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Autore: nightswimming    14/07/2010    5 recensioni
Barry Molko vuole bene a suo fratello. Barry Molko, purtroppo, non vede suo fratello da molto tempo. Barry Molko, oltretutto, si sta per sposare e vuole che suo fratello sia partecipe della propria felicità. Ma Barry Molko non sa nemmeno lontanamente cosa Brian sia diventato in due anni di separazione...
(Modificata)
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brian Molko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: nonostante gli avvenimenti qui narrati siano di fantasia, i personaggi che li vivono non lo sono e io non avanzo alcuna pretesa di veridicità su nulla di quello che è scritto di seguito. Indi per cui, né Brian Molko né Barry Molko né tutti gli altri mi appartengono – ed è un vero peccato, almeno per quanto concerne il primo della lista. Inoltre, per tutto questo inchiostro versato io non vedo il becco di un quattrino.

 

 

 

 

 

 

 

The call to arms was never true
I’m medicated, how are you?
Let’s take a dive, swim right through
Sophisticated points of view.
 
-Follow The Cops Back Home-, Placebo

 

 

 

 

 

  Il posto era piccolo, fumoso e inconfondibilmente inglese, con i piani di legno scuro e levigato e i boccali di birra misurati in pinte. Appena entrato, sentì il bisogno di allentarsi la cravatta - un po’ perché faceva davvero un caldo insopportabile e un po’ perché l’abito da lavoro che indossava lo faceva spiccare fastidiosamente fra interi arsenali di borchie e magliette dei Velvet Underground -, allargando il nodo con due dita e guardandosi intorno con prudenza e una certa curiosità: ma non riuscì a intravederlo. Quanto poteva essere cambiato in un paio d’anni? Tanto da rendersi irriconoscibile nel parapiglia che spingeva e soffocava il minuscolo locale da ogni parte? No, impossibile. Non voleva neanche pensarci.
Si avvicinò al bancone e ordinò una chiara piccola, guadagnandosi uno sguardo scettico dall’uomo grosso e panciuto davanti a lui. Probabilmente lo considerava un dilettante. E probabilmente, ne aveva tutte le ragioni. Raramente si era sentito tanto a disagio in un posto, e non era sicuro che dipendesse esclusivamente dalla cappa di fumo quasi solida che pendeva sopra le loro teste o dagli sguardi sprezzanti della maggioranza degli avventori vestita in pelle. E il bello è che non sapeva neanche il perché esatto ci si fosse recato lì di sua spontanea volontà – o meglio, lo sapeva, ma non si trattava di un perché vero e proprio: era tutt’al più un pretesto.
La verità era semplicemente che aveva voglia di rivederlo. Non si cancella una vita insieme con un singolo colpo di testa, e poi sentiva intensamente il bisogno di sincerarsi che stesse bene e che non si umiliasse a condurre un’esistenza al di sotto delle sue potenzialità.
Che erano grandi, e poliedriche. Era stato questo a far incazzare di più la famiglia: fosse stato stupido, rozzo e insensibile se ne sarebbero fatti una ragione, di quella fuga. Ma lui non lo era. Lui, se mai, aveva sempre sentito troppo. Troppe pressioni. Troppi insulti. Troppe risate dietro le sue spalle. Troppe lusinghe, anche. Troppo di tutto.
Un roboante suono distorto proveniente dalla scala che conduceva al piano inferiore gli fece alzare la testa. Il palco doveva essere di sotto – se di palco si poteva parlare, viste le dimensioni di quello scatolino foderato di legno che osavano con un certo coraggio chiamare Underground Life. Prese la birra ancora fredda in mano e scese lentamente gli scalini, stando attento a non sbattere la testa contro il soffitto ridicolmente basso. Con sua grande sorpresa, si ritrovò in una stanza rettangolare illuminata da sporadiche luci soffuse che era grande il doppio del piano di sopra, con le pareti piene di manifesti di gruppi di cui non conosceva neanche un nome e una lunga pedana sopraelevata schiacciata contro la parete di fondo. I muri arancioni, le migliaia di sigarette fumate al minuto e la densità della folla seduta e in piedi la  rendevano simile a un tuorlo d’uovo sporco e grumoso, ma dovette ammettere che possedeva un certo fascino. Doveva essere in posti come quello che lui andava a sgolarsi sotto il palco dei Sonic Youth; e se tornava indietro con la memoria al suo primo concerto – ben più all’acqua di rose, per la cronaca -, al quale l’aveva accompagnato quando aveva undici anni, il pensiero lo faceva quasi intenerire.
Quando un altro urlo scordato fuoriuscì dagli amplificatori pigiati gli uni contro gli altri ai lati della stanza, un “fuck” dal timbro inconfondibile fendette il casino della stanza e arrivò dritto e limpido alle sue orecchie, come se l’avesse sentito l’ultima volta solo il giorno prima. Solo lui poteva dire “fuck” in quel modo. Solo lui poteva dire qualsiasi parola, in quel modo.
Con un bizzarro nodo alla gola che non riusciva a spiegarsi, si alzò in punta di piedi e coi gomiti tentò di aprirsi un varco fino alle prime file.
Scorse per primo un ragazzone alto e biondo inguainato in quella che – santo cielo – sembrava una maglietta in lattex. Questi, dall’alto del suo metro e novanta come minimo, si stava in quel momento chinando verso il basso per dire – o meglio urlare – qualcosa nell’orecchio di qualcuno. Sentì qualche altra breve schitarrata più melodica restare sospesa nell’aria, poi un breve giro di basso intervallato da qualche rullìo di piatti in sottofondo: infine, le luci si abbassarono.
Approfittando dell’istante di smarrimento della gente, si introdusse goffamente fra due giganti che rischiarono di calpestarlo con le loro Doc Martens e riuscì ad arrivare fino alla terza fila, giusto nel momento in cui il primo incalzante riff di chitarra esplose fra le braccia di quella che sembrava una lolita minuta e provocante. Ma non ebbe bisogno di avvicinarsi ulteriormente per capire che la cosina con quell’assurdo caschetto di capelli neri in testa e gli occhi verdi – quegli occhi incredibili, gli occhi della loro madre – era in realtà suo fratello.
- Dip me in the honey and throw me to the lesbians! – urlò quella voce nasale che conosceva tanto bene, stridente e quasi fisicamente tangibile. Barry sentì che la testa cominciava a girargli e si prese le tempie fra le mani, massaggiandole lentamente e soffocando una risata incredula.
- Oh Cristo, Brian… -
Non era cambiato di una virgola e allo stesso tempo era totalmente un'altra persona. Si era fatto l’orecchino, portava una t-shirt stinta e spiegazzata con su scritto “Don’t label me” e un paio di pantaloni di pelle che sembravano volerselo mangiare, oltre a un paio di anfibi se possibile più grandi di lui. Aveva ancora quel modo sincopato di muoversi che si rifletteva anche nel suo modo di suonare la chitarra, la mano vezzosamente piegata a plettrare su e giù per le corde con la lingua ben visibile fra i denti e lo sguardo estatico rivolto verso l’alto. Il colosso biondo che gli stava a fianco, e che per la cronaca gli faceva da bassista, suonava ondeggiando ritmicamente e buttando ogni tanto su di lui un’occhiata fra il reverenziale e il protettivo. Barry rimase immobile nel suo stupore e assorbì febbrilmente tutta l’esibizione, un sopracciglio inarcato verso l’alto e una smorfia di incredulità fissa sul volto. Quegli occhi truccati saettavano a tratti verso il pubblico brillando quasi indecenti, accompagnati da una testa ancora infantile che si piegava maliziosamente di lato e che accompagnava gli urletti e gli acuti di suo fratello in maniera quasi ipnotica. Non riuscì a seguire i testi delle canzoni – era troppo scosso – ma captò qualche riferimento a una vita sessuale che sperava non fosse quella di Brian e ondeggiò a tempo il capo per la mezz’ora che seguì, affascinato e un po’ intimidito.
Quando finirono, accompagnati da un rumoroso applauso, seguì con gli occhi quella figurina ancora abbracciata alla sua chitarra che saltava giù dal palco e svicolò veloce verso i camerini, le mani sudate. Sentì che lui rideva, soddisfatto, e che invocava una birra con quel tono strascicato che non aveva mai potuto soffrire e che adesso gli sembrò la cosa più inestimabile che possedesse. Gli poggiò la mano sulla spalla quasi con violenza, strattonandolo nella sua direzione per non farlo scappare.
- Che cazzo… - sentì che protestava, indignato, voltandosi verso di lui. Ma non appena l’ebbe visto in faccia, le parole gli rimasero intrappolate in gola.
- Brian…-
Restarono immobili a farsi spintonare dalla folla per due minuti buoni, poi l’apprensivo e commosso fratello maggiore arpionò il minore per le spalle gracili e se lo strinse al petto soffocando ogni possibile protesta. Brian se ne stette immobile e rigido per diversi istanti, gli occhi spalancati e le braccia inerti, poi sembrò animarsi d’improvviso e piantò con un’inconsapevole frenesie le unghie smaltate di nero in quel completo gessato che lo aveva quasi inghiottito. Nel momento in cui, finalmente, parlò, la sua voce strafottente sembrò quasi incrinarsi.
- Io… Io avverto i ragazzi, mi cambio e ti raggiungo su, ok?-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Mpf.-
-Che c’è?-
-No, niente.-
-Non farmi incazzare, che hai?-
-Ma nulla, davvero. Stavo solo pensando alla faccia che farebbe nostra madre se ti vedesse ora, conciato così.-
-Oh, sono certo che crollerebbe in ginocchio e invocherebbe la pietà celeste. Inutilmente.-
-In effetti, non sono sicuro che in Paradiso li prendano quelli vestiti come te.-
-E’ forse richiesto l’abito d’ordinanza per entrare in Paradiso?-
-Mah, forse quello scuro. Quello con cui ti seppelliscono – non credo che fra tutto, la morte, l’assunzione in cielo ci si riesca a ritagliare un momento per cambiarsi.-
-Beh, io sono vestito di scuro. E mi sembra anche di essere discretamente elegante.-
-Cristo, Brian, indossi una minigonna. Nera, te lo concedo, ma pur sempre una minigonna. E non ti sei nemmeno degnato di scegliere qualcosa di un po’ più sobrio per il sopra, no, hai voluto anche la camicia leopardata.-
-Un tocco osé, per sdrammatizzare il nero. E poi l’animalier mi dona. Me lo dicono tutti.-
-Una donna. Mio fratello è una donna.-
-E’ per questo che sei qui? Per fugare definitivamente ogni dubbio a riguardo?-
-No, purtroppo. Che malgrado tutto sei uomo è una triste evidenza da me notificata dopo anni di bagno in comune.-
-Sei sempre stato un tipo sveglio.-
-Seee.-
-…-
-…-
-Allora, come stai? Mi sembra che te la spassi. Se non altro, a scegliere i vestiti da indossare sul palco.-
-Non me la passo male, sì. E tu? Festa grande alla banca lussemburghese? Party a base di cocaina ogni sabato? Sesso sfrenato con l’impiegata dello sportello 3?-
-Come direbbe nostro padre, ci sono tre cose certe nella vita: la morte, le tasse, e la tua stronzaggine.-
-La terza non l’ha mai detta.-
-E’ una mia personale variazione.-
-Ah ah.-
-…-
-…-
-…No, va bene, comunque. Stiamo per ultimare una fusione molto redditizia.-
-Esaltante.-
-Sì, alquanto. E per la cronaca, non sto più in Lussemburgo. Mi sono fatto trasferire. Sai, non eri tu l’unico ad odiare quel posto.-
-Ma dai. Mi sorprendi, B.-
-Credi davvero che esista qualche essere umano dotato di un minimo di sangue caldo capace di resistere in quel buco?-
-No.-
-Appunto.-
-Beh, fantastico. Non ti senti una persona nuova? Non senti di respirare un’aria completamente diversa?-
-Ora come ora, respiro solo merda. Solo tu avrai fumato come minimo dieci sigarette negli ultimi venti minuti. C’è una nebbia tale che quasi non riesco a distinguerti.-
-Ne vuoi una?-
-No, grazie, ho smesso.-
-Che uomo triste sei diventato.-
-Ho capito che il gioco non valeva i miei polmoni.-
-Ribadisco, quanto sei noioso. Non che tu sia mai stato uno spasso, eh.-
-Anche tu eri un bel rompipalle.-
-Dovevo tenere il passo con te.-
-Petulante.-
-Egocentrico.-
-Spocchioso.-
-Narciso.-
-Effeminato.-
-Pompato.-
-Acido.-
-Stronzo. E approfittatore.-
-E di che? Chi ha mai visto niente, da te?-
-Ma non farmi ridere. Ti ho fatto i compiti per anni. E tu eri pure più grande!-
-Due volte al massimo. E anche io te li facevo.-
-Sì, era il minimo. Con tutte le volte che ti coprivo quando portavi le ragazze in camera. Mamma se lo sapeva ti ammazzava.-
-Ma senti senti! Parla quello che si portava i ragazzi, in camera!-
-Beh, sempre le stesse cose si fanno, no?-
-Gesù. Non posso credere che tu l’abbia detto davvero.-
-Non cambiano neanche i rumori, cambia solo il timbro delle voci.-
-Brian, non dire cazzate. Cambia tutto, e lo sai. Non è che sei solo frocio, d’altronde, no? Qualche ragazza te la sei fatta anche tu.-
-Sì, direi di si. Cronologicamente parlando, ho anche perso la verginità prima di te.-
-Sì, buonanotte.-
-A quanti anni l’hai persa tu?-
-A quindici, con Emmanuelle Picot. E tu?-
-Lo sapevo, ti batto: a quattordici, con Carole Marlene.-
-Con Carole…! Bastardo!-
-Perché?-
-Perché ci uscivo io, in quel periodo!-
-Non ne sapevo nulla.-
-Ah no? Giuro che appena torno a casa alzo il telefono e glielo chiedo personalmente.-
-Sì, immagino la scena. “Pronto, Carole? Sono io, Barry Molko, uscivamo insieme al liceo, non me l’avevi voluta dare, ti ricordi? Ecco, si dà il caso che mio fratello piccolo Brian sostenga che invece a lui gliel’hai data… Vero che si è inventato tutto, quel piccolo stronzetto?”-
-Mpfff.-
-Stai ridendo?-
-No, sto cercando di soffocarmi nella mia stessa saliva, per smettere di soffrire.-
-Rivedermi è un dolore così grande?-
-Sì.-
-Beh, te lo sei cercato tu. Io me ne stavo qui tranquillo a Londra senza dare fastidio a nessuno.-
-No che non è un dolore, Brian. E’ una sorpresa. Credevo che non avresti neanche voluto parlarmi.-
-E perché mai?-
-Sei… Diverso. Sicuro di te. Sfacciato. E… Beh, non sei male su quel palco. Io non ci capisco niente, ma mi piace come suoni.-
- Grazie.-
-E anche quella tua cazzo di vocetta sembra quasi gradevole, passata attraverso un microfono.-
-Grazie…-
-…-
-Non credevo di mancare a nessuno.-
-E chi ha mai detto che mi sei mancato.-
-Non credevo di mancare a te.-
-Cristo, Brian, sei mio fratello. Tendi a dimenticartelo un po’ troppo spesso per i miei gusti.-
-Sì, ma… Voglio dire… Non ti sono mai piaciuto. Ti rompevo i coglioni e basta.-
-Non è vero. O almeno, è vero solo in parte.-
-Eh?-
-Non avevamo – non abbiamo – niente in comune, e riconosci che sai come renderti dannatamente fastidioso a volte. Ma non eri l’unico a starci male, a casa. E che mi andasse o no, io avevo solo te e tu avevi solo me.-
-…-
-Che hai? Che pensi?-
-Niente, mi è venuta in mente una cosa.-
-Cosa?-
-Quando hai fregato quel plettro dall’aula di musica, a scuola.-
-Ah, sì. Chissà poi perché.-
-Me l’avevi regalato.-
-Davvero?-
-Sì. Non l’hai riconosciuto? C’ho suonato stasera.-
-Scusami tanto, Brian, se la mia memoria a lungo termine risulta carente riguardo l’argomento plettri…-
-Stronzo, sono serio. Ecco, guarda.-
-…-
-Non hai mai fatto mai un cazzo per aiutarmi con papà e mamma, ma almeno un pochino, involontariamente presumo, mi hai incoraggiato a fare quello che faccio ora.-
-E cioè?-
-La rockstar.-
-Ma per favore. Sei molto grazioso, lo ammetto, decisamente decorativo, ma da qui a schitarrare al Reading Festival…-
-E’ solo questione di tempo.-
-Ah, beh, se lo dice Brian Molko, è come leggere una pagina della Bibbia.-
-Amen.-
-E a proposito di Bibbia… Spero veramente che la mamma non veda mai qualche tua esibizione dal vivo. Quel coretto blasfemo avrebbe potuto ucciderla.-
-Ma se non ho cambiato neanche una parola. Dio non ha alcun motivo per avercela con me, se canto una delle sue hit. Anzi, è pubblicità gratuita.-
-Sì, certo.-
-…-
-…-
-Come sta?-
-Chi?-
-Emmanuelle Picot. La mamma, mi pare ovvio.-
-Bene, direi. Anche se una delle sue B le sta spezzando il cuore, non facendosi più sentire da mesi.-
-Barry, sto cercando di essere coerente. Uno non può scappare di casa e comunque telefonare a mamma ogni giorno. E’ ridicolo.-
-Le manchi. Tu le piacevi tanto.. . Molto più di quanto le piacessi io. Si aspettava grandi cose da te.-
-Tu piacevi a papà. Chissà i salti di gioia che starà facendo adesso, con l’imminente fusione in vista.-
-Sì, è felice. Ma è preoccupato per te. Ha paura che tu stia prendendo una cattiva strada.-
-Digli di star tranquillo, sto divinamente bene.-
-A soldi come stai messo?-
-Me la cavo. Riesco a comprarmi le sigarette ogni volta che voglio.-
-Vivi da solo?-
-No, sto con Stefan.-
-Chi?-
-Il mio bassista.-
-Quella pertica bionda e gay che pare vestita di plastica da imballaggio?-
-Sì, lui.-
-Ah beh, allora non ho più davvero niente di cui preoccuparmi.-
-E’ un tipo a posto… Andava alla nostra stessa scuola.-
-Pure lui allevato nell’accogliente grembo del Lussemburgo?-
-Sì.-
-Poverino.-
-…-
-Mi sembra che vi siate abbastanza trovati, comunque.-
-Sì. Lui… Ci vogliamo bene.-
-Ti adora. Si vede da come ti guarda. E’ innamorato di te?-
-Forse si è preso una piccola sbandata, ma la cosa non influisce sul nostro rapporto.-
-Cioè non scopate?-
-Non quando siamo sobri, no.-
-…-
-…-
-Che c’è?-
-Mio Dio. Non c’è speranza di strapparti via di qua, vero?-
-No.-
-Ma stai bene? Sei felice?-
-Più di quanto non lo sia stato in tutta la mia vita.-
-Allora… Beh, presumo sia questo l’importante.-
-Già.-
-Volevo solo sincerarmi di questo.-
-Grazie, l’ho apprezzato.-
-Davvero?-
-Sì. Non credevo che nessuno di voi si sarebbe mai scomodato a venire a sentirmi suonare.-
-Nemmeno io?-
-Diciamo che su di te ci speravo.-
-Meno male. Perché, vedi, la mia in realtà sarebbe una visita interessata.-
-Ecco il lato opportunista dei Molko che fa la sua entrata in scena.-
-Ho bisogno che tu e la tua band suoniate in un posto.-
-Prova a pronunciare le parole “festa aziendale” e giuro che ti pianto qui a soffocare nel fumo.-
-Veramente la parola sarebbe più –matrimonio.-
-…-
-Brian?-
-Dio santo, non dirmi che quel cesso di nostra cugina Françoise è riuscito a incastrare qualcuno.-
-No, vediamo di tenere i piedi per terra.-
-Meno male.-
-…-
-…Ma allora chi è?-
-E’ un aspirante banchiere, giovane, bello, intelligente, grintoso…-
-…-
-Brian?-
-Dalla descrizione non puoi essere tu.-
-E invece sono proprio io.-
-Ti sposi davvero?-
-Sì.-
-Ma… Con chi?-
-Non la conosci. Non l’hai mai vista.-
-…-
-Si chiama Lisette.-
-E’… E’ un bel nome.-
-Grazie.-
-…-
-In realtà non voglio davvero che tu suoni, perché mi servi senza chitarra a tracolla.-
-Vuoi che serva ai tavoli?-
-No, Brian. Voglio che tu sia il mio testimone.-
-Il tuo testimone… Di nozze.-
-Esattamente.-
-…-
-…-
-Ci saranno tutti. Tutti quanti.-
-Sì, certo.-
-Non credo di volerli rivedere.-
-Brian…-
-Non ancora. Non ho niente da fargli vedere, adesso. Niente che gli dimostri che sto facendo la cosa giusta.-
-Prometti che almeno ci penserai.-
-…-
-Brian…-
-…Lo prometto.-
-…-
-E’ carina questa Lisette?-
-Non mi merito quelle carine, secondo te?-
-Decisamente no. Se vengo, lo faccio solo per farle un discorsetto prima che si avvii all’altare. Su quanto la vita abbia di meglio da offrirle.-
-Saresti pure capace di provarci.-
-Con la futura moglie di un banchiere? Dio no, che tristezza.-
-…-
-Beh, se finisco davvero a suonare, almeno suono quello che voglio io.-
-Niente Sonic Youth, Brian. E’ un matrimonio, non il festival di Glastonbury.-
-Va bene, niente Sonic Youth. Ma allora niente Simply Red.-
-D’accordo, andata.-
-E niente Phil Collins!-
-Ma Another Day In Paradise è la nostra canzone!-
-Te la puoi scordare, Barry. Ho uno stomaco e una reputazione da difendere.-



















"On the new album's 'Passive Aggressive', you sing, "God's in crisis. He's over."
If you don't believe in God, do you have a higher power you appeal to when you're at the end of your tether ?

BM : Yeah, my older brother. [laughs.]

-Alternative Press-, agosto 2001



 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice: non credevo che sarei mai riuscita a scrivere qualcosa sui Placebo, e invece eccomi qua XD Mi ha sempre affascinato il legame fantasma che intercorre fra Brian e suo fratello Barry – che, a quanto ne so, gli gestisce all the money e sembra essere l’unico suo parente in grado di capirlo almeno un po’. Magari invece è un stronzo allucinante XD, non lo so, ma mi è piaciuto dipingerlo così spaesato e attaccato al piccolo fratellino divenuto quasi sorellina. Ai posteri l’ardua sentenza.
 
E ora, un vagone di moleste ma utili note alla storia XD:
1.      Barry Molko sarebbe in realtà maggiore di dieci anni rispetto a Brian, ma ho voluto concedermi la licenza poetica di abbassargli un filo l’età per renderli più vicini.
2.      Tutte le mise citate nella storia – la maglietta “non etichettatemi”, la camicia leopardata ecc. ecc. – sono realmente esistenti e indossate da Brian in diversi momenti della fase Nancy Boy della sua carriera.
3.      La frase che Brian urla all’inizio del concerto, traducibile come “immergetemi nel miele e buttatemi alle lesbiche!”, è stata da lui realmente urlata nel 1995 durate una delle prime esibizioni registrate dei Placebo, in Lussemburgo.
4.      Quando Barry parla del coretto blasfemo cantato da Brian, si riferisce a un siparietto che Molko Junior faceva qualche volta prima di suonare Bruise Pristine - e cioè cantare a capella l’inizio di Jesus Loves Me, noto canto di chiesa. La madre dei due è infatti una born-again christian, e fino ai 14 anni anche Brian ha fervidamente aderito a quel tipo di educazione.
5.      Brian ama moltissimo i Sonic Youth; al contrario, in un’intervista alla tv francese ha dichiarato di non sopportare i Simply Red e Phil Collins, e di apprezzare i Police ma di odiare sopra tutto e tutti Sting nella sua carriera di solista.
6.      Non so che nome abbia la moglie del signor Molko grande, perciò l’ho inventato :D lo stesso dicasi per la ragazza con cui Barry avrebbe perso la verginità.
7.      Non credete a Brian, “Another Day In Paradise” di Phil Collins è una canzone adorabile <3
8.      Brian ha realmente perso la verginità con tale Carole Marlene, quando lei aveva sedici anni e lui quattordici.
   
 
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