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Autore: vannagio    22/06/2010    4 recensioni
Quel corso era la cosa più stupida che avesse mai fatto in vita sua, secondo solo all’essersi dipinta i capelli di verde per partecipare a una manifestazione contro la deforestazione dell’Amazzonia.
Il marito e la suocera l’avevano convinta - forse sarebbe più corretto dire
costretta - a iscriversi al corso preparto, ma Rebecca era sempre stata scettica a riguardo: stare semidistesa su un tappetino di spugna, per far entrare e uscire aria dai polmoni a intervalli regolari, non era il modo migliore per trascorrere il pomeriggio, secondo lei.
[Storia sospesa]
[Seconda classificata al "Storie Incompiute contest", indetto da (Solly) e giudicato da Kukiness]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quileute, Rebecca Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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"Quando vannagio vaneggia!"



Papà, ti presento tuo nipote!


1. Sorpresa





“Calma e sangue freddo, Rebecca. Calma e sangue freddo”.
Ripeteva mentalmente quella filastrocca da quando l’aereo era decollato, alternando alle parole respiri profondi.
“Andrà tutto bene, vedrai”, cercava di auto-convincersi. “Inspira, espira. Inspira, espira”, provava a far tesoro dei preziosi insegnamenti che le erano stati impartiti al corso preparto. “Inspira, espira. Inspira, espira”.
Al diavolo!
Quel corso era la cosa più stupida che avesse fatto in vita sua, secondo solo all’essersi dipinta i capelli di verde per partecipare a una manifestazione contro la deforestazione dell’Amazzonia. Il marito e la suocera l’avevano convinta - forse sarebbe stato più corretto dire costretta - a iscriversi al corso preparto, ma Rebecca era sempre stata scettica a riguardo: stare semidistesa su un tappetino di spugna, per far entrare e uscire aria dai polmoni a intervalli regolari, non era il modo migliore per trascorrere il pomeriggio, secondo lei.
Tuttavia, mentre artigliava i braccioli del sedile a causa della tensione accumulata e fissava con apprensione le nuvole attraverso il vetro del finestrino, Rebecca si rese conto che presto l’aeroplano sarebbe entrato in fase di atterraggio e che i discutibili insegnamenti appresi in quel corso rappresentavano l’unico appiglio cui potesse aggrapparsi per non farsi prendere dal panico.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
L’uomo di mezza età che sedeva accanto a lei lanciava occhiate preoccupate all’enorme pancione, forse augurandosi che Rebecca aspettasse di raggiungere la terra ferma per partorire. La ragazza - non riusciva ancora a vedersi come una donna adulta, sebbene fosse ormai sposata da tre anni - gli rivolse un sorriso tirato, nella vana speranza che il tizio la smettesse di fissarle la pancia come se si fosse trattato di una bomba sul punto di esplodere. Infondo mancavano ancora alcune settimane alla data prevista per il parto e Rebecca non aveva nessuna intenzione di far nascere suo figlio a bordo di un aeroplano.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
«Non abbia paura, si rilassi!», esclamò improvvisamente l’uomo, distraendola dai suoi pensieri e dedicandole un’occhiata comprensiva e… paterna?
«Scusi?».
Rebecca non era dell’umore giusto per ricevere consigli da un perfetto estraneo, ma cercò comunque di suonare educata.
«Le statistiche dicono che volare è il modo più sicuro di viaggiare», continuò l’uomo, sorridendo in modo rassicurante.
L’irritazione di Rebecca raggiunse il culmine, perciò mandò al diavolo i buoni propositi.
«E che cosa le fa credere che io abbia paura di volare?».
Lo sguardo carico di risentimento che Rebecca gli rivolse sembrò ferire profondamente i sentimenti dell’uomo, il quale infossò la testa nelle spalle neanche fosse stato una testuggine e tornò a leggere il giornale senza aggiungere altro.
Ma Rebecca non si sentiva in colpa, per niente! Il suo stato estremamente estremo giustificava in pieno la sua reazione.
Rebecca era una ragazza di ventuno anni.
Una ragazza di ventuno anni e incinta di sette mesi.
Una ragazza di ventuno anni, incinta di sette mesi e dagli umori facilmente irritabili.
Una ragazza si ventuno anni, incinta di sette mesi, dagli umori facilmente irritabili, che stava facendo ritorno a casa dopo tre anni di lontananza.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
No, la paura di volare non c’entrava assolutamente nulla con il suo particolare stato d’animo… ma l’idea che di lì a poco avrebbe affrontato suo padre, be’, quello sì che le causava qualche problemino!
Perché lei non era soltanto una ragazza di ventuno anni, incinta di sette mesi, dagli umori facilmente irritabili, che stava facendo ritorno a casa dopo tre anni di lontananza… no, proprio no!
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Rebecca era la figlia primogenita di Billy Black e si trovava su quell’aereo per un motivo ben preciso: far visita alla sua famiglia, che non vedeva da quando - alla veneranda età di diciotto anni suonati - aveva rifiutato una prestigiosa borsa di studio di un altrettanto prestigioso college, per sposare un surfista samoano e trasferirsi stabilmente alle Hawaii.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Stava tornando a La Push per informare il suo caro paparino che presto sarebbe diventato nonno.
“Inspira, espira. Inspira, espira” .
Ma se Rebecca non cominciava a darsi una calmata, quel presto rischiava di diventare adesso e la testuggine al suo fianco non ne sarebbe stata molto entusiasta!



Alcune ore più tardi e numerosi “inspira, espira” dopo, Rebecca aveva raggiunto la riserva indiana in taxi. Posò il bagaglio a terra e, prima di raggiungere il portico e suonare il campanello, si concesse qualche minuto per prendere coraggio.
Eccola di nuovo lì, a casa, più vecchia di tre anni, sposata e con un figlio in arrivo. Sembrava passata un’eternità da quando era fuggita con Sol. Si erano sposati a Las Vegas in jeans a zampa di elefante e maglietta di Greenpeace. Poi si erano trasferiti alle Hawaii, dove suo marito aveva trovato un lavoro stagionale come bagnino. A quei tempi Rebecca era una scavezzacollo, una ragazza che agiva sempre e solo d’impulso e che amava l’avventura. Non era cambiata molto, a dire il vero. Certo, i pantaloni a zampa di elefante erano fuori moda ormai, i piercing al naso erano storia vecchia e stava per diventare mamma, ma il suo cuore sarebbe stato sempre quello di una ragazzina vivace, pazza, idealista e casinista, maestra nel combinare guai e far infuriare i genitori.
Rebecca si guardò intorno e notò con nostalgia che non era cambiato nulla da quando era andata via.
La casa in cui era nata, ad esempio, era identica a come la ricordava: una piccola costruzione in legno, con finestre basse e larghe, verniciata di un rosso che adesso, dopo tanti anni, appariva sbiadito e sporco.
Anche il capanno degli attrezzi, in cui Jacob trascorreva le sue giornate a riparare vecchie ferraglie, sembrava lo stesso di sempre. Era stata Rebecca a spingere Jake a coltivare la sua passione per le auto e la meccanica in generale. Era stata così convincente che il ragazzino, all’insaputa del padre, aveva smontato il motore della macchina pezzo per pezzo. Voleva ‘studiarlo’, si era giustificato Jake. Peccato che non avesse la più pallida idea di come rimontarlo. Per pagare le spese del meccanico, Rebecca e il fratello furono costretti a lavorare al negozio dei Call per tutto il periodo estivo.
Il grande abete là in fondo pareva fissarla complice. Nascosta dietro il suo tronco, all’età di quattordici anni, Rebecca aveva ricevuto il suo primo bacio da Sam Uley. Quando Leah Clearwater l’aveva scoperto non le aveva più rivolto la parola, anche se si era trattato solo di un bacio innocente. In fondo… che cosa aveva fatto di male? All’epoca Leah e Sam non stavano insieme.
L’altalena dondolava mossa dal vento. Rebecca, Rachel e Jake avevano trascorso pomeriggi interi su quell’affare cigolante. Una volta le due bambine avevano spinto l’altalena con troppa forza: il povero Jake era finito disteso per terra con un braccio fratturato.
Insomma, era tutto uguale. Tutto identico a come lo ricordava. Anche se…
C’era troppo silenzio! Dove si erano cacciati tutti quanti? Trascinandosi dietro la valigia pesante come un macigno, Rebecca raggiunse il portico e suonò il campanello.
Din don.
Silenzio.
Din don.
Che fosse successo qualcosa?
«Papà! Rachel! Jake!», provò a chiamare.
Nessuna risposta.
“Così impari a non avvisare”, si rimproverò Rebecca, rendendosi conto che non vi erano auto parcheggiate nelle vicinanze dell’abitazione. Non aveva informato nessuno del suo arrivo. L’unico membro della famiglia con cui aveva mantenuto dei contatti costanti era sua sorella gemella Rachel. In quell’ultimo periodo, però, non si erano sentite spesso. Sapeva soltanto che l’estate precedente Rachel era tornata a La Push per le vacanze e che da allora non se n’era più andata.
«E adesso?».
Le faceva male la schiena, aveva le caviglie gonfie e la vescica stava per straripare: in quei momenti Rebecca odiava essere incinta. Aveva bisogno di andare in bagno e distendersi su un letto. Purtroppo non poteva fare nulla di tutto ciò, visto che la casa era deserta e che lei era chiusa fuori.
“Chiusa fuori”.
La chiave di emergenza! Chissà se esisteva ancora.
Con grande difficoltà si inginocchiò per terra. Usando un sottile ramo come leva, sollevò un’asse del pavimento del portico e…
«Bingo!», esultò la ragazza, ammirando la mitica chiave che in passato l’aveva salvata diverse volte. Era stata sua madre a inventare quell’escamotage: spesso, quando la sera usciva con gli amici, Rebecca dimenticava di portare con sé le chiavi di casa. Grazie a quell’espediente, ogni volta che rincasava tardi, la ragazza non era costretta a svegliare tutta la famiglia per farsi aprire la porta. A quanto pareva, anche le vecchie abitudini erano rimaste immutate a casa Black!
Una volta dentro, si precipitò in bagno. Subito dopo chiamò Sol per informarlo che era arrivata sana e salva. Infine, non sapendo se e quando qualcuno si sarebbe fatto vivo, esausta per il lungo e faticoso viaggio, si distese sul letto della camera che per anni aveva condiviso con la sorella gemella. Si rannicchiò sotto le coperte - non era più abituata al freddo di La Push - e si addormentò quasi subito.



Rebecca era sicura di trovarsi in un sogno.
Provava una strana sensazione di calore e a La Push non faceva mai caldo, nemmeno in agosto. Inoltre c’era qualcuno, sdraiato accanto a lei sul letto, che le accarezzava il braccio lentamente e faceva scorrere le dita sulla sua pelle, su e giù, dalla spalla al gomito. Non poteva che essere suo marito, perché anche nei sogni erotici Rebecca era sempre stata una moglie fedele.
Quasi sempre.
Ma, dopo tutto, sognare di trovarsi in atteggiamenti intimi con Johnny Depp non poteva essere considerato un vero tradimento, giusto? Ad ogni modo, Rebecca stava sognando: non aveva alcun dubbio. Tenne gli occhi chiusi per godersi quel dolce tepore, mentre qualcosa di morbido e altrettanto caldo - probabilmente le labbra di Sol - sfiorava la sua spalla.
«Finalmente ti sei svegliata», sussurrò lui.
«Uhm…», mugugnò lei come risposta.
«Non pensavo di trovarti a casa a quest’ora, per giunta tutta sola».
Da quando la voce di Sol era così roca?
Forse stava sognando Johnny Depp. Di nuovo.
Rebecca era sdraiata su un fianco, mentre Sol o Johnny, disteso dietro di lei, le baciava il collo. Le coperte in cui Rebecca era avvolta mantenevano i loro corpi separati. Ciononostante, la ragazza avvertiva il bacino di lui premere contro le sue natiche.
«Hai un odore diverso», constatò lui, fiutando l’aria come un cane da caccia. «Sei stata in spiaggia? Odori di mare».
«Ti piace?», chiese lei, sorridendo.
«Certo, mi piace tutto di te», rispose lui, malizioso e sensuale.
Una mano si insinuò sotto le coperte, si chiuse a coppa sul seno della ragazza e le strappò un ansito di piacere.
«Anche il tuo sapore è diverso», continuò, leccandole il lobo. «Sei… salata».
«Chi sei? Il lupo cattivo?».
Nell’udire quella battuta, le dita del ragazzo si strinsero possessive sul seno di Rebecca. Poi, senza alcun preavviso, la fece voltare e la baciò. Mentre le loro lingue si accarezzavano a vicenda, Rebecca sentì la mano del ragazzo lasciare libero il seno e spingersi più in basso, fino a raggiungere il…
«Cazzo!».
…pancione.
Il ragazzo le strappò bruscamente le coperte di dosso. Rebecca aprì gli occhi e il panico la paralizzò per alcuni secondi. Quella faccia, quegli occhi che stavano fissando sconvolti il suo pancione…
E finalmente comprese.
Rebecca non stava sognando. No, no, no! Rebecca era sveglia.
Si trovava nel letto della sua vecchia camera.
Nella casa di suo padre.
A La Push.
E cosa ancora più importante…
«Tu non sei Sol!».
«Chi?».
«E nemmeno Johnny!».
«Come?».
Le bastò un attimo.
Rebecca afferrò l’abatjour che si trovava sul comodino accanto al letto e con tutta la forza che aveva in corpo colpì in pieno volto l’uomo che ancora la stava sovrastando.
«Ahia! Sei impazzita? Perché lo hai fatto?».
La ragazza non credeva ai propri occhi. L’arma impropria si era frantumata in mille pezzi. Il pervertito, invece, non si era fatto neanche un graffio e continuava a fissarla con sguardo ebete.
«Tu non sei Rachel!», esclamò lui. Gli occhi illuminati da una nuova consapevolezza.
«Cosa?».
Proprio in quel momento la luce della stanza si accese e il tipico rumore delle uova che si rompono attirò la loro attenzione.
«Rachel!», urlarono all’unisono il maniaco e Rebecca.
La nuova arrivata, che aveva fatto cadere le buste della spesa sul pavimento, sembrava essersi cristallizzata sul posto. Gli occhi castani di Rachel, sgranati per lo stupore, si posarono sulla sorella gemella.
«Rebecca!».
Poi si spostarono sul pervertito.
«Paul!».
Infine tornarono nuovamente su Rebecca, la quale con un sorriso tirato sulle labbra esclamò: «Sorpresa!».





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Nota autore:
Salve a tutti!
Come giustificare questa pazzia?
Beh…
È successo che l’altro ieri avevo un disperato bisogno di scrivere qualcosa di nuovo per prendermi una pausa dalla long a cui sta lavorando, così ho aperto un nuovo documento word e dopo qualche minuto ho avuto la folgorazione.
Non ho mai letto una ff su Rebecca Black, la sorella gemella di Rachel. Nei libri della Meyer viene nominata in tutto due volte:
“…Rebecca ha sposato un surfista samoano, adesso vive alle Hawaii…” (Twilight, capitolo sei).
“… Ai membri del consiglio, nessuno escluso, è venuto quasi un colpo quando mia sorella ha rifiutato una borsa di studio parziale e si è sposata…”(New Moon, capitolo sette).
Rebecca è l’unico membro della famiglia Black che non è stato coinvolto nei fatti dei libri e che non sa assolutamente niente riguardo agli eventi verificatisi a Forks mentre era via (perfino sua sorella Rachel conosce la verità, visto che è l’oggetto dell’imprinting di Paul).
Perciò mi sono chiesta, che cosa succederebbe se lei tornasse a La Push, dopo gli avvenimenti di BD?
Con questa ff cercherò di rispondere a tale domanda.
Sarà un fan fiction breve: al massimo tre capitoli.
Il prossimo aggiornamento è previsto tra due settimane.
Spero che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento.

A presto, vannagio.
   
 
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