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Autore: C r i s    30/06/2010    6 recensioni
«Cause when you're fifteen and somebody tells you they love you you're gonna believe them when you're fifteen and your first kiss makes your head spin 'round but in your life you'll do things greater than dating the boy of the football team but you didn't know it at fifteen». {Taylor Swift-Fifteen}
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A picture to burn?

 

«Non puoi tirarti indietro, non ora!»

Clara digrigna i denti e punta la bacchetta cinese contro la sagoma di Samantha, immobile ancora sulla soglia di casa, mentre Emily, seduta a gambe incrociate davanti la TV, si diletta nel cantare una canzone di Taylor Swift.

Dio, si può scendere più in basso di così?, pensa con amarezza Samantha, chiudendosi la porta alle spalle e sbottonando il cappotto.

«Sì, che posso. Ho smesso di giocare, è tempo di finirla».

Clara sostiene il suo sguardo irritato, ficcando la bacchetta nella scatola di spaghetti e schiudendo le labbra, pronta a scatenare una tempesta in piena regola.

 «No che non puoi! Sam, vorrei farti ragionare su un piccolo, insignificante, insulso dettaglio: lui è qui giù!»

Come se non lo sapessi!, sbuffa Samantha tra sè e sè.

« Cause when you're fifteen and somebody tells you they love you!»

La voce per niente intonata di Emily perfora i timpani delle ragazze che interrompono il loro discorso solo per lacerare con lo sguardo la ragazza intenta nel suo cantare a squarciagola.

«Emily!», esclamano in coro, ammonendola e facendola tacere.

Emily ingoia a vuoto, rendendosi appena conto della gaff. Fortuna che erano chiuse in casa, non avrebbe tollerato una simile figura in altri luoghi che non fossero quelli intimi. E a Samantha sarebbe di certo piaciuta una sua figuraccia in pubblico, le adorava e, cosa peggiore, adorava schernirla davanti a tutto il mondo, se possibile.

«Se non scendi tu, giuro che lo faccio io! E per di più lo faccio anche salire, lo farò entrare in camera tua e gli farò odorare la tua biancheria!», Clara continua, fiduciosa, con la sua ramanzina e Samantha rabbrividisce al sol pensiero di quel verme, chiuso in camera sua, a rovistare nei suoi cassetti.

«Non oseresti mai!», esclama indignata, mentre Emily funge da un sottofondo alquanto fastidioso.

«Anni di esperienza mi hanno fatto imparare tante cose, amore mio, e ormai sei chiara come acqua per me. So come giocare le mie carte e, se mi sarà utile, le giocherò tutte».

La luce particolare che luccica negli occhi di Clara fa capire a Samantha di non avere scampo. Ma come poter fare? Non avrebbe sopportato un altro incontro, non avrebbe digerito un altro sguardo, non avrebbe tollerato il solo sfiorarsi delle braccia... No, non avrebbe davvero tollerato più niente del ragazzo che le aveva rovinato la vita!

«Tu non sai cosa significa», replica aspra, gettando il cappotto sul divano e avanzando verso la cucina, il suo angolo preferito della casa.

«No, ma sono tua complice o sbaglio? Mi hai immischiata in questa storia, raccontandomi tutto e chiedendomi consigli. Adesso non voglio più giocare in secondo piano, voglio importi le mie regole e non esigo un ‘no’ di risposta. Sam, scendi quelle dannate scale e fagli vedere che donna sei!»

«Ha visto più di quanto credi!», sbotta, con il fumo che le esce dalle orecchie. Spalanca il frigo e ne estrae una lattina di Coca Cola, ne beve un primo sorso ed emette un sospiro di sollievo. Poggia la lattina sul marmo del bancone e, senza guardare Clara negli occhi, procede nel suo discorso. «Non ha bisogno di capire che donna sono, lo sa già. Sa tutto, Clara. Sa che l’ho ingannato, sa che, nonostante siano passati sette anni da allora, io sono ancora la stessa ragazzina di un tempo! Mi sento ridicola, capisci? Pensa che io in questi anni abbia solo pensato a come vendicarmi nei suoi confronti».

«Il che non è sbagliato, se vogliamo dirla tutta...»

Clara si morde la lingua per lo sguardo omicida dell’amica e cerca di aggiustare la frase di pochi secondi prima: «Certo, non dico per sette anni continui! Ma... Se ci rifletti, hai sempre avuto dei parametri in fatto di ragazzi e non hai mai dato fiducia al tuo istinto. Facevi sempre paragoni e paragoni!»

«Ovvio che li facevo, ho un’idea del mio ragazzo perfetto».

Samantha sputa veleno da ogni parola, un veleno che dovrebbe però essere diretto ad un’altra persona. Si mantiene al marmo del bancone, gettando il capo all’indietro e chiudendo gi occhi. Li riapre di scatto, sentendo una grande energia montarle dentro.

«Sai cosa faccio adesso?»

Scosta Clara e corre frenetica nella sua camera, spalanca le ante dell’armadio e afferra un album di fotografie. Con dita tremanti ed eccitate, sfoglia pagina per pagina, fino a trovarla: eccola lì, sbiadita e con quella macchia di imbianchetto. Nel cuore di Samantha rugge un grido di ribellione, non vuole cedere, non vuole essere nuovamente calpestata da quel ragazzo che, tempo addietro, aveva avuto la possibilità di farlo. Ma, siccome aveva scoperto la sua presa in giro, tanto valeva affrontare il tutto e dimenticarsi a vicenda, per la seconda volta.

«Cosa vuoi fare?», la voce di Clara arriva lenta, quasi fosse un sibilo, ma Samantha non se ne cura. Attraversa il salotto con calma e afferra le chiavi, quando si immobilizza. Arriccia il naso, il che avviene solo in una particolare circostanza: odore di sigaretta.

Si volta, robotica, nella direzione dalla quale proviene tale tanfo e resta allibita, osservando il ghigno divertito di Dereck, seguito dal sorriso deficiente di Emily. Le fa spallucce, come se non fosse accaduto nulla di che. Eppure, Samantha si trova a socchiudere le palpebre. Se avesse avuto a portata di mano i fulmini di Zeus, Emily ne avrebbe ricevuti minimo una decina.

«L’hai fatto entrare tu?», domanda a denti stretti, cercando di trattenere l’ira funesta che le è scoppiata nel petto.

Emily, con la testa dondolante, annuisce e rotea gli occhi. Scatta in piedi, afferrando la ciotola di pop corn, e si dilegua in cucina, chiudendosi la porta alle spalle. Come se non le conoscesse: si sarebbero messe ad origliare dalla prima all’ultima parola.

Derek espira dell’altro fumo, guardandola con aria fredda, distaccata. Il ghigno di poco prima è scomparso, lasciando soltanto desolazione e frustazione.

«Preferirei non parlare qui, se non ti dispiace».

«Io invece voglio restare qui. Dopo i quaranta minuti di attesa, è il minimo per sdebitarti», afferma convinto, prendendo un’altra boccata di sigaretta.

A quelle parole, Samantha stringe la fotografia nel pugno. «Io non ti devo un bel niente! Nessuno ti ha chiesto di venire fuori casa mia e nessuno vuole che tu ci resti. Puoi alzare il tuo culo regale e portarlo ai miei regali scalini».

«Anche se fosse stata una domanda, avrei rifiutato. Trovo più allettante star seduto qui, imbrattare la camera di fumo e vederti rosicare fino all’ultima cellula del tuo corpo», nel suo sguardo lampeggia un’aria maliziosa, divertita.

Samantha avrebbe voglia di urlare, avrebbe voglia di afferrare quella sigaretta e fargliela ingoiare ancora accesa. Chissà che sensazione poi avrebbe provato. Beh, era arrivato alla cicca, quindi non gi avrebbe provocato alcun dolore che non gli aveva già provocato il tabacco.

«Allora, Samantha, vuoi dirmi qualcosa?»

Dereck calca il suo nome con enfasi. Avendolo scoperto soltanto due ore prima, non aveva avuto modo di ripeterselo abbastanza. Fino a prova contraria, la sua mente aveva registrato quella ragazza dai capelli biondi e dagli occhi celesti sotto il nome di Giada. Tutto ciò che aveva scoperto di conseguenza non gli era piaciuto per niente; ne era rimasto così coinvolto, così perplesso e così deliziato allo stesso tempo da ingerire tre caffè, uno dietro l’altro. Il pacchetto di sigarette previsto per una settimana era finito nell’arco di dieci minuti. Trovarsela davanti, in casa sua, con quell’aria frustrata, non aveva paragoni.

Samatha sembra combattuta dal mandarlo a quel paese o dal risponderlo con garbo. Non si avvicina, resta distante e con i pugni serrati lungo i fianchi. Le sue gote sono arrossate dalla rabbia e dall’indignazione, ma non demorde.

«Non ho tutta la giornata, sia chiaro», aggiunge aspro, espirando l’ultima boccata di sigaretta, prima di spegnerla sul tavolo di vetro.

«Ehi! Potresti almeno spegnerla sotto l’acqua!», borbotta Samantha, con gli occhi fossilizzati sulla sigaretta inerme sul tavolo.

«E tu potresti parlare», ribatte con occhi gelidi.

Samantha si trova a sbuffare, arrendevole.

«Cosa vuoi sapere di più che già non sai?»

«Voglio sapere tutto, da te».

La sua risposta la spiazza. Avrebbe voluto sentire una confessione in piena regola della sua avventura da ragazzina un pò troppo cresciuta? D’accordo, aveva ventidue anni e non lo aveva ancora dimenticato, dov’era il problema?

Si schiarisce la gola, sperando che la voce non l’abbandoni. Senza guardarlo, punta gli occhi sul vetro della finestra.

«Ci siamo incontrati tre volte, Dereck. Io non credo al destino, sono sempre stata diffidente, ma il ‘tre’ è il mio numero fortunato e se ci siamo incontrati per ben tre volte, ho capito che quello era un segnale».

Forse l’avrebbe presa per pazza, o magari l’avrebbe derisa dopo. Ma adesso Dereck sostiene il silenzio, aspettando che vuoti il sacco.

«La prima volta avevo gli occhiali ed eravamo appena usciti da quel Cafè. La seconda volta entrambi avevamo preso lo stesso pacco di biscotti al supermercato e la terza volta mi hai rubato il posto nel parcheggio», al sol ricordo, Samantha piega le labbra come segno di disprezzo, «Poco galantuomo, devo ammetterlo, ma non è questo il punto. E’ stato in seguito a quella terza volta che mi sono resa conto di chi tu fossi. E ho capito, nonostante il dispiacere, che tu non mi avevi riconosciuta affatto. Del resto, a quindici anni ero diversa, non avevo questo corpo, non avevo questo viso e non avevo questi capelli», se li indica uno per uno, scandendo parola per parola, gettandosi del fango addosso da sola.

«Infatti ti ricordavo mora», ammette Dereck, grattandosi il mento. Il suo sguardo scruta il seno voluttuoso di Samantha. Ricordava perfettamente come fosse all’epoca: inesistente.

«E con questa carta, ho deciso di vendicarmi di te».

Il tono di voce non è variato, Samantha parla con tranquillità. Dereck indurisce i tratti, pur non volendo, e attende in silenzio.

«Sono passati sette anni, hai ragione, ma una ragazza non dimentica certe esperienze, non dimentica il ragazzo che le ha fatto perdere la testa per la prima volta e non dimentica cosa le sia costato perdere la testa per quel ragazzo», mormora, con la voce sempre più sottile. Si schiarisce la gola, con le mani sudate. «Ho pensato che dovessi riscattarmi in qualche modo. All’inizio mi sarebbe anche piaciuto frequentarti come persona adulta, ma la prima infantile sono stata io e mi dispiace».

«E’ dir poco», a denti stretti, Dereck pronuncia quella frase, una frase colma di veleno e di ira, di orgoglio ferito e calpestato. Si era lasciato imbambolare come un fesso!

«Soltanto di questo mi dispiace», lo ammonisce con gli occhi Samantha, gettandogli la fotografia ai piedi. Dereck si sporge quel tanto che basta per rivelargli l’immagine e sembra pensare, come se non l’avesse mai vista prima.

«Eravamo noi, quel giorno, in campagna, ricordi? No, probabilmente no, perchè non ti ricordavi neanche di me».

«Mi ricordavo di te, Sam», sbotta irritato, afferrando la foto tra le mani e osservandola come se fosse un tesoro prezioso appena riemerso.

«Ah sì? E allora perchè non mi hai riconosciuta? Sono dovuti passare tre mesi prima di accorgerti che forse qualcosa in me era troppo familiare?»

Samantha si era convinta del fatto che il ‘tre’ fosse davvero il numero che la perseguitava, in senso positivo e negativo.

«Io non sono paranoico come te, vivo alla giornata e non mi baso sul passato». Dereck le lancia una freccia dietro l’altra, facendole attutire il colpo e deglutendo a fatica.

«Io non...», Samantha si schiarisce la voce, sentendo un peso possente alla gola, «Non sono paranoica! Sono realista! Tu non avevi la minima idea di chi ti stesse davanti, non mi hai neanche riconosciuta nei gesti più semplici. Credo di essere cambiata rispetto a sette anni fa, ma in certe cose sono rimasta la stessa di sempre».

Dereck assottiglia lo sguardo. «E credi che non me ne sia accorto? Secondo te per quale motivo ho cominciato a chiederti più dettagli della tua vita? Come sono arrivato a pedinarti? Per mancanza di fiducia? Non sono una persona morbosa, non l’avrei mai fatto, ti avrei semplicemente scaricata».

La sincerità delle sue parole fa drizzare i capelli della ragazza, immobile, con le braccia distese lungo i fianchi.

«Il tuo modo di leccarti le labbra, pensi che non l’abbia notato? Soltanto tu sai contornarti le labbra così, senza usare il fazzoletto, come farebbe ogni persona normale! Dio!», esclama, alzandosi in piedi. Di conseguenza, Samantha indietreggia con il cuore in tumulto. Dereck rotea gli occhi all’insù e si porta le mani sui fianchi.

«Cosa fai, adesso hai paura di me? Peccato che per farti scopare non ce l’avessi, questa paura».

Samantha si stritola le dita, dischiudendo le labbra e trattenendo un grido. Gliel’avrebbe rinfacciato per sempre? Erano andati a letto insieme, e allora? Cosa c’era di sbagliato?

Tutto, si trova a pensare, ma scaccia quel pensiero e gli punta un dito accusatorio contro.

«’Fanculo, Dereck! Non sono più un’adolescente, non ho paura di fare del sesso», carica di enfasi l’ultima parola, per sottolineare il concetto e indurisce i tratti del viso, «Un tempo potevo avere tanti timori quanto gli spilli di una sarta, ma ho imparato che esiste anche la macchina da cucire, mio caro. Adesso ho paura ancora, è vero, ma di altre cose di cui tu non saprai mai nulla».

«Questo perchè lo vuoi tu», afferma, freddo. I suoi occhi lasciano trapelare l’indifferenza totale e Samantha sente un brivido ghiacciato attraversarle la schiena. Avrebbe voglia di afferrare una coperta e seppellirsi al suo interno.

«Non ha più importanza. Ora ciò che voglio è che tu sparisca dalla mia vista e che porti con te tutti i ricordi di questa avventura e di quella già passata».

Dereck si lascia sfuggire un risolino, come se stesse ascoltando una barzelletta comica. Si avvicina rapidamente, i suoi passi echeggiano nella grande sala e Samantha sente le gambe tremarle. Così vicino, a pochi centimetri dal suo viso, sembra di essere alle prese con un gigante dall’aspetto troppo sexy.

«Possibile che tu mi odi così tanto?»

Quella frase rimbomba nella testa di Samantha. Osserva il ragazzo con un groppo in gola, un groppo che per troppo tempo ha gettato giù con la forza, ma che vorrebbe soltanto rendersi libero. Una scarica d’elettricità le avvolge il ventre quando le labbra avide di Dereck si infrangono sulle sue, senza avvertenze e controindicazioni.

Le sue mani avvolgono la schiena di Samantha, la quale si sente schiacciare contro il suo petto, neanche fosse un peluches su cui voler sfogare la rabbia repressa. Dereck sembra volerle dare una dimostrazione: volerle imprimere un marchio così indelebile da renderle la vita un inferno.

Già fatto, pensa con rammarico la ragazza. Non ha nè la forza, nè la voglia di allontanarlo da sè, anzi, vorrebbe che quell’attimo si immobilizzasse e durasse per sempre. La lingua irruente di Dereck si fa spazio nella sua bocca, esplorandola e alla ricerca della sua, con la quale, una volta afferrata, inizia una danza incontenibile: si sfregano, si toccano, si avvinghiano e non hanno intenzione di mollarsi. Nonostante Samantha si sia concessa il lusso di chiudere le palpebre, le sue orecchie sono attive al mille per mille. Il rumore di una porta che sbatte e, di conseguenza, delle risa decisamente sguaiate e civettuole, le danno la certezza dell’azione di spionaggio in quella casa.

Farabutte!, si trova a pensare, immergendo le sue dita tra i capelli setosi di Dereck. Quest’ultimo, percependo il calore del suo corpo, sorride compiaciuto e si stacca senza preannunciare. Samantha, per aver perso l’attrito con quella fonte di certezze, strabuzza gli occhi e lo osserva con aria spaesata, indifesa.

«Potrai anche odiarmi, Samantha Collins, ma il tuo corpo afferma esattamente il contrario», sussurra con voce roca.

Samantha è combattuta: da una parte, c’è la sua razionalità che le impedisce categoricamente di saltargli addosso, ma dall’altra parte c’è il suo istinto, che stranamente è in combutta col suo cuore.

Non puoi, Sam. Ricordi? Lui è quello stronzo, tu quella col cuore spezzato che ha bisogno di certezze e bla bla bla., si ammonisce mentalmente, con le mani sudate e le gote arrossate per l’attimo di estasi donatale poco prima.

Gli occhi di Dereck rispecchiano il suo stesso desiderio, ma la sua voce, il suo sorriso, tutto di lui sembra deriderla, schernirla.

«La carne è carne, Dereck. Mentirei se dicessi di non volermi fare una sana scopata, ora come ora, ma sappiamo tutti che i nostri corpi sono programmati per il sesso: si chiama attrazione, e non si può comandare», replica a brucia pelo, non sapendo neanche lei da dove fosse balzata fuori quella grinta.

Il ragazzo resta immobile, con gli occhi fissi sul suo viso, quando poi le afferra brusco il polso e lo stringe.

«Neanche i sentimenti si comandano, neanche il cuore. Ricordi? Questo discorso del cazzo me lo facesti proprio tu, quel giorno in campagna», la sua voce è così bassa e tagliente da far concorrenza ad una lama.

Allora si ricorda?, pensa sconvolta Samantha con una punta d’irritazione che le avvolge il petto. Avrebbe preferito che non ricordasse, che non ricordasse nulla del suo passato, del loro passato. E invece, tutto si stava sgretolando come un castello di sabbia sommerso dalla marea.

«Sono...Sono cambiate tante cose da allora...», cerca di controbattere, ma la presa al polso diventa ferrea, tanto da farle sfuggire un mugolio di protesta.

«Io sono convinto che non sia cambiato proprio niente, invece. Se davvero fosse cambiato qualcosa, tu non mi avresti sedotto per semplice riscatto personale, o sbaglio? Sei rimasta la stessa, magari in un corpo migliore».

Samantha non riesce a controllare il proprio impulso, e neanche la propria mano che scivola sulla guancia di Dereck, attutendo ed emettendo uno schiocco secco. La presa al polso non demorde; Dereck inclina leggermente il capo, con un ghigno stampato sulle labbra.

«Lo facesti anche quel giorno, vedi?»

«Smettila!», urla allora la ragazza, in preda alla rabbia, «Perchè devi sempre paragonare tutto a quel dannato giorno?! Forse in quel momento tu ti sei sentito realizzato, avevi ottenuto un’altra conquista, ma io? Cosa avevo ottenuto? Un’altra delusione? Un cuore spezzato? Non è una cosa di cui andare fieri, Dereck».

Il ragazzo soppesa le sue parole e assume un’espressione seria. «No, non eri un altro trofeo tu. Tu eri...Tu. Non c’erano altri paragoni. Potevo essere stato lo stronzo peggiore del mondo, ma ciò che provavo per te era evidente a tutti, tranne che a te».

«Adesso sarei io la stronza?», Sam inarca le sopracciglia e lo osserva stupefatta, «Sei tu che rinfacci continuamente i nostri quindici anni, come se potessimo tornare indietro e ricominciare da capo! Smettila!», la sua voce è decisamente alta e sente la gola raschiare. Vorrebbe sbatterlo fuori di casa e accantonarlo dalla sua vita, ma avrebbe sofferto ancora di più senza vederlo più.

Lei non lo odiava affatto.

Le labbra di Dereck tornano impetuose sulle sue, le avvinghiano, dichirandone il possesso. Samantha sente il cuore sgretolarsi lentamente, in mille frammenti che non saranno più stati recuperabili. Perchè il suo cuore era già stato riattaccato una volta. Una seconda non sarebbe stata possibile.

Sente premerle le lacrime, ma non vuole demordere. Non può, dannazione, non può! Mostrare la sua vulnerabilità ad una persona incapace di capire.

Ma non solo il cuore non può essere comandato. Aveva ragione Dereck, anche le emozioni non possono essere contenute. Samantha non è abbastanza forte per poterlo fare. Una lacrima le scalfisce la guancia e casca sulle dita di Dereck che le hanno afferrato il viso. Apre gli occhi e la fissa, con una morsa allo stomaco.

«Puoi andare via?», domanda Samantha con voce spezzata. Sente la gola ardere per quanto faccia male pronunciare parola per parola, ma cosa può farci? Sanno entrambi che è la soluzione migliore.

Dereck la osserva con finto disprezzo, perchè, dentro di sè, rode dalla rabbia, vorrebbe stringerla forte al suo petto e dirle che non se ne andrebbe per nulla al mondo.

«Ne sei convinta, Sam?»

Sentirsi chiamare in quel modo, la fa rabbrividire. Le tornano in mente le giornate passate a dondolarsi su di un’altalena, oppure a scorrazzare per prati verdi ed interminabili. Sente una morsa d’acciaio afferrarle il cuore e ingabbiarlo. Non può guardarlo negli occhi, non ci riesce. Abbassa il viso, portando a fuoco una macchia sul pavimento, ma le dita di Dereck le afferrano il mento e, con dolcezza anzicché arroganza, fanno scontrare occhi con occhi.

«E’ questo ciò che ti dice il cuore?»

Dio, dammi la forza...

Il cuore di Samantha si ribella, se avesse braccia e gambe la prenderebbe a calci e pugni, la spronerebbe e le ordinerebbe con la forza di stringerlo a sè, per non farlo andar via.

«Questo è ciò che mi dice la testa, Dereck», sceglie la via più semplice: la sincerità.

Dereck si piega in un sorriso amaro, sfiorandole con i polpastrelli le labbra carnose che poco prima ha divorato.

«Dammi una possibilità», la implora con occhi nuovi, come se il vecchio Dereck fosse stato sostituito da qualcun altro.

Samantha sente le gambe tremarle, ma non riesce a parlare.

«Te ne chiedo soltanto una», mormora con voce sottile, avvicinandosi alle sue labbra sempre più.

La ragazza, gli poggia una mano sul petto e si perde in quell’oceano profondo. Non ha bisogno di parole, non ha bisogno di nient’altro.

Poggia le labbra sulle sue, lo assapora con lentezza e sorride.

«Se prometti di baciare meglio, te ne do anche due di possibilità».

Dereck torna a baciarla con vigore, strappandole un gemito solo per aver intensificato la presa e averle sfiorato il fondoschiena. Si stacca con aria soddisfatta e le strizza l’occhio.

«Quante ne voglio, allora...»

Samantha gli getta le braccia al collo, sentendosi invadere da una strana sensazione. Possibile che fosse felicità?

Dereck la prende tra le braccia, ammiccando alla camera da letto, dalla quale era uscita tempo prima. Si guardano negli occhi e, con sguardo complice, marciano verso la loro meta.

 

Intanto, dietro la porta della cucina, sia Clara che Emily sfilano i bicchieri dalle orecchie e si sganciano il cinque con la mano, ridendo soddisfatte.

«Visto? Cantare Taylor Swift fa addolcire le persone!», afferma Emily, fiera delle sue parole.

Clara evita di risponderle e afferra un pasticcino al cioccolato.

«Pensa una cosa: se Samantha non avesse fatto pace con Dereck, in questo momento questi pasticcini si sarebbero trovati dispersi nell’infinito del suo stomaco».

Le strizza l’occhio ed Emily ne afferra uno, deliziata, per poi cantare, nonostante la bocca piena, e contagiando anche Clara.

 

E, nonostante siano passati sette anni da allora, certe cose possono variare, ma altre possono restare sempre le stesse, se non più amplificate. Ciò è dimostrato dai sentimenti che, pur accantonati, tornano ancor più forti di prima, pronti a giocare una partita destinata alla vittoria.

 

«Cause when you're fifteen and somebody tells you they love you
you're gonna believe them
when you're fifteen and your first kiss
makes your head spin 'round but
in your life you'll do things greater
than dating the boy of the football team
but you didn't know it at fifteen».

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccomi qua, a scrivere le mie note. Prima di tutto, ringrazio la mia Ritù per la bella immagine che ha dato alla mia shot – perché senza quella non l’avrei postata, sia chiaro u.u – e ringrazio tutte voi che mi sostenete sempre e che mi sopportate sempre nelle mie stupidaggini quotidiane *-* So che probabilmente siete stanche e che devo smetterla di scrivere idiozie, ma è più forte di me, non ci riesco ù.ù Mi dileguo, sperando che questa shot sia di vostro gradimento u.u

Kiss Kiss, Cris.

   
 
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