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Autore: Dira_    03/07/2010    48 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Salve a tutti. ^^
Quello che vi apprestate a leggere è il sequel di Doppelgaenger .

Chi non la conosce, o non l’ha letta può farne anche a meno naturalmente, ma la lettura di questa roba risulterà un po’ difficoltosa.
Lettore avvertito! (Ma quanto sarò paracula? :D )
Rispondo qui alle recensioni di Seven Steps. ;)
@Andriw9214: beh, considerando che la sezione di HP ha un pubblico prevalentemente femminile sì, mi considero onorata ad avere un ospite maschio in questi lidi ^^ Siete specie protetta! :P
Sì, su Al ci hai preso, perché quando ti capita un trauma come quello che ha subito lui (rapimento, omicidi, una persona che ami che forse è morta o dispersa) inevitabilmente non rimani lo stesso, ma qualcosa ti segna. Harry e Ginny… beh, sono genitori molto progressisti, per come li dipinge la Row… speriamo che lo siano anche qui allora! XD Beh, e poi resta sempre Lils. :P Grazie per i complimenti, davvero!
@Simomart: E lo so… in effetti ce la volevo mettere, ma poi sarebbe venuto un papiro. Farò qualche accenno in questi capitoli comunque, ci puoi giurare. Non lascerò nulla al caso! Avevo pensato ad un racconto breve Rose/Sy e penso proprio che lo scriverò, prima o poi. ^^ Con Vic accetto il punto, in effetti forse è un po’ affrettato, ma calcolando che la voglio inserire anche in seguito, ci doveva essere un retroterra. Thanks!
@LyhyEllesmere: Ciao, non preoccuparti, come si dice, meglio tardi che mai! XD Grazie mille per i complimenti, mi fai arrossire! ^^ Beh, diciamo che Lils ha già detto che obbligherà il futuro marito a usare anche il suo cognome. È una brava ragazza, lei. XD Grazie mille per la fiducia alla Ted/James… spandiamo nell’aria questo fantastico pairing!
@Tinax86: Vero, vero… ma come scoprirai, sono maledettamente logorroica! Grazie per la recensione! Tom volevo metterne di più, ma poi altro che due capitoli! XD
@Agathe: Essì, era una robina semplice semplice, per una sfida fatta con un’amica. ^^ Harry e le sue reazioni saranno descritte, no te preoccupe… non lascerei mai un momento simile nel dimenticatoio! :D Sy non è adorabile, l’uomo dei cactus? XD Al è un po’… come dire… traumatizzato dal tutto. In fondo è un cosino sensibile, lui. :P Lo dice anche la Row!
@Trixina: Trixina! Quanto ti adoro! XD Ci sei sempre, e grazie, grazie davvero! Ehehe, Nonna Dromeda rulez… se non ci fossero le nonne! Ci saranno reazioni da parte di Harry e Gin, promesso! ^^

@Nicky_Iron: Non preoccuparti, capisco benissimo! Dannati esami! Grazie per i complimenti e Nonna Andromeda ringrazia (Ah, certo, è modellata sulla mia di nonna xD) La scena di Ron che mi hai prospettato mi ha fatto morire dal ridere… certo che metto un accenno, sia mai!
 
 
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Cos’è un ricordo?

Qualcosa che hai, o qualcosa che hai perso per sempre?
(Woody Allen)
 
 
 
 
 

 L’incedere degli stivali di cuoio sul lastricato del cortile centrale del castello era sgradevole, come se scoppi di incantesimi accompagnassero l’incedere del ragazzo.
La notte lo accoglieva tra le sue braccia, confondendolo tra le ombre. Meno prosaicamente, era interamente vestito di nero e il mantello che gli copriva la schiena e una buona porzione di spalla era interrotto solo dal sottile filo d’argento che si agganciava agli alamari.
Il ragazzo salì le scale e dopo corridoi che a lui erano sempre sembrati tutti uguali, benchè nessuno gli avesse mai chiesto un parere in merito, arrivò finalmente a destinazione.
“Caro nipote… Finalmente qui. È stato lungo il viaggio?” Si informò una voce. La stanza era grande e il ragazzo non capì immediatamente dove si trovava l’uomo che aveva parlato.
Lo individuò poi accanto al fuoco, mentre con l’attizzatoio spostava accuratamente le braci.
“Privo di incomodi, zio.” Rispose neutro: del resto quelli erano convenevoli. Non gli interessava sapere delle sue peripezie per giungere alla sua dimora estiva senza farsi scoprire o sospettare.
“Molto bene…” L’uomo posò l’attizzatoio sulla mensola del camino. Fissava le fiamme. Il solito, pensò il ragazzo con una smorfia rassegnata. Era raro infatti che lo guardasse in viso. I suoi lineamenti non appartenevano alla casata da cui era stato allevato e cresciuto e suo zio era decisamente il tipo a cui davano fastidio certi particolari.
Non bastava essere un purosangue, per lui. La macchia che proveniva dalla famiglia di suo padre lo marchiava a fuoco, rendendolo poco più che un lacchè.
Serrò le labbra.
No, non un lacchè. Uno strumento, né più né meno utile di quell’attizzatoio.  
Istintivamente chinò la testa, lasciando che i capelli lunghi fino alle spalle gli coprissero parzialmente il viso. Cancellò ogni espressione e attese ordini. Era quello che suo zio voleva e lui non voleva indisporlo.
“Saprai della morte di Johannes.”
Il ragazzo ci mise un attimo a fare mente locale.

Del resto ha avuto dozzine di soprannomi e decine di identità in tutto il globo terraqueo, magico e non…
Permettimi qualche incertezza. Era il suo vero nome, questo?

“Intende John Doe, zio?”
“Chi altri? Gli avevo affidato l’incarico più importante della sua vita e si è fatto uccidere… da due ragazzini e una vecchia gloria di guerra.” Calcò con rabbia la parola e il ragazzo istintivamente aspettò lo scatto d’ira che ne sarebbe conseguito.

Per sua fortuna stavolta non arrivò.
Ci fu un lungo silenzio interrotto solo dallo scoppio delle braci nel camino.
“Voglio rendere questo posto il quartier generale dell’organizzazione, a tutti gli effetti.” Esordì poi il mago più anziano. “Il castello della nostra famiglia non è più sicuro, dopo il fallimento di quell’idiota. Voglio che sia tu ad occuparti del trasloco.”
Il ragazzo annuì. Era stupito: l’aveva richiamato da San Pietroburgo… per quello?
Ora che Johannes è morto posso aspirare al suo posto di galoppino? Esaltante.

“Sören.” Lo richiamò. Fu come una frustrata; sentì la sua schiena irrigidirsi mentre il terrore gli seccava la gola.
Era ridicolo: aveva quasi vent'anni e ancora si comportava come un bambino terrorizzato.
“Certo.” Rispose però, con prontezza istintiva. “Me ne occuperò di persona.”
“Molto bene.” Suo zio aveva gli occhi freddi come il Mar Baltico. Stavolta però lo stavano guardando, cosa più unica che rara. In tutta la sua vita aveva avuto quei dardi trafitti addosso solo un paio di volte.

Non che ci tenesse particolarmente comunque.
“Quando tornerai… potrei aver ancora bisogno di te.” Aggiunse, a sorpresa.
“Un incarico per l’organizzazione?” Sperò.

L’uomo accennò un sorriso. “Forse Sören, forse. Se ti comporterai bene… Anche se non ho mai avuto il motivo per lamentarmi di te.” Si avvicinò e il ragazzo rimase immobile, in attesa. Sentì la mano dell’uomo posarglisi sulla spalla. Aveva il peso di un macigno.
“Mi sei fedele, non è così?” Gli chiese con gentilezza. Non era un uomo gentile, ma aveva la mirabile dote di riuscire a sembrarlo. “Ho fatto molto per te.”
“Vivo nella tua benevolenza, zio. Sono il tuo servo fedele.” Lo aveva recitato così tante volte che ormai gli sembrava il salmodiare di una preghiera babbana.

Del resto, potevi forse dire dire qualcosa di diverso a Alberich Von Hohenheim?
 
 
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30 Luglio 2023
Germania Settentrionale.
 
 
La cittadina di Putgarten¹ contava poco più che settecento anime, uomo più uomo meno, secondo le stime dell’ufficio statistico di Hannover.
Putgarten era un villaggio tenacemente ancorato alle scogliere calcaree di Rügen², l’isola più grande dell’intera Germania.
Gli abitanti si ripartivano, equamente e senza invidie, il magro spettro di lavori disponibili: caccia, pesca e artigianato. Il turismo era poco ma anche per quello c’era qualche famiglia disposta a mettere su un banchetto con chincaglierie tipiche.
Il sindaco, Erich Heinemann, quella mattina passeggiava per la via principale, il giornale sotto braccio, diretto verso il municipio: poteva vantare la conoscenza di ogni singola anima nei dintorni. Dava del tu al postino e si informava quotidianamente della salute traballante del fornaio. E quel giorno ripeté la sua routine oliata e quieta, finché non si dovette fermare a riflettere su un’idea.
Gli capitava, di tanto in tanto, di fermarsi in mezzo alla strada per riflettere. Gli piaceva credersi un po’ come Socrate, in quella novella… di cui non ricordava né titolo né morale.  
Era una cittadina tranquilla, la sua: i turisti solitamente si fermavano poche ore per scattare qualche foto o mangiare un boccone. Poi si spostavano verso Kap Arkona, punta dell’isola rinomata per essere stata tratteggiata dal pennello immortale di Friederich³.
Nulla turbava l’alternarsi delle stagioni: le nascite, i matrimoni, gli amori e i dolori erano poco più di un increspatura nella superficie liscia delle cose.
Questo prima che Cordula la Pazza portasse in paese Il Ragazzo.
Cordula – non ne ricordava mai il cognome – era la tipica vecchia da folklore locale: bislacca, con una fattoria lontana dalle strade battute e in odore di stregoneria. La conoscevano tutti al villaggio e a parte terrorizzare i bambini era una figlia di Rügen, come tutti loro.
Il Ragazzo invece non era un sano tedesco dalla carnagione rosea e la zazzera bionda, ma era un giovane  pallido, alto e dai capelli scuri come una notte senza luna. E straniero, perdi più. Inglese, sosteneva Hilde la maestra.
La sua epifania aveva tenuto impegnate le bocche delle comari per mesi. Era arrivato durante un dicembre particolarmente gelido, in cui il mare gonfiava tempeste pericolose, ma solo verso Marzo, quando l’ultima gelata era passata, aveva fatto la sua prima comparsa.
Erich ricordava quel giorno: tirava una brezza gradevole, insolita per quel periodo dell’anno e tutti, persino il vecchio libraio Karl, avevano seguito l’incedere zoppicante di Cordula accompagnata dal Ragazzo. All’epoca aveva fatto una certa impressione perché palesemente emaciato, allampanato, chiuso in un cappotto che serviva solo a sottolineare la sconfitta di qualche malattia a lungo termine.
E un viso…
Il buon sindaco non era un fisionomista, ma poteva essere certo, anche a distanza di mesi, di aver pensato che l’infelicità avrebbe dovuto avere quella faccia nelle mani di un fotografo.
Adesso era Luglio, i primi turisti erano arrivati e ripartiti, eppure le voci sull’inglese ancora non si erano quietate.
Sua figlia gli aveva spiegato, ridendo come la sciocchina che era, il motivo di quell’attenzione a getto continuo.
 
“Papà, è misterioso! Nessuno sa da dove venga o perché abbia deciso di fermarsi qui, dove non c’è un bel niente! E poi vive da Cordula … Lei dice che è un suo nipote, ma chi le crede? No, c’è sicuramente qualcosa di più.”

Era un bel mistero quel ragazzo, spuntato dal nulla e senza un apparente passato da sviscerare. Era come un sottile spillo nella sua coscienza di giudizioso amministratore locale.     

Non che infrangesse le leggi o tenesse un comportamento atto a turbare la quiete pubblica, certo.
Era anzi, rispetto ai suoi coetanei, giudizioso: lavorava al negozio della sua ospite, i cui intrugli a base di alghe andavano a ruba trai turisti creduloni. Raramente usciva in paese da solo, né dava confidenza, ma fermato era sempre cortese e pieno di riguardo. Inoltre non si ubriacava, né faceva gare di velocità in macchina sul ponte dello Stralsund, cosa per cui erano tristemente noti i ragazzi della zona, compreso – ma lui non aveva mai dato credito a quella voci - suo figlio.
Un caro e bravo ragazzo, commentavano benevoli le donne.
Ma era… strano. Non tanto nel suo aspetto, quanto nel modo in cui si era insinuato – sì, era quella la parola giusta, insinuato – nella vita del villaggio.
Era riuscito a farsi ordinare all’edicola alcuni quotidiani inglesi, che leggeva poi in negozio. Era anche un cliente affezionato della vecchia coppia che gestiva l’unica libreria della zona. All’emporio era rinomato e preso bonariamente in giro per la sua continua richiesta di pile alcaline e candele. Come le due cose si sposassero, non era mai riuscito a capirlo.
Tutti erano affascinati dal giovane straniero, inutile negarlo. La sua presenza non era ingombrante o rumorosa, ma era quieta, come un’ombra innocua ma tenace.
Ma rimaneva un’ombra.
La pausa di riflessione era finita. La campana della chiesa batterono otto rintocchi: era ora che cominciasse anche la sua giornata.
Dedicò un ultimo pensiero al ragazzo. Si rese conto, perplesso, di non ricordare il suo nome.
 
 
****



Ian le piaceva.
Meike Wollin aveva solo dieci anni, un paio di denti da latte in meno, ma due certezze.
La prima era che era diversa. Diversa dai suoi coetanei, si intende. Diversa da tutti gli abitanti di Putgarten a dire il vero. A nessuno di loro apparivano oggetti tra le mani, dopo che li aveva cercati tanto a lungo. A nessuno di loro il mare evitava di bagnare le scarpe nuove quando camminava sulla spiaggia con la nonna.
E la seconda era che Ian Morris, Il Ragazzo Misterioso, come lo chiamavano noiosamente tutti, le piaceva.
Primo, perché era bello. Quando lei e nonna Cordula l’avevano ritrovato svenuto sulla spiaggia, nove mesi prima, era stata sicura che fosse stato il mare a mandarglielo. Un principe tutto per lei, come raccontavano le fiabe.
E poi c’era un segreto importante e bellissimo. Ian era come lei. Anche lui era speciale. Anche lui era capace di far sparire e riapparire oggetti o muovere le cose solo volendolo.
Era molto forte in quello. Così forte che lei e la nonna la prima volta si erano spaventate, visto che aveva  fatto esplodere la tazza di brodo che gli avevano portato per pranzo.
Si era spaventato anche lui, a dirla tutta. Aveva fissato i cocci sparsi tutti attorno al letto e il brodo che bagnava le lenzuola e le aveva guardate. Meike ricordava l’espressione dei suoi occhi, grandissimi sul viso magro. Era spaventato più di loro. Aveva detto qualcosa in inglese, che sua nonna aveva tradotto per lei come ‘Che mi sta succedendo?’
Allora la nonna, che sapeva molte cose anche se tutti le davano della pazza, aveva fatto in modo che non succedesse più.
Certo, non sapeva come, ma in fondo non le importava.
Rifletté un po’, tormentandosi una ciocca di capelli, mentre si dirigeva verso il negozio della nonna, come tutte le mattine d’estate.
Era stato male, Ian. Quando l’avevano trovato, a dicembre, era molto malato ed era stato ben tre mesi a letto, debole come un bambino, incapace persino di alzarsi per andare in bagno da solo.
La nonna, che era buona e per niente pazza, l’aveva accudito… e aveva dato una mano anche lei, naturalmente.
I primi mesi non erano stati facili: Ian non capiva la loro lingua e dormiva moltissimo, tanto che erano passate settimane prima che dicesse loro come si chiamava e da dove veniva.
Poi grazie alle pozioni della nonna – si chiamavano così, ma non doveva dirlo in giro –aveva ripreso peso e forze. Aveva anche imparato molto in fretta la loro lingua, perché sapeva ascoltare. Aveva passato intere giornate, steso a letto o sulla poltrona accanto al fuoco se si sentiva più in forze, ad ascoltarle.
Ian era bello e gentile, come un vero principe e quando era stato capace di alzarsi in piedi aveva subito detto di volersi sdebitare. Aveva un modo di dire le cose per cui neanche una brontolona come sua nonna riusciva a opporsi. Così aveva cominciato a lavorare alla fattoria e a fare da commesso al loro negozio.
Meike era sempre affascinata dai due modi in cui lavorava. Il primo era quello normale: aiutava la nonna a preparare i prodotti, sorrideva – a casa non sorrideva mai - e serviva i clienti. Il secondo, nella fattoria, invece era quello speciale.
Ian usava la magia. Non come lei, che faceva solo un sacco di pasticci, la sapeva usare veramente. Aveva preso la bacchetta - altra cosa di cui non si doveva parlare fuori dalla famiglia – di suo padre e la sapeva usare molto bene.
I primi tempi però non era stato così. Ian aveva problemi a controllarsi e faceva sempre esplodere le cose.
Si arrabbiava tantissimo quando succedeva e la nonna le diceva sempre di andarsene a giocare in spiaggia a quel punto. Quando tornava per cena era di nuovo tutto a posto.
Ma erano passati quei tempi, e ora Ian stava bene.  
 
La bambina, trecce bionde, un sacco di lentiggini e un k-way azzurro, varcò la soglia del piccolo negozio, interamente costruito in legno, sulla piazza del villaggio. Un campanello trillò argentino e il ragazzo dietro al bancone alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo.
“Ciao Ian!”
 
A Meike piacevano moltissimo gli occhi di Ian. Erano dello stesso colore del mare, dell’oceano. Stesso, identico, neanche glieli avesse rubati.
 
Il ragazzo chiuse il libro, sorridendole. “Ciao Meike. La nonna?”
“Sta lavorando al forno, poi viene.” Si sedette sul bancone, arrampicandosi con agilità. “Che stavi leggendo?”

“Thomas Mann. Il dottor Faust.” Recitò distratto, prima di regalarle un sorriso alla sua espressione perplessa. “È un libro molto lungo. E noioso.”
La bambina arricciò il naso, in un’esplosione di lentiggini, che facevano a pugni con i capelli color paglia. “Allora perché lo leggi?”
“Perché mi piacciono le cose lunghe e noiose, mi pare ovvio.” Ribatté, facendola ridere.

 
Ian si soffiava spesso il ciuffo via dalla fronte, perché aveva i capelli lunghi, fin sotto alle orecchie. Più lunghi di come li tenevano Arno e i suoi amici. Erano scurissimi e lucidi, come le piume di un corvo.
“Ho visto dei turisti, giù alla spiaggia. Forse verranno qua!”
“Bene.”
Non era facile parlare con Ian. Non che non rispondesse alle domande, ma neanche iniziava un discorso. Ma Meike aveva dieci anni ed era piena di argomenti.

“Non sei contento?”
“No, non direi…” Ian si confidava con lei. Non tantissimo, ma qualcosa sì. Lo riteneva un grande privilegio, considerando che non dava confidenza a nessuno.
“Ma dai, i turisti sono divertenti! Hanno degli accenti così buffi e ti chiedo delle cose troppo assurde!” Gli diede una botta sul braccio, coperto da uno dei vecchi maglioni di suo padre. Era ancora magro come un osso, anche se la nonna ce la metteva tutta per farlo mangiare. “Non ti piacciono davvero?”
“Non mi piacciono le persone in generale …” Fece una pausa. “Non è che sono antisociale, è che non sopporto le persone⁴…” Recitò lentamente. Sembrava lo traducesse dall’inglese.
E poi fece quell’espressione: Ian la mostrava spesso quando gli capitava di parlare con dei turisti inglesi come lui o quando stava troppo a lungo da solo.

Tendeva le labbra in una smorfia sottilissima e corrugava le sopracciglia. Ricordava, diceva la nonna, e doveva fargli piuttosto male.
Ian non parlava mai di quello che aveva fatto o dove aveva vissuto prima di arrivare a Rügen. Era come se fosse nato dalla schiuma del mare. Come se in realtà un passato non ce l’avesse.
“Stai bene?” Gli chiedeva sempre a quel punto.
Ian allora le sorrideva e scuoteva la testa. Lo fece anche quella volta.
 
“Certo Meike.”
“È buffa quella frase che hai detto. Quella sugli anti… antisociali.”
“L’ho tradotta bene?” Era una domanda retorica. Sapeva che l’altro era perfettamente consapevole di parlare un ottimo tedesco.
“Eh, credo di sì… ma io non lo capisco!” Si concentrò però, perché voleva davvero capirla. “È ironica?”

“Sì, è ironica…” Confermò, raccogliendo con un dito la polvere sul bancone “Ironia inglese, non pretendo che tu la capisca.”
“L’hai inventata tu?”
“No, ma me la diceva sempre…”

 
E poi a volte smetteva di parlare. Non concludeva le frasi e a quel punto niente da fare, bisognava cambiare argomento.
Fortunatamente quella volta entrarono dei turisti e cavarla di impaccio. Guardò così Ian servire una famiglia americana, illustrando loro le proprietà benefiche degli estratti di alghe marine.
Doveva avercelo un passato però: lo avevano tutti e lei non era così scema da credere sul serio alla fiaba della sirenetta, nata dalla spuma del mare.
Le sarebbe piaciuto, certo, perché nelle fiabe nessuno l’avrebbe presa in giro perché era nipote di Cordula la Pazza, suo padre non sarebbe morto di malattia e sua mamma l’avrebbe ancora voluta, anche se era strana.
Ma le fiabe non erano vere e quindi Ian doveva aver avuto una famiglia, degli amici e forse una casa da qualche parte.
E non è che se lo è dimenticato, anche se fa finta di sì.
Ma era una riflessione troppo grande per lei e se la scrollò subito di dosso, per ridere delle difficoltà evidenti di Ian con la turista americana.
Ian intercettò il suo sguardo e si produsse in un’ombra di sorriso: era gentile con tutti, ma con lei era perlomeno, diceva burbera la nonna, sembrava sincero.
Forse perché era una bambina, o forse perché gli aveva detto, facendola arrossire per la prima volta in vita sua, che aveva dei bellissimi occhi verdi.
Era come avere un fratello maggiore ed era una bella sensazione.  
La madre di famiglia finalmente radunò i figli ed uscì dal negozio, carica di buste.
“Al, sta fermo!” Urlò, visto che la sentirono fin dentro, mentre agguantava il più riottoso dei figli.

A quel punto successe una cosa strana. Ian stava mettendo via il resto e diventò tutto rigido. Gli caddero di mano gli spiccioli, ma neanche se ne accorse. E la luce della lampadina sul soffitto cominciò a tremolare.
E Meike sapeva bene cosa volesse dire.
Cacchio! Cacchio!
C’era sempre la nonna, di solito, quando ad Ian aveva una delle sue crisi. Era a causa della sua magia, le aveva spiegato una volta; Ian era stato molto malato, quasi vicino a morire e la magia che gli scorreva nelle vene, perché lo sapeva anche lei che era nel sangue, era diventata instabile come la sua salute. Si stava rimettendo solo adesso infatti.
“Ian…?” Lo chiamò un po’ impaurita. La lampadina continuava a emettere luce ad intermittenza.
Dov’era la nonna?
 
Forse richiamato dalla sua voce il ragazzo si riscosse. Batté le palpebre e si affrettò a recuperare il resto caduto sotto il tavolino.
“Scusami…” Gli sentì dire: aveva la voce lontana, piatta, come se venisse dal fondo di un pozzo. Non aveva colore né calore. “Ti sei spaventata?”
“No, per niente!” Mentì. “Ma che ti è successo?”
Scosse la testa. Ma non le sorrise stavolta. “Niente, va tutto bene.”

 
Meike Wollin, la nipote di Cordula La Pazza, aveva tre certezze nella vita.
La prima era di essere speciale. Una strega, come Ian era un mago.
La seconda che Ian le piaceva.
E la terza che Ian era un grande, grandissimo bugiardo.
 
 
 
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Note:
La canzone (perché c’è sempre una canzone) del capitolo è questa

 
1.Putgarten: Esiste davvero. È un paesino a ridosso della scogliera. Qui per maggior informazioni. Poche eh. XD
2. Rügen: l’isola più grande della Germania. Si affaccia sul Mar Baltico ed è famosa come luogo turistico e balneare. Qui maggiori informazioni e foto.
3. Pittore tedesco. Questo dipinto rappresenta le scogliere calcaree della zona. Solo di solito non c’è tutta quella luce, fidatevi.
4. Citazione presa da Queer as Folk. E che Al ha ripreso alla festa di Halloween in DP, sì. Allora non sapevo che fosse di Justin, perdonatemi per non aver messo la citazione. T_T
 
Precisazioni: Tutte le immagini usate, linkate e manipolate non appartengono a me, ma le ho trovate sul web o su DeviantArt. Chiunque le rivendicasse, è pregato di inviarmi un pm, sia se voglia che le ritiri, sia che voglia essere creditato. Thanks ^^
Le canzoni, frasi e varie citazioni non appartengono a me, ma a chi le ha ideate.
E per finire, l'impianto dell'intera storia, luoghi, personaggi etc appartengono a mamma Row, Dio l'abbia in Gloria.

Considero questa storia una sorta di ‘tributo’ alla sua opera, niente più che il lavoro di una fan.
 
 
 
  
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