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Autore: Himechan    09/07/2010    4 recensioni
-Sei il mio cucciolo…Tu eres mi bebè- dicevi perentorio ogni volta, guardandomi con quell’espressione dolce e sfrontata allo stesso tempo, e io, che mi beavo del tuo odore e della tua pelle, sapevo che quel sorriso e quelle parole, per una volta, erano per me. Unicamente per me. E allora non c’era nessuna donna, nessuna ombra, nessuna persona che ti ammirava follemente sognando di essere te, nessun procuratore che faceva i tuoi interessi di campione di calcio, nessuna invidia, tra noi. Solo io e te.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Sei il mio cucciolo
Fandom: Originale
Citazione scelta: Cit. n. 3 “Non ti serve a niente vivere anche per sempre, se non vivi veramente”
Personaggi/Pairing: //
Genere: One-shot, romantico, malinconico, introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: //
Beta-reading: No
Note dell'Autore ( se ce ne sono ): Questa shot è stata partorita in maniera insana dalla mia mente nel giro di un paio d’ore, dopo aver visto la fotografia di due personaggi molto famosi, e realmente esistenti, di cui naturalmente non farò il nome, ritratti in un momento di tenerezza. Ecco ciò che la mia fantasia ha immaginato (ovviamente spero che il drastico epilogo rimanga solo il frutto della mia mente bacata XD). Le parti scritte in corsivo, si riferiscono ai ricordi passati di uno dei due protagonisti.
Introduzione: Ho utilizzato questa citazione, perché la mia fic si incentra su un rapporto profondamente tormentato, e non del tutto accettato da uno dei protagonisti. La storia è vista dal punto di vista di uno dei due,  che in un certo senso rappresenta la coscienza segreta e inconfessata dell’altro che non vuole, e non può, vivere veramente una vita che lo renderebbe davvero felice. Per cui, tutto il senso della storia, si riduce all’inutilità della vita, se si continua a tenere una maschera precludendosi continuamente il vero amore e il vero senso che esso comporta.



                                          

                                 Sei il mio cucciolo





Non posso parlare. O meglio le parole non servirebbero a spiegare quello che sento, ciò che avvampa dentro di me, e che lambisce il mio cuore come fiamma che brucia, torturandomi teneramente. Ti guardo da lontano mentre palleggi distrattamente, lontano dal gruppo, come tuo solito. Hai sempre avuto un’anima un po’ distante dal resto del mondo, sei sempre stato un solitario, perché hai sempre creduto che gli altri non fossero alla tua altezza. Hai sempre pensato che tu potessi essere il vento capace di spostare le nuvole ruvidamente, esattamente come facevi con le persone. Non avevo mai conosciuto una persona tanto spocchiosa e piena di sé: convinto di essere il primo in tutto, il migliore, la star.
E forse lo sei.
Una stella che brilla accecante, sfolgorante nel cuore dei nostri tifosi, della gente che ti acclama come un idolo, e anche soprattutto nel mio.
Continuo a farmi del male, vorrei odiarti e provocarti quello stesso tormento che tu mi dai: tu invece sei sempre così distaccato, sfrontato, arrogante, sai che potrai avermi in qualsiasi momento, e non te ne importa di niente, se non della tua immagine rifulgente di campione osannato dalle folle, adorato dalle donne che farebbero qualsiasi cosa per una notte d’amore con te.
Già, l’Amore…
Tu non sai neanche che significa questa parola.
Sei incapace di provare un sentimento così complesso, incapace di provare affetto, incapace di non mentire a chi crede di avere il tuo cuore…E invece si illude.

Primo scatto.
Sessanta metri, corro al limite delle mie possibilità, dando fiato all’energia che ho dentro, e rallento di colpo, con uno sforzo doloroso.

Le tue mani che accarezzano il mio torace perfetto e scolpito, e il tuo bacio ruvido e dolce al tempo stesso che, come tiepide gocce di rugiada, si posa sulla mia pelle.

Seconda ripresa.
Altri sessanta metri di corsa folle, e rivedo i tuoi occhi scuri, che mi scherniscono, e mi deridono sottilmente mentre mi ripetono quelle parole.

Le tue braccia attorno ai miei fianchi si avvinghiano possessive ed egoiste, e sento il tuo petto forte e caldo contro la mia schiena nuda, provando lunghissimi e infiniti brividi di piacere.

Terzo scatto.
Sento il cuore scoppiarmi nel petto mentre porto il mio corpo al limite delle mie possibilità; ma non me ne importa.

Le tue carezze a volte gentili e passionali, mentre soffiavi su una ciocca di capelli che ti ricadeva sbarazzina sugli occhi sfrontati. Quante volte avrei voluto affondare le mie dita tra quei soffici capelli castani anche quando non eravamo soli, in quei rarissimi momenti in cui potevo privilegiarmi di osservare il tuo sorriso, e la fossetta deliziosa che si disegnava ai lati della bocca quando il tuo sguardo si illuminava, guardandomi.
Ho fatto qualcosa di buffo? Ti domandavo a bassa voce, quando scoppiavi improvvisamente in una risatina divertita. Mi sono sempre sentito un po’ umiliato e insignificante davanti alla potenza di te, soprattutto quando mi deridevi crudelmente, e altrettanto crudelmente mi chiudevi la bocca con un bacio deciso, che mi faceva capire più di ogni altre mille parole a chi appartenessi con ogni fibra del mio essere.
-Sei il mio cucciolo…Tu eres mi bebè- dicevi perentorio ogni volta, guardandomi con quell’espressione dolce e sfrontata allo stesso tempo, e io, che mi beavo del tuo odore e della tua pelle, sapevo che quel sorriso e quelle parole, per una volta, erano per me.
Unicamente per me.
E allora non c’era nessuna donna, nessuna ombra, nessuna persona che ti ammirava follemente sognando di essere te, nessun procuratore che faceva i tuoi interessi di campione di calcio, nessuna invidia, tra noi.
Solo io e te.
Né i due giocatori belli, stimati, talentuosi, corteggiati, ed esempio di una stupida virilità che nel nostro sport maschio è la regola essenziale.
Solo io e te.
-Voglio te- ti avevo detto una volta, l’aria imbronciata e offesa mentre ti fissavo il profilo forte e perfetto, sdraiato accanto a te, dopo aver fatto l’amore.
-Che c’è, fai i capricci, cucciolo?- avevi sogghignato, senza prendermi troppo sul serio, girando lo sguardo verso la finestra da cui si godeva la splendida alba del mare di Barcellona. Un’alba che non avrei mai dimenticato.
E la nostra città, la città in cui ci eravamo conosciuti, rispettati, e amati.
Quando il mister ti aveva presentato alla squadra,il primo giorno in cui eri arrivato tra noi,  mi avevi semplicemente stretto la mano, squadrandomi da capo a piedi, con aria arrogante, consapevole di essere il più forte. Non parlavi la mia lingua ma sapevi perfettamente come farti capire da tutti, e io, che a quell’epoca ero appena arrivato in prima squadra dalle giovanili, ed ero solo un pulcino inesperto, mi ero sentito profondamente intimidito dalla tua presenza forte e ingombrante.
Ma tra me, che avevo appena vent’anni, e te, che ne compivi ventotto a ottobre, il più adulto e sensato ero proprio io. Io che avrei voluto amarti senza nessun condizionamento, io che non mi vergognavo di prenderti di nascosto la mano, quando sedevamo vicini sul pullman, io che aspettavo con ansia la fine di ogni partita quando tu mi regalavi le briciole del tuo tempo, mentendo alla tua bellissima e innamoratissima moglie e alla tua splendida famiglia, quando le dicevi che dopo la partita uscivi con la squadra per festeggiare una vittoria o per consolarsi da una sconfitta.
E invece eri con me, e io approfittavo di ogni istante passato con te, nel silenzio di una tristissima camera d’albergo.
Ogni volta sempre diverso, entravamo uno a rigorosa distanza dall’altro, per non farci riconoscere.
E per quanto le camere che tu sceglievi per i nostri incontri appassionati, erano nei più begli hotel della Costa Brava, mi sembravano tutte orribili e squallide.
Anche se non lo capivo, ogni volta che ti richiudevi la porta alle spalle, e mi dicevi di fare presto, mi sembravo sempre sporco e colpevole; ma quando le tue mani si posavano su di me, e il tuo bacio si confondeva con il mio,  tutto il resto spariva, e il resto era un sogno meraviglioso.
Come te.
Come la speranza di poter essere mio e mio soltanto.
E io invece continuo a sognare di poter anelare a qualcosa di più di un soffio del tuo preziosissimo tempo, in cui mi fai sentire la persona più desiderata e un attimo dopo la più umiliata della terra.
Non hai mai detto di amarmi. O almeno a parole. Perché dai tuoi gesti a volte rudi, altre volte delicati come carezze, ho capito di essere tuo ma di non poter essere completamente parte di te come vorresti. Non sei mai stato bravo ad esprimerti, ma io, che ho imparato a conoscere i tuoi silenzi e i tuoi sospiri dopo esserti rotolato di fianco a me, e la tua espressione incredibilmente amorevole quando mi arruffi i capelli, sapendo che ciò mi irrita profondamente, chiamandomi, El mi bebè, non mi sorprendo più di niente.
No, non è  vero.
Mi sorprendo ancora di quanto io possa amarti devotamente, silenziosamente, nonostante tu lo nasconda a tutti per la vergogna.
Giorno dopo giorno.
-Voglio te, e un cagnolino…- avevo mormorato in quella freddissima e tersa alba di gennaio, abbracciato a te, il mento appoggiato nell’incavo della tua spalla, il broncio di un bambino.
Quello stesso bambino dai capelli biondi e dall’aria da adolescente che tanto amavi e odiavi, perché ti ricordava sempre chi eri nel tuo intimo più profondo.
Tu avevi riso, come sempre, del resto,  e poi mi avevi stretto più forte a te, in un abbraccio pieno di calore e di protezione.
-Un cagnolino, eh? E sentiamo come lo chiameresti?-
-Lo chiamerei Paulito- avevo asserito convinto, annuendo soddisfatto.
-Paulito hai detto? Ma che nome è per un cane?- avevi sorriso, e io mi ero sentito la persona più felice della terra.
-Vuol dire pulcino, bestia!- ti  avevo risposto in malo modo, sferrandoti un pugno sul fianco.
Tu avevi fatto finta di dolere per il colpo, ma poi mi avevi afferrato per i fianchi, in una morsa d’acciaio con la tua forza straordinaria, e mi avevi costretto a guardarti, con espressione feroce e piena d’amore insieme.
E pochi giorni dopo, ti eri presentato, il giorno del mio compleanno, con quel batuffolo di pelo che con occhioni sgranati mi guardava scodinzolante.
Era la prima volta che piangevo davanti a te, e per questo mi odiai: odiavo mostrarmi ancora più vulnerabile di quanto tu già non pensassi, ma con una delicatezza che in te ancora non avevo conosciuto, mi avevi preso entrambe le mani tra le tue e te l’eri portate al viso, asciugandomi con le labbra, la punta delle dita bagnate di lacrime.
-Sciocco sentimentale…- avevi mormorato a bassa voce, senza smettere di baciarmi.
Non seppi mai se quelle parole si riferivano a me o a te.
-Ti amo- ti avevo detto d’impulso, gli occhi pieni di dolore e di gratitudine.
Tu non avevi risposto, come sempre, mi avevi solamente guardato, senza parlare, e io avevo capito tutto.
Quel gesto per te era stato importante, molto più di qualsiasi parola senza senso. E valeva più di tutti i ti amo possibili e immaginabili.
Non avrei mai scordato quello sguardo indimenticabile, impresso nel mio.

Ora ti osservo da lontano, ho il fiato corto, il petto si alza e si abbassa furiosamente, in affanno.

Come sempre, quando ti amo e ti dono la parte bella di me, appassionatamente.

La palla cade dai tuoi piedi di velluto, rialzi lo sguardo e incroci il mio. Ed è uno sguardo che ti fruga l’anima, che ti fa tacitamente tutte quelle domande a cui non sai trovare una risposta. Perché non vuoi e non puoi trovarla. Perché io sono la tua coscienza che urla e grida straziata. Riabbassi gli occhi, colpevole, e ricominci a palleggiare, come se niente fosse mai accaduto.

Ma sai che non è così.

-Io e te non ci dobbiamo più vedere. Basta, questa storia è andata avanti troppo a lungo-.
Parole secche, brutali, che mi avevano lasciato il vuoto dentro.
Con te ero cresciuto, avevo imparato ad amare un uomo come me, avevo sofferto e pianto e adesso non lasciavi più alcuna speranza.
Tua moglie aspettava il vostro secondo bambino.
-Quando te la scopavi a chi pensavi?- ti avevo urlato in faccia con disprezzo e profondo rancore, infischiandomene di sembrare un povero pazzo furioso e patetico per giunta.
Ma tu non avevi via d’uscita. Non potevi più tirarti indietro. Non avresti mai voluto darmi quel dolore atroce, ma con te la sofferenza era una penosa abitudine. Come la gioia del resto, o forse no, perché era impossibile abituarsi alla pura gioia di ritrovarti ogni volta e di rinnovare con il corpo la promessa di te.

Ormai sai che è tutto finito, e lo so anch’io.
Ti aspetto all’uscita dal campo di allenamento.
L’ultimo.
Appoggiato con noncuranza alla tua fiammante automobile, le braccia incrociate, i Ray-Ban addosso per non mostrarti i miei occhi offesi. Non ti serve a niente vivere anche per sempre, se non vivi veramente, ti ripetevo continuamente, mostrandoti furibondo le tue parole e i tuoi timori più inconfessabili, e tu non sapevi far altro che soffiare sul tuo ciuffo ribelle, con aria scocciata, senza dar retta alle mie parole, e alla preoccupazione che avevo nel farti capire che non aveva senso tutta quella messinscena, quella stupida commedia in cui dovevi mostrarti l’uomo virilmente corretto che tutti si aspettavano da te.
Ma a te non importava.
Non puoi vivere per sempre…
No…
E neanch’io del resto, con la continua frustrazione di non poter vivere come vorrei, e il peso opprimente nel cuore di essere sbagliato, meschino, subdolo. Buffo, sciocco e assurdo vivere per sempre, se il mio animo continua a tormentarsi febbrilmente per un’esistenza che non ci sarà mai.
Mi raggiungi dopo un po’, ignaro, la borsa in spalla, un cappellino da baseball calcato in testa, una larga camicia bianca leggermente slacciata sul collo, a risaltare la tua abbronzatura perfetta e un paio di jeans sdruciti che ti fasciano le lunghe gambe muscolose, d’atleta.
Non vorrei mai fare ciò a cui tu mi porti.
Perché l’ossessione e il desiderio di te mi acceca e mi brucia. Ho la certezza che non sarai mai mio. Ed è per questo che lo faccio.
Non fai in tempo neanche a mostrarmi la tua espressione sorpresa e di disappunto al tempo stesso, che due colpi esplodono secchi contro di te, improvvisamente, in pieno petto, sotto il caldissimo sole di giugno.
Cadi a terra senza una parola, di schianto, un rivolo di sangue al lato della bocca.
Un attimo dopo rivolgo la pistola verso di me all’altezza della tempia, lievemente bagnata da un piccolo rivolo di acqua e sudore. Ho paura.
O forse no.
Non più.
-Eres mi bebè…- sussurro prima di premere il grilletto.



§§§

N.d.Hime:  Questa breve storiella senza pretese si è classificata ottava al contest di "Canzoni, amori e un finto campo di grano", indetto da DarkRose86. Un ringraziamento speciale alla giudicia e a Shurei per gli splendidi banners *_*



VIII classificata


Sei il mio Cucciolo ( vincitrice del Premio Giuria )
di Himechan

Correttezza grammaticale: 8,5/10
Stile e lessico: 9/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
Originalità: 7/10
Attinenza al tema: 10/10
Apprezzamento personale: 4/5

Voto complessivo: 47,5/55

Giudizio: aww, dannati sad ending che adoro - sigh -. Ok, so che non è proprio il modo migliore per iniziare una recensione, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver letto la tua storia.
Sarei curiosa di sapere chi ti ha ispirato questo racconto, ma non lo chiederò, visto che desideri mantenere il segreto. Tuttavia, vista l'ottima caratterizzazione dei tuoi personaggi, non mi è stato difficile provare ad immaginarmeli, mentre leggevo.
Questa storia è particolare, non molto originale ma come dire... mi ha permesso di rievocare la mia infanzia, quando le mie amichette mi prendevano per matta perché mi piacevano gli anime che parlavano di calcio. All'epoca non ero ancora un'amante dello yaoi, certo, ma ho scoperto che ripensare a quelle opere in chiave shonen ai non è affatto male. XD
Ma questa è un'altra storia, adesso dobbiamo parlare della tua.
Grammaticalmente è molto buona, salvo diverse virgole di troppo che appesantiscono la lettura. Lo stile è scorrevole e pulito, si adatta perfettamente al tema che hai trattato - soprattutto mi è piaciuto come hai descritto i flashback, con una delicatezza splendida -; scrivi davvero molto bene, complimenti.
Come dicevo pocanzi, i personaggi mi sono piaciuti molto, soprattutto il protagonista; il protagonista che ama, odia, ama ed odia ancora, vive di giorno all'ombra di colui ch'è più talentuoso - anche se anch'egli è un ottimo calciatore - ed amato dai tifosi, e di notte abbracciato a lui, ed assieme custodiscono un segreto che non può essere rivelato per nessun motivo.
Mi ha fatta sciogliere il flashback ove parli del cagnolino, che dolce quella scena; trasmette tutto l'amore che provano l'uno per l'altro, e l'epiteto "sciocco sentimentale" mi ha colpita in modo particolare, anche se non saprei dirti esattamente perché. Forse lui, il migliore, il bello, il più ammirato, si rende conto di sbagliare, di condannare la persona che ama ad un'esistenza colma di sofferenze a causa della situazione precaria, e per questo - nonostante dentro di sé voglia disperatamente stare sempre con lui e farlo felice - spera ch'egli non si senta troppo coinvolto, vorrebbe che fosse più freddo, più distaccato. In quel modo, forse, potrebbe essere più facile dirgli addio.
Ma non è così. E, quando lo fa, condanna entrambi.
Perché non serve a niente vivere per sempre, se non vivi veramente; e lui non ha voluto vivere davvero, per paura del giudizio degli altri, per timore di perdere il suo posto nel firmamento delle star amate dal pubblico.
Il finale mi ha fatto versare qualche lacrima, anche se in verità avevo il sentore che la storia potesse terminare così; ergo, l'ho trovato abbastanza prevedibile, ciò nonostante lìho molto apprezzato. La mia vena angst è sempre in agguato, e poi adoro in maniera viscerale le storie tristi.
In definitiva, un ottimo racconto; profondo, ben scritto. Complimenti!






   
 
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