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Autore: Sidereal Space Seed    04/07/2010    2 recensioni
[Star Trek - The Next Generation] Come per tutte le specie deambulanti per il cosmo, anche ai Romulani può capitare un compito o una missione poco gradita da svolgere. Ma che succede quando il tutto viene arricchito dalla birra romulana e un viaggio di semplice tensione si trasforma in una variabile fuori controllo?
Genere: Commedia, Avventura, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jean-Luc Picard, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'The Romulans' Chapters'
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Grazie a tutti delle visite e dei commenti =)

Ovviamente un ringraziamento particolare a Thiliol e Persefone Fuxia, che condividono con me questo passionale amore per (quel)le orecchie a punta  ?

Vero Persefone?? Adoro la figura di Tomalak, ritrae alla perfezione la parte paranoica che distingue i romulani!

Enjoy  :)

 

 

~ ~ ~

 

 

Cominciava a preoccuparsi.

Un terrestre forse in simili circostanze avrebbe detto che se non fosse stata una situazione critica, avrebbe riso.

Ma lui non era un terrestre, e se non fosse stata una situazione critica, sarebbe rimasto arcigno comunque.

Inoltre, era una situazione critica. Nonostante i suoi lati decisamente… ironici.

Ma nel mentre si perdeva in quelle da lui stesso giudicate futili considerazioni, ascoltava i gorgoglii/borbottii/grugniti di protesta del suo secondo in comando, che si risvegliava dalla più grande sbronza del secolo galattico.

Valek si sollevò dal lettino dell’infermeria massaggiandosi, per la seconda volta in quella giornata, le tempie, stringendo gli occhi ed emettendo un lieve ringhio proveniente dalle profondità della cavernosa gola.

Tomalak si regalò un’espressione annoiata accompagnata da un sopracciglio sollevato, il tutto sorretto da un grande sospiro: «Vice-comandante Valek, è in grado ora di spiegarmi cosa le è accaduto?» chiese quasi severo.

«Vuole la verità comandante?» biascicò l’altro, che quasi poggiava la testa sulle ginocchia dal dolore cranico.

Tomalak non rispose, ma il suo sguardo trafiggeva i muri.

Valek comprese al volo: «L’ultima cosa che ricordo è che nel tragitto verso la sala macchine mi sono sentito piuttosto… euforico.»

«Euforico?»

«Euforico signore.»

Tomalak fece un passo indietro per far spazio al vice, che scese dal lettino semi barcollante.

«E’ in grado di prestare servizio?» domandò il comandante senza esitazioni.

«Ritengo sia possibile.» fu la replica, mentre entrambi si incamminavano fuori dall’infermeria; la loro dipartita non durò molto, in quanto il capo reparto della sezione medica li fermò: «Comandante, si può sapere cosa diavolo sta succedendo?»

Al vice-comandante Valek veniva la pelle d’oca ogni volta che il medico capo si rivolgeva a Tomalak in quel modo: un brivido partiva dalla base del collo saettando lungo la schiena, mentre il capo si voltava meccanicamente per constatare la reazione del comandante a simili toni autoritari.

Difatti Tomalak si girò, zelante, con sguardo truce guardando la romulana che brandiva uno sguardo d’acciaio e qualcosa molto simile ad un acuminato strumento da laboratorio; aveva notato che tutti gli ufficiali donna del suo equipaggio erano sin troppo “audaci”: non gli stava bene qualcosa? Avrebbero schiaffeggiato anche proconsole e pretore assieme se necessario; probabilmente, erano tanto combattive proprio perché facenti parte del suo equipaggio.

«Se può essere più chiara, dottore…» sibilante.

«Certo che posso.» la romulana si avvicinò determinata, puntando l’attrezzo in traiettoria del naso del comandante, sebbene mantenendo le dovute distanze «Questa infermeria è piena di mascalzoni! E’ modo di portare a termine una missione simil-diplomatica? In aula magna ci sono senatori e comandanti, chi più ne ha più ne metta, e da un’ora a questa parte a varcare quella soglia è una processione di romulani ubriachi! Questo non è un centro di riabilitazione!»

Neanche un dispotico Tomalak poteva aspettarsi una simile dichiarazione, e fu proprio per quello che per quell’occasione sorvolò di punire verbalmente il capo medico.

Si voltò verso Valek, ignorando del tutto la romulana; i due si guardarono muti per un paio di istanti, poi il vice annuì, ed entrambi si mossero svelti verso il corridoio alla ricerca dell’aula magna.

«Tzk… Uomini!» contestò il dottore ad alta voce.

~ ~ ~

Il Comandante Vorlan Tebok era caratterizzato, come molti uomini romulani, da una distinta presunzione –sebbene celata con molta infida ed elegante superbia—, connotato che di fronte all’inaspettato rischiava spesso di metterlo in condizioni di non comprendere: difatti, in quel momento non capiva.

Non capiva per quale motivo vedesse la sua vista offuscarsi e rimettersi a fuoco quasi fosse stata una macchina olofotografica, ma certo la confusione mentale che percepiva non lo aiutava: prese ad ammiccare lentamente, e non si accorse del rumore di vetri rotti quando mollò la presa sul bicchiere.

In men che non si dica un centurione e un ufficiale di Lokhat lo sorressero dalla caduta, mentre la signora T’Ling Lokhat si sporgeva curiosa verso la scena, con una mano posata leggera sulle labbra che nascondeva il sorrisetto un po’ beffardo: «Oh che peccato…» sospirò con ipocrisia vedendo il giovane comandante del tutto privo di sensi. Quando fece per girarsi, notò l’entrata affrettata del primo ufficiale e del comandante nell’aula, e il progressivo stuccarsi dei loro lineamenti.

«Oh!, era ora… c’è stato un po’ di trambusto qui.» disse la donna intercettando specialmente Tomalak, il quale le restituì uno sguardo talmente ostile che quasi avrebbe potuto fisicamente tramortirla.

«Lei questo lo chiama trambusto…?» azzardò ancora lievemente incredulo Valek.

Il vice osservò in primis due ufficiali piegati su una console, piegati dalle risate, un altro che batteva pugni sulla schiena di un collega che tossiva insistentemente, un Lokhat quantomeno svenuto su una sedia mentre dormiva e i tre romulani che nel tentativo di sorreggere Tebok erano caduti tutti a terra assieme al corpo inerme.

Tomalak si dichiarò tra l’indignato e l’incredulo, facendo voltare il capo da una parte all’altra: «Quanto hanno bevuto?»

T’Ling si voltò appena e noncurante verso i “disadattati”, poi rispose: «In realtà non molto, forse non era birra romulana quella…»

«Lo era signora, l’ho assaggiata personalmente.» confermò Valek, ma a quelle parole lo sguardo oltremodo scettico e di rimprovero di Tomalak lo raggiunse, considerando le condizioni in cui era stato trovato.

«Fate riparare il sistema di areazione poi… c’è un odore terrificante qui dentro!» protestò lei gesticolando.

Il comandante a quelle parole ricordò quel misterioso dettaglio: probabilmente il suo sistema olfattivo si era abituato a quell’odore, e ora riusciva a percepirlo a malapena, ma sapeva per certo che non era opera delle erbe portate a bordo dagli ospiti, considerando che era stato permesso di fumarle a porte chiuse. E il sistema di areazione avrebbe dovuto ripulire il tutto, invece sembrava aver coperto persino quegli odori.

Tomalak interruppe il secondo in comando prima che potesse prendere provvedimenti: «Andrò io alla manutenzione. Lei pensi alla questione della griglia, Valek, cerchi di contattare la flotta.» il vice annuì, incamminandosi; Tomalak stava per andare, quando si rigirò per fronteggiare la romulana: «Signora Lokhat, le andrebbe di rendersi utile?» fu una frecciatina, proferita con un ghigno appena accennato e decisamente sarcastico, espressione che ella colse al volo.

«Naturalmente, Jarodh…» e si avvicinò a lui indisturbata, allacciandogli le braccia dietro al collo, considerando che la piccola folla alle sue spalle nell’aula era troppo impegnata a non sbavare per terra per accorgersene.

Tomalak si irrigidì visibilmente, una fra le poche volte in cui poteva definirsi sotto attacco, tanto che non si mosse per farle cambiare atteggiamento; la guardò serio, intensamente, poi disse: «Veda di portare una di quelle bottiglie al laboratorio di questo ponte. O ha bisogno di essere accompagnata?» si lasciò sfuggire un altro lieve sogghigno. Lei in risposta allargò solo il suo sorriso, sempre pericolosamente vicina.

Ho solo due opzioni: o la scaglio nello spazio, o la tengo occupata il più possibile.

«Visto che c’è,» e le afferrò le braccia per rimetterle al loro posto «faccia anche chiamare l’infermeria.»

E nel modo più svelto possibile, le diede le spalle dileguandosi per il corridoio.

~ ~ ~

Ci provava, il facente funzione di capo ingegnere Disia, ma la sua concentrazione era offuscata e della consistenza della nebbia. Tanto che neanche ricordava precisamente quando aveva smesso di maneggiare con le console, per fermarsi giusto un attimo e riprendere fiato; poi i suoi occhi erano caduti sul monitor di controllo della velocità a curvatura, e lì era rimasta fissa a guardare le cifre.

Non era stupita del fatto che neanche l’attività degli altri fosse da registrare negli annali; tutto sembrava tranquillo, ogni cosa andava bene.

Tranne quel numero.

Quel dannato numero sulla schermata della console.

«Curvatura… curvatura… ?»

Lo sussurrava quasi, col respiro così lento e rilassato, e la vista decisamente non a fuoco. Stringeva gli occhi, nel tentativo di capire se si stesse sbagliando ma, no, quello sembrava proprio un 8. I contorni del simbolo erano quelli!

«Bene! Procediamo a curvatura 8 allora!» esclamò poi ad alta voce, digitando il comando e ridacchiando.

Si allontanò dalla console mantenendo la sua ilarità indotta, senza accorgersi del fatto che la curvatura inserita era 3, e non 8.

~ ~ ~

Un sospiro, pesante.

Dedicò solo qualche secondo alla questione sul perché il corridoio dei pannelli della manutenzione fosse del tutto immerso nel buio, in totale black-out. Perlomeno da fuori. E inoltre, non c’era anima viva.

Non che importasse, del resto i romulani quanto i loro lontani cugini vulcaniani possedevano delle capacità fisiche non indifferenti; sebbene non avessero conservato l’incredibile forza fisica vulcaniana data la loro più tenue atmosfera, i sensi erano comunque molto più sviluppati rispetto a quelli di altre razze; lavorare al buio non sarebbe stato un problema.

Chinato su un pannello sigillato, passò qualche manciata di secondi ad imprecare nella sua lingua madre, maledicendo la situazione corrente e la sua progressiva e malefica crescita; di quel passo avrebbero dovuto come minimo lanciare un messaggio di soccorso, inoltre gli ronzava in mente l’esperimento sulla griglia tachionica e i rischi che correva anticipando l’arrivo della nave.

Si arrabbiò di più però quando constatò che il pannello non cedeva sotto i suoi sforzi, e la sua pazienza andava mano mano sbiadendo; se poi doveva considerare che quella non era la sua Terix, l’idea di danneggiare una paratia lo sfiorava a mala pena: si alzò in piedi e raccolse tutte le forze per sganciare una potente pedata sul portello, che si staccò schizzando sul pavimento e creando un gran chiasso.

L’unica risposta che lo raggiunse fu l’eco, i motori ronzanti e una risata molto, molto in lontananza. Seguita da un colpo di tosse.

«Dannazione.» imprecò furioso sottovoce, tornando ai comandi.

Quando si chinò, notò che sul display lampeggiava una spia rossa: era il segnale che nell’aria c’era una sostanza chimica non ben identificata.

Ma quella non era l’unica spia a lampeggiare, perché proprio sotto quella, ce ne era un’altra arancione tutta dedicata alla stabilità strutturale di quel particolare portello.

Fu troppo tardi quando Tomalak realizzò, e proprio quando aggrottava la fronte, un possente sbuffo d’aria delle vie di areazione danneggiate in quel punto lo colpì in pieno viso, e colto di sorpresa cadde all’indietro.

Scosse la testa sollevandosi sui gomiti, mentre le orecchie gli fischiavano a causa di quel fastidioso sbuffo d’aria.

Stava pensando di mettere la nave sotto allarme quando si accorse, anzi, si rese conto che in realtà, non lo desiderava affatto. All’improvviso, non desiderava affatto trovarsi lì, in quel posto inospitale e buio, avrebbe di gran lunga preferito fare il suo comodo.

Non si preoccupò nemmeno di farsi troppe domande: dannazione, perché avrebbe dovuto? Si rialzò, con molta flemma, sistemando l’uniforme, guardando la fine del corridoio che sembrava allontanarsi sempre più mano mano che la fissava intensamente, e trovò la cosa stranamente gradevole.

In compenso il suo sguardo non mutò. Era piuttosto serio, o forse semplicemente apatico, dubbioso, seppure condizionato dalla mente.

Si girò verso lo sbuffo, che cominciava a diventare pian piano più contenuto; decise che gli bastava quello.

Ammiccò, scuotendo la testa, poi i suoi pensieri corsero all’aula magna: lui era lì in quel dannato condotto, e quei burocrati/militari se ne stavano a strisciare sul pavimento; specialmente pensò a Lokhat, e a quando lo mise quasi in ridicolo di fronte ad un gruppo di senatori per la manovra mal conclusasi quando la Federazione ospitò il traditore Jarok.

Un odio quasi atavico gli montò in petto, e le gambe per poco non si mossero da sole.

~ ~ ~

«Vice-comandante, vice-comandante!»

T’Lal corse praticamente dietro l’ombra del vice, dall’andamento un poco precario. Aveva lasciato Taloch e Kret da parecchio ormai, dopo che li aveva sorpresi raccontarsi barzellette sui Klingon, evento che avrebbe ritenuto più raro del contatto con un universo parallelo; il vice sembrava un po’ stordito, ma molto meno dei suoi colleghi di stazione.

Corsero, corsero entrambi finché alla fine la sala che raggiunsero altro non fu che la plancia. E lì, T’Lal si bloccò, osservando un Valek, solo, piegato mentre si reggeva sulla sedia del comandante, riprendendosi dal fiatone. La cosa la rincuorò e la spinse ad avvicinarsi, ma si inchiodò a terra quando sentì sfuggire una risata un po’ banale dal secondo in comando.

Sbuffo pesantemente, mordendosi poi il labbro con frustrazione.

«Vice-comandante, dobbiamo mandare un messaggio alla flotta.» dichiarò seria approcciandolo.

Questo si risollevò sorridente più che mai: «Io ce l’avrei un’idea… è un bel po’ di tempo che vorrei spedire una bella pernacchia al comando!» e scoppiò a ridere.

T’Lal lo afferrò con forza per le spalle scuotendolo: «Vice-comandante, si riprenda!»

A scuotimento concluso, Valek emise un fischio, sghignazzando mentre si premeva le tempie con le mani: «Be’, la console è lì, che vogliamo dirgli?» Niente, non demordeva.

La romulana allora si mosse di sua iniziativa verso la console, intenzionata ad avvertire l’Alto Comando; Valek la sentì prima di tutto tentare di contattare le stazioni interne della nave, senza successo e senza ricevere risposte, cosa che lo fece ridere ancor di più, poi si avvicinò a lei dandole una pacca sulla spalla: «Ma che le importa della flotta? Fra due ore arriveremo a destinazione!»

Lei lo fissò, cercando una pazienza che andava sbiadendo: «Facciamo così: perché non cerca il comandante? Dovrei parlargli, potrebbe farmi questo favore?»

Lui scosse la testa, appoggiandosi sul bordo delle stazioni, sedendocisi sopra quasi un poco: «Ma io non ho idea di dove sia il comandante.»

«Spero in un posto migliore del mio…» sospirò ella, riferendosi alla spiacevole situazione e cominciando a concentrarsi sui comandi; poco dopo, fu trafitta da uno sguardo quasi sconfitto, e si voltò amareggiata verso Valek: «Dannazione, richiede l’autorizzazione!»

«E’ naturale,» le spiegò lui «abbiamo a bordo importanti figure di stato, non si può certo permettere che chiunque parli all’esterno!»

Lei lo afferrò di nuovo di forza, con l’intento di fargli sputare il codice di sicurezza, facendolo sbilanciare all’indietro sui tasti prima di spostarlo da lì.

Nessuno dei due si accorse del dolce virare della nave, che cambiava la rotta sulla base dei tasti premuti dalle terga del vice-comandante.

~ ~ ~

Lokhat si svegliò sulla sedia sobbalzando in seguito ad un proprio grugnito, guardandosi attorno e notando come la gente fosse serena e mansueta. Dai suoi sensi offuscati, riuscì però a farsi distrarre dal rumore di vetro rotto a terra…

-

Quando il comandante raggiunse l’aula magna, T’Ling era lì ad aspettarlo, appoggiata seducentemente allo stipite della grande porta automatica con una bottiglia vuota in mano.

Sebbene neanche le condizioni di Tomalak fossero fra le migliori, quella vista gli suscitò disappunto: «Già finito?»

«E che c’era poi da fare?» domandò ironica lei con un sorriso, mentre lanciava la bottiglia alle proprie spalle e andava avvicinandosi al comandante romulano «Sono stata in laboratorio ma ho visto che di Kali-fal lì già ce ne era, e come puoi constatare i dottori sono già qui!»

Era palesemente sbronza.

E altrettanto palesemente, andava riferendosi a due dottori, dritti l’uno di fronte all’altro, che litigavano animatamente su quale fosse la diagnosi più appropriata per il comandante Tebok disteso a terra.

Tomalak non poté che far scivolare il palmo della mano sulla faccia. Nonostante l’offuscamento, cominciava a percepire una discreta furia.

«Ora che ho fatto tutto, che tu sei tornato e che la nave prende tranquillamente il volo…» era vicina, di nuovo, ancorata all’altro «…perché io e te non prendiamo il volo per il primo alloggio disponibile?»

Stavolta Tomalak non aveva i riflessi necessari per essere come sempre preparato ad una risposta, troppo quei fumi avevano agito sul suo sistema nervoso, anzi, quando si sentì il muro premergli contro le spalle e le curve di T’Ling addosso, decise che era persino ora di collaborare.

E come ogni predatrice, T’Ling si accorse perfettamente del cambiamento, e ne approfittò senza battere ciglio; gli gettò di nuovo le braccia al collo, alzandosi sulle punte per togliergli il fiato con un bacio appassionato, a cui il comandante paradossalmente rispose con molto trasporto, stringendola a sé.

Ma si videro entrambi sobbalzanti e sussultanti quando sentirono una voce imperiosa e più che furiosa palesarsi al loro indirizzo: «COMANDANTE TOMALAK!»

 

  
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