Autore:
Meli_mao
Titolo: Ho Solo
Dodici Anni.
Fandom: Originale
Citazione scelta: “Per
lei io potrei fare quello che non sai./Con lei io starei bene
al mondo forse più./
Per lei cambierei tutto quello che non va./Per lei io darei anche la
mia
libertà “
Personaggi/Pairing:
Lui e Lei
Genere: Romantico,
Sentimentale,
Triste.
Rating: Verde
Avvertimenti: One-shot
Beta-reading: No
Note dell’Autore ( se ce ne sono ):
Dunque,
ho diverse cose. A partire dal nome dei protagonisti. È
volutamente mai scritto
né da loro pronunciato. Sono solo lui e lei per un motivo
semplice: ci sono
pochissimi nomi che mi piacciono e che non sarebbero sembrati troppo
strani e
anche perché se avessi specificato troppe cose di loro avrei
perso quella sorta
di “incomprensione” che voglio la storia abbia.
Alcune battute sono ambigue,
pronunciate da entrambi e allo stesso tempo solo da uno di loro due. I
dialoghi
sono minimi e si confondono, proprio perché io voglio che
molto sia lasciato
alla fantasia di chi legge, ovviamente diversa dalla mia e forse da
quello che
io ho immaginato.
Inoltre,
cosa importante, non mi prendo il merito di aver dato vita a questa
storia
attraverso un’illuminazione intellettuale. Tutte è
legato ad una canzone che
vorrei davvero facesse da sottofondo alla tua lettura (Down, di Jason
Walker,
di cui ti lascio il riferimento alla pagina: (http://www.youtube.com/watch?v=oa5WCS4FZtk
) e ad un video che
ho visto su Youtube
con di sottofondo questa canzone(http://www.youtube.com/watch?v=bUhMcuNRP2c
), che mi ha sinceramente fatto piangere.
Il
colore Arancio ricorre spesso ed ha un importanza personale per i
protagonisti,
spero di averlo fatto capire.
Ok,
dovrebbe essere tutto. Spero solo ti piaccia.
Introduzione:
Il
tempo non è un gran dottore. La lontananza non rende
più forti. E il silenzio
non fa riflettere.
Palliativi per dissimulare, per continuare a
camminare con lo sguardo serio, eppure sempre rivolto al suolo,
nascosto dal
cappuccio della felpa o da quel berretto arancio.
E la musica, malinconica, si quella è l’unica cosa
che permette di piangere e giustificare l’atto dietro a un
“Mi ha commosso!”.
Una
storia d’amore mai vissuta né espressa. E una
storia in cui quel sentimento si
dimostra con piccoli gesti del tutto trascurabili.
Buona
lettura.
Ho
Solo Dodici Anni
“Ripresi
a
camminare.
Un vento violento
faceva sbattere i rottami di ferro
in mezzo alle macerie,
fischiando e ululando
attraverso le
cavità annerite delle finestre.
Scese il
crepuscolo.
La neve prese a
cadere da un cielo plumbeo,
sempre più buio."
(Da “Il
Pianista”, Wladyslaw Szpilman )
Portava i
capelli sempre sciolti. Non le piacevano
code o semplici mollette. L’unica volta che la vide con
qualcosa tra i capelli
era un bizzarro cappellino arancio, di lana grezza.
Rise lei, allo sguardo curioso che lui le rivolse,
e rise ancora vedendo che lui non riusciva a distogliere gli occhi
dalla sua
testa.
Certo,
probabilmente era il colore a dare tanto nell’occhio. Ma sua
madre le aveva
detto chiaramente che “O metteva quello o non
usciva”. Così, senza troppi giri
di parole, se l’era infilato, pronunciando la promessa di
tenerlo fino al
rientro, per evitare di prendere freddo alle orecchie.
E lui
non poteva proprio farci nulla, visto che era lei quella ridicola fra i
due e,
soprattutto, visto che lei lo aveva fatto per poter vedere lui di
nuovo, per
poter giocare nella neve fresca e farsi rincorrere fra i campi alla
ricerca di
quella felicità che tutti gli uomini cercano.
Non le
piacevano nemmeno le gonne, troppo fastidiose e pericolose per chi
è abituato a
correre velocemente tra l’erba alta o sulle rive del fiume,
tra i sassi e gli
insetti.
Se non
fosse stato per quei capelli, lui ne era sicuro, l’avrebbero
scambiata per un
maschio, dalle fattezze eleganti e aggraziate, ma pur sempre un ragazzo.
E non
le piaceva nemmeno l’inverno. Triste, deserto,
solo… D’inverno si vedevano solo
per poche ore al giorno e lei non riusciva a sopportalo.
D’inverno doveva
indossare quel berretto, e lei lo odiava. D’inverno doveva
mettere persino le
calze sotto i pantaloni, e lei lo trovava noioso nonché
fastidioso.
Però,
lui lo ammise spesso, vederla danzare sotto la neve, o anche sotto la
semplice
pioggia, bastava per rivalutare quella stagione, almeno per lui.
Frequentavano
la stessa scuola, la stessa classe, persino gli stessi circoli di
genitori. Si
conoscevano così bene che l’uno era
l’estensione dell’altra. L’uno era la
metà
dell’altra. L’uno era il peccato
dell’altra.
Ma a
soli dodici anni, nessuno dei due pensava quelle cose né si
poneva il problema
di capirle.
Erano
solo loro due, che camminavano fianco a fianco, sfiorandosi con le
braccia e
chiacchierando.
“Mi
piacerebbe volare via di qua, con l’arrivo del freddo, come
gli uccelli”
Gli
stessi sogni e le stesse speranze racchiuse nei loro animi.
“Vorrei
poter restare, ma è tardi”
Le
stesse frasi, gli stessi sguardi tranquilli e malinconici.
“Però…
Ho ancora due minuti”
Ed
infine, gli stessi sorrisi.
E lei
sedeva accanto a lui, sul primo pezzetto libero dal bagnato, beandosi
di quei
timidi raggi solari, troppo deboli per riscaldarla, anche
se… sarebbero stati
troppo deboli per riscaldarla anche in piena estate se paragonati al
calore che
lei provava accanto a lui.
Gli
prendeva la mano, coperta dai guanti neri, e la stringeva con
innocenza,
abbozzando un tenue sorriso, mostrando il naso arrossato e le guance
colorite.
E lui
rideva, ricambiando la stretta e storcendo il suo, di naso, per
prenderla in
giro.
“Restiamo
qui ancora… tanto siamo già in ritardo, poco
importa!” diceva lui, inspirando
lentamente e trepidando per una sua approvazione.
“Se
dobbiamo essere rimproverati, almeno facciamolo per un motivo
valido!”
commentava lei, annuendo convinta e appoggiandosi alla sua spalla.
Socchiudeva
sempre gli occhi a quel punto e canticchiava una canzone:
“Per
lei io potrei fare quello
che non sai.
Con lei io starei bene al mondo forse più.
Per lei cambierei tutto quello che non va.
Per lei io darei anche la mia libertà”
Lui
l’ascoltava, sfiorandola col suo sguardo, e ticchettando le
dita della mano
libera sul terreno, a ritmo di quella canzone senza musica, riuscendo
persino
ad immaginarsi mentalmente una melodia che,
stranamente, ogni giorno era diversa dalle
precedenti.
“Perché
canti una canzone da uomo?” ogni tanto le chiedeva,
interrompendo a malincuore
la sua voce, sempre troppo dolce per essere confusa con quella di un
ragazzo.
“Perché
è bella!” E allora stava in silenzio, invitandola
tacitamente a continuare,
spinto dalla necessità di sentirla di nuovo, ogni giorno
della sua vita.
“I
miei si trasferiscono…” La rottura avviene sempre
per colpa di terzi.
Loro
lo compresero subito, dal semplice sguardo umido che si scambiarono e
dal
silenzio che li avvolse.
“I
tuoi o anche tu?” Domande sciocche, che non riuscivano
però a far sorridere,
non quella volta.
“Ho
solo dodici anni…” Risposte ovvie, senza
sentimento.
E
dolore. Tacito e personale. Incomparabile e dilaniante.
E
corse giornaliere, alle prime ore della mattina, verso quella cassetta
della
posta, vicino al cancellino ormai sempre chiuso.
Momenti
di esitazione, poi la scoperta. Una lettera, un sorriso e persino
quella
lacrima che, irrimediabilmente, veniva cacciata dal volto, per celare
l’ansia
della lettura.
E il
percorso verso scuola, più veloce del solito. I saluti
rapidi ai conoscenti, le
corse verso il bagno e il piede che ticchetta a terra
nell’attesa che uno si
liberi.
Il
disinteresse dei rumori, delle parole, dei silenzi.
Lei e
lui, seduti sulla tavoletta di un bagno pubblico, circondati da ragazzi
frivoli. L’uno perso nelle parole dell’altro,
abbandonato ai saluti dell’altro,
felice degli avvenimenti dell’altro.
Entrambi
con le mani tremanti attorno ai pochi fogli, scritti sempre
velocemente, per
l’ansia di poter raccontare tutto.
E
nemmeno la campanella riesce a distrarli. Non c’è
nulla, in quel loro mondo che
riesca a valere di più delle parole scritte
dall’altro.
Trecentosessantacinque
lettere. Trecentosessantacinque giorni.
Trecentosessantacinque
saluti. Trecentosessantacinque sorrisi.
“Mio
padre ha ricevuto un’altra
offerta di lavoro… forse torno a casa!”
“Mia
madre mi ha comunicato che
non torniamo affatto a casa e che quella non è
più la nostra casa!”
“I
miei mi hanno fatto preparare
le valige, la nuova casa si trova in un paese dell’America
orientale”
“Non
vedo l’ora di rivederti,
torneremo ad andare a scuola insieme”
“Spero
che non andrai ancora
più lontano, magari è un paese qui nelle
zone”
“…”
C'è un
limite alla sofferenza? Si può dire basta e farla sparire?
Si può dimenticare?
Il
tempo non è un gran dottore. La lontananza non rende
più forti. E il silenzio
non fa riflettere.
Palliativi
per dissimulare, per continuare a camminare con lo sguardo serio,
eppure sempre
rivolto al suolo, nascosto dal cappuccio della felpa o da quel berretto
arancio.
E la
musica, malinconica, si quella è l’unica cosa che
permette di piangere e
giustificare l’atto dietro a un “Mi ha
commosso!”.
Ma
un
giorno, si torna a guardare il cielo, ad accarezzare l’erba
alta dei prati. Un
giorno si torna persino a sorridere.
“Ciao,
sono nuovo… il capo mi ha detto di chiedere a
te per eventuali consigli! Dice che sei la migliore”
E,
anche se lei se lo chiede, non sa mai perché a quella
domanda, il viso gentile
di un ragazzino appena dodicenne le torna in mente.
La
gonna, stretta attorno ai suoi fianchi e persino le calze leggere,
inaspettatamente la soffocano.
I
capelli, racchiusi forzatamente in quella coda di cavallo, fanno male.
Ed il
vento freddo dell’autunno la fa tremare.
Ma quel
sogno, quella visione, quel ricordo… con un battito di
ciglia sparisce. E lei
torna a sorridere, accettando quella lacrima cristallizzata come fosse
dovuta
all’improvvisa felicità della domanda.
Non ha
dubbi quando, a quella richiesta stridula e più che
legittima, l’unica cosa a
cui pensa è il volto di una dodicenne con un cappello
arancione e il naso
arrossato.
Passa
oltre, rompendo i legami con quella ragazza davanti a lui, di nuovo
come ha
fatto con troppe altre.
Scende
in strada e si tira su il cappuccio del cappotto. La neve scende lenta,
quasi
colorata per lo sfoggio di luci della città. Butta le mani
nella tasche e
cammina, soffocando di nuovo quel sogno adolescenziale morto e
seppellito da
anni.
“Con
lei io starei bene al
mondo forse più”. Canticchia,
ricordando a stento
le parole di quella canzone che un tempo sapeva a memoria.
E tutto
ciò che rimpiange, sono quei momenti. Gli attimi abbandonati
al suono della sua
voce, ai ticchettii delle dita, al fischiare del vento come sottofondo.
Non
aveva mai capito la veridicità di quelle parole.
Può una
canzone prevedere il futuro?
Perché
quella piccola strofa racchiude tutto ciò che lui prova per
lei e che non
riuscirà a smettere di sentire.
“Per lei
cambierei tutto quello che non va”.
Ma
come si capisce cosa non va se dipende da lei? Se è lei a
rendere la vita così
insignificante?
Ed
entrambi, in parti diverse del mondo, abbandonati ai sogni
d’infanzia, provano
a ricacciare nel buio quei ricordi vissuti alla luce del sole.
Epilogo
Faceva
caldo quel mercoledì mattina. I grilli e le cicale cantavano
tra i fili d’erba.
Le signore sedevano senza pudore fuori dalle loro case, armandosi di
ventagli e
di fogli da sventolare, all’ombra di precari ombrelli
colorati.
Lui
camminava, con la leggera camicia a maniche corte, e i pantaloni lunghi
sulle
gambe, accaldate e stanche per il giro turistico.
Era la
sua vacanza, la sua solitudine vera, in quel paesino di campagna in cui
aveva
vissuto per dodici anni.
Sorrideva
rilassato, alzando lo sguardo coperto dagli scuri occhiali del sole,
verso il
cielo sereno.
Sentì
le campane in lontananza, un matrimonio…
Si
incamminò con una meta. Dopotutto quella chiesetta diroccata
aveva sempre avuto
qualcosa di caratteristico.
Tagliò
per un vicolo secondario, si immerse in un viale alberato, ed infine
sbucò
davanti a quella costruzione rimodernata.
Poche
erano le persone presenti, in attesa degli sposi. Eleganti signore ed
emozionate ragazze nei loro abiti color arancio, da damigella.
Attese,
procedendo di qualche passo verso il portone principale, per non
perdersi i
volti felici dei due festeggiati sconosciuti.
E lei,
inaspettatamente, uscì da quella stessa porta. Fasciata di
bianco, con un
grosso cappello in testa e
l’abito da
cerimonia semplice e candido.
E tra
le mani Tulipani rossi e …. Arancio.
Tolse
gli occhiali, lui, immobile come una pietra millenaria.
Incrociò
quello sguardo un tempo solo per lui.
La
vide aprire la bocca, e trattenersi, forse dall’improvvisa
necessità di
piangere.
Vent’anni,
ed era bastato uno sguardo.
Vent’anni
e lei era cambiata così tanto.
Vent’anni
e… lei aveva raggiunto un futuro sicuro, sereno.
Vent’anni
e… lui viveva alla giornata, da precario.
Ed era
l’unico a cui non poteva mancare di notare anche il suo
sorriso, scemato, ma
prima presente sul suo viso.
E
così, al ricordo di quella frase “Per lei io darei
anche la mia libertà”, si
rimise gli occhiali e si allontanò.
Era
suo. Non importava di chi lei fosse, Lui era suo.
E per lei
avrebbe fatto tutto
ciò che nessun altro nemmeno penserebbe. Persino
allontanarsi piangendo per quel viale
alberato e nascondere le lacrime dietro a lenti scure dal colore
d’inverno.
Note:
Dunque,
che dire… sono emozionatissima e felicissima della
“Prima Posizione” di questa
fanfic.
È emozionante
sapere sia piaciuta, come sarà emozionante leggere qualsiasi
genere di commenti
voi vogliate lasciarmi!
Spero
vivamente che piaccia a voi come è piaciuta alla giudice.
Inizialmente
pensavo di postarla in due capitoli, come sarebbe stato giusto,
però credo che
la lettura migliore sia tutta insieme, senza distaccamenti temporali,
proprio
per mantenere l’atmosfera calda.
Un
grazie quindi speciale a Darkrose86,
per il giudizio scrupoloso e per il contest indetto, e un grazie
particolare a Shurei per i
bellissimi Banner creati
(ovviamente mi riferisco non solo ai miei…)
I classificata
Ho solo dodici anni ( vincitrice del Premio Miglior
Storia Originale
)
di Meli_mao
Correttezza grammaticale: 9,5/10
Stile e lessico: 9,5/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9,5/10
Originalità: 9,5/10
Attinenza al tema: 10/10
Apprezzamento personale: 5/5
Voto complessivo: 53/55
Giudizio: dire che ho amato questa storia
è un eufemismo.
E' praticamente perfetta, lo splendido ritratto di un amore mai
vissuto, la
descrizione di sentimenti taciuti e di pensieri mai espressi,
abbandonati al
tempo e stroncati da una distanza troppo dolorosa.
Mi ha colpito molto la tua scelta di non dare un nome ai personaggi,
Lei e Lui
potrebbero essere chiunque, perché molti di noi hanno
vissuto un amore
innocente al quale hanno dovuto rinunciare per i motivi più
di disparati.
Questa scelta ha reso anche il tutto più delicato, quasi
onirico, talvolta
pareva quasi di trovarsi in un sogno, durante la lettura; è
un po' difficile da
spiegare, la tua storia mi ha trasmesso una miriade di emozioni
impossibili da
mettere per iscritto. Oltretutto l'ho letta ascoltando la canzone che
mi hai
consigliato - a questo proposito, grazie per avermela fatta conoscere,
è stupenda
-, e devo dire che calza a pennello, oltre a risultare molto romantica
e
commovente. Sì, sul finale ho pianto, e sinceramente non mi
vergogno ad
ammetterlo.
Andando ad analizzare i singoli punteggi, noterai che ti ho tolto
qualche mezzo
punto, vado adesso ad illustrarti motivi: grammaticalmente parlando non
ho
trovato errori di rilievo, solo due di battitura che ti segnalo per
correttezza
( "Erano solo loro due, che camminavano fianco a fianco, sfiorandosi
con la
braccia e chiacchierando"; "Un giorno di torna
persino a
sorridere" ). A parte questo, tutto perfetto.
Stilisticamente è davvero ottima, scrivi veramente bene;
lessico ricercato ed
uno stile che cattura e t'incolla allo schermo fino alla fine.
Riguardo la caratterizzazione dei personaggi, di solito sono abbastanza
severa
quando si parla di originali, perché spesso il background
dei protagonisti non
viene curato molto; in questo caso specifico, però, ho di
fronte una cosa molto
particolare. Speciale. Nonostante l'alone di mistero - se
così lo si può
definire - che avvolge i protagonisti, dei quali non sappiamo nemmeno
il nome,
narri la loro vita dall'età di dodici anni fino ai venti; lo
fai velocemente,
con poche parole, però anche così il loro
carattere risulta molto curato, dal
momento che ci mostri il graduale cambiamento da bambini ad adulti e le
loro
reazioni agli avvenimenti salienti, quelli che hanno il potere di
segnare le
loro esistenze.
Sull'attinenza al tema non c'è niente da dire, se non che
l'hai centrato in
pieno; specie nel finale, mi ha molto colpito l'idea di
libertà. Lui ha dato
tutto per lei, compresa appunto la libertà di esprimere i
propri sentimenti,
l'amore che prova, perché lei oramai si è
costruita una vita, un futuro con un
altro uomo, e lui non può far altro che allontanarsi
lasciandole vivere il
giorno del suo matrimonio e quelli che successivamente verranno.
Però lui sa
che, nonostante tutto, lei non lo dimenticherà mai. Lo sa
perché ha notato il
mutamento nella sua espressione quand'ella lo ha visto fra le persone
presenti.
Ed è questo il particolare più struggente del tuo
racconto.
Racconto anche molto originale, proprio perché non sono
stati forniti molti
dettagli, né sui protagonisti e né
sull'ambientazione in generale; molto è
lasciato all'immaginazione del lettore, e trovo che sia stata un'idea
veramente
azzeccata. E' tutto così... surreale e al contempo
realistico. Posso solo dire
che non avevo mai letto una storia d'amore come questa. Talvolta non
serve
perdersi in particolari e descrizioni fisiche; il sentimento
è la cosa più
importante, e qui proprio il sentimento regna. Davvero brava.
Un'autentica perla, complimenti vivissimi.
Oh, un'ultima cosa: grazie per la citazione da "Il Pianista". Uno dei
miei libri preferiti.