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Autore: Meli_mao    09/07/2010    4 recensioni
Pima classificata al contest indetto da DarkRose86: "[ Multifandom & Originali ] - Di canzoni, amori e un finto campo di grano"
Il tempo non è un gran dottore. La lontananza non rende più forti. E il silenzio non fa riflettere.
Palliativi per dissimulare, per continuare a camminare con lo sguardo serio, eppure sempre rivolto al suolo, nascosto dal cappuccio della felpa o da quel berretto arancio.
E la musica, malinconica, si quella è l’unica cosa che permette di piangere e giustificare l’atto dietro a un “Mi ha commosso!”.
Una storia d’amore mai vissuta né espressa. E una storia in cui quel sentimento si dimostra con piccoli gesti del tutto trascurabili.
Buona lettura
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Meli_mao
Titolo:
Ho Solo Dodici Anni.
Fandom:
Originale
Citazione scelta:
“Per lei io potrei fare quello che non sai./Con lei io starei bene al mondo forse più./
Per lei cambierei tutto quello che non va./Per lei io darei anche la mia libertà “

Personaggi/Pairing: Lui e Lei
Genere:
Romantico, Sentimentale, Triste.
Rating:
Verde
Avvertimenti
: One-shot
Beta-reading:
No
Note dell’Autore ( se ce ne sono ):
Dunque, ho diverse cose. A partire dal nome dei protagonisti. È volutamente mai scritto né da loro pronunciato. Sono solo lui e lei per un motivo semplice: ci sono pochissimi nomi che mi piacciono e che non sarebbero sembrati troppo strani e anche perché se avessi specificato troppe cose di loro avrei perso quella sorta di “incomprensione” che voglio la storia abbia. Alcune battute sono ambigue, pronunciate da entrambi e allo stesso tempo solo da uno di loro due. I dialoghi sono minimi e si confondono, proprio perché io voglio che molto sia lasciato alla fantasia di chi legge, ovviamente diversa dalla mia e forse da quello che io ho immaginato.
Inoltre, cosa importante, non mi prendo il merito di aver dato vita a questa storia attraverso un’illuminazione intellettuale. Tutte è legato ad una canzone che vorrei davvero facesse da sottofondo alla tua lettura (Down, di Jason Walker, di cui ti lascio il riferimento alla pagina: (http://www.youtube.com/watch?v=oa5WCS4FZtk ) e  ad un video che ho visto su Youtube con di sottofondo questa canzone(http://www.youtube.com/watch?v=bUhMcuNRP2c ), che mi ha sinceramente fatto piangere.
Il colore Arancio ricorre spesso ed ha un importanza personale per i protagonisti, spero di averlo fatto capire.
Ok, dovrebbe essere tutto. Spero solo ti piaccia.

Introduzione:
Il tempo non è un gran dottore. La lontananza non rende più forti. E il silenzio non fa riflettere.
Palliativi per dissimulare, per continuare a camminare con lo sguardo serio, eppure sempre rivolto al suolo, nascosto dal cappuccio della felpa o da quel berretto arancio.
E la musica, malinconica, si quella è l’unica cosa che permette di piangere e giustificare l’atto dietro a un “Mi ha commosso!”.

Una storia d’amore mai vissuta né espressa. E una storia in cui quel sentimento si dimostra con piccoli gesti del tutto trascurabili.
Buona lettura.

 

 

 

 

Ho Solo Dodici Anni

 

“Ripresi a camminare.
Un vento violento faceva sbattere i rottami di ferro
in mezzo alle macerie,
fischiando e ululando
attraverso le cavità annerite delle finestre.
Scese il crepuscolo.
La neve prese a cadere da un cielo plumbeo,
sempre più buio."
(Da “Il Pianista”, Wladyslaw Szpilman )

 

 

Portava i capelli sempre sciolti. Non le piacevano code o semplici mollette. L’unica volta che la vide con qualcosa tra i capelli era un bizzarro cappellino arancio, di lana grezza.
Rise lei, allo sguardo curioso che lui le rivolse, e rise ancora vedendo che lui non riusciva a distogliere gli occhi dalla sua testa.

Certo, probabilmente era il colore a dare tanto nell’occhio. Ma sua madre le aveva detto chiaramente che “O metteva quello o non usciva”. Così, senza troppi giri di parole, se l’era infilato, pronunciando la promessa di tenerlo fino al rientro, per evitare di prendere freddo alle orecchie.
E lui non poteva proprio farci nulla, visto che era lei quella ridicola fra i due e, soprattutto, visto che lei lo aveva fatto per poter vedere lui di nuovo, per poter giocare nella neve fresca e farsi rincorrere fra i campi alla ricerca di quella felicità che tutti gli uomini cercano.
Non le piacevano nemmeno le gonne, troppo fastidiose e pericolose per chi è abituato a correre velocemente tra l’erba alta o sulle rive del fiume, tra i sassi e gli insetti.
Se non fosse stato per quei capelli, lui ne era sicuro, l’avrebbero scambiata per un maschio, dalle fattezze eleganti e aggraziate, ma pur sempre un ragazzo.
E non le piaceva nemmeno l’inverno. Triste, deserto, solo… D’inverno si vedevano solo per poche ore al giorno e lei non riusciva a sopportalo. D’inverno doveva indossare quel berretto, e lei lo odiava. D’inverno doveva mettere persino le calze sotto i pantaloni, e lei lo trovava noioso nonché fastidioso.
Però, lui lo ammise spesso, vederla danzare sotto la neve, o anche sotto la semplice pioggia, bastava per rivalutare quella stagione, almeno per lui.
Frequentavano la stessa scuola, la stessa classe, persino gli stessi circoli di genitori. Si conoscevano così bene che l’uno era l’estensione dell’altra. L’uno era la metà dell’altra. L’uno era il peccato dell’altra.
Ma a soli dodici anni, nessuno dei due pensava quelle cose né si poneva il problema di capirle.
Erano solo loro due, che camminavano fianco a fianco, sfiorandosi con le braccia e chiacchierando.
“Mi piacerebbe volare via di qua, con l’arrivo del freddo, come gli uccelli”
Gli stessi sogni e le stesse speranze racchiuse nei loro animi.
“Vorrei poter restare, ma è tardi”
Le stesse frasi, gli stessi sguardi tranquilli e malinconici.
“Però… Ho ancora due minuti”
Ed infine, gli stessi sorrisi.
E lei sedeva accanto a lui, sul primo pezzetto libero dal bagnato, beandosi di quei timidi raggi solari, troppo deboli per riscaldarla, anche se… sarebbero stati troppo deboli per riscaldarla anche in piena estate se paragonati al calore che lei provava accanto a lui.
Gli prendeva la mano, coperta dai guanti neri, e la stringeva con innocenza, abbozzando un tenue sorriso, mostrando il naso arrossato e le guance colorite.
E lui rideva, ricambiando la stretta e storcendo il suo, di naso, per prenderla in giro.
“Restiamo qui ancora… tanto siamo già in ritardo, poco importa!” diceva lui, inspirando lentamente e trepidando per una sua approvazione.
“Se dobbiamo essere rimproverati, almeno facciamolo per un motivo valido!” commentava lei, annuendo convinta e appoggiandosi alla sua spalla.
Socchiudeva sempre gli occhi a quel punto e canticchiava una canzone:

“Per lei io potrei fare quello che non sai.
Con lei io starei bene al mondo forse più.
Per lei cambierei tutto quello che non va.
Per lei io darei anche la mia libertà”

Lui l’ascoltava, sfiorandola col suo sguardo, e ticchettando le dita della mano libera sul terreno, a ritmo di quella canzone senza musica, riuscendo persino ad immaginarsi mentalmente una melodia  che, stranamente, ogni giorno era diversa dalle precedenti.
“Perché canti una canzone da uomo?” ogni tanto le chiedeva, interrompendo a malincuore la sua voce, sempre troppo dolce per essere confusa con quella di un ragazzo.
“Perché è bella!” E allora stava in silenzio, invitandola tacitamente a continuare, spinto dalla necessità di sentirla di nuovo, ogni giorno della sua vita.

 
“I miei si trasferiscono…” La rottura avviene sempre per colpa di terzi.
Loro lo compresero subito, dal semplice sguardo umido che si scambiarono e dal silenzio che li avvolse.
“I tuoi o anche tu?” Domande sciocche, che non riuscivano però a far sorridere, non quella volta.
“Ho solo dodici anni…” Risposte ovvie, senza sentimento.
E dolore. Tacito e personale. Incomparabile e dilaniante.
E corse giornaliere, alle prime ore della mattina, verso quella cassetta della posta, vicino al cancellino ormai sempre chiuso.
Momenti di esitazione, poi la scoperta. Una lettera, un sorriso e persino quella lacrima che, irrimediabilmente, veniva cacciata dal volto, per celare l’ansia della lettura.
E il percorso verso scuola, più veloce del solito. I saluti rapidi ai conoscenti, le corse verso il bagno e il piede che ticchetta a terra nell’attesa che uno si liberi.
Il disinteresse dei rumori, delle parole, dei silenzi.
Lei e lui, seduti sulla tavoletta di un bagno pubblico, circondati da ragazzi frivoli. L’uno perso nelle parole dell’altro, abbandonato ai saluti dell’altro, felice degli avvenimenti dell’altro.
Entrambi con le mani tremanti attorno ai pochi fogli, scritti sempre velocemente, per l’ansia di poter raccontare tutto.
E nemmeno la campanella riesce a distrarli. Non c’è nulla, in quel loro mondo che riesca a valere di più delle parole scritte dall’altro.
Trecentosessantacinque lettere. Trecentosessantacinque giorni.
Trecentosessantacinque saluti. Trecentosessantacinque sorrisi.

 

“Mio padre ha ricevuto un’altra offerta di lavoro… forse torno a casa!”

“Mia madre mi ha comunicato che non torniamo affatto a casa e che quella non è più la nostra casa!”

“I miei mi hanno fatto preparare le valige, la nuova casa si trova in un paese dell’America orientale”

 

“Non vedo l’ora di rivederti, torneremo ad andare a scuola insieme”

“Spero che non andrai ancora più lontano, magari è un paese qui nelle zone”

“…”

 
C'è un limite alla sofferenza? Si può dire basta e farla sparire? Si può dimenticare?

Il tempo. La lontananza. Il silenzio. Aiutano ad andare avanti, a crescere, a capire. Ma non fanno affatto dimenticare.
Il tempo non è un gran dottore. La lontananza non rende più forti. E il silenzio non fa riflettere.
Palliativi per dissimulare, per continuare a camminare con lo sguardo serio, eppure sempre rivolto al suolo, nascosto dal cappuccio della felpa o da quel berretto arancio.
E la musica, malinconica, si quella è l’unica cosa che permette di piangere e giustificare l’atto dietro a un “Mi ha commosso!”.

 
Ma un giorno, si torna a guardare il cielo, ad accarezzare l’erba alta dei prati. Un giorno si torna persino a sorridere.

 
“Ciao, sono nuovo… il capo mi ha detto di chiedere a te per eventuali consigli! Dice che sei la migliore”

“Stavo pensando… potrei offrirti una cena, per ringraziarti…”

“Stiamo insieme da due anni, forse… potremmo pensare a vivere insieme, non credi?”

 
E, anche se lei se lo chiede, non sa mai perché a quella domanda, il viso gentile di un ragazzino appena dodicenne le torna in mente.
La gonna, stretta attorno ai suoi fianchi e persino le calze leggere, inaspettatamente la soffocano.
I capelli, racchiusi forzatamente in quella coda di cavallo, fanno male.
Ed il vento freddo dell’autunno la fa tremare.
Ma quel sogno, quella visione, quel ricordo… con un battito di ciglia sparisce. E lei torna a sorridere, accettando quella lacrima cristallizzata come fosse dovuta all’improvvisa felicità della domanda.

 

“Non mi hai più richiamata! Pensavo avessimo passato una bella serata!

“Andiamo al cinema stasera? Oppure restiamo a casa a vederci quel film che ti piace tanto!”

“Possiamo parlare di una relazione seria per una volta? Vorrei poter pensare al futuro con più certezze, ma tu non me ne dai! È una relazione la nostra?”

E, lui lo sa, non accetterà mai nessuna relazione seria con una donna diversa da lei.
Non ha dubbi quando, a quella richiesta stridula e più che legittima, l’unica cosa a cui pensa è il volto di una dodicenne con un cappello arancione e il naso arrossato.
Passa oltre, rompendo i legami con quella ragazza davanti a lui, di nuovo come ha fatto con troppe altre.
Scende in strada e si tira su il cappuccio del cappotto. La neve scende lenta, quasi colorata per lo sfoggio di luci della città. Butta le mani nella tasche e cammina, soffocando di nuovo quel sogno adolescenziale morto e seppellito da anni.

“Con lei io starei bene al mondo forse più”.  Canticchia, ricordando a stento le parole di quella canzone che un tempo sapeva a memoria.
E tutto ciò che rimpiange, sono quei momenti. Gli attimi abbandonati al suono della sua voce, ai ticchettii delle dita, al fischiare del vento come sottofondo.
Non aveva mai capito la veridicità di quelle parole.
Può una canzone prevedere il futuro?
Perché quella piccola strofa racchiude tutto ciò che lui prova per lei e che non riuscirà a smettere di sentire.
Per lei cambierei tutto quello che non va”.
Ma come si capisce cosa non va se dipende da lei? Se è lei a rendere la vita così insignificante?

 
Ed entrambi, in parti diverse del mondo, abbandonati ai sogni d’infanzia, provano a ricacciare nel buio quei ricordi vissuti alla luce del sole.

 

 

 

Epilogo


Faceva caldo quel mercoledì mattina. I grilli e le cicale cantavano tra i fili d’erba. Le signore sedevano senza pudore fuori dalle loro case, armandosi di ventagli e di fogli da sventolare, all’ombra di precari ombrelli colorati.
Lui camminava, con la leggera camicia a maniche corte, e i pantaloni lunghi sulle gambe, accaldate e stanche per il giro turistico.
Era la sua vacanza, la sua solitudine vera, in quel paesino di campagna in cui aveva vissuto per dodici anni.
Sorrideva rilassato, alzando lo sguardo coperto dagli scuri occhiali del sole, verso il cielo sereno.
Sentì le campane in lontananza, un matrimonio…
Si incamminò con una meta. Dopotutto quella chiesetta diroccata aveva sempre avuto qualcosa di caratteristico.
Tagliò per un vicolo secondario, si immerse in un viale alberato, ed infine sbucò davanti a quella costruzione rimodernata.
Poche erano le persone presenti, in attesa degli sposi. Eleganti signore ed emozionate ragazze nei loro abiti color arancio, da damigella.
Attese, procedendo di qualche passo verso il portone principale, per non perdersi i volti felici dei due festeggiati sconosciuti.
E lei, inaspettatamente, uscì da quella stessa porta. Fasciata di bianco, con un grosso cappello in testa  e l’abito da cerimonia semplice e candido.
E tra le mani Tulipani rossi e …. Arancio.
Tolse gli occhiali, lui, immobile come una pietra millenaria.
Incrociò quello sguardo un tempo solo per lui.
La vide aprire la bocca, e trattenersi, forse dall’improvvisa necessità di piangere.
Vent’anni, ed era bastato uno sguardo.
Vent’anni e lei era cambiata così tanto.
Vent’anni e… lei aveva raggiunto un futuro sicuro, sereno.
Vent’anni e… lui viveva alla giornata, da precario.
Ed era l’unico a cui non poteva mancare di notare anche il suo sorriso, scemato, ma prima presente sul suo viso.
E così, al ricordo di quella frase “Per lei io darei anche la mia libertà”, si rimise gli occhiali e si allontanò.
Era suo. Non importava di chi lei fosse, Lui era suo.

E per lei avrebbe fatto tutto ciò che nessun altro nemmeno penserebbe. Persino allontanarsi piangendo per quel viale alberato e nascondere le lacrime dietro a lenti scure dal colore d’inverno.

 

 

 

 

 

 

 

Note:
Dunque, che dire… sono emozionatissima e felicissima della “Prima Posizione” di questa fanfic.
È emozionante sapere sia piaciuta, come sarà emozionante leggere qualsiasi genere di commenti voi vogliate lasciarmi!
Spero vivamente che piaccia a voi come è piaciuta alla giudice.
Inizialmente pensavo di postarla in due capitoli, come sarebbe stato giusto, però credo che la lettura migliore sia tutta insieme, senza distaccamenti temporali, proprio per mantenere l’atmosfera calda.
Un grazie quindi speciale a Darkrose86, per il giudizio scrupoloso e per il contest indetto, e un grazie particolare a Shurei per i bellissimi Banner creati (ovviamente mi riferisco non solo ai miei…)

Or dunque riporto qui il giudizio completo:

I classificata

Ho solo dodici anni ( vincitrice del Premio Miglior Storia Originale )
di Meli_mao

Correttezza grammaticale: 9,5/10
Stile e lessico: 9,5/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9,5/10
Originalità: 9,5/10
Attinenza al tema: 10/10
Apprezzamento personale: 5/5

Voto complessivo: 53/55

Giudizio: dire che ho amato questa storia è un eufemismo.
E' praticamente perfetta, lo splendido ritratto di un amore mai vissuto, la descrizione di sentimenti taciuti e di pensieri mai espressi, abbandonati al tempo e stroncati da una distanza troppo dolorosa.
Mi ha colpito molto la tua scelta di non dare un nome ai personaggi, Lei e Lui potrebbero essere chiunque, perché molti di noi hanno vissuto un amore innocente al quale hanno dovuto rinunciare per i motivi più di disparati. Questa scelta ha reso anche il tutto più delicato, quasi onirico, talvolta pareva quasi di trovarsi in un sogno, durante la lettura; è un po' difficile da spiegare, la tua storia mi ha trasmesso una miriade di emozioni impossibili da mettere per iscritto. Oltretutto l'ho letta ascoltando la canzone che mi hai consigliato - a questo proposito, grazie per avermela fatta conoscere, è stupenda -, e devo dire che calza a pennello, oltre a risultare molto romantica e commovente. Sì, sul finale ho pianto, e sinceramente non mi vergogno ad ammetterlo.
Andando ad analizzare i singoli punteggi, noterai che ti ho tolto qualche mezzo punto, vado adesso ad illustrarti motivi: grammaticalmente parlando non ho trovato errori di rilievo, solo due di battitura che ti segnalo per correttezza ( "Erano solo loro due, che camminavano fianco a fianco, sfiorandosi con la braccia e chiacchierando"; "Un giorno di torna persino a sorridere" ). A parte questo, tutto perfetto.
Stilisticamente è davvero ottima, scrivi veramente bene; lessico ricercato ed uno stile che cattura e t'incolla allo schermo fino alla fine.
Riguardo la caratterizzazione dei personaggi, di solito sono abbastanza severa quando si parla di originali, perché spesso il background dei protagonisti non viene curato molto; in questo caso specifico, però, ho di fronte una cosa molto particolare. Speciale. Nonostante l'alone di mistero - se così lo si può definire - che avvolge i protagonisti, dei quali non sappiamo nemmeno il nome, narri la loro vita dall'età di dodici anni fino ai venti; lo fai velocemente, con poche parole, però anche così il loro carattere risulta molto curato, dal momento che ci mostri il graduale cambiamento da bambini ad adulti e le loro reazioni agli avvenimenti salienti, quelli che hanno il potere di segnare le loro esistenze.
Sull'attinenza al tema non c'è niente da dire, se non che l'hai centrato in pieno; specie nel finale, mi ha molto colpito l'idea di libertà. Lui ha dato tutto per lei, compresa appunto la libertà di esprimere i propri sentimenti, l'amore che prova, perché lei oramai si è costruita una vita, un futuro con un altro uomo, e lui non può far altro che allontanarsi lasciandole vivere il giorno del suo matrimonio e quelli che successivamente verranno. Però lui sa che, nonostante tutto, lei non lo dimenticherà mai. Lo sa perché ha notato il mutamento nella sua espressione quand'ella lo ha visto fra le persone presenti.
Ed è questo il particolare più struggente del tuo racconto.
Racconto anche molto originale, proprio perché non sono stati forniti molti dettagli, né sui protagonisti e né sull'ambientazione in generale; molto è lasciato all'immaginazione del lettore, e trovo che sia stata un'idea veramente azzeccata. E' tutto così... surreale e al contempo realistico. Posso solo dire che non avevo mai letto una storia d'amore come questa. Talvolta non serve perdersi in particolari e descrizioni fisiche; il sentimento è la cosa più importante, e qui proprio il sentimento regna. Davvero brava.
Un'autentica perla, complimenti vivissimi.
Oh, un'ultima cosa: grazie per la citazione da "Il Pianista". Uno dei miei libri preferiti.

   
 
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