As Beren and Lúthien
Gennaio 1910
Vi era un parco, non lontano dalla King Edward's.
Esso era perlopiù un luogo di ritrovo per gli studenti inglesi, sebbene non
mancassero coppie di innamorati o anziani in cerca di una fuga dalla
solitudine. Era dunque perennemente affollato ed era perciò estremamente raro
che esso fosse vuoto ed immerso nel silenzio: ciò accadeva, infatti, solo in
determinati periodi, in cui i ragazzi impiegavano ogni istante libero
dedicandosi, seppur di malavoglia, allo studio.
Fu in uno di quei momenti che vi andò un giovane sognatore, spinto dalla
nostalgia per il college che un tempo aveva visitato, o forse, e ciò è più
probabile, per l'infanzia, simile, nei suoi ricordi, ad una delle leggende che
amava follemente.
Egli si soffermò a scrutare il profilo della scuola alla luce del tramonto,
seduto su una delle panchine del parco.
Avvolto nel suo alone di malinconia, sobbalzò quando il suono del silenzio, che
era intento ad ascoltare, venne dolcemente spezzato da una risata cristallina.
Si voltò, per curiosità o per istinto.
Ed allora la vide. Danzava, ridendo, alla luce cremisi del tramonto,
inchinandosi davanti ad un pubblico immaginario. Ed ebbe l'impressione di
scorgere nel suo sguardo un universo di fantasia, sconfinato almeno quanto le
terre leggendarie in cui lui stesso, col pensiero, dimorava.
Rimase per pochi, eterni attimi a guardarla.
Non molte ore dopo avrebbe tracciato la sua descrizione su un quaderno, come
per conservarne il ricordo, ed avrebbe scritto, in versi simili ad una poesia,
che azzurro era il suo abito come il
cielo senza nubi, ma grigi i suoi occhi come la sera stellata; ed i capelli
erano scuri come le ombre del crepuscolo.
Non appena la vide, egli pensò ch'era bella, bella quanto la stella del
vespro, quasi fosse elfica e non mortale. Ed avrebbe giurato di trovarsi di
fronte ad un'immortale, se solo una tal creatura fosse esistita in luoghi
creati dalla natura e non soltanto nelle pagine di cartacee dimore.
E pensò al linguaggio ch'egli stesso stava creando, cercando una parola
adatta a lei. Ed infine la trovò e alla giovane diede il nome di Tinùviel, che
significa usignolo.
In quell'istante lei lo scorse. E rise, avvicinandosi.
"Mi scusi" balbettò, una volta sedutasi al suo fianco. "Non
ridevo di lei, glielo giuro".
Esitò per qualche istante, mordendosi il labbro inferiore e tradendo un
certo nervosismo. Infine concluse l'affermazione. "Ridevo della sua
espressione, ecco". Sorrise, impacciata.
Lui le sorrise di rimando, divertito, e le porse la mano. "John Ronald
Reuel Tolkien. Può scegliere il nome che preferisce".
La fanciulla gli strinse la mano, annuendo.
"Credo che opterò per 'Mr. Tolkien', come l'educazione consente"
replicò, con una velata ironia nella voce, per poi presentarsi a sua volta.
"Io mi chiamo Edith".
"Tinùviel" la corresse lui, mormorando.
La giovane inarcò un sopracciglio. "Scusi?"
"Nulla".
E in quell'istante il sole scomparve oltre le colline, illuminando con un
ultimo raggio le figure sfuggenti di una fanciulla danzatrice ed uno scrittore
che visse nei sogni e tracciando i primi versi d'un canto che avrebbe narrato
un amore, un legame che forse non fu eterno né divenne leggenda tra gli Elfi
immortali, ma che venne ricordato dalla memoria umana negli anni a venire.
Poiché Tinùviel non scordò il giovane che si era fermato a fissarla nel
crepuscolo di quella sera invernale, né il sognatore dimenticò il grigio di
quegli occhi.
E la loro storia rimane impressa nella carta, raccontata in breve nel
capitolo d'un libro, sepolto tra molti altri tra le mura delle biblioteche.
Ma nessuno, ormai, nel leggerla, crede al mito che narra che Beren e
Lúthien siano esistiti davvero.
Perché, in fondo, è solo un mito.
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1910, J.R.R Tolkien, diciottenne, incontra per la prima volta la sua futura
moglie, Edith Mary Bratt.
Alla sua morte desidera che vengano incisi sulla loro tomba i nomi “Beren” e
“Lúthien”.
Partendo da questi presupposti, ho voluto immaginare il primo incontro di
Tolkien con sua moglie, sullo stampo di quello di Beren e Lùthien.
Mi sono ispirata anche al film “Shakespeare in Love”, nel quale Shakespeare per
scrivere Romeo & Juliet si ispira alla storia d’amore che sta vivendo.
Ciò che ne è uscito è una one-shot senza pretese, che è solo un omaggio al
Professore ed è, perciò, dedicata a lui, in suo ricordo.
La frase in corsivo è presa, ovviamente, dal Silmarillion, dal capitolo di
Beren e Lùthien.
Fede
Oh, dimenticavo: ovviamente non scrivo a scopo di lucro.
Storia spostata nella sezione "Originali" sotto richiesta dell'amministrazione.