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Autore: SinnerCerberus    29/06/2010    0 recensioni
Bene, questa è la mia main story ri-scritta. Non ho nulla da dire in particolare, solo: leggete.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rimasi giorni immobile, seduto a terra, a casa mia. Non ero depresso, non ho subito uno shock, semplicemente avevo bisogno di riflettere sull'accaduto. In realtà non ho pensato a nulla, nella mia testa potevano volare delle mosche tanto era vuota. Ho la forte sensazione di non essere completamente meccanico. Se dovessi classificarmi in qualche modo, non mi chiamerei androide, né Cyborg, né macchina. Sento di essere ancora umano, e soprattutto so di provare sentimenti. Decido di punto in bianco di testare la mia resistenza, e provo a non dormire. Per capire quanto sarebbe durata la batteria, insomma. Tre giorni e tre notti dopo, sento decisamente il bisogno di dormire. Con la mente offuscata, non riesco a svolgere nemmeno i compiti più semplici, e provo difficoltà a tenere oggetti tra le mani in modo saldo. Non riesco nemmeno a scrivere il mio nome. Posso dire che la mia autonomia dura almeno settanta ore. Ora chiarito il mistero, posso tornare a scuola. Niente è cambiato davvero, il francese non ha novità, la bionda non mi rivolge la parola, il professore continua ad insultare il rosso. Scopro che la scuola non ha orari, spesso è aperta per giorni ma alcune volte il cancello si chiude nei momenti più sconvenienti. Vivo uno di quei momenti una mattina, non posso entrare perché il cancello è chiuso ed il Lupo osservava l'ostacolo con disappunto. Lo guardo negli occhi e noto le sue occhiaie nere, pesanti, che sfumano col trucco. – Che diamine è 'sta roba? – Mi chiede, nervoso. Guardo meglio, che finalmente ho l'occasione di vedere le due ante chiuse. Sono di ferro scuro, piene di decorazioni e fronzoli, e due esseri deformi sono scolpiti in modo da dare la sensazione di aprire le porte. Le mani dei mostri si congiungono, delineando la forma di una serratura. Ma solo quando il cancello è chiuso. Da aperto sono solo due mani separate. Insomma due mostri gentiluomini che ci permettono di entrare quando gli gira, forte. Sono abituato alle cose strane ormai, e concludo che anche gli oggetti attorno a me stanno cambiando. Il Lupo è contrariato – Credono davvero di poter fare i loro comodi? Non ho tempo da perdere, cazzo, non qui. Dio che mal di testa.. questo sole mi fa star male. – – Mettiti all'ombra, se ti dà tanto fastidio. – Dico io. Lui segue il mio consiglio ed aspetta seduto a terra, in un angolo sotto un muro. Mi chiedo se anche qualcun altro ha cominciato a cambiare fisicamente.. me lo lascia pensare il Lupo, ed anche lui si è svegliato senza ricordarsi nulla. Tre ore più tardi, il cancello si aprì da solo. Ero abituato al fatto che nessuno facesse particolarmente caso alle cose strambe, ma ora sto notando una consapevolezza generale. La situazione è un po' delirante, sembra che un velo di caos sia stato steso sulla città. Anche l'atmosfera si fa più pesante. Il tramonto dura di più, e quando si respira, sembra di inalare il gemello cattivo dell'aria. Il giorno dopo, entrando a scuola, noto che i bordi del cornicione del terrazzo sono piuttosto sfocati. Altre persone lo notano. Non sono molte, ma riesco a vedere una decina di ragazzi guardare in alto. La lezione del giorno non è entusiasmante, il professore spiega perché la frequenza del verso di un gabbiano possa risultare sgradevole ("mi svegliano, ed ho il sonno leggero!") e quante mutande possiede sua sorella (Veramente poche, posso dire.) Il giorno dopo la lezione è tenuta da un nuovo professore, ma scopriamo infine che è un maniaco e non ha niente a che fare con la nostra scuola. Oggi qualche ragazzo ha notato il cancello. Era ora. Il ragazzo con la frangia si assenta spesso, quelle poche volte che lo vedo mi racconta di una palestra che sta costruendo, per diventare più forte nel combattimento. Il Lupo sorride e dice – Fai bene. La lotta nobilita l'uomo. – Non sono molto d'accordo. Il lavoro nobilita l'uomo, non il combattimento. Ma non posso dirlo con certezza. Non ho mai lottato, a quanto ricordo. La bionda è una di quelle poche persone che hanno notato il cancello. Sapevo che in qualche modo era speciale, ed avevo ragione! Mi perdo spesso ad osservarla, e lei non se ne accorge mai. Sono come invisibile. La capra che guardava la montagna, come disse il maniaco. E' sempre distaccata dal suo gruppetto, e guarda spesso fuori dalla finestra, ma non sono mai riuscito a distogliere abbastanza lo sguardo per capire quale fosse l'oggetto del suo interesse. Spesso mi rivolge la parola il ragazzo dai capelli rossi, e chiede di me, vuole sapere come sto. Me lo chiede tranquillo, mentre distende le gambe e si rilassa, nei suoi pantaloni sempre bianchi e la sua camicia rosa. Non sono mai riuscito a capire se anche lui riesce a vedere il cancello o i bordi sfumati del cornicione, perché spesso si impegna a fissare delle cose normalissime. Non so dire se guarda con più intensità il cornicione o un astuccio. E' passato un mese ormai, il tempo vola ed ogni giorno accadono cose curiose. Il tetto, i vasi dei fiori, le finestre, la lavagna: hanno i bordi seghettati, o pezzi mancanti, come se qualcuno con un taglierino magico avesse asportato dei pezzi a caso degli oggetti. Capitano cose come una cattedra senza la gamba o i gabinetti senza sciacquone, che mi preoccupano. Il Lupo ha spostato il banco nell'angolo più remoto della classe, dove arriva meno luce. Ormai non la sopporta più.. Allora io, il francese ed il rosso andiamo da lui a chiacchierare e tenergli compagnia per non farlo spostare e non farlo sentire solo. Il giorno in cui ho preso conoscenza non è stato altro che l'inizio delle stranezze. Altre persone oltre me si sono risvegliate senza ricordarsi nulla, come il Lupo o il francese. Sicuramente succederà ad altre persone. Ragazzi normali notano il cancello deformato, però, e questo mi fa riflettere. Possibile che tutti acquistano man mano una dose di coscienza? Se c'è una cosa di cui posso essere sicuro è che nessuno diventerà un androide come me. Il francese si è svegliato in un posto totalmente diverso dal mio, e non ci sono tracce di macchinari in casa sua. Lui mangia, beve e dorme. Dentro di lui scorre del sangue, non dei dannatissimi fili di ferro. E' da quando ho preso consapevolezza di ciò che sono che non ho problemi con la forzatura del pensiero, e non sento più l'obbligo di pensare alla routine. Sono totalmente fuori dal giro, amici. Al tramonto di un Lunedì, un gruppo di ragazzi tra cui il rosso si accinge ad esaminare il cancello aperto. Vicino è acceso un falò, e pezzi di giornale volano nell'aria rossastra di fine giornata. Dico – Dovreste esaminarlo quando è chiuso, così si capisce che forma hanno i segni fuori. – Il rosso risponde – Non è quello che stiamo cercando. Vedi quelli che trafficano sulle giunture? Stanno cercando di capire che meccanismo c'è dietro. Vogliamo trovare il pazzo che si diverte ad impedirmi di uscire prima di pranzo. – – E come sta andando la ricerca? – Il rosso non risponde, si limita a guardare in modo cupo i suoi compagni. – Sono tuoi amici quelli? – Indico i ragazzi, cambiando argomento. – No, sono un manipolo di gente curiosa. Le cose qui stanno cambiando, ma non capisco cosa.. e raramente se ne parla. Tre-quattro di loro dormono nella scuola, sai? Non hanno più nessuno, un po' come te. – L'affermazione mi colpisce, ma mi limito a scrollare le spalle e dopo me ne vado, lasciando dietro di me un focolare solitario, usato per riscaldare in una notte di primavera. Anche se tutta la città è strana, tutto sembra concentrarsi nella scuola. Un giovedì, io ed il francese veniamo interrotti dalla nostra partita a scacchi da una ragazza dai capelli castani, e lo sguardo addormentato. – Ciao ragazzi, anche se non vi conosco vorrei invitarvi alla mia festa di compleanno. Sto invitando tutti, venite anche voi. – Noto subito che è affiancata dalla ragazza bionda, e sento il profumo delle possibilità. Dò un'occhiata speranzosa verso il mio compagno, ma non vedevo interesse nel suo occhio. Certo, è difficile intravedere qualsiasi emozione nelle sue espressioni comunque. Dannazione, non voglio andarci da solo, dovrò pur trovare qualcuno al mio fianco. – Certo, verremo con piacere – Dissi, sottolineando il plurale. Lei ringrazia e se ne va soddisfatta, dopodiché cala un silenzio imbarazzante, un silenzio interpretabile come "esigo una spiegazione". – Avanti amico, accompagnami alla festa! Non te ne pentirai, ci divertiremo e ci sarà un sacco da mangiare. – – Non so nemmeno chi sia. E nemmeno lei sa chi sono. E se è per questo, non sa nemmeno chi sei tu. – Risponde di rimando. – Sì che lo sa. Sai chi altro lo sa? Quella ragazza bionda. Dio quanto è bella.. non vedi quanto è fantastica? Devo andare a quella festa per conoscerla. – – Perché diamine vuoi conoscerla ad una festa quando puoi benissimo parlarle qui, a scuola? – – In classe è diverso, è sempre circondata da pazze scatenate e comunque troverò dei momenti più appropriati! Avanti accompagnami, ti prego ti prego ti prego ti prego! – E sicuramente l'ho intenerito con le mie ottime capacità persuasive, perché risponde – Vedrò cosa posso fare. – Il compleanno della ragazza dall'aria addormentata è abbastanza vicino, e non si parla d'altro in classe. Scopro che quando disse che "avrebbe invitato tutti", intendeva davvero tutti. Ha invitato chiunque gli capitasse a tiro, per esempio il maniaco che si finse un professore a scuola, sua sorella, vari controllori della stazione ed il bidello grasso. In un momento di tranquillità, mi avvicino all'angolo buio del Lupo e gli chiedo se ha intenzione di partecipare all'evento. – Probabilmente sì, verrò. Non oso immaginare a quante persone interessanti possano esserci. Sarà un nuovo spruzzo di novità, bello! – Risponde lui. Si avvicina il rosso intervenendo – Speriamo che non sia una spruzzata di merda, hah! – Seguito a ruota dal francese, che commenta stizzito – Che finezza. – Ci ritroviamo a discutere della festa, animatamente. Inaspettatamente si avvicina anche il professore, preceduto dai classici insulti di saluto. – Sappiate che l'organizzatrice della festa ha un buon reddito, terrà la festa in una villa molto grande, da quanto ho saputo. Cercate di essere presentabili e di non fare le solite figure da idioti. – Dice il professore. – Non è un problema per me, so già come presentarmi. – Risponde il Lupo, tranquillo. Il rosso invece dice – Piuttosto, cercherete di rimorchiare qualcuno? – Mi imbarazzo e non so cosa rispondere, il Professore invece dice – Io sì. – Segue quindi una discussione sui gusti in fatto di ragazze. A parte per la differenza di età, l'insegnante ed il rosso si trovano d'accordo dicendo che preferiscono le sciacquette. Il francese invece dice – A me piacciono le ragazze semplici e dal volto pulito. Vorrei una di quelle che quando la guardi ti viene da pensare "ah, questa sì che è una ragazza seria, e si prenderà sicuramente cura di me." – Io non dico la mia, non credo di capirne molto di ragazze. Non so dire se una ragazza è bella o brutta, o se ha un bel fisico o meno, sono termini privi di significato, nemmeno li concepisco come termine assoluto. Io riesco solo a capire quando una persona è bella per me, solo per la mia persona. Come la bionda; sembra sia stata scolpita nel marmo con l'obiettivo di farmi perdere la testa, e direi che l'autore c'è riuscito. Il Lupo dopo il suo attimo di riflessione dice la sua – Io voglio una ragazza particolare, splendente, di quelle che saltano subito all'occhio. E comunque non devono parlare, voglio una ragazza silenziosa che mi segua, e, ah!, mi piacciono con gli occhi grandi e sbrilluccicosi– – Tipo nei fumetti giapponesi? – Chiede il rosso. – Si chiamano Manga, comunque esatto, bello, hai indovinato. – Ed assume una posa pensierosa, intrecciando le dita e coprendosi la bocca. Il professore con aria raggiante propone – Facciamo una cosa, ragazzi. Propongo una scommessa! Chi non trova una ragazza in questa festa, deve baciare i piedi a chi l'ha trovata. Ci state, marmocchi? – Il francese mentre giocherella con la ciocca di capelli rossa dice – Non so quanto sia appropriata una proposta del genere da parte sua, professore, ma accetto. – Lupo pensa, poi – Accetto. – Il rosso ridacchia e – Accetto. – Poco convinto, concludo e – Accetto. – Vado a casa del mio amico elegantone, e mi strepito. Voglio sapere il suo nome. E' l'unico nome di cui m'importi. Il francese, il rosso, il professore, il bidello grasso, il maniaco, la drogata, la commessa. Questi soprannomi mi bastano, ma non mi accontento della Bionda. A casa del francese esprimo la mia preoccupazione riguardo il vestiario. Io ed il mio amico vestiamo sempre allo stesso modo. Io per questione di praticità, non ho altri vestiti e basta la mia grigia felpa. Decidiamo comunque di andare a fare shopping ignorando il problema principale: la mancanza di denaro. Ma proprio come previsto, i negozianti non badarono ai nostri acquisti e riuscimmo a scivolare nella sensazione di normalità, uscendo dai negozi senza sganciare un soldo. Al mio amico però questo non piace, dice che è come rubare, ed anche se non ha alternativa preferisce prendere il minimo indispensabile. – Promettimi che non approfitterai mai di questa falla del sistema. Promettimelo.– mi dice. Ed io va bene, promesso, e gli chiedo di aiutarmi a trovare un capo adeguato. Non mi preoccupa la promessa; non posso mangiare e non ho interesse nel prendere nulla nel particolare. Ma come fa lui a trovare cibo senza sapere che può non pagare? Dal negozio prende una camicia, un pantalone nero ed una cravatta scintillante, ma sembra afflitto. Non posso dire che ha lo sguardo triste, però c'è qualcosa in fondo che me lo lascia capire, tipo sesto senso. Sembra che in lui il senso morale esiste, al contrario di me. Quando mostro i vestiti che ho scelto io, sento i commessi ridere a voce alta, facendosi beffe del mio mancato intuito estetico, dannati. Il ragazzo con la frangia si offre di scegliere per me, ma mi presenta cose indicibili accompagnate da una doccia di sguardi incuriositi. Infine, una commessa mora dallo sguardo dolce si avvicina e mi aiuta mostrandomi vestiti adatti ad una festa per ragazzi. Gli credo, li prendo e me ne vado. Personalmente troverei davvero figo un cappotto lungo in pelle, ma non riesco a trovarlo da nessuna parte ed il francese dice che non è adatto ad una festa e dovrò accontentarmi di quello che ho preso. Seppur riluttante, gli credo. Incuriosito dai suoi sensi di colpa, gli chiedo come fa a procurarsi da mangiare. Dopo secondi di silenzio, mi risponde che la cosa è troppo imbarazzante, che non mi risponderà e che spera che io non tocchi più tale argomento, altrimenti si sarebbe offeso tantissimo. La cosa mi inquieta. Decido di lasciar correre e non pensarci più. Passo la notte a casa sua, e spero di restare sveglio tutta la notte per parlare della festa come delle scolarette eccitate ma alle due e trentasei del mattino, decide di ignorarmi ed infilarsi sotto le coperte. Passo la notte seccato ed innervosito, ma mi lascio cullare dalla melodia arcana e mi faccio avvolgere dalla tristezza. Dopo una notte di malinconia, andiamo a scuola. Sebbene domani sia il giorno fatidico, gran parte dei miei compagni di classe si lascia abbandonare sulla sedia e cadono in uno stato di pigrizia pesante, crogiolandosi al sole o lagnandosi. Il professore fuma e legge un libro di barzellette. Io mi trovo ancora all'angolo dell'aula col Lupo, il rosso ed il francese. Pezzi di cenere volano, e grossi quadrati di luce sono dipinti sul pavimento, il sole è estremamente forte. Il Lupo trema e digrigna i denti, non sopporta il calore. – Fa un cazzo di caldo, sono anni che non soffro così. – Afferma. – Che ne sai? – chiede annoiato il francese. – Non ne ho idea, è una sensazione. – – A proposito di anni, ma voi quanto siete grandi? Gli altri mi sembrano così piccoli, rispetto a noi.. – Chiede il rosso. Automaticamente formulo, ho diciannove anni, due mesi e tre giorni, e molte ore e secondi. – Io ho diciotto anni. – Dice il francese. – Anche io – afferma il rosso. – Anche io. – Conclude il Lupo, mentre digrigna i denti. – Io.. da quel che ricordo, ho perso un anno in questa scuola. Questa classe è una quarta, noi tre siamo stati bocciati una volta mentre tu – e mi indica – sei stato bocciato due volte. – Io rispondo – Magari no. Può darsi che non sono di questa classe. Prima di avere l'amnesia potevo essere di una quinta, che ne so. Qui neanche fanno l'appello, ed io semplicemente.. sapevo che dovevo stare qui, ho avuto un grosso sentimento di empatia. Come posso spiegare. Basta pensare che.. – Ma il francese mi interrompe – No, non dilungarti, abbiamo capito. – Cala il silenzio per una ventina di secondi, ed il rosso chiede – Secondo voi cosa c'è dopo la morte? – – Oh santo dio – Il francese si alza incredulo – Ne ho abbastanza – E se ne va. Dopo un'altra decina di secondi, passati col rumore dei passi del nostro amico che se ne andava, il rosso continua – Secondo me non c'è nulla, però solo pensarlo mi fa così paura.. come puoi andare in guerra sapendo che in qualsiasi modo puoi spegnerti per sempre? – – Bello, non ancorarti al mondo materiale. Hai paura perché non vuoi perdere ciò che sei. Pensa agli animali, loro combattono tra di loro e riconoscono la morte come un processo ovvio e naturale. Capito bello? Come un processo ovvio e naturale. – Il lupo scandisce bene le ultime parole. – Ed allora tu in cosa credi? – Chiedo io. Dopo qualche secondo di riflessione dice – Devo ancora pensarci. – Con calma, hai tutto il tempo del mondo. Distolgo lo sguardo soprappensiero. Io in cosa credo? Sono una macchina, eppure mi sento così affine alla religione, così propenso alla fede. L'idea di un essere sovrannaturale che ci segue mi appaga, quasi. Ma quindi il mio corpo è il risultato di uno scherzo di un dio? La giornata passa tra cenere e battute blasfeme, in un batter d'occhio sono già a casa mia. Il tempo scorre in fretta quando pensi alle battute idiote dei tuoi compagni o alla splendida figura della ragazza di cui sei perso. Mi rendo conto che quel manipolo di persone con cui spendo il tempo ogni giorno sono miei amici. Persino quello scorbutico del Lupo posso considerarlo amico. Sorrido e mi stendo sul letto. Immediatamente, mi scollego. Il giorno dopo apro gli occhi e sono nel panico. Non ho idea di dove si trovi la villa in cui si terrà la festa. Per la strada cerco come un disperato qualche indizio. Un po' di persone lo sanno, mi indica la via prima un controllore della stazione, poi un delinquente che si presenta come colui che ha tentato di violentare la sorella della festeggiata e si offre di accompagnarmi. Rifiuto gentilmente e vado da solo. Prendo tre autobus per arrivare, nel viaggio penso a tutti i miei amici che saranno presenti e spero in un minimo di incoraggiamento morale. La casa è maestosa, si staglia tra gli alberi esotici e tropicali di un grosso e lussuoso giardino. Sono le sette e trentaquattro e venticinque secondi, il cielo è già scuro e dal basso ci sono possenti luci e proiettori colorati, messi lì per decorazione, anche se non ne vedo il bisogno. Volano uccelli esotici, dei pavoni elegantemente passeggiano e mostrano la loro coda variopinta, dei pappagalli rossi e blu si appoggiano a trespoli o alle numerose palme disposte in file parallele alla strada che bisogna percorrere per raggiungere l'edificio. La villa ha un portone di legno, elegante e colpito dall'inevitabile mutazione dell'ambiente. Gli mancava la serratura, scomparsa di netto lasciando un buco quadrato preciso. Mi ricorda la gamba mancante del mio banco o lo sciacquone del gabinetto della scuola. Entro e mi trovo in un'ambiente diverso, particolare e decisamente qualcosa non va. Mi ritrovo in quest'ampio atrio, luci viola tingono le pareti. L'aria è soffocante, un profumo dolciastro ma pungente mi colpisce immediatamente. Noto cose bizzarre; al posto del lampadario c'è un enorme fiore, un'orchidea lilla che irradia l'ambiente di un colore malsano. Non sembra un lampadario costruito con una forma particolare, ma bensì un fiore vero e proprio che emana luce. La cosa mi puzza, ma solo metaforicamente. Persone di tutti i generi entrano ed escono, si adagiano, chiacchierano, mangiano tartine o bistecche, mangiano, dormono, vomitano o cercano di aiutare il compagno svenuto. Mi pare di scorgere anche qualcuno in pigiama. Decido di cercare qualche persona che conosco. C'è un vecchio baffuto che suona un pianoforte. Suona una composizione che mi ricorda il carillon della casa del francese. Appena tento di seguire la melodia, subito me ne dimentico. E' lo stesso effetto. Il musicista porta occhiali neri, mi chiedo se ci veda. Lo saluto, ma non mi risponde. Provo a chiedergli se un tempo ha contribuito nella costruzione di un carillon, ma non mi risponde. Che sia anche sordo? O semplicemente non mi dà retta. Ogni tanto un cameriere con un sacco sulla testa passa ed offre bicchieri vuoti e stuzzichini composti da volantini e matite. Rifiuto cortesemente. Mi appoggio ad una poltrona a forma di camelia, o meglio una camelia enorme usata come poltrona, ed aspetto il mio amico con la frangia, o il rosso. Sospetto che il francese non verrà mai. Lo sospetto da quando me l'ha promesso, non è mai stato convinto. Eppure è venuto a comprare i vestiti con me. Che rabbia. D'un tratto l'aria cambia, il profumo si fa più intenso ed alla musica si aggiunge un violino, suonato da una signora con un lungo vestito scuro ed occhiali neri, sarà cieca anche lei? Si avvicinano altre persone, mi chiedo se sto assistendo alla nascita di un nuovo gruppo musicale. Arriva il punto che non riesco a sopportare di non fare nulla e non vedere la bionda, allora mi alzo e vado a cercarla. Vago senza meta nella casa ma trovo solo tipi strambi. In una stanza c'è un uomo che porta a spasso un cane, mentre un corridoio è pieno di gente che mi impedisce il passaggio, e l'unico modo per poter passare è ammettere di far parte della confraternita del buco nero. Una confraternita di cui non ho mai sentito parlare. Trovo qualche indicazione da un maniaco che raccoglie ciocche di capelli, che può dirmi dove l'ha vista se gli lascio tagliarmi una ciocca. Acconsento, e dice che l'ha vista dalle parti del bagno. Vado in ricerca delle toilette, ed intravedo il Lupo in un angolo mentre parla con due ragazze. Mi avvicino a lui con aria impacciata. Ha una camicia blu scuro, pantaloni neri attillati ed una lunga pelliccia nera da signora avvolta sulle spalle. Nonostante tutto fa la sua figura. Le ragazze al suo fianco hanno abiti neri ed antichi, con gonne a balzo come le antiche nobili del '700. Una è albina, l'altra è castana, sono entrambe truccate in modo vistoso. Il Lupo si accorge di me e mi saluta sorridendo, con i suoi denti bianchi e brillanti. – Ehilà, bello! Vieni qui, ti presento queste due bambolone – e loro ridacchiano, ma a me non interessa. Dico – Sì, magari dopo. Hai visto per caso il francese o il rosso? E la bionda? L'hai vista lei? – – Chi diamine è la bionda? – Chiede lui dopo un attimo di riflessione. Ovvio, non si è mai accorto di lei ed io non gliene ho mai parlato. – Non so dove sia il francesino con il capellone rosso, ma posso dire con sicurezza che il rosso non verrà. L'ho visto stamattina e mi è parso in pessime condizioni – Ma certo, non verranno. Come ho potuto sperare e fidarmi di loro? Altro che amici.. non ho parole per esprimermi. Io avevo bisogno di loro. E di certo non posso affidarmi al Lupo, che sembra troppo immerso nel suo mondo. Faccio per andarmene e lui fa – E' la prima volta da tanto che non mi vedi così in forma, vero? Sto così bene, la notte. – dice sghignazzando. Io gli sorrido, scrollo le spalle e vado via, sbattendo contro un tavolo a forma di rosa. Oppure è semplicemente una rosa gigante, non lo so. In un angolo remoto della villa trovo le toilette, composte come dei bagni pubblici misti. Scosto delle lunghe liane e foglie di palma viola che funzionavano da tendine ed entro. Ci sono numerosi urinatoi, ed alla mia sinistra si trovano le cabine private. Sul pavimento viola, colorato dalla luce di un fiore sul soffitto, c'è distesa la festeggiata, che si diverte ad aprire la porta del bagno a calci, fingendosi ignara di tutto il marciume e l'urina che c'è per terra. Lei mi guarda, sorride e mi saluta, silenziosa, ed è l'ultima volta che la vedo, perché muore. Viene trascinata all'interno della cabina, senza preavviso e fiotti di sangue esplodono sul pavimento. Resto immobile. Dal bagno esce una creatura mai vista. Qualcosa in me mi permette di analizzarlo, è un esemplare di octopus vulgaris che in modo inusuale portava con se una conchiglia, in quel caso il gabinetto. Per definirlo con parole profane è un mostro polpo grosso come un cane. La creatura mi ignora, con i suoi tentacoli avanza e raggiunge l'uscita del bagno. Contemporaneamente, sento rumori elettrici e vedo materializzarsi un altro mostro. Ecco come è uscito quello di prima. Milioni di quadrati bianchi si uniscono e si sovrappongono, creando un'altra chimera. E' verde, squamosa, ha un solo occhio un solo braccio deforme ed artigliato e si regge in piedi a stento. Appena creato cade a terra paralizzato e quasi terrorizzato, col suo occhio sbarrato si agita e si dimena come un pesce fuor d'acqua. Ancora confuso si alza in malo modo, scavalca il cadavere della festeggiata, sbatte contro il muro, contro la porta e zoppicando segue il polpo. Dopo un attimo di silenzio, sento orchestrali urla di terrore, degli "oh mio Dio", degli "è morta", degli "siamo finiti" così naturali che nel mio shock trovavo ovvio sentire la disperazione. Mentre corro ad affacciarmi dal bagno per vedere la tragedia, noto che al gruppo di musicisti si è aggiunta una cantante, una splendida voce tra le urla. Altre persone stanno morendo. La lucertola da un occhio solo agita il suo braccio artigliato freneticamente colpendo persone a caso. Il polpo è lento e preciso, prende una persona per le braccia e la trascina verso la sua bocca interna, triturandolo. E' un inferno, abbiamo superato il limite delle stranezze. Individuo subito la ragazza bionda. E' immobile, con gli occhi sgranati ed un bicchiere d'aperitivo ancora in mano. Corro da lei, salto una gamba tagliata, cerco di non scivolare tra il sangue ed ignoro ciò che sta succedendo, lei ha la priorità e devo salvarla. La prendo per il braccio e le urlo per farmi sentire nel trambusto – Muoviti, scappa! Dobbiamo scappare. – Ma lei è ferma, immobile. Lo shock è troppo grande, o forse ha realizzato che la sua unica amica era nel bagno da dove sono usciti quei mostri ed adesso è poco viva. Cerco di strattonarla, oppone una debole resistenza e si lascia trascinare. Quando mi giro mi accorgo del mostro lucertola che sceglie noi come prede. Con tutta la forza che ho prendo la bionda e la abbraccio, la tengo più lontana possibile dal mostro, e cadiamo a terra. Nessuno più si muoveva, il rettile dal solo occhio decide di esprimere su di noi la sua violenza, ed io chiudo gli occhi, spero colpisca me. Non posso che sperare e stringerla. Ed invece basta una zampata ed il sangue zampilla, sento del liquido bagnarmi i vestiti e so, di per certo, che non sono io il ferito, perché io di sangue non ne ho neanche una goccia. Apro gli occhi, alla mia destra vedo un braccio bianco, puro e staccato dal corpo originale. Non riesco a ragionare. Sento qualcuno correre, giro la testa e guardo. E' il francese a correre, si ferma due centimetri prima del mostro e gli dà un pugno eccezionale. La terra trema. Basta un colpo, ed il rettile si accascia a terra rotolando. Il salvatore prende fiato e corre verso il secondo mostro, schiva i tentacoli saltando ed appena il piede tocca terra, il francese si scaglia con tutte le forze verso il polpo. Con veemenza colpisce ripetutamente il guscio, ad ogni colpo l vetri tremano. Il suo volto inespressivo lo fa sembrare ancor più un eroe. Più colpi dà, più la musica si intensifica, ed arriva il gran finale. Il guscio si rompe, e basta un pugno nel cervello morbido per uccidere il mostro. Poi cade il silenzio. Era finita. Dodici morti e due mostri, poi il resto tutti sani e salvi. Tranne l'angelo che ho tra le braccia. L'eroe con la frangia si piega ed ansima, suda freddo. Poggio delicatamente la bionda per terra, e mi avvicino. – Sei venuto alla fine.– Gli dico. – Già. Alzati e porta quella donna in ospedale. – E fa per andarsene. Io lo guardo e chiedo – Dove vai? – – In bagno. Devo vomitare. –
  
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