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Autore: Melanto    21/06/2010    8 recensioni
E poi…
E poi c’era lui.
Giulio l’aveva visto per la prima volta proprio quell’estate.
Veniva in spiaggia sempre da solo e sempre alle cinque. Non portava né zaini né borse, ma solo un libro, il cellulare e le chiavi. Si fermava lì, sulla rotonda, accomodandosi in uno dei lettini in vimini dai cuscini rivestiti con fresco tessuto ed ordinava una Caipiroska.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Stella di Sabbia'
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Storia scritta per la “Tricolore–Challenge” di Fanworld.
Colore: “Bianco”
Tipologia: “Originale -> Romantico”

 

La Caipiroska del Duca

Erano già cinque estati che Giulio lavorava allo Stella di Sabbia ed imparare a conoscere i clienti e le loro necessità faceva parte del suo lavoro.
Un lavoro che doveva sempre svolgere al meglio perché quello era uno dei lidi più ‘in’ della riviera romagnola ed i clienti pagavano fior di euro per avere il servizio migliore.
Così, Giulio aveva sviluppato, per necessità, una buona memoria, soprattutto tra i clienti abituali.
C’erano i signori Broschi, ad esempio, che venivano lì da ben prima che lui fosse assunto. Erano una coppietta simpatica ed affettuosa, che Giulio aveva preso in particolare simpatia. Più che altro perché invidiava quell’affetto sincero ed indistruttibile che li teneva ancora uniti nonostante avessero ormai un’ottantina d’anni ciascuno. Sembravano gli eterni fidanzatini.
Arrivavano in spiaggia al mattino presto, quando gli addetti avevano appena finito di sistemare i lettini. Si posizionavano a metà strada tra bagnasciuga e bar, in modo da non essere troppo lontani né dal mare né dalla rotonda, e stavano lì fino all’ora di pranzo. Poi tornavano al pomeriggio, dopo le ore più calde, e alle sei andavano via. Precisi e puntuali come orologi svizzeri. Ordinavano sempre un tè freddo intorno alle cinque e al mattino solo acqua fresca, ma non ghiacciata, e naturale.
Poi c’era la famiglia Russo. Madre, padre e due mostri chiamati ‘figli’: mocciosi insopportabili che avrebbe preso a sberle ogni volta che li aveva a tiro. Non che i genitori fossero tutto questo esempio di educazione, eh. Ogni volta che Giulio serviva le loro ordinazioni, che volevano gli fossero portate fin sotto l’ombrellone, non dicevano mai grazie. Mai. Nemmeno una volta.
Di tutt’alte maniere era la famiglia Mastrogiacomo con la figlia Daniela, che s’era palesemente presa una cotta per lui e a Giulio faceva tenerezza perché era una ragazzina timida che, ogni volta che andava al bar per prendere il solito ghiacciolo all’arancia, arrossiva tantissimo e quasi non lo guardava in viso. Lui, ovviamente, la trattava sempre con un occhio di riguardo.
E poi…
E poi c’era lui.
Giulio l’aveva visto per la prima volta proprio quell’estate.
Veniva in spiaggia sempre da solo e sempre alle cinque. Non portava né zaini né borse, ma solo un libro, il cellulare e le chiavi. Si fermava lì, sulla rotonda, accomodandosi in uno dei lettini in vimini dai cuscini rivestiti con fresco tessuto ed ordinava una Caipiroska.
Indossava sempre abiti bianchi. I pantaloni di lino candido scendevano morbidi sulle cosce, accennandone appena le forme quando camminava. La camicia, dello stesso tessuto e colore, era larga, fuori dai pantaloni e con i primi bottoni sapientemente aperti per lasciar intravvedere ben oltre il collo ma fermandosi all’accenno del petto. Le maniche erano mollemente ripiegate fino agli avambracci ed i capelli biondi, che non sfioravano le spalle, erano tenuti indietro da un piccolo elastico che non riusciva a raccoglierli tutti e lasciava sfuggire alcune ciocche che il giovane provvedeva a sistemare automaticamente dietro l’orecchio.
Ma ciò per cui Giulio era sempre rimasto come affascinato da quello sconosciuto, era il perfetto contrasto dei suoi colori: il dorato della pelle ed il bianco degli abiti, che sembravano avvolgerlo in una sorta di aura sacra; il biondo lucente dei capelli che creava l’aureola attorno al capo.
Banalmente avrebbe potuto dire che sembrava un angelo, anche per via degli occhi chiari, ma, no, era in tutto e per tutto fatto di carne ed ossa e Giulio non avrebbe saputo dire se fosse stata o meno una fortuna, per lui, che non fosse una sorta di miraggio; di certo, era  stata una fortuna che avesse scelto proprio lo Stella di Sabbia come luogo di ristoro pomeridiano.
Anche quel giorno, puntualissimo, il Duca Bianco – come aveva preso a chiamarlo tra sé e sé per via del suo portamento elegante e perché somigliava a Bowie di cui, guarda caso, Giulio era anche fan – arrivò al lido.
Lui lo incrociò che aveva appena portato il tè freddo ai Broschi e quando gli passò accanto, mentre rientrava al bar della rotonda, il Duca accennò un saluto col capo, masticando quel: «Ciao.» che Giulio a stento riuscì a sentire, ma che comprese dal movimento delle labbra.
«Salve!» rispose con entusiasmo, e mentre l’altro lo superava per raggiungere la solita postazione, pensò che i suoi occhi avessero rubato il colore al mare per farlo proprio, tanto si somigliavano le due tinte.
Sempre per uno strano gioco del destino, il lettino di vimini scelto dal Duca, ed affiancato dal basso tavolinetto, era giusto accanto al bar ed affacciava sulla spiaggia, così Giulio non doveva nemmeno fingere d’andare a guardare il panorama visto che poteva osservarlo direttamente da dietro al bancone.
Aveva imparato anche i suoi orari, ormai. Il Duca andava sempre via intorno alle 19:30, mentre loro provvedevano a chiudere il lido e, alle 18, ordinava la Caipiroska da sorseggiare durante la lettura.
Mentre lo fissava con un gomito appoggiato sul bancone, Giulio pensò che fosse un tipo davvero intellettuale, con quell’espressione seriosa sul viso perfettamente rasato e gli occhiali sottili di forma rettangolare calati sul naso. Manteneva il libro appoggiato sulle gambe, dalle ginocchia leggermente piegate, e sfogliava le pagine con misurata lentezza. Tutto bianco attorno a lui: gli abiti, i cuscini, il libro.
Improvvisamente, Giulio si chiese perché si presentasse sempre da solo.
Era un gran bel ragazzo, impossibile che non avesse amici o amiche con cui uscire e andare a divertirsi. Chissà, forse preferiva andare in giro la sera per i localini di cui il lungomare era disseminato. Vero era che non ci aveva mai scambiato più di due parole e solo per prendere l’ordinazione. Magari era noioso e con la puzza sotto al naso. Ma Giulio arricciò le labbra consapevole, quasi a pelle, che non doveva essere affatto così.
Poi, un ronzare fastidioso lo distolse dalla sua contemplazione, facendogli ruotare gli occhi con noia.
«Voglio il Calippo alla coca-cola ho detto!» piagnucolò Robertino, il figlio dei Russo, cominciando a pestare i piedi. «Altrimenti lo dico alla mamma!»
«Sì, ho capito! Che palle che sei!» sbuffò la sorella Federica, di un paio d’anni più grande, ma ugualmente rompicoglioni, per usare un francesismo di Massimiliano, l’addetto alla cassa.
«Dammi due Calippo alla coca.» ordinò la ragazzina, mettendo in pratica l’assenza d’educazione appresa dai genitori.
Giulio approfittò del fatto che i due non fossero nei paraggi – non avrebbe di certo potuto mettersi a far questione con dei clienti, no? Poi il direttore del lido la lavata di capo l’avrebbe fatta a lui –, appoggiò gli avambracci sul bancone e si sporse, inarcando un sopracciglio, ma esibendo ugualmente una specie di sorriso, che era più simile ad una smorfia. «E come si dice?»
La bambina arricciò il naso in segno di fastidio.
«Come vuoi che si dica? Ti ho detto di darmi due Calippo alla coca!» poi incrociò le braccia, girando altezzosamente il viso di lato. «Sono stata chiarissima.»
Ma lui scosse il capo, non intenzionato a capitolare. «A-ah. Non ci siamo. Manca la parolina magica.»
«Uffa. Che palle!» Federica sbuffò di nuovo e Robertino cominciò a piagnucolare.
«Perché non ci danno il ghiacciolo?! Io lo voglio! Lo voglio adesso!»
«Hai sentito? Muoviti, altrimenti lo vado a dire a mia madre!»
Una terza voce, con un tono leggermente più basso ed incerto, s’intromise nella discussione. «Per favore, potresti dar loro i due gelati che ti hanno chiesto?» Daniela, la figlia dei Mastrogiacomo, si attirò l’attenzione di Giulio che la vide arrossire fino alla punta delle orecchie ed abbassare lo sguardo. Lui sospirò con una certa rassegnazione, esibendo un sorriso più sincero nei suoi confronti. Alle sue spalle, Giuseppe, l’altro barista, appoggiò i Calippo sul banco con eccessiva verve, tanto che i due ragazzini sobbalzarono.
«Eccoli. Filate a pagare, veloci.»
Ed il suo tono minaccioso sortì l’effetto voluto. Federica e Robertino si eclissarono alla velocità della luce, in silenzio.
«Tsk. Crisci figli, crisci puorci.» masticò Giuseppe, allontanandosi, e lui continuò a sorridere, mentre prendeva un ghiacciolo all’arancia per Daniela.
«Scusa se mi sono intromessa, ma non te li saresti più levati di torno.» disse, levando lo sguardo su di lui di tanto in tanto.
«Figurati. Volevo solo cercare di insegnar loro un po’ d’educazione.» sospirò ancora, porgendole lo stecco fresco ed invitante. «Fiato sprecato.» concluse, strizzandole l’occhio e Daniela arrossì ancora di più, se possibile, ridacchiando con imbarazzo. L’apparecchio per i denti brillò per un attimo, prima che lei andasse a pagare e scappasse nuovamente in spiaggia. Giulio la seguì con gli occhi, sorridendo, poi, s’accorse d’improvviso che il Duca Bianco stava guardando proprio verso il bar. Il viso girato appena, e lo sguardo d’entrambi che s’allacciò per un breve istante, con sorpresa. Lo sconosciuto lo distolse subito, tornando a fissare il proprio libro e lasciando Giulio con il sorriso di prima ancora aleggiante sulle labbra, ma la sensazione d’essere arrossito.
Poi, anche lui si riscosse, tossicchiando un paio di volte per dissimulare l’imbarazzo e l’occhio gli cadde sull’orologio.
Segnava le 18:15 e gli occhi gli si sbarrarono di colpo nel comprendere che era in ritardo con la Caipiroska del Duca.
«Merda!» bofonchiò, armeggiando rapidamente dietro al banco. Cavò il tumbler basso, lanciandolo quasi sul ripiano; traballò sulla superficie prima di fermarsi. Dalla fila di mensole afferrò la bottiglia di vodka e quella dello sciroppo alla fragola. Lavorò rapidamente con il lime, tagliandolo a cubetti, e lo riversò nel bicchiere assieme allo zucchero di canna, l’alcool, lo sciroppo fruttato e del ghiaccio pilè. Una rapida mescolata col mixing e poi fu libero di decorarlo con una fragola ed una fettina di lime.
Giulio lo osservò con soddisfazione. «Perfetto.» mormorò, appoggiando il bicchiere sul vassoio ed abbandonando il bar per andare a servire lo sconosciuto cliente.
Quando gli si fece vicino, il Duca era ancora immerso nella lettura, ma sembrò accorgersi della sua presenza, perché ebbe la sensazione che gli occhi saettassero per un momento verso di lui.
«Ecco il suo drink, scusi il ritardo.» disse Giulio, appoggiando il bicchiere sul tavolino, mentre il Duca finalmente levò lo sguardo su di lui. Tuffarsi in quegli occhi azzurri gli seccò la gola all’improvviso.
Accidenti se era… figo!
Il giovane lo fissò da sopra gli occhiali da vista con una certa perplessità, prima di abbozzare un sorriso che Giulio trovò letteralmente incantevole e dire: «Ma io… non l’avevo ancora ordinato.»
Lui impallidì di colpo. L’arco felice delle labbra curvate verso l’alto si capovolse repentinamente mentre spalancava gli occhi e si rendeva conto che… aveva ragione! Glielo aveva preparato in maniera meccanica senza nemmeno rendersi conto che, effettivamente, non aveva chiamato nessuno per prendere la sua ordinazione.
«Oh… oddio, ha… ha ragione, mi dispiace, io…» Giulio si profuse in mille scuse, mentre la pelle, olivastra già di suo ed ora scurissima sotto al sole, arrossiva per l’imbarazzo e fu grato che non si notasse. Si passò una mano nei cortissimi capelli corvini, cercando di giustificarsi. «E’ che lo ordina sempre verso quest’ora che… gliel’ho preparato senza pensare. Sono davvero mortificato. Lo porto via.»
Stranamente da quanto immaginato, il Duca Bianco non lo guardò come fosse stato un idiota integrale ed incapace, ma rise divertito, nascondendo le labbra tra le nocche.
«Non ce n’è bisogno.» le dita afferrarono il bicchiere con movimenti eleganti «L’avrei ordinata ugualmente. Ti ringrazio per essere stato così attento.»
Lui balbettò «D-dovere.» e gli volse le spalle, tirando un silenzioso sospiro di sollievo.
Certo che aveva fatto una enorme figura di merda, ma, per fortuna, quel giovane sconosciuto sembrava davvero essere la persona piacevole che gli era sembrata fin dal primo momento che l’aveva visto.
«Giulio.»
Sentire la voce del Duca che lo chiamava addirittura per nome lo bloccò, letteralmente, con un piede a mezz’aria. Nemmeno immaginava che lo conoscesse. Adagio si volse, la sorpresa negli occhi fu impossibile da nascondere.
Il giovane gli sorrise, sollevando appena il bicchiere. «La tua è davvero la migliore Caipiroska che abbia mai bevuto.» disse e si portò il vetro alle labbra, bevendo un breve sorso del liquido colorato.
Lui fissò i suoi movimenti come imbambolato per alcuni istanti, prima che le labbra si distendessero in un largo sorriso.
«Grazie.» riuscì a replicare quando Giuseppe lo chiamò dal bar perché c’erano dei clienti e aveva bisogno di una mano. E mentre tornava al posto di lavoro e lo sguardo del Duca abbandonava il suo per posarsi nuovamente sulle pagine del libro, Giulio pensò che, magari, alla chiusura del lido, avrebbe potuto proporgli di concedersi un altro drink. Questa volta, assieme a lui.

 

Fine

Ed ho portato a termine anche questa Challenge!!! *v*/
Grazie, Fanworld! :*

PS: la frase di Giuseppe è in dialetto campano, ma credo si capisca. XD Comunque è: "Cresci figli, cresci porci" :3

   
 
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