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Autore: Edward    21/06/2010    2 recensioni
[Simon + Kamina] [Relativamente nonsense + Parallel Work "The Sense of Wonder"]
« Questa sera voglio andare a sentire la Cantante. » mormorò poi, mentre allungava anche l’altra mano per stringergli la sua con entrambe, rigirandola come se fosse un giocattolo particolarmente interessante. La spinse infine verso di sé, un istante dopo, posandosela sulla fronte mentre si voltava verso l’altro. « Vieni con me, Aniki? »
Sentì una fitta al petto, distrattamente.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kamina, Simon
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The One Hundred Prompt Project Titolo:

Titolo: To Tomorrow

Fandom: Tengen Toppa Gurren Lagann

Personaggi: Simon + Kamina

 

Genere: Generale, Malinconico, Non-sense

Avvertimenti: One-Shot, Missing Moments, Alternative Universe

Timeline: Parallel Work: The Sense of Wonder

 

Argomento: 11° [Ordine e Caos]

Prompt: 55° - Libertà

 

Istruzioni per l’uso:

° Questa fanficion fa riferimento al Parallel Work “The Sense of Wonder”, e quindi non alla serie originale. In quell’universo tutti i personaggi –citati e non- hanno caratteri relativamente differenti da quelli di TTGL, in particolar modo Kamina, che non è affatto l’idiota che urla e salta come un matto.

° Quindi per capire questa fiction vi consiglio, se non lo avete già fatto, di vedere questo (http://www.youtube.com/watch?v=qp7Mh9eslbE) video, che rappresenta appunto il mondo su cui ho scritto. Qui (http://community.livejournal.com/gurren_lagann/576216.html) inoltre trovate scans e traduzioni del video, nonché spiegazioni sui personaggi.

° Aggiungo infine che questo Missing Moments è da collocare temporalmente prima dell’inizio del video, e quindi della fuga.

° Credo di aver detto tutto, buona lettura <3

 

 

 

 

 

To Tomorrow

 

 

 

 

 

« Do you know what these mean? They're identification numbers in the order that we're created in.

It means we can't live anywhere but here... »

 

 

 

 

 

Poteva sentire la sua spina dorsale premere contro le proprie dita leggere, vertebra dopo vertebra, e la consistenza dura delle scapole tra i polpastrelli. Poteva sentire il suo respiro lento e calmo, pacato contro la stoffa chiara delle lenzuola, e i capelli morbidi sfiorargli la pelle - mentre vi infilava dita mano e polso per il semplice gusto di toccarlo.

Poteva sentirlo, vivo come lo vedeva ad occhio nudo, e ogni volta si domandava come potesse essere possibile.

Mentre compiva poi il percorso inverso, riprendendo a muovere il braccio come fosse un pennello su tela bianca, volle andare a sfiorargli i fianchi con la punta dell’indice – facendo trasalire il corpo nell’insinuare un accenno di unghia nel gesto.

Kamina aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il riflesso della prima luce dell’alba sulla parete, e si voltò sul fianco. Simon ritrasse la mano, esitando appena, e artigliando l’aria con le dita la ripose tra le proprie gambe, incrociate diligentemente sul letto sfatto.

Ci fu silenzio, così come da quando quella donna se ne era andata fino a quel momento, e Simon vide chiaramente l’uomo tentare di focalizzare il tutto. Lo vide girarsi sulla schiena, ancora, e inspirare piano nel posarsi una mano sul viso. Vide le coperte sfaldarsi sotto quel movimento e in parte lo vide nudo, anche se non abbastanza da fargli provare imbarazzo.

« Ti ho svegliato? » domandò allora, pacato –come se ancora stessero sognando entrambi, come se la voce della Cantante risuonasse ancora da muro a muro- mentre allungava entrambe le mani per coprirlo di nuovo, fino al ventre piatto e lisco, libero dai tatuaggi che non aveva mai avuto.

Kamina scostò appena il braccio, seguendo con lo sguardo i suoi movimenti, e tornando a chiudere gli occhi scosse piano la testa la testa.

Simon annuì, come avessero entrambi saltato parte della conversazione, e gli si stese affianco. Arricciò le labbra, ritrovandosi a fissare il soffitto, e tendendo il braccio verso l’alto sentì la luce del sole filtrare attraverso la propria figura. Aprendo il palmo della mano e le dita sottili, come un ventaglio fatto di carne e ossa, poté chiaramente sentire la pressione della gravità spingerlo contro il materasso non troppo cigolante.

« Non dovresti venire qui mentre dormo. » disse Kamina, e la sua voce sembrò ancora addormentata, tenue ma seria, rigida. Aveva perso da tempo l’ardore dello schiavo che credeva di non essere, lasciando al suo posto il ricordo amaro e l’ombra della ribellione. Non aveva mai smesso di odiare le regole, ma non aveva neanche cercato di contestarle. « Lord Genome manda sempre qualcuno, di prima… »

Simon ruotò il polso teso, piegando il gomito verso l’altro con un movimento fluido, e insinuando le dita tra le sue lo costrinse implicitamente a sollevare a propria volta il braccio, a mostrare il volto e l’espressione del viso.

« Lo so. » disse poi, battendo piano le palpebre, mentre si perdeva a fissare mani e braccia, muscoli tesi e tatuaggi ormai sbiaditi.

A Simon non piacevano, quei tatuaggi. Erano catene mentali, ricordi su bambole che ricordi non ne avevano. Ne amava la forma e il colore, il senso di forza che donavano a Kamina, ma non li invidiava.

Sentì Kamina voltarsi verso di lui, mentre lo lasciava fare, e non poté far a meno di abbozzare un sorriso pacato, che non mostrava né denti né lingua.

« Questa sera voglio andare a sentire la Cantante. » mormorò poi, mentre allungava anche l’altra mano per stringergli la sua con entrambe, rigirandola come se fosse un giocattolo particolarmente interessante. La spinse infine verso di sé, un istante dopo, posandosela sulla fronte mentre si voltava verso l’altro. « Vieni con me, Aniki? »

Sentì una fitta al petto, distrattamente.

Non erano fratelli, lo sapevano entrambi. Bambole di fatto e di nome non avrebbero neanche saputo dire, cosa fosse un legame fraterno. Ma in quei momenti, sotto le lenzuola consumate dalla passione di qualcun altro, Simon si sentiva al sicuro. Gli bastava intrufolarsi nella gabbia privata di Kamina per sentirsi un po’ suo, per sentirsi meno solo in attesa dell’arrivo della piccola Nia. 

L’uomo lo fissò, con l’espressione di chi prova nostalgia e non ne capisce il motivo, sfilando la propria mano dalla presa del più piccolo. Sollevò il braccio di poco, per scostargli una ciocca della frangia, e posò un paio di dita sul marchio che gli graffiava da sempre la fronte.

Non se ne sarebbero mai potuti andare, nessuno dei due. Né Simon né Kamina, né Yoko e neanche i piccoli Gimmy e Darry.

Riflessi di specchi rotti che non esistevano, granelli di polvere che volteggiavano nella luce viola della sala da ballo.

« Devo lavorare, Kyoudai. » replicò dopo un po’ lui, con una punta di stanco e irriverente divertimento nel tono della voce. Gli picchiettò un dito sulla fronte, quasi schioccando le dita, e poi si mise a sedere.

Le lenzuola scivolarono nuovamente verso il basso, con un fruscio -come un ruscello che versa a valle- e Simon si corrucciò. Sbuffò, alzandosi a propria volta, e si affrettò a coprirsi nuovamente la fronte. Sorrise ancora, inclinando il viso di lato, e tornò ad incrociare le gambe sul letto.

« Potresti venire comunque. » insistette, annuendo convinto.

Kamina pensò che avrebbe potuto, ma anche che sarebbe stato complicato. Non a fatti e neanche a parole, non per Lord Genome e neanche per Yoko.

Scese dal letto, lasciandosi scivolare a terra, e nel movimento si portò dietro parte delle lenzuola. Mosse un passo avanti, si sentì tirare all’indietro e sgranando gli occhi cade nuovamente sul letto.

Il mondo si ribaltò, insinuandosi nel profondo, e Kamina si ritrovò ancora una volta a guardare il piccolo Simon, che piccolo non lo era più.

Lo vide allungare le mani e posargliele ai lati del viso, contro le guance, mentre al contrario si chinava per posargli la fronte contro la sua.

« Ce la faremo, Aniki. » disse quello, chiudendo gli occhi. « Non so come e non so quando, ma ce la faremo. Me l’hai insegnato tu, da qualche parte, in qualche modo. »

Gli batteva forte il cuore, tanto da sembrare doloroso.

« Non possiamo fuggire, non ancora, ma possiamo ribellarci. Combattere, in qualche modo, vivere. »

Gli mancava semplicemente il respiro, nel profondo, in un lento pulsare di sorpresa e rammarico, apatia e voglia, voglia di alzarsi in piedi sopra il letto e urlare con tutta la forza che aveva in corpo.

« Anche se Lord Genome dovesse vivere in eterno, anche se dovesse stancarsi di noi e rinchiuderci nelle viscere del pianeta. Anche allora, anche in quel caso, ci basterà farci forza e scavare, salire verso l’alto e combattere, ancora, e ancora, e ancora. »

Sentiva la dita premute contro il proprio viso, la frangia scura pizzicargli la punta del naso e i muscoli tendersi, cauti.

Kamina sentiva il cuore battere e l’aria farsi meno, sentiva la speranza e lo scherno, l’apatia, ancora, e l’odore di sesso che da sempre impregnava la stanza.

« Voglio guardare l’azzurro del cielo senza catene, Aniki. »

 

 

 

Risuonava in lontananza, la voce della Cantante.

Riecheggiava da muro a parete, da corridoio a stanza, insinuandosi tra le fessure delle porte e gli squarci delle anime altrui.

Kamina respirava piano, con lo sguardo puntato verso il soffitto –verso il cielo- e restava semplicemente in ascolto, nel silenzio della propria gabbia, lasciando che quella lenta melodia fatta di suoni e gemiti lo distraesse dai propri pensieri.

Si posò una mano sul ventre ancora scoperto, ormai solo nella stanza, e chiuse gli occhi. Raggiunse con la punta delle dita le ossa sporgenti del bacino, soffermandosi in particolar modo sul marchio rosso vivo che vi sostava, e inspirò con forza.

Aprì gli occhi, « Io… non posso venire con te neanche questa volta, Simon. » e poi li richiuse.

 

 

 

 

To Tomorrow

Fine

 

 

 

 

Note:

Uhm, allora. Non ho molto da dire.

E’ la prima fan fiction che abbia mai scritto su Tengen Toppa, quindi abbiate vagamente pietà. Ho inoltre tentato di usare uno stile che richiamasse quello del video, cercando di ridurre il parlato al minimo per non spezzare l’atmosfera creata.

Inoltre Simon chiama Kamina “Aniki” e quest’ultimo lo chiama “Kyoudai”, che sarebbe un modo per dire rispettivamente “fratello” e “fratellino”, ma dato che in giapponese il termine ha molto più significato rispetto alla versione italiana, ho preferito lasciare così com’era.

E poi io la versione italiana non l’ho mica vista, oh.

“To Tomorrow” è, inoltre, la traduzione inglese del titolo della canzone che si sente nel video.

   
 
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