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Autore: Illidan    08/07/2010    9 recensioni
Se è vero che Annibale è stato il migliore avversario dei romani nel corso di quasi tutta la loro storia, Plinio fu di certo il più acerrimo nemico della sua intelligenza, la quale dovette abbandonare il campo, sconfitta e umiliata, dopo soli 5 anni dalla sua nascita. - Biografia di un grande rompiballae dell'antichità!
Genere: Parodia, Comico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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De Plinii iuvenis idiotae vita
Questa one-shot nasce dal modo in cui il mio prof di latino ha spiegato Plinio il Giovane (giudicandolo assolutamente vuoto e fatuo) e dall’ispirazione che mi ha dato la mia amica Daria circa l’amicizia che Tacito, così serio e impegnato, secondo lei nutriva nei confronti di Plinio, cioè nessuna.

 

De Plinii Iunioris idiotae vita

 

Gaio Cecilio Secondo, chiamato poi Plinio il Giovane in seguito all’adozione da parte dello zio Plinio il Vecchio, nacque a Como nel 61 d. C.

Se è vero che Annibale è stato il migliore avversario dei romani nel corso di quasi tutta la loro storia, Plinio fu di certo il più acerrimo nemico della sua intelligenza, la quale dovette abbandonare il campo, sconfitta e umiliata, dopo soli 5 anni dalla sua nascita. A quel tempo Plinio cominciava ad andare a scuola di retorica e oratoria dal maestro Quintiliano, famoso per la sua passione viscerale per Cicerone. Mentre stava in classe ad ascoltare elogi sperticati sull’oratore morto più di un secolo prima, Plinio si fece un grande amico: Publio Cornelio Tacito. A dire il vero, non è che Tacito fosse molto contento di questa amicizia, e ciò può essere mostrato da un solo esempio.

 

Subito dopo il primo giorno di scuola, Plinio si avvicinò a Tacito e gli disse:- Ciao Tacito, io sono Plinio il Giovane (dev’essere perché mio zio è quello vecchio, e in effetti è un vero bacucco). Sei mio amico, vero?-

-No.- rispose secco Tacito guardandolo storto.

Plinio rimase in silenzio per un attimo e poi esclamò:- Evviva!!!-

-Ma...- disse Tacito stupefatto.

-Lascia stare, lui è Plinio, capisce solo quello che vuole capire.- gli bisbigliò Romano, un altro che fu in seguito vittima dell’amicizia di Plinio. Ricevette migliaia di lettere in cui Plinio gli parlava della sua vita privata, di quello che faceva minuto per minuto ogni giorno, senza tralasciare nessun particolare. Dopo l’ennesima lettera in cui gli raccontava di come era riuscito ancora una volta a lavarsi i denti, Romano si suicidò. Ma questo accadde molti anni dopo. E dato che questo esempio era un po’ breve, ne metterò un altro (in barba a Plutarco che pensa ne basti uno).

 

Una volta Plinio andò a casa di Tacito, che stava svolgendo un tema datogli dal maestro: “Mettere a confronto il divino, sublime, incommensurabile Cicerone con quella schifezza abominevole di Seneca”.

-Ciao, Tacito, amico mio!- gridò alle spalle del futuro storico, facendolo sobbalzare.

-Plinio???- esclamò Tacito voltandosi di scatto -Ma come sei riuscito a entrare? Avevo dato espressamente ordine ai miei schiavi di non farti passare!-

-Oh, sai, mi sono messo a parlare con loro e li ho convinti, che sì, servi sunt, immo humiles amici, quindi io sono amico tuo, e perciò loro, se non vogliono essere cattivi con un amico, devono lasciarmi entrare, altrimenti un vir bonus dicendi peritus potrebbe mettersi a piangere e poi andremo tutti quanti in campagnia a dormire sulla riva di un fiume quando la stagione è favorevole e nascono le roselline.-

Tacito lo guardò incredulo. -Non ha alcun senso quello che hai appena detto!-

-Lo so, me lo dicevano anche loro, quindi ho dovuto ripeterglielo 1895 volte. Allora mi hanno lasciato entrare. A dire il vero mi sembravano un po’ stanchi... Forse dovresti farli lavorare di meno, dopotutto sono pur sempre esseri umani, dotati di parola e soprattutto di intelletto.-

-Già, a differenza di qualcuno... Ora però sto lavorando Plinio, lasciami in pace.- disse Tacito rimettendosi a scrivere.

-Siamo amici Tacito, vero?- domandò allora Plinio con un sorriso da idiota.

-No.-

-Evviva!!!- esclamò Plinio abbracciandolo.

-Aiuto...- mormorò Tacito disperato.

 

Plinio il Giovane venne adottato dallo zio, Plinio il Vecchio. Se qualcuno si chiedesse come fosse possibile che una persona sana di mente adottasse un simile cretino, dovrebbe prima andarsi a leggere la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Chiunque creda come lui all’esistenza degli sciapodi o dei cinocefali o pensi che le macchie lunari siano dovute all’umidità, come se il cielo fosse una grande cantina stillante umido e gocce d’acqua e magari ricca di bottiglie di vecchi vini, di certo non può essere definito totalmente sano di mente. Comunque bisogna riconoscere a Plinio il Vecchio il merito scientifico di aver osservato l’eruzione del Vesuvio. Peccato tuttavia che volle andare più vicino per vedere meglio.

Quando però Tacito fu sul punto di scrivere un capitolo delle Historiae in cui narrava della distruzione di Ercolano e Pompei, cominciò a cercare fonti sull’argomento. Tuttavia fece una terribile scoperta: l’unico che possedeva le pergamene (bruciacchiate e annerite, ma chissà come integre) di Plinio il Vecchio altri non era che il figlio adottivo. Dopo essersi lungamente lamentato con Giove e molte altre divinità per la sua infelice sorte, Tacito dovette scrivere una lettera a Plinio per domandargli informazioni sull’eruzione del Vesuvio.

Plinio fu così contento che scrisse a Tacito venti lettere. In realtà parlava dell’eruzione solo per una ventina di righe al più, tutto il resto era la solita marea di sciocchezze e pinzillacchere con cui Plinio riempiva tutte le sue lettere.

 

Con il passare degli anni la situazione a Roma si fece insostenibile: Plinio rompeva le pallae a metà del ceto dirigente romano con le sue inutili lettere e inoltre intasava il servizio postale. Così un comitato con a capo Tacito, Romano e Minicio Fundano (altro sventurato destinatario delle lettere) si presentò all’imperatore Traiano in persona e lo pregò di mandare via Plinio. L’imperatore, che conosceva la sua fama di rompiballae, ma non aveva mai ricevuto nessuna sua lettera, decise che lo avrebbe mandato in Bitinia come suo legato. Prima però, per far sembrare che ciò fosse una ricompensa per Plinio, Traiano e Tacito inscenarono un falso processo nei confronti di Mario Prisco (anche lui tormentato dalla grafomania pliniana) e fecero sì che Plinio riucisse a farlo condannare per corruzione. Non fu così facile: a un certo punto del processo Plinio fece un’arringa tanto complicata quanto senza senso con la quale si accusava da solo e si dichiarava colpevole. Toccò a Mario Prisco, che in seguito divenne un attore di successo, rimettere a posto le cose facendo sì che Traiano riuscisse a condannarlo. Dopo quella ignobile farsa, cancellata per sempre dagli annali di Roma, tutti festeggiarono Plinio il Giovane per la sua sagacia e abilità retorica e Traiano gli affidò il governo della Bitinia come premio. Per rendere tutto più verosimile agli occhi di Plinio, Tacito fu perfino costretto ad abbracciarlo e a chiamarlo amico. E fu così che la loro amicizia passò alla storia.

 

Quindi Plinio fu mandato nel 111 d.C. in Bitinia.

Gli abitanti del luogo sapevano che in quella provincia venivano sempre quei romani che, per un motivo o per l’altro, a Roma non ci potevano più stare, e d’altronde non sapevano fare nulla, perciò sarebbe stato folle assegnare loro una provincia più difficile da gestire. Avevano apprezzato il governo del buon Memnio, che si portava sempre dietro un poeta simpatico e amante della natura e degli animali, forse un po’ eccentrico, dato che non partecipava mai ai sacrifici e borbottava sempre qualcosa come “Tantum religio potuit suadere malorum”. D’altronde i Bitiniani vivevano vicini alla Grecia, terra di filosofi, ed erano abituati a personaggi bizzarri.

Ma non certo a quel rompiballae di Plinio. Dal primo giorno che arrivò cominciò a chiedere a tutti se pensassero che fosse una fortuna che l’imperatore Traiano, nella sua infallibile intelligenza, avesse nominato lui, uno dei romani più saggi e abili nell’oratoria, governatore della loro provincia. Dopo un po’ semplicemente lo ignorarono, mettendosi i tappi nelle orecchie ogni volta che teneva un discorso e dipingendosi gli occhi sulle palpebre per poter dormire in pace.

Diversamente non poté ignorarlo il povero Traiano, che continuò a ricevere lettere per tutta la durata del mandato. Non che non abbia mai provato a farlo smettere.

Per fare un esempio (un bel paradeigma,come dice Plutarco), una volta Plinio scrisse a Traiano riguardo al problema dei cristiani. Gli scrisse che gli sembravano sospetti perché si rifiutavano di dargli i loro indirizzi impedendogli così di scrivere loro che il giorno prima aveva scoperto che l’unghia del suo alluce destro cresceva più in fretta di quella del mignolo sinistro.

Quando arrivò la risposta di Traiano, Plinio ordinò emozionato al suo segretario di leggergliela.

-L’imperatore Traiano dice di lasciare in pace quei poveri cristi e di smetterla di scassargli le ballae con le tue insulse lettere, governatore Plinio.-

Plinio rimase in silenzio per un attimo e poi esclamò:- Evviva!!!-

 

Purtroppo per tutti, tranne che per i bitiniani, il mandato di Plinio si esaurì e tornò a Roma. Il giorno prima che arrivasse Romano si suicidò. Plinio ne fu molto addolorato e continuò a portargli le sue lettere sulla tomba e a leggergliele ogni giorno. A quanto pare lo spirito di Romano andò subito nei Campi Elisi, dopo la morte di Plinio, per aver sopportato per più di un anno quella tortura terribile anche da morto.

 

Un giorno Plinio andò da Tacito che stava sistemando e controllando la sua opera storica ormai completa. Dato che non se ne andava e Tacito era vecchio (cinque anni più di Plinio, che sebbene ne avesse una cinquantina, dimostrava ancora le capacità intellettive di un infante) e non poteva costringerlo con la forza, gli disse di fare qualcosa per aiutarlo.

-Plinio, se proprio vuoi stare qui a rompermi le ballae, almeno renditi utile: conta quanti libri ho scritto finora, così poi li ordino per bene.-

Dopo circa dieci minuti, Plinio, facendo sobbalzare ancora Tacito, esattamente come in gioventù, esclamò trionfante:-Sono trenta!-

-Trenta!? Ma se sono otto mucchi di almeno sei rotoli di pergamena ciascuno! Ne sei sicuro?-

-Beh, forse sono di più, ma io oltre a trenta non so contare!-

Tacito si batté una mano sulla fronte per la disperazione: ma quanto era idiota Plinio?

-Bah, lascia perdere. Tanto nessun altro farà il tuo errore!-

 

Circa trecento anni dopo, San Girolamo scrisse la sua Chronica.

-E l’opera storica di Tacito consta di trenta libri in tutto.- mormorò mentre scriveva su una pergamena.

-Ma che dici? A me sembrano molti di più!- esclamò il leone. -E poi come pensi che possano starci circa ottant’anni di storia in soli trenta libri quando ne ha usati quattro per descriverne uno solo?-

-Oh, sta’ zitto! Cosa vuoi capire, tu? Sei solo uno stupido gatto troppo cresciuto!- borbottò San Girolamo continuando a scrivere.

Il leone scosse la testa e si accoccolò ai suoi piedi rassegnato: temeva che l’ignoranza di Girolamo sarebbe stata la rovina di qualche classicista in futuro, ma era sicuro che il santo non avrebbe mai ammesso di non saper contare oltre al trenta, orgoglioso com’era.

 

Pressapoco mille e settecento anni dopo, uno studente di un liceo classico italiano leggeva una delle domande della terza prova di maturità.

-“Quanti sono i libri dell’opera storica di Tacito in base alla testimonianza di San Girolamo e in che modo sono suddivisi fra Historiae e Annales?” Hum... Allora... Erano... Ehr... Trenta dì conta novembre con april, giungo e settembre... No, che c’entra... Ah, sì, trenta! Ma come fanno a starci ottant’anni di storia in soli trenta libri se solo nei primi quattro delle Historiae c’è soltanto l’anno dei quattro imperatori? Forse mi ricordo male... Ah, maledetto Girolamo!- borbottava fra sé lo studente disperato.

 

Torniamo tuttavia alla vita dell’idiota.

Tacito gli intimò di stare fermo e di non fare nulla, se proprio non voleva andarsene. Il caso volle che quello fosse un giorno d’inverno molto freddo. La casa di Tacito aveva molti spifferi e Plinio cominciava a infreddolirsi e tremare. Mentre Tacito era uscito un attimo dalla stanza per cercare un altro calamaio d’inchiostro, Plinio pensò di ravvivare il fuoco quasi spento. Non trovò legna, ma c’erano tanti papiri e pergamene.

Quando Tacito rientrò, vide Plinio seduto davanti a un bel fuoco acceso. Sapendo che non aveva legna in casa, gli venne subito un atroce sospetto.

-Plinio, come hai fatto ad accendere quel fuoco?- domandò brusco.

-Oh, ciao, caro amico Tacito! Ho utilizzato un po’ di quelle cartacce ammucchiate sul tavolo...- rispose l’idiota sorridendo.

-Hai bruciato la parte finale della mia opera storica???- gridò Tacito diventando paonazzo.

-No, non ho toccato nessuno dei trenta libri delle Historiae e degli Annales, ho preso quelli che iniziavano con qualcosa tipo principatum divi Nervi et imperium Traiani, rara temporum felicitate; certamente cartacce, giusto?- disse tranquillo col suo solito sorriso ebete.

-Hai dato fuoco alla mia opera su questi ultimi anni, che io da giovane avevo promesso di fare durante la mia vecchiaia??? Brutto imbecille, idiota, cretino! Ti rendi conto di quello che hai fatto???- urlò Tacito con la faccia deformata dall’ira. A quel punto Plinio finalmente capì che aveva fatto qualcosa di male e cominciò a preoccuparsi.

-Siamo amici Tacito, vero?-

-No.-

E questa volta Plinio non disse più “Evviva!!!”.

 

Da quel lontano giorno del 113 d.C. non si hanno più notizie di Plinio il Giovane. Qualunque cosa gli sia successa, Tacito si portò il segreto nella tomba, anche se pare che di notte per molti anni nel cimitero si aggirassero due fantasmi, dei quali uno cercava sempre di abbracciare l’altro dicendo che erano amici e non importava che lo avesse ucciso, mentre l’altro cercava disperatamente di fuggire.

 

   
 
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