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Autore: Silvre Musgrave    09/07/2010    3 recensioni
Il XIX e il XXI secolo si incontrano quando una donna fugge dal passato, portando malvolentieri con sè il suo inseguitore. La sua sola speranza è nel più geniale detective della storia: Sherlock Holmes. Ho tenuto il titolo originale, tradotto non mi piaceva. Ad un certo punto Holmes potrà sembrare un po' OOC, ma è talmente moderato che non credo sia il caso di metterlo come avvertimento. Un ringraziamento a Silvre Musgrave per aver autorizzato la traduzione ^_^.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

Riporto l’autorizzazione dell’autrice alla traduzione della sua storia:

“Thank you! I'm so glad you liked it! As long as I get credit for the story, I don't mind one bit if you translate it. Could I have a link to the story once you're finished? I wish I could speak Italian!

Thanks again for reading! Be sure to check out the sequel - "Sherlock Holmes and the Lost Boys."

Take care!

Silvre-Musgrave”

Spero vi piaccia, buona lettura!!

Nota del 2015: questa storia è in fase di betaggio. Dopo tanti anni  mi sono resa conto che alcune parti erano a dir poco imbarazzanti quindi, nel caso siate dei nuovi lettori, sappiate che la traduzione potrebbe rilutarvi un po' altalenante. Per tutte le parti decenti, invece, ringraziate silviabella, che si sta facendo un discreto mazzo per metterla a porto :)

Capitolo Uno: Una cliente molto singolare.

 

Erano le sette meno un quarto di una fredda mattina di marzo quando Sherlock Holmes fu svegliato dalla padrona di casa.

"Signor Holmes!"

L’unica risposta del detective fu di tirarsi le coperte sopra la testa.

“Signor Holmes!” Ripeté la signora Hudson spazientita, spalancando la finestra. La luce del sole fece irruzione illuminando la stanza disordinata.

Un borbottio arrivò da sotto le coperte, completamente incomprensibile eccezion fatta  per “vada via”.

“Signor Holmes,” disse lei, con voce alta più che poteva senza rischiare di svegliare  il Dr. Watson al piano di sopra. “É arrivato un biglietto da parte di vostro fratello! Credo sia urgente...”

Alla parola “fratello” il lenzuolo volò da una parte, rivelando la testa scura e arruffata di Sherlock Holmes. I suoi occhi brillavano di curiosità mentre strappava il telegramma dalle mani della signora Hudson e lo apriva. Indicò la porta con un gesto svolazzante. “Grazie signora Hudson…” disse in tono distante, con la voce ancora leggermente assonnata.

Lei sbuffò silenziosamente e uscì.

Holmes diede una veloce occhiata al biglietto e, senza altre esitazioni, saltò giù dal letto. 

 

“Che cosa potrebbe mai essere? Non dice nulla nel suo telegramma!” Esclamò Holmes con una voce in cui erano chiare sia curiosità che irritazione. Continuò a parlare mentre considerava le ragioni per cui suo fratello avrebbe potuto contattarlo.

Intanto il Dr. John Watson si era seduto di fianco a lui, ascoltando solo in parte. Era rimasto alzato fino a tardi la notte precedente, dopo aver visitato un paziente con una caviglia slogata, ed era un po’ irritato dal fatto che Holmes avesse trovato necessario svegliarlo a quell’ora impossibile.

Non che gli dispiacesse veramente, ma perché queste cose dovevano succedere sempre così presto?

Lesse il biglietto scarabocchiato attraverso gli occhi semichiusi dagli sbadigli, come se questa volta potesse effettivamente comprenderlo. Aveva già visto prima altri biglietti di Mycroft ed erano sempre a mala pena leggibili.

Sherlock,

Una cliente molto singolare è venuta a trovarmi e ha chiesto di te. Non è sicuro lasciarla senza assistenza. Vieni subito. Puoi portare con te Watson.

Mycroft

È certamente vago,” commentò Watson, restituendolo a Holmes.

Holmes lo prese, ma non rispose; Watson poteva vedere dallo sguardo lontano negli occhi del detective che stava considerando le possibilità e appoggiò la schiena alla carrozza.

La mente di Holmes vorticava, piena di domane. Perché andare da Mycroft? Perché non andare direttamente a Baker Street se era suo desiderio contattarlo? Come conosceva Mycroft, in primo luogo? Sapere dove e chi fosse era infatti curioso…

Mycroft poteva essere in pericolo a causa del suo arrivo?

Mise da parte questo suo ultimo pensiero tanto velocemente quanto era arrivato. Le facoltà mentali di Mycroft superavano di gran lunga le sue e, se avesse percepito qualunque pericolo arrivare con la sua cliente, non avrebbe scritto il biglietto così tranquillamente. Sebbene la sua scrittura fosse comunque uno scarabocchio, Sherlock conosceva il modo di scrivere di suo fratello. Mycroft non era di fretta.

Una volta elaborato questo pensiero, il suo cervello lo spinse via e tornò al biglietto. La donna è stata seguita o osservata da molto vicino. È sicuramente in qualche terribile tipo di pericolo o Mycroft l’avrebbe mandata da me con una carrozza. Ha detto che lei è “molto singolare”. Mi chiedo cosa la renda così…

Arrivarono a Pall Mall in pochi minuti. Dopo aver pagato il vetturino, si diressero direttamente dentro al Diogenes Club. Dopo aver spiegato la loro faccenda, vennero condotti dal maggiordomo in pantofole su per le grandi rampe di scale e lungo corridoi silenziosi fino a che raggiunsero la stanza con doppia porta che Watson associava al primo incontro con Mycroft Holmes.

Il maggiordomo bussò piano alla porta che venne immediatamente aperta per rivelare la forma corpulenta e robusta del fratello più vecchio di Sherlock.

“Ah, Sherlock. Watson,” disse con quella sua voce grave e posata. Nella mano sinistra teneva una scatola in tartaruga, che il dottore sapeva contenere tabacco da fiuto.

“Mycroft.” Sherlock sorrise brevemente.

“Il suo nome è Christine Andrews,” disse Mycroft, andando direttamente al punto della situazione. “Da questa parte.” Condusse Sherlock e Watson attraverso la stanza con le finestre ad arco, finché arrivarono a un salotto più piccolo e appartato. Fece un cenno del capo attraverso la porta.

Né Sherlock né Watson parlarono, ma guardarono attraverso.

La stanza era al buio. L’unica luce proveniva dal caminetto che aveva bisogno di un altro ceppo; le tende erano state tirate fino in fondo. Tre sedie circondavano il caminetto, a un tavolino rotondo su cui era posata una tazza di tè ancora fumante.

Accanto a questo, seduta su un divano rivolto verso il fuoco, c’era la loro cliente.

Era una piccola, slanciata creatura che non poteva ancora avere trent’anni. I suoi capelli castano dorato non erano acconciati verso l’alto, ma sciolti e arrivavano fino a metà schiena, anche se alcune ciocche ondulate restavano in sospeso sulla sua fronte. I suoi occhi erano di colore chiaro, forse azzurro o verde; era difficile da stabilire alla luce del fuoco. Era molto attraente, notò Watson, e molto… audace. Decise che era la parola giusta.

Holmes sarebbe stato d’accordo. Sedeva dritta, con la testa alta ed entrambi i piedi fermamente al suolo; il suo respiro era quasi regolare. La sua calma era tradita soltanto dal fatto che torceva e intrecciava incessantemente le dita intorno a un vecchio medaglione attorno al collo.

Queste osservazioni erano banali e molto tipiche… proprio il contrario dei suoi vestiti che lasciavano perplesso il detective.

Indossava dei pantaloni e una camicia, come un uomo, ma i vestiti erano ovviamente tagliati per una donna. I pantaloni erano di un tipo di cui Holmes aveva visto indossare da alcuni americani, specialmente minatori e uomini della classe operaia, fabbricati col denim e tinti di blu. Le maniche della camicia bianca finivano un poco dopo il gomito, e lui cominciò a fare ulteriori deduzioni.

Le sue braccia sono ben muscolose, eppure non appartiene alla classe operaia perché le sue mani non sono ruvide e il suo aspetto è, per la maggior parte, molto pulito. Quindi fa esercizi per tenersi in forma. Potrebbe lavorare in un ufficio o qualcosa di simile; i gomiti della camicia sono consumati e quello destro ha una macchia di grafite o inchiostro. Ha camminato un po’ per venire qui e viene dalla campagna; l’orlo dei pantaloni è rovinato e coperto di fango…

Ma non piove da una settimana. E che strane scarpe… Non posso dire di quale materiale siano fatte. Un tipo di materiale marrone flessibile… e la suola… forse gomma? C’è un simbolo su un lato che sembra come un segno di spunta.  C’è la sua giacca sul bracciolo del divano di fianco a lei. O forse è del fratello, o del padre, è troppo grande per la sua corporatura. Osservò la giacca, non aveva mai visto niente del genere. Era di pelle marrone o montone, con un fitto pelo intorno al colletto. Era vecchia, molto usurata, e con una toppa con la bandiera inglese sulle spalle. Dove avrebbero dovuto esserci i bottoni, c’erano due linee metalliche simili a denti.

I suoi occhi corsero lungo la giacca, lungo la manica, visto che era sistemata sul divano in modo che un braccio toccava il pavimento. Di fianco a questo, appoggiato al divano, c’era un largo, vecchio, sacco da montagna.

Holmes camminò attraverso la porta e accese la lampada a gas sul tavolo di fianco a lui.

La donna si alzò dritta come un fuso quando la stanza fu illuminata intensamente, allora raggiunse il sacco da montagna, ma si fermò a metà del movimento. I suoi occhi, che poterono vedere ora essere di un affascinante grigio-azzurro, si allargarono. La bocca si aprì per la sorpresa e lentamente. Rimase lì in silenzio, con uno strano sguardo di – venerazione? – sul viso.

“Signor Holmes?” Disse finalmente, chiedendo con una chiara voce ferma. I suoi occhi passarono a Watson e sembrarono aprirsi ancora di più. “Dottor Watson?”

“Signorina Andrews.” Holmes si tolse il cilindro e lo appoggiò sul tavolo; il dottor Watson fece lo stesso.

Una mano della donna corse involontariamente alla bocca, come per incredulità, e camminò verso di loro, porgendo la mano. “Signor Holmes, signore, è un tale onore. Dottor Watson, un onore.”

Era sicura di sé; il suo atteggiamento, il suo passo, la sua stretta di mano erano fermi e sicuri. Malgrado questo, Holmes non poteva negare di avvertire una sensazione di disagio, di paura.

Dopo che ebbe stretto le loro mani, Christine sedette di nuovo sul divano. Sherlock, Watson e Mycroft fecero lo stesso. L’ultimo prese la sedia più vicina al calore del fuoco per ascoltare tutti e si mise in ascolto, sebbene qualcuno avrebbe pensato che stesse dormendo.

“Come posso aiutarla, signorina Andrews?” Chiese Sherlock Holmes nel suo solito modo sbrigativo.

Finite le presentazioni e giunti al reale problema, lei sembrò stanca. “Lei è l’unico che possa aiutarmi, signor Holmes.” Si fermò per un momento per sfregarsi gli occhi. “Ho bisogno di dirle alcune cose prima che le racconti la mia storia”. Sentì il leggero rumore della carta e alzò lo sguardo per vedere il dottor Watson tirar fuori un piccolo taccuino e una penna.

“Se posso.” Chiese lui.

“Ovviamente, prego.” Christine annuì. “Va bene… primo, vi starete probabilmente chiedendo perché non sono andata alla polizia. Il fatto è, signor Holmes, e lei lo sa meglio di tutti, che strane cose succedono. Ci sono cose tanto bizzarre, così strane, così… inverosimili che la polizia o le liquiderà come uno scherzo o una sciocchezza, o si fisserà su quella che sembra la spiegazione più ovvia. Ma lei no. Lei scava tanto profondamente quanto può fino a scoprire la vera soluzione… non importa quanto fantastica sia la situazione. E secondo, voglio che una cosa sia perfettamente chiara.” Guardò Sherlock, poi Watson.

“Cos’è, signorina Andrews?”

“Non vi sto mentendo.”

“Non abbiamo nessuna ragione di credere che lo stia facendo.” Replicò Watson, sollevando lo sguardo dal suo taccuino con sorpresa.

“Lo so, ma volevo soltanto assicurarvi di questo. Non vi mentirò… la mia storia non è facile da accettare. Mentirvi potrebbe essere uno spreco non solo del vostro tempo, ma anche del mio.”

“Capiamo, signorina Andrews.” Holmes si protese verso di lei, con le punte delle dita unite. “Esponete il vostro caso.”

Lei fece un profondo respiro e poi, guardando Holmes dritto negli occhi, disse, “Vengo dal XXI secolo.”

 

  
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