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Autore: cartacciabianca    25/06/2010    6 recensioni
[ SOSPESA ]
Nel 1459 Bianca de’ Medici sposava Guglielmo de’ Pazzi. Dalla loro unione sarebbero nati 15 figli, ma solo uno questi, consacrando la discendenza diretta di Cassandra della mitologia greca, avrebbe ereditato il dono della veggenza. Grazie alla sua naturale capacità nella pittura, Arianna, accolta nella bottega del Verrocchio di comune accordo con suo padre Guglielmo, intraprese ingenuamente la via dell’arte non a conoscenza del proprio oscuro potere. L’ostinazione della madre Bianca e un matrimonio combinato imminente allontanarono la fanciulla dai pennelli, ma Guglielmo, disperatamente alla ricerca di qualcuno che le insegnasse l’arte perché i suoi quadri (fonte di speculazioni sul futuro) potessero essere il più chiari possibile, permise alla figlia, in segreto e solo 15enne, di seguire le orme di Leonardo da Vinci. A sconvolgere la serena esistenza in bottega fu la condanna a morte della famiglia Auditore, avvenuta nel maggio del 1476 a seguito del processo che vide coinvolti molti, ma non tutti, i membri della famiglia Pazzi.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Leonardo da Vinci , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Ritratti


Prima di entrare, Leonardo si voltò a guardare un pigro sole tingere d’arancio l’orizzonte. Il suo sguardo spaziò oltre tetti di casi e cupole di chiese, dove l’alba di un nuovo giorno si annunciava clamorosamente bandendo le ombre della notte.
L’artista avrebbe voluto soffermarsi a guardare quello spettacolo meraviglioso come faceva tutte le mattine, ma ad impedirglielo era un sonno prepotente dovuto al viaggio estenuante appena concluso. La sua stanchezza estrema dipendeva anche dalle fatiche acconsentite nella bottega del Verrocchio, dove si era offerto di dare una mano con tanta gentilezza.
Ora se ne pentiva, se ne pentiva amaramente. Le palpebre pesavano sugli occhi azzurri più del quadro che portava sotto braccio, avvolto in una tela. Le gambe stavano cedendo e, quando entrò in bottega, dovette appoggiarsi subito al tavolo più vicino. Aveva le tendenze di un ubriaco; se Tommaso l’avesse visto in quel momento, avrebbe pensato che il suo uomo si fosse unito alle baldorie organizzate dai garzoni di Andrea. L’avrebbe sgridato come fa una madre permalosa e l’avrebbe spedito a letto con i calci al culo. L’idea non lo infastidiva troppo, si scoprì a pensare con un mezzo sorriso.
Lasciò il dipinto sul tavolo e andò a richiudere la porta senza fare rumore. Salendo malfermo le scale di legno, gettò distrattamente un’occhiata al salone in penombra. Si fermò a metà della rampa e tornò indietro di un gradino rischiando d’inciampare. Quando si voltò del tutto, vide con chiarezza ciò che, bene o male, si sarebbe dovuto aspettare di trovare.
Ripercorse i propri passi fino all’ingresso e raggiunse l’ampio scranno nascosto nell’oscurità. Lì, tra le ombre di una trentina di volumi impilati come una muraglia, si nascondeva un piccolo corpo di giovane donna. Delle candele disposte attorno alla sua figura restava un misero stoppino immerso nella cera, un po’ della quale era strabordata e colata sulle copertine dei libri.
La sua allieva giaceva sulla scrivania con una guancia poggiata sui fogli e un braccio disteso, le dita della cui mano intrappolavano con delicatezza la piuma d’oca bianca. Un po’ dell’inchiostro le era finito sul viso, che premeva sui disegni interrotti a metà, un altro po’ si era essiccato nel canale della penna che Leonardo le sfilò dolcemente dal palmo. Ripose la piuma bianca tra le altre compagne colorate in un contenitore di terracotta e richiuse il barattolo dell’inchiostro con un tappo di sughero, sperando che non si fosse già seccato anche quello.
Arianna doveva averlo aspettato sveglia finché le forze l’avevano concesso. Aveva cercato una distrazione nel disegno finendo col riempire pagine e pagine di schizzi, ma dal respiro profondo e regolare della ragazza, Leonardo intuì che aveva ceduto non prima di qualche ora prima. Leonardo non riuscì a scacciare l’idea di aver lasciato consumare tutta quella carta pregiata e costosa alla sua allieva, ma allo stesso tempo si addolcì nel gettare un’occhiata all’ultimo disegno fatto dalla fanciulla.
Era solo uno schizzo, certo, ma i tratti del volto, il collo della camicia, i capelli fluenti e il berretto erano dettagli di un riuscito tributo al suo maestro. Arianna l’aveva disegnato e non una volta soltanto: scostando qualche altro foglio, Leonardo contò almeno una dozzina di se stesso e nelle espressioni più bizzarre. Dallo stupore alla collera, dall’imbarazzo ad un semplice broncio, Arianna aveva dato piena nota della qualità espressionistica nei propri ritratti. Leonardo se ne sentì immensamente imbarazzato, ma ugualmente commosso mentre sulle labbra gli compariva lo stesso sorriso che Arianna aveva saputo “copiare” tanto fedelmente.
Immaginando che sarebbe potuto crollare in sonno affianco alla sua allieva, Leonardo si costrinse a svegliarla. Prima le scostò una ciocca dei capelli da davanti gli occhi chiusi, poi le carezzò la testa aspettando una sua reazione.
-Arianna- chiamò, -Arianna, svegliati-.
Lei si destò sorridendo, si mise seduta composta, stropicciò gli occhi e guardò un istante il suo maestro. –Leonardo- mormorò prima di gettarglisi al collo, abbracciandolo.
Leonardo barcollò. –Anch’io sono felice di vederti-.
Arianna lo lasciò andare di colpo. –Come è andata a Careggi?- volle chiedere entusiasta, ma senza riuscire a nascondere lo sguardo assonnato.
Leonardo le carezzò il viso e le scrostò dell’inchiostro dalla guancia. –Di questo parleremo domattina. Non permettiamo alla stanchezza di uccidere la ragione di entrambi- le sorrise affabile.
Arianna annuì, si alzò dal grosso scranno e si stirò il giubbetto. Restare in quella posa contorta, distesa sopra la scrivania, le aveva raggrinzito le maniche della camicia, oltre che premerle oltremodo il corpetto sul seno. La ragazza fece per portare i disegni con sé, ma l’artista le allontanò le mani dai fogli e le lasciò intendere che ci avrebbe pensato lui. Arianna, forse un po’ dubbiosa ma bisognosa di sonno, acconsentì con un sorriso; poi Leonardo la guardò salire le scale. A metà della rampa, la Pazzi si fermò e lo fissò dall’alto, finché il maestro, ancora distratto da alcuni disegni della sua allieva, non si voltò a guardarla.
-Ben tornato- disse lei, per poi riprendere la salita e sparire nel corridoio del secondo piano.
Leonardo rimase immobile fissando a lungo il punto in cui la sua allieva era stata inghiotta dall’oscurità. Quando finalmente si mosse, fu per andare a sistemare le carte disordinate che aveva chiesto ad Arianna di lasciare così come stavano. Le raggruppò battendo i bordi sul tavolo e si accorse che erano in numero ben superiore a quelle che aveva adocchiato poco prima, mentre sbirciava i ritratti che Arianna aveva fatto di lui. Nel gesto di sollevare e posare da una parte la pila di fogli, a Leonardo gliene sfuggì uno. Il papiro svolazzò e si posò in terra. Quando l’inventore si chinò a raccoglierlo, faticando a piegarsi sulle ginocchia senza cadere in avanti per la stanchezza, aggrottò la fronte nel cogliere cosa vi era disegnato: era un mezzo busto di donna ritratta con le mani tra i capelli, la bocca aperta in un grido disperato e gli occhi stretti. Era curata nei minimi dettagli, tra cui le rughe del volto e l’abbigliamento povero, e occupava un intero foglio. Leonardo lo afferrò e se lo portò davanti al naso per guardarlo meglio. Solo allora si chiese cosa avesse spinto Arianna a raffigurare un soggetto tanto macabro e dall’anima colma di dolore. Tornò alla pila di fogli e infilò quello in mezzo agli altri, sollevandone alcuni. A quel punto vide con chiarezza che Arianna, di gente disperata, arrabbiata, euforica o piangente ne aveva disegnata a sacchi.
Bastò un impercettibile spostamento d’aria e l’intero ammasso di fogli si fu sparpagliato sul pavimento. I volti addolorati di donne in lacrime, le sopracciglia aggrottate di uomini sudati e arrabbiati e le urla di bambini spaventati coprirono in pochi secondi il pavimento attorno alla scrivania come un’onda schiumosa sulla spiaggia.
Leonardo si portò una mano alla bocca. Il suo volto era, come quello di molti tra i disegni di Arianna, il ritratto dello stupore, del terrore, dell’angoscia.
La gente ai suoi piedi costituiva una folla che stava assistendo ad un qualche spettacolo abominevole. Gente che stava guardando la morte, gente che temeva e rimpiangeva la morte, e gente che la desiderava altrui. Se da una parte Arianna aveva disegnato donne grondanti di lacrime e bambini spaventati, dall’altra c’erano soldati, uomini o giovani che gridavo parole del tipo: “Sì! Sangue! Morte! Uccideteli!”.
Leonardo poteva sentire le loro voci, poteva circondarsi dei loro corpi e poteva crogiolarsi nel puzzo del loro desiderio di giustizia.
In fine, non potendo più sopportare quella vista, indietreggiò finché non fu con le spalle al muro. Dentro di sé si stavano risvegliando i tormenti che aveva confessato a Sandro durante il viaggio di ritorno: la sua allieva, la sua preziosa perlina, era pazza, pazza o maledetta. Ciò che disegnava era di altri mondi, a partire dai quadri ripugnanti che aveva lasciato nella bottega del Verrocchio o nelle mani della sua famiglia. Quadri, quelli, dei quali Guglielmo si prendeva cura personalmente.
Improvvisamente gli occhi sgranati del pittore caddero su un singolo disegno.
Spiccavano, tra i vari schizzi di pose e particolari, tre figure pendenti per il collo. La prima era un uomo ben vestito, la seconda un ragazzo ventenne, la terza solo un bambino.
Quella fu la goccia: Leonardo si chinò e raccolse i fogli con foga. Corse dall’altra parte della bottega e li gettò nel camino. Li coprì di legna e cosparse il tutto con l’olio di una lampada. Quando il fuoco si accese, il pittore si rese conto di star respirando a fatica. Si lasciò cadere sulla poltrona alle proprie spalle e fissò le fiamme ardere gli studi della sua allieva.
Non avrebbe voluto farlo. Era combattuto, ma non avrebbe dovuto farlo comunque. Lui più di tutti sapeva cosa volesse dire essere diversi, diversi agli occhi delle persone; lui più di tutti aveva compreso solo in parte, ma stava imparando cosa significasse portare il peso della diffidenza sulle proprie spalle, il peso di gente brava solo a criticare senza capire, soffermarsi a studiare, a comprendere la natura umana e tutte le sue forme. Eppure Leonardo aveva paura, paura di aver preso tra le mani qualcosa di molto più grande della mera natura animalesca dell’uomo. In lui stava crescendo il timore di aver accolto tra le braccia qualcosa di magnifico ma altrettanto pericoloso. Arianna aveva un dono per l’arte, ma aveva un dono anche per qualcos’altro.
Poi si addormentò.
















.:Angolo d’Autrice:.
Poverissimo capitolo di appena tre pagine. Avete tutto il diritto di uccidermi per l’affronto abominevole a questa storia o alla letteratura italiana in generale. Pubblicare quest’estratto del finalmente ritorno di Leonardo nella sua bottega è stata una necessità. Dall’indomani, vedrete, date le circostanze, cambieranno molte cose sia nella routine dell’artista che in quella della protagonista. Ho intenzione di dare una bella batosta ad Arianna. (Ehm… non pensate a male… o forse dovreste? O.o)
Nonostante io arranchi faticosamente nel mio dovere di scrittrice (e ancor più dolorosamente in quello di lettrice e commentatrice) sappiate che in questi giorni non mi darò pace per portare ad un livello presentabile i capitoli successivi.
Grazie ad eventuali lettori, recensori o nuovi curiosi. Purtroppo non ho tempo di dilungarmi troppo, sto crollando dal sonno…
^^ A presto!
Caltaccia.
   
 
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