezzante come suo solito.
Lui fece un piccolo cenno e chiuse gli occhi.

“Adesso puoi andare.”

La ragazza dai capelli scuri non se lo fece ripetere, così fece un piccolo inchino, dopodichè si alzò e quasi sgattaiolò via da quella stanza.
Ginrei Kuchiki sospirò, chiedendosi come avrebbero fronteggiato questa imbarazzante situazione, provando sdegno anche solo a pensare che quella ragazza si sarebbe presentata da adesso in avanti come una Kuchiki.
Intanto Rukia aveva già oltrepassato la soglia dello shoji e si poggiò ansimante su di esso mentre faceva per chiuderla.
Ispirò ed espirò più volte prima di riprendere controllo sulla sua mente.
Quell’ambiente…bastava che si girasse intorno per sentirsi smarrita. Aveva paura, paura di quello che sarebbe stato il suo futuro.


“Ah! Ah! Che invidia! Sarai adottata da una famiglia nobile? Non ci posso credere! Ti invidio proprio, Rukia!”




Maledetto stolto!
Perché…perché dovevi fingerti felice per me?!

Grazie…grazie per averlo fatto.

Pur sapendo benissimo che non potremmo più vederci adesso, mi hai incoraggiata verso una vita migliore.

Perché sei mio amico, Renji.


Però…


Però…




Proprio perchè sei mio amico, avresti dovuto leggere nei miei occhi che…non…

Non lo so!
Non sono pronta!



Ho paura di cambiare!

 

La mia vita, le mie lotte quotidiane, le nostre promesse, le nostre aspettative, i nostri sogni…

 

Io…
Io ci credevo ed avrei voluto che le cose, seppur così difficili, continuassero così.

 

Non sono pronta ad un cambiamento così drastico.





“Bravissima, Rukia! Sono felice per te!”


Adesso…
Io sono sola. Completamente sola.
Cosa devo fare?!

 

Renji…
Renji!! Vienimi a prendere!!

 

Qualcuno mi dica che tutto questo è uno sbaglio!!




Uno sbaglio che non potevo rifiutare.




Non potevo per rispetto di tutta la gente del Rukongai che sogna ad occhi aperti una vita come quella che avrò io.
Ma è davvero questa la felicità a cui si aspira nella vita?



Io non voglio tutto questo.

Ne sono grata.
Ne sono grata, accidenti!!



Però…ho paura.


Signor Byakuya…perché è venuto a prendermi?!
Perché mi hai prelevato dalla vita che conducevo e mi hai messo nelle condizioni di accettare? Perché lo sapevate che non potevo rifiutare.



Perché?!!




Improvvisamente si sentì girare forte la testa. Poggiò una mano sulla fronte come per cercare di sorreggersi. Fece qualche passo, ma camminava a stento, così si inginocchiò a terra. Era totalmente priva di forze. Incapace di muoversi. La sua testa pulsava sempre di più, e i suoi occhi presero a lacrimare senza che lo volesse.
Tutto cominciò a girare vorticosamente. Poggiò le mani sul freddo pavimento, come per afferrarsi da qualche parte, fino ad infilare le unghie. Sentì i residui di quella passerella in legno sfregarsi fra le sue dita che presero a sanguinare debolmente, ma lei non sentì alcun dolore. Sentiva solo tutto così confuso.
Lanciò un ultimo sguardo al giardino. Così bello, elegante, curato. Avrebbe voluto visitarlo, un vero peccato. Dopodichè svenne.


---


“E’ molto debole. Nonostante sia giovane e piena di energie, ha bisogno assolutamente di rimettersi in forze. Intanto consiglierei di tenere sotto controllo la sua alimentazione e farla riposare il più possibile.”

La ragazza dai capelli neri aprì debolmente gli occhi.
La sua vista era completamente appannata, riusciva a stento a distinguere i colori presenti in quella stanza. Girò più volte lo sguardo cercando di orientarsi, ma era ancora molto debole.
Le sue attenzioni si focalizzarono su due persone che parlavano di fianco a lei. Erano due voci maschili.
Dischiuse appena la bocca, poi cominciò a muovere le dita delle mani cercando di riprendersi dal sonno.

“La ringrazio.”

“Ci mancherebbe, signor Kuchiki. Dunque, un’ultima cosa. Vorrei dirle che …oh? Si è svegliata?”

Il ragazzo dai capelli scuri si girò verso di lei e costatò che, come aveva appena proclamato il medico di famiglia, gli occhi della giovane erano aperti.
Rukia sbandò quando si rese finalmente conto di essere probabilmente svenuta e che ad essere lì con lei era proprio Byakuya.
Cercò di alzarsi ma la testa ancora le doleva, così fu costretta a riabbandonarsi sul futon, limitandosi a guardarlo sentendosi smarrita ed in imbarazzo.

“Per qualsiasi cosa, signore, sono a sua disposizione.”

Byakuya fece un piccolo cenno di ringraziamento abbassando soavemente il capo, dopodichè lascio che l’uomo si allontanasse dalla stanza, in modo da rimanere solo con il nuovo e giovanissimo membro della sua famiglia.
La guardò con uno sguardo gelido, che non lasciava trasparire alcuna emozione. La ragazza non riuscì in nessun modo a divincolarsi da quegli occhi, esattamente come quando era successo prima, quando avevano ufficializzato la sua adozione.
Fu lui a distogliere lo sguardo, e, come libera da quel vincolo, Rukia si sentì di nuovo padrona del suo corpo. Avvicinò di più a se le coperte, coprendosi fin sulla bocca. Non voleva che la vedesse con solo addosso il bianco e sottile hadajuban.
Sbirciò di nuovo in direzione di Byakuya, che intanto sembrava star prendere parola, così si girò di nuovo all’istante, puntando le sue attenzioni sul soffitto attraverso uno sguardo in verità poco convincente.

“Anche questa notte non hai dormito.”

La ragazza deglutì. Non sapeva assolutamente cosa rispondere. Si limitò solo a cercare in ogni modo di sembrare seria e composta ai suoi occhi inquisitori.

“Preferirei tu non ti trascurassi. Se c’è invece qualcosa che ti disturba...”

“No! Non c’è assolutamente niente che…” pronunciò di getto, e solo mentre le parole uscivano dalla sua bocca si accorse di averlo bruscamente interrotto mentre parlava. Si sentì subito un’emerita stupida. Come poteva dimenticare così facilmente di essere al cospetto di un membro di una delle famiglie nobili?
Cercò di porre rimedio al suo irrispettoso modo di agire, sperando che le sue scuse bastassero.

“Perdonatemi, Nobile Byakuya Kuchiki.”

Byakuya assunse uno sguardo ancora più serio, e non continuò più a parlare. Questo mise ancora più distanza fra i due, che rimasero fermi e muti per diverso tempo. O per lo meno fu questa l’impressione della ragazza dai capelli neri, che si sentiva terribilmente sconvolta.
Guardò di nuovo verso di lui.
La sua postura era perfetta. La schiena dritta, e le mani congiunte sulle sue gambe, inginocchiate sui suoi talloni. Certe volte non riusciva neanche a guardarlo tanto gli sembrava distante. Il suo sguardo divenne pian piano cupo e girò la testa dall’altra parte.
Lui invece puntava ancora i suoi occhi su di lei. La guardò intensamente e dopo quel lungo e frustrante silenzio riprese la parola.

“Suppongo che ‘fratello’ sia più che sufficiente, adesso.”

Rukia subito scattò, rivolgendoglisi sorpresa.

“Che cosa?”

Il ragazzo la guardò in qualche modo incuriosito da quel modo di fare ai suoi occhi un po’ strano della ragazza. Comunque decise di ribadire il concetto, comprendendo la sua confusione.

“Non chiamarmi più Nobile Byakuya. Non è appropriato. Sono tuo fratello maggiore adesso.”

Rukia tentennò prima di riuscire a parlare. Le sue labbra tremavano e non era sicura di dare una buona impressione con quello sguardo pietrificato.
Sentì il viso caldo e in realtà fu indecisa se parlare o no.

“Non…non posso…io, nobile Bya...Fra…fratello..?” cercò di correggersi come lui le aveva chiesto, ma la parola "fratello" davvero le uscì a stento. Non poteva chiamarlo così. Non...

Byakuya abbassò lo sguardo.
Premette una mano sulla sua gamba e fece per alzarsi. Così leggiadramente si mise in piedi e rimase a osservarla dall’alto.

“Riposa. Più tardi ti farò portare la cena.” Detto questo, si allontanò da lei e uscì dalla stanza.

Rukia rimase incantata ad osservarlo mentre lui andava via. Con il vestito che si muoveva ad suo passo e l’haori che ondeggiava assecondando i suoi leggeri movimenti, contornando la sua figura longilinea dal portamento sicuro e nobile. Il suo sguardo rimase fisso anche dopo che lui se n’era andato e non riuscì proprio a distogliere i suoi occhi dalla sua immagine che ancora rimaneva proiettata nella sua mente in maniera nitida.
Il nobile Byakuya racchiudeva tutto questo dentro di se. Ed era assolutamente capace di ammaliarla. Anche solo dopo una banale conversazione di cortesia.
Lui era ciò che più si avvicinava al suo concetto di irraggiungibilità ed eleganza. Le sembrava addirittura impossibile che tutto questo si trovasse per davvero davanti ai suoi occhi.


---


“Come non posso riprendere i miei allenamenti?”

La giovane Rukia Kuchiki scattò in piedi di fronte l’uomo ben distinto che da li a qualche giorno sarebbe stato il suo educatore.
L’uomo aggiustò i rotondi occhialini sul naso, nauseato dalla poca grazia della ragazza. Vissuto sempre negli ambienti borghesi, non era per niente abituato al modo di comportarsi certamente più spontaneo di una ragazzina del Rukongai. Per pregiudizio, inoltre, vedeva più facilmente il male che il bene in lei. Per di più, il vocio sull’adozione di quella ragazza nella nobile famiglia Kuchiki già stava facendo il suo corso, ed erano ormai diversi i pettegolezzi in giro su di lei, cose che certo non stuzzicavano solo le persone di rango medio-basso, ma forse più gli altolocati, che amavano tenere in vita i loro discorsi da salotto con notizie di questo genere.

“Le ho già detto, signorina Kuchiki, che ci sono diverse cose che dobbiamo riguardare della sua educazione. Per questo il signor Kuchiki Ginrei ha disposto che dovrà sospendere tutte le sue altre attività, intanto.”

Era già la seconda volta che le rispondeva in quel modo. Credeva forse che fosse stupida?
Rukia aveva compreso che, avendo da sempre vissuto per le strade di periferia, certo non aveva innato quel modo di fare regale tipico di un qualsiasi membro nato in una famiglia nobile. Però perché addirittura dare tale disposizione?
Dal canto suo, l’istruttore riprese a parlare, sempre guardandola con la puzza sotto il naso.

“E me lo lasci dire, avremo molto su cui lavorare. Ora mi rendo conto che le valutazioni del signore erano del tutto corrette.”

“Certo. Perchè lui non mi può vedere, no?” rispose lei fra se, alzando le sopraciglia e deformando le labbra in una sorta di smorfia.

Non seppe cosa la trattenne nell’uscire ed andarsene da quella stanza. Sapeva perfettamente che era stato Ginrei Kuchiki a parlare a quel modo di lei e a dare tutte le disposizioni per trasformarla in una ragazza nobile, facendola passare intanto per una rozza.
Che lui non la sopportasse, oramai era chiaro ai suoi occhi. Rifiutava di vederla come un membro della famiglia, come una futura erede del suo casato. Ancora adesso, se parlava dei Kuchiki, faceva ben attenzione a non coinvolgerla e a farla sentire comunque in disparte. Non che lei lo volesse, però quella situazione non era stata voluta da lei. Quindi tanto astio stava cominciando a trovarlo irritante.

“Tanto per cominciare, ad esempio, dovrebbe unire meglio i suoi piedi.”

Disse lui improvvisamente, colpendole le gambe con una piccola e sottile bacchetta di legno, cominciando a girare attorno a lei come una iena.
Rukia non abbassò lo sguardo e lo seguì con gli occhi facendogli capire palesemente la sua disapprovazione. Strinse i pugni e cercò di trattenersi. Quello sguardo saccente ed irritante...sperò in cuor suo che non mettesse troppo alla prova la sua pazienza, perchè se no sapeva glielo avrebbe fatto levare lei. Tuttavia al momento si limitò a lasciare quei pensieri tali, e assecondò il volere del maestro unendo i piedi.

“Adesso si inginocchi, prego.”

Ricambiò ancora una volta il suo sguardo provocatorio, ma continuò a tenere serrata la bocca. Piegò le ginocchia e lentamente scese sul pavimento poggiandosi su di un cuscino di velluto rosso.

“Come immaginavo, ha i movimenti di un elefante, signorina Kuchiki.”

“Io non ho mai visto un elefante inginocchiarsi su un cuscino, signore.” Sussurrò di nuovo, e l’insegnate si voltò verso di lei avendo colto appena qualche parola.

“Come, scusi?”

“Oh, niente.” Disse lei con fare arrogante, guardandolo con un’espressione da santarellina. L’uomo capì che la ragazza lo stava deridendo così rispose anche lui a suo modo, con l’intento di farle abbassare la testa.

“Credo che le nostre lezioni dovranno addirittura raddoppiare visto che non sapete dare un freno neanche alla vostra lingua.” Fece una pausa guardandola attraverso i vetri delle lenti sperando di metterla in soggezione. “Stia dritta adesso, e cerchi di rendere i suoi movimenti più naturali, armonici…”

La ragazza mosse appena le spalle, cercando di posizionarsi bene, ma non ebbe il tempo nemmeno di assumere una qualche posizione che subito l’uomo quasi le urlò contro.

“E’ un completo disastro, ma si guardi. Dritta, si sistemi con fare aggraziato.”

“Ma io non mi sono neanche mossa..!”

“Forza, non ci vuole mica tutta una giornata per posizionarsi correttamente.”

“Le sto dicendo…”

Prima che potesse completare la frase, l’uomo la colpì di nuovo.

“Si muova, non ho tutto il tempo. Mi sa che dovrò informare il nobile Kuchiki che lei non si impegna, signorina. Altro che una settimana, con lei mi sa…”

“Adesso basta!!!”


---


In casa Kuchiki cominciò ad esserci un subbuglio davvero insolito.
I servitori correvano da una parte all’altra, allarmati, non sapendo bene come comportarsi. Il caos sembrò calmarsi con l’arrivo di Ginrei Kuchiki, che casualmente quel giorno non si era allontanato dalla sua abitazione. Fece prontamente convocare Rukia nella sua stanza di lavoro, e si sentì altamente mortificato e disonorato quando si ritrovò la giovane ed il suo istruttore davanti agli occhi.

“Lei…Lei…è una squilibrata, mi perdoni signor Kuchiki! Ma è letteralmente impazzita. Sono…sono scioccato da tale insolenza.”

Disse il maestro portandosi più volte un fazzoletto sulla bocca, per pulirsi dal sangue ancora appiccicato sulla faccia, che fino a pochi attimi prima fuoriusciva fresco dal suo labbro superiore.

Ginrei guardò accigliato Rukia. La ragazza non ricambiò il suo sguardo, perfettamente consapevole che non le avrebbero lasciato spiegare la sua versione dei fatti.
Dal suo punto di vista, la ragazza sapeva di aver sbagliato a colpirlo. Non che ci volesse molto a capirlo. Però quell’uomo, se così poteva definirlo, aveva turbato la sua psiche e ripetutamente aveva messo a prova la sua pazienza in meno di un quarto d’ora. Se l’aveva colpito era solo perché se l’era cercata. Doveva già ritenersi fortunato visto che nel Rukongai reagiva per molto meno, visto che doveva badare da sola a se stessa.

“Sono costernato. L’avevo informata del carattere della ragazza, che adesso, sono sicuro, porgerà le sue scuse.” Intervenne di nuovo Ginrei mantenendo un tono una postura ferma. Portò lo sguardo verso Rukia e notando l’espressione assente e non curante della giovane, alzò leggermente i toni. “Rukia. Porgi immediatamente le tue scuse.”

Rukia continuò a sostenere la sua posizione, imperterrita. Non le importava cosa avrebbero pensato di lei.
L’insegnate allora riprese parola, come se già non avesse fatto abbastanza per mal disporla.

“Signore, so bene che la colpa non è vostra.
E’ questa gente del Rukongai che non sa quando abbassare la testa. Sembra strano data lo loro posizione, ma è proprio così. Eppure dovrebbero rivalutare questo loro modo di fare date le condizioni in cui…”

“La smetta!”

Il silenzio piombò in quella stanza.
Tutti rimasero inorriditi nel vedere la ragazza agire in quel modo, in presenza del capofamiglia per di più.

“Come si permette a parlare così di cose che non conosce nemmeno?! Lei non sa nulla! A noi non importa cosa pensa. Piuttosto dovrebbe essere lei a rivalutare la sua posizione!”

La ragazza, presa da una forte scarica di adrenalina, aveva perso il controllo. Cominciò a tremare ed urlò contro quel uomo, che invece si definiva dotto ed istruito, non curante delle conseguenze, sotto gli occhi attoniti dei presenti.
Mentre stava ancora pronunciando la sua frase, sentì il fusuma alle sue spalle strisciare. Il rumore impercettibile di quei passi, l’aria che appena si muoveva…una presenza che ormai riconosceva a distanza, anche solo attraverso il semplice respiro.
Si voltò e spalancò gli occhi alla vista di Byakuya Kuchiki.
Era vestito di scuro, come al solito, avvolto nella sua lunga sciarpa bianca, e la guardava con quei suoi occhi intransigenti ed irraggiungibili.
Rimase immobile, tremante, incapace di riorganizzare i suoi pensieri. L’unica cosa che dopo qualche secondo riuscì a fare fu un profondo inchino verso di lui.

“No-nobile Bya…nobile Byakuya!” si morse le labbra. Proprio non le venne di dire ‘fratello’. Non ci riusciva nonostante lui glielo avesse espressamente chiesto. Byakuya sembrò farci caso, e per un attimo sembrò anche infastidito nell’essere stato chiamato così. Questo rattristò ancora di più Rukia, già mortificata della pessima figura fatta proprio davanti a lui.

“Cosa succede?”  chiese lui asciutto, con quella sua voce calda e pacata, severa ed autoritaria. Una voce che la seduceva e l’atterriva allo stesso tempo.

La ragazza alzò gli occhi verso di lui, mentre il giovane dai capelli neri li rivolgeva a sua volta a suo nonno, che lo ricambiò serio per poi scuotere la testa con disapprovazione.

“Rukia, puoi andare.”

Rukia rivolse due occhi molto sconfortati verso Ginrei Kuchiki, che le aveva appena ordinato di allontanarsi dalla stanza.
Si sentì profondamente mortificata. Sapeva che adesso avrebbero parlato di lei, e ne avrebbero parlato male. Chiuse gli occhi.
Si piegò di nuovo, dopodichè raggiunse il fusuma e li lasciò soli.
Non appena mosso qualche passo, già vide l’ombra del nobile Byakuya prendere posto, e la voce del suo istruttore prendere parola.
Istintivamente aumentò il passo per allontanarsi più velocemente. Non voleva sentire cosa avessero da dire, non voleva sapere cosa avrebbero detto su di lei a Byakuya. Così velocemente si inoltrò per i corridoi della casa, non sapendo di preciso dove dirigersi.
Era in quella abitazione da pochissimi giorni, non sapeva già orientarsi in quegli spazi immensi, così arrivò fino in giardino e si sedette sull’orlo di una delle fontane di marmo li posta, lasciando che lo schizzo dell’acqua la colpisse di tanto in tanto. Il rumore di quello scroscio l’aiutò a sentirsi meglio, e i suoi nervi presero finalmente a rilassarsi almeno un po’.

Riaprì gli occhi.
C’era un bellissimo profumo di erba tagliata in giro. La temperatura dell’aria era perfetta quel giorno, ed un lieve venticello rinfrescava quel leggero tepore che sentiva su di se.
Certo che, visto la dì, quel posto non era poi tanto male. Visto da quella prospettiva, sembrava un luogo incantato, la classica abitazione in cui chiunque sognerebbe di vivere. Solcate le sue mura, invece, si avvertiva immediatamente la pesantezza delle persone che ci abitavano e delle regole sulle quali vertevano. Però, fuori, c’era una calma rilassante e piacevole. Un silenzio dolce, che non le portava alcuna inquietudine, e anzi, la trasportava in una dimensione di assoluto benessere.
Rimase lì senza controllare il tempo che trascorreva, senza importarsi di nulla.
Se ci fosse riuscita, quello sarebbe stato il suo rifugio. Dopotutto, non le sembrava molto chiedere una stanza che affacciasse sul giardino. Magari quando le cose sarebbero andate meglio. Intanto voleva godere di quell’attimo quanto più le sarebbe stato concesso.
Distrattamente prese a guardare di nuovo verso la casa.
Chissà se un giorno sarebbe riuscita a sentirsi parte di loro. Era così difficile abituarsi a qualcosa di così estraneo.
Adesso aveva una casa, una famiglia, ricchezza e portava l’alto nome dei Kuchiki. Quelle persone le avevano donato una nuova vita, un vita che non aveva meritato, le era stata donata. Per questo, nonostante i suoi turbamenti, doveva cercare di moderarsi ed essere molto, molto più riconoscente verso di loro. In cuor suo lo era per davvero. Ma i suoi dubbi e le sue paure erano troppe per far si che manifestasse apertamente i suoi sentimenti.
All'improvviso i suoi occhi si puntarono di nuovo sulla figura del ragazzo dai capelli neri, che passeggiava parecchi metri distante da lei sulla passerella che contornava il giardino.
Camminava con la sua solita fierezza, sfilando con una eleganza imparagonabile, facendo oscillare il lungo kimono nero.
Ogni volta che lo vedeva aveva un attimo di vertigini ed il suo cuore cominciava a pulsare. Rimase immobile, seguendolo incantata con gli occhi, non sbattendo le palpebre neanche per un momento, finché lui non svoltò un angolo e sparì dalla sua vista. Solo allora riprese coscienza e si rimise di scatto in piedi.
Era solo adesso, era la sua occasione per scusarsi per il suo comportamento.
Chissà cosa gli avevano detto quel insulso maestro e il nobile Ginrei per demolirla ancora di più. A loro però non dava troppa importanza. Se c’era qualcuno di cui però le importava il giudizio, era proprio lui, Byakuya.
Sicuramente lui avrebbe tenuto molto più in alto il giudizio e le parole di suo nonno, tuttavia Rukia almeno a lui voleva dare delle spiegazioni. O se non quelle, almeno mostrarsi sinceramente mortificata per come l’aveva trovata. Non era necessario che le desse ragione, ma solo che guardasse i suoi occhi sinceri.
Girò lo stesso angolo da dove aveva visto sparire il ragazzo, ma non lo vide. Subito si allarmò facendosi prendere dal panico. Perlustrò il lungo corridoio di corsa. Il nobile Byakuya non poteva averlo percorso tutto così velocemente, eppure era sparito. Subito corrucciò la faccia e si sentì infinitamente stupida per aver desistito prima di raggiungerlo. Si era immobilizzata a guardarlo ed adesso chissà quando le sarebbe ricapitata l’occasione di rivederlo in quella stessa giornata. Perché parlargli dopo sarebbe stato insensato.
Abbassò lo sguardo. Forse, dopotutto, era meglio così. Almeno non avrebbe rischiato di sembrare patetica.
Prese così a ciondolare per il corridoio, strascinandosi quasi.
Sì, perché in verità ci era rimasta davvero male. Sembrava che tutto andasse storto.
Girò vagamente lo sguardo.
Quella zona della casa era assolutamente vuota. Forse non era il caso rimanere lì. Così fece dietro fronte, intenta a ritornare sulla sua fontana. Meglio rimanere lì, che richiudersi in quella sua vuota e triste stan…za.

Mentre formulava i suoi pensieri, fece qualche passo indietro verso un fusuma lasciato appena semi chiuso. Quando era passata prima non ci aveva proprio fatto caso. Sbirciò istintivamente dentro. Dopotutto Rukia era solo una giovane ragazza, che si lasciava attirare da tutto in quella casa, per il suo spirito di fondo molto curioso. Buttò appena un occhio ed impallidì quando focalizzò la figura di Byakuya Kuchiki li dentro.

Sgranò gli occhi e fu assolutamente incapace di distogliere lo sguardo.
Si inginocchiò lentamente e rimase lì ad osservarlo per quel poco che si vedeva da quella fessura. La stanza era grande, libera, e arredata unicamente da un tavolino basso al centro, un futon più grande del suo, di colore blu e decorato con dei delicati ricami su tinta. Intravide anche dei mobili color mogano, ma non si vedeva bene a dire la verità.
Ad un certo punto il ragazzo si posizionò in una zona della stanza a lei più visibile e fu allora che si accorse che lui era nudo.
Arrossì di colpo.
In verità non era nudo, era solo col petto scoperto, ma data la giovane età della bruna, non le era mai capitato di vedere un ragazzo svestito. Per di più non un ragazzo qualsiasi.
Lo vide lentamente raccogliere l’hadajuban dal letto e coprirsi le ampie spalle. Come immaginava, il nobile Byakuya aveva un corpo bellissimo, allenato, e seppur fosse molto magro, i muscoli erano ben evidenti e abbastanza scolpiti. Quel suo sguardo serio a tratti malinconico, poi, lo rendevano decisamente affascinante. Deglutì quando si girò col busto verso di lei, facendole vedere più nitidamente i pettorali. Lui continuò a vestirsi non accorgendosi di lei e, sempre con movimenti molto lenti, chiuse delicatamente il sottile hadajuban, per poi indossare il kimono.
Avvicinò le mani al copricapo che abitualmente aveva fra i capelli. Lo smontò facilmente e lo sfilò via, facendo ritornare al loro posto le ciocche di capelli che intanto si erano scomposte. Non essendosi ancora specchiato, aveva qualche ciocca ancora fuori posto, seppur comunque i suoi capelli fossero sempre in ordine poiché liscissimi. Però rappresentando come era solito vederlo, bastarono quei pochi fili di capelli alzati a dargli un’aria diversa.
Già pensava che fosse un bel ragazzo, ed era innegabile visti i lineamenti regolari. Ma fu allora che si rese conto di trovarlo veramente…bello.
Si sentì ancora più accaldata. Cosa stava pensando? Quell’uomo…quell’uomo le aveva detto lui stesso di voler essere chiamato da lei ‘fratello’. Per di più abitavano sotto lo stesso tetto, lui era un ragazzo nobile, un Kuchiki, per di più nipote di suo nonno. Non doveva assolutamente pensare cose di questo genere.
Anche se…

Riprese ad osservarlo.

Anche se era bello. Non c’era null’altro da aggiungere. Non c'era niente di male a pensarlo.

Si accorse improvvisamente che era scesa un po’ di ombra su di lei. Si voltò lentamente pensando che il cielo si fosse oscurato per via delle nuvole, ma subito si accorse di aver completamente frainteso.
Si pietrificò quando si accorse di avere dietro di se l’imponente figura di Ginrei Kuchiki.
Aveva le mani congiunte sotto le maniche del kimono, e la guardava con uno sguardo sprezzante e indagatore. La ragazza si sentì morire e fu sicura che le sue labbra divennero completamente pallide. Sentì il cuore in gola e rimase lì, immobile, incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
Ginrei, vedendola inginocchiata di fronte la stanza di suo nipote, strizzò gli occhi e le parlò laconico.

“Cosa stai facendo qui?”

La ragazza deglutì.
Cosa poteva mai rispondergli? Tremando, si alzò e gli rivolse appena uno sguardo pieno di sgomento. Dopodichè, in preda al panico, piegò appena la testa in segno di costernazione e scappò via allontanandosi dalla sua vista con una velocità incredibile.

Che…Che figura ci aveva fatto! Cosa…cosa avrebbe pensato?
E se…e se l’avesse detto a Byakuya?!

Si fermò inorridendo solo ad immaginare una prospettiva del genere. Già il nobile Ginrei Kuchiki aveva la sua “bella” opinione su di lei. Se si ci aggiungeva anche questo?
Scosse la testa. Non voleva neanche pensarci!
Così, con il cuore ancora a mille, sgattaiolò nella sua stanza e si butto sul futon maledicendo tutte le stupidaggini che stava facendo, tutte le cose che stava sbagliando, questa sua nuova vita che non l’apparteneva. Girò lo sguardo e si vide ancora lì, riflessa in quel grande specchio che non faceva che perseguitarla.
Guardò sprezzante la sua figura, con le lacrime agli occhi e colmi di malinconia e rabbia. Non poteva restare lì, era tutto troppo più grande di lei. Non ce l’avrebbe mai fatta! Come avrebbe mai potuto diventare una di loro? Non ne aveva le qualità, non aveva le competenze, non aveva assolutamente nulla. Aveva però i suoi sogni, la sua forza d'animo e i suoi amici...perchè? perchè le sue uniche certezze non si riflettevano con lei in quello specchio? Perchè doveva vedere una se stessa che non riconosceva e che non avrebbe mai riconosciuto? Quella Rukia non era lei. Dove aveva lasciato i suoi sogni? Dove era finito il suo mondo? Era giovane, ma non così tanto da ricominciare proprio tutto.
In un attimo di rabbia, cominciò a battere con le mani ripetutamente sullo specchio, facendolo vibrare ad ogni colpo, fino a quando si cominciarono a creare delle crepe. Non si fermò e continuò a colpirlo, finché si spaccò e dovette ritirare la mano sanguinante, che prese a pulsarle dal dolore, con una grossa scheggia ancora conficcata nel palmo.
Gemette, portando la mano sul petto e sorreggendola con l'altra. Cominciò a piangere più intensamente, le sue labbra presero a tremare fra i singhiozzi, non solo per il dolore fisico. Il suo lamento divenne così forte che i domestici dovettero affacciarsi per controllare cosa fosse successo. Si allarmarono quando videro lo specchio frantumato, e centinaia si schegge attorno alla giovane Kuchiki, con la mano e il kimono sporco di sangue. Le vennero vicino, ma lei non permise loro di avvicinarsi, dimenandosi istericamente. Così questi l'afferrarono di nuovo, intenzionati a somministrarle per l'ennesima volta quei disgustosi calmanti. Rukia era così irrequieta che dimenticò il dolore e fece per scappare via, ma fu subito bloccata da uno dei servi, più massiccio rispetto agli altri, che la prese per la vita e la sollevò da terra facilmente.

"Lasciatemi! Lasciatemi...!! Sigh...sigh..."

"Vogliamo solo curare la sua ferita, si calmi."

"Basta...bas...ta......."

Continuò a singhiozzare. Le avvicinavano alla bocca quell'intruglio e fu costretta ancora una volta ad ingerirlo. Sentì i suoi occhi pesanti e la sua testa leggera.

"Nobile Byakuya..."

Non seppe perchè, ma volle pronunciare il suo nome.
Le si parò nella sua mente la sua figura aristocratica e distinta. Voleva vederlo.
Voleva...

Chiuse gli occhi.

"Signore!"

"Lasciateci soli."

Rukia sentì di nuovo il pavimento sotto i suoi piedi. Aprì appena gli occhi, e si accorse che i servi l'avevano lasciata. Un po' intontita per l'effetto del medicinale, cercò di mettersi bene in piedi, e fu allora che vide di fronte a se il ventre di un uomo vestito di scuro.
Alzò lo sguardo riconoscendo quel kimono e impallidì vedendo Byakuya Kuchiki.
Lui la guardava con severità. Aveva saputo da Ginrei che l'aveva spiato mentre si vestiva?

Le si avvicinò e lei chiuse istintivamente gli occhi aspettandosi un rimprovero da parte sua, cosa che però non avvenne.
Infatti il ragazzo le sollevò il braccio ed osservò la ferita che aveva sul palmo della mano. La ragazza rimase senza parole, incantata mentre lui scrutava il taglio e la scheggia ancora conficcata in esso.
Osservò il suo viso e per la prima volta rimase a guardarlo da vicino, palpitando ad ogni suo tocco, ad ogni respiro che sentiva soffiare sulla pelle della sua mano vicinissima a lui.
Il ragazzo poi prese la scheggia fra due dita e con fermezza la levò via, costringendo Rukia a levare via la mano dalla sua per il dolore lancinante infertole. Subito però si scusò per la sua impulsività e riallungò la mano verso di lui, costernata.
Byakuya la osservò per diverso tempo, soffermandosi sopratutto sul suo vestito imbrattato di sangue. Mosse appena le sottili labbra, schiudendole, poi portò una mano dietro le caviglie della ragazza e con un gesto veloce la sollevò da terra, portandola fra le sue braccia. Rukia portò le mani sul petto e arrossì violentemente. Quando lui ricambiò il suo sguardo, abbassò il viso sperando che lui non si accorgesse del suo stato d'animo. Il suo cuore cominciò a palpitare forte.
Abbandonò involontariamente la testa sul suo petto, forse per effetto del calmante, e sentì il cuore di Byakuya battere regolarmente. Era un suono dolce, che la tranquillizzò completamente.
Byakuya rimase in silenzio, trasportando la ragazza in una stanza più sicura dove farla medicare, rivolgendole di tanto in tanto i suoi occhi ed osservandola mentre pian piano lei si abbandonava su di lui e cominciava a chiudere le palpebre ancora inumidite dalle lacrime.
Quell'apparenza debole, quel viso innocente e quella pelle così pallida...rimembrava in lui ricordi che non pensava di poter toccare così con mano.
Gli sembrava quasi di rivivere tutto quello che aveva passato, attraverso un'estranea ragazzina che insopportabilmente non faceva che ricordargli
lei.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bleach / Vai alla pagina dell'autore: fiammah_grace