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Autore: Marzolina    05/07/2010    4 recensioni
"Raccapricciante" era la parola preferita di Dina (sette anni appena), da qualche giorno a quella parte. Non tanto per il significato in sé (neppure tanto aulico) quanto per il delizioso appagamento che ne ricavavano la lingua e il palato: le "c" e le "r" rotolavano e si scioglievano sulle papille gustative così bene, che sembrava quasi di sentirne il sapore. E poi le labbra e i muscoli facciali davano il meglio di loro, assumendo tutte le posizioni consentite.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raccapricciante

Molti decenni fa
Da qualche parte in Giappone

Il giovane Calogero Piscitelli, esploratore di professione, sfidando venti, pioggia, neve ed intemperie di ogni genere, era finalmente giunto a destinazione: il tempio del divino Akurashi.
Inerpicato sulle cime del monte Fuji, incastrato tra due enormi costoloni di roccia, il palazzo era noto per le strabilianti capacità purificatrici dei suoi adepti.
Calogero, che si trovava esattamente davanti all'enorme portone istoriato con un vento tale che si sentiva portar via la faccia, deglutì e decise infine di bussare.
Il rumore che ne conseguì, nonostante l'uomo fosse un siciliano tarchiatello e decisamente sconvolto dalla fatica, fu assordante e sembrò rimbombare per tutta la montagna e la vallata.
-Chi è là?- si sentì poco dopo pronunciare distintamente da un vocione.
-Sono Piscitelli!- gridò in risposta Calogero, che il giapponese lo masticava un poco.
-Entra- E il grande portone si aprì, lasciando passare il povero esploratore dalla furia della tempesta che imperversava all'esterno, a quella pace sublime e divina che pervade i luoghi di culto orientali.
-Piscitelli-san!- lo salutò un sacerdote tintinnante di amuleti, comparendogli come un fantasma alle spalle.
-Lo hai con te?-
Calogero annuì un po' impacciato, a disagio per tutta quell'atmosfera pagana (lui che in tasca aveva il rosario di Santa Maria Assunta del Fiore), si tolse il pesante zaino che ancora portava in spalla e ne estrasse con precauzione un involucro di carta di giornali.
Quando lo svolse il sacerdote trattenne il fiato e intorno a loro ci furono inchini schizofrenici e un fuggi fuggi generale di bonzi in tutte le direzioni, mentre qualcuno mormorava terrorizzato: "E' raccapricciante"
-Oh, Piscitelli-san, sei fortunato ad essere ancora vivo!-
esclamò il sacerdote con la massima tragicità.
-Si può fare niente?- domandò incerto Calogero, che adesso reggeva l'oggetto appena svelato neanche avesse in mano una granata sul punto di esplodere.
-No, mio coraggioso amico. Noi non abbiamo le armi necessarie per epurare un artefatto di tale malvagità spirituale...- rispose l'altro scuotendo mestamente la testa -... c'è solo una soluzione.-
Calogero lo guardò speranzoso e quando quello gli fece segno di seguirlo, lui non si fece pregare e gli corse letteralmente dietro. La strana coppia salì quindi varie rampe di scale tortuose, illuminate solo dalla fioca luce di alcune fiaccole piazzate esattamente all'interno della bocca di statue di dragoni che facevano capolino dalle pareti.
Arrivati ad una certa quota, il sacerdote si fermò di botto (rischiando che Calogero e il malefico oggetto gli finissero addosso) e spalancò una piccola finestrella quadrangolare che, Calogero constatò con un po' di timore, si apriva a picco sul vuoto.
-Ora Piscitelli-san, getta il demone in fondo alla voragine e prega che mai, mai nessun'altro essere umano lo riesca a reperire-
Calogero si sporse oltre il cornicione di pietra e, nonostante il vento e la neve gli impedissero di vedere, lasciò andare l'oggetto che sparì nelle profondità del baratro senza un tonfo.
-Quale sarebbe la conseguenza, se lo ritrovassero?- chiese poi al sacerdote.
Quello inspirò, mormorò una preghiera ad una divinità sconosciuta e infine sentenziò, in un insospettabile fluido italiano:
-Tanta sfiga-

* * * *

Giorni nostri.
Da qualche parte a Milano

"Raccapricciante" era la parola preferita di Dina (sette anni appena), da qualche giorno a quella parte. Non tanto per il significato in sé (neppure tanto aulico) quanto per il delizioso appagamento che ne ricavavano la lingua e il palato: le "c" e le "r" rotolavano e si scioglievano sulle papille gustative così bene, che sembrava quasi di sentirne il sapore. E poi le labbra e i muscoli facciali davano il meglio di loro, assumendo tutte le posizioni consentite.
"Raccapricciante, raccapricciante, raccapricciante". Le piaceva tanto, quell'aggettivo, che quel pomeriggio avrebbe volentieri abbracciato lo zio Immanuel, grazie al quale aveva finalmente trovato un'occasione incredibilmente succulenta ed assolutamente imperdibile per farne uso.

Lo zio Immanuel era un uomo di mondo, lo sapevano tutti in famiglia. Erano anni che viaggiava in lungo e in largo per il globo e naturalmente si premurava sempre di procurarsi qualche grazioso souvenir per i nipoti, dato che lui non aveva moglie(-E chi mai se lo sposerebbe, un pistola come quello?- inveiva la sorella Rosalba).
Una volta era un sombrero dal Messico per Giovannino, un'altra era una matrioska da Mosca per Cassandra, un'altra ancora un bonsai da Pechino per Piercasimiro.
A Dina, dopo un viaggio di esplorazione per i castelli scozzesi, aveva portato una piccola cornamusa in miniatura che, certo, non si poteva suonare, ma stava un amore in braccio all'orsacchiotto di peluche Paco.
E invece quel pomeriggio, dopo la festa per l'ottantanovesimo compleanno del nonno Anselmo (il quale, bontà sua, aveva ben sei figli e un numero di nipoti che si aggirava paurosamente attorno alla trentina, e che quindi pretendeva di averli tutti riuniti nella sua enorme villa, almeno quel giorno), fu il vecchio, insomma, a fare la sorpresa allo zio Immanuel.
Senza preavviso, con l'occhio lucido e il monocolo appannato, aveva tirato fuori un grande involucro, dicendo che suo figlio (che era arrivato con un enorme cavallo di vetro dritto dritto da Venezia) che era anche il più giovane, meritava quella preziosa eredità prima del tempo.
Gli altri zii, Rosalba, Fiorenzo, Lucrezio, Castore e Zelia, la mamma di Dina, lo avevano guardato per un attimo un po' offesi: perché proprio a lui tante preferenze? Poi però, mentre l'ignaro Immanuel scartava il pacco, si erano ricreduti.
Era un soprammobile. Una specie di fermacarte.
Una cosuccia innocua, sarebbe venuto da pensare, se non per le dimensioni leggermente grandi.
Ma poi, a guardarlo meglio, tutti erano ammutoliti, e nella sala era calato un silenzio cupo e imbarazzato: si trattava infatti della scultura di un alberello, in marmo probabilmente, che gettava lunghi rami ritorti verso l'alto.
Questo non era niente però, perché dai suddetti rami e dal fusto della pianta stessa penzolavano, si arrampicavano, si attorcigliavano gli uni sugli altri in acrobazie anatomicamente impossibili, demonietti dai falli mastodontici e piccole ninfe dai volti sofferenti con le gambe spalancate e seni esorbitanti.
Una gigantesca orgia arbustre, insomma.
Lo zio Immanuel era rimasto senza parole, per la prima volta in vita sua, e anzi tremava pure con una faccia leggermente stralunata.
Gli altri adulti, tuttavia, tentarono di sdrammatizzare la cosa.
-Molto decorativo, papà- fece timidamente lo zio Fiorenzo.
-Decisamente originale...- lo spalleggiò la moglie Violetta.
-Sarà antichissimo- dichiarò con solennità Castore.
-Marmo vero?- s'informò educatamente Zelia.
Il povero Immanuel, dal canto suo, stava lentamente riprendendo colorito e, per non deludere il padre che aspettava ansioso un commento, balbettò incerto:
-E'... è... -
Ecco allora che non risultò per niente fuori luogo che ad un certo punto la piccola Dina, liberatasi dalla stretta della madre, corresse verso l'infausto oggetto e puntandogli il ditino contro urlasse, come una naturale continuazione dei biascicamenti dello zio:
-RACCAPRICCIANTE!-

   
 
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