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Autore: Darkshin    14/07/2010    6 recensioni
"Dove, in nome di Dio, la guerra è bella?" I dubbi e i pensieri di un soldato di ritorno dal fronte, in una lettera al suo mentore, sulle note di una splendida canzone. Legata a "Full Metal Shippuden", mentre la canzone è di F. De Gregori
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Full Metal Shippuden'
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Generale


Veloce, il treno attraversava i campi, come una freccia grigia e argento che tagliava in due il verde, una nota di freddo acciaio in mezzo agli assolati campi della zona rurale di Leaftown.
Un uomo, seduto davanti a un tavolino in uno degli scompartimenti di quella che era stata la prima classe, fissava il vuoto, beandosi della vista del verde e del vento che gli scompigliava i lunghi capelli biondi e ribelli. Lui nel vento giocava ogni giorno con la vita e la morte, ma nella sua bara di metallo volante non ne poteva sentire il tocco gentile, le sue mani carezzevoli che sorreggevano le sue ali.
Sospirò.
Forse la vicinanza di casa lo rendeva sentimentale, ed era buffo pensare che quella che era stata soprannominata la più micidiale macchina da guerra della Foglia, fredda e spietata, fosse in realtà poco più di un ragazzo che amava fantasticare e magari poltrire all'ombra di un albero mentre leggeva un libro; con la coda dell'occhio, si accorse di essere in buona compagnia: tutti gli altri passeggeri tacevano, distratti e impegnati in altre silenziose attività, come quel musone di Fugaku, che giocava a tressette con altri tre di cui al momento gli sfuggiva il nome ma che dovevano essere dell'Artiglieria, o Hizashi, che come lui occupava due sedili e che con i piedi sul tavolino fissava il soffitto. Chouza e Shikaku invece si dedicavano ai cruciverba, mentre Inoichi aveva tirato fuori la sua vecchia chitarra e ne saggiava le corde, timoroso di suonarla per non spezzare il perfetto silenzio che si era venuto a creare.

Suona, Inoichi, suona: non ci sazieremo mai delle tue note gentili, che ci hanno mantenuto molto più che vivi: umani.

Pochi brevi accordi di riscaldamento e le note dolci cominciarono a riecheggiare nel piccolo scompartimento attirando pochi sguardi irritati ma molti curiosi e attenti a quello spettacolo fuori programma; quante volte si erano riuniti la sera in mensa per ascoltare Inoichi suonare qualche ballata o magari un pezzo classico, conosciuto da tutti e cantato a squarciagola mentre il whisky frutto di una qualche razzia scorreva a fiumi?
Era biondo come lui Inoichi, ma più scuro; la guerra aveva lasciato anche su quel volto che un tempo era stato così delicato il suo marchio, su quel volto che attirava al tempo stesso gli occhi delle donne e i desideri scherzosi degli uomini. Ma lui scuoteva la testa e rideva, mostrando la foto di una deliziosa bimba dai corti capelli biondo oro che si teneva attaccata alla gonna di quella che doveva essere la madre, tagliata fuori dall'immagine. Allora si scatenava la corsa, la competizione, tutti a tirare fuori le fotografie della rispettiva discendenza; anche Fugaku, di malavoglia ma con malcelato orgoglio, concedeva uno sguardo ai suoi due ragazzi, entrambi dai capelli mori e gli occhi neri, seri e timidi al tempo stesso.
Sembra curioso, ma i nostri figli come pure quello di Hizashi hanno tutti più o meno la stessa età: merito dell'ultima licenza?

Mah.

Prestando orecchio, si accorse di conoscere la canzone e di averla già ascoltata; và a sapere perché Inoichi aveva scelto proprio quella, una canzone che parlava di gente come loro, uomini che tornavano a casa una volta finita la guerra, ma la sentiva straordinariamente adatta, così  mentre il biondo iniziava a cantare, Minato prese da una valigetta un foglio bianco e una penna, e cominciò a scrivere

Generale dietro la collina
ci sta la notte crucca ed assassina
e in mezzo al prato c'è una contadina
curva sul tramonto sembra una bambina
di cinquant'anni e di cinque figli
venuti al mondo come conigli
partiti al mondo come soldati
e non ancora tornati.

"Caro Jiraya, o forse dovrei scrivere Generale Jiraya? So che non farai caso a questa cosa e che perdonerai il tuo stupido pupillo che non sa nemmeno da che parte si inizi a scrivere una lettera.
Dopo tre, lunghi anni, per la prima volta sto per tornare a casa... tre anni passati in un giorno, a volte nel fango a volte nella pioggia, a uccidere e trucidare, con il sole e con il vento, tra le nuvole e le colline, ma sono passati. Te lo ricordi il primo giorno? Accidenti, io sì, eccome: ricordo la folla che si accalcava sulla banchina, la marea di divise grigie e di berretti scarlatti mischiata ai colori dei migliori abiti della festa dei civili, madri e padri, amanti e promesse spose venuti tutti ad augurare il buon viaggio, quasi contenti per lo più, come se non avessero mai corso il rischio che da quel viaggio non tornassero, come se fosse stato impossibile che uomini così belli, forti e invincibili non potessero più tornare se non in una cassa da morto.
C'eri anche tu lì con me, assieme a Kushina con il suo pancione, che io non volevo venisse perché temevo si sarebbe potuta far male ma lo sapevo che era testarda più di tutte le donne del mondo messe insieme! Non ricordo di avere mai provato tanto imbarazzo nel sentire lei farmi mille raccomandazioni e sgridarmi se non stavo attento, mentre tu te la ridevi e occhieggiavi qua e là in cerca di qualche bellezza da consolare.
Beh, almeno ora posso sorriderne anche io, no?"

Nel frattempo, chi poteva si era avvicinato al musicista improvvisato, chinati in avanti e concentrati ma al tempo stesso rilassati;


Generale dietro la stazione
lo vedi il treno che portava al sole
non fa più fermate neanche per pisciare
si va dritti a casa senza più pensare
che la guerra è bella anche se fa male
che torneremo ancora a cantare
e a farci fare l'amore, l'amore
dalle infermiere.

"Posso sorriderne, sì... nè è passata d'acqua sotto i ponti da allora. Siamo cresciuti da un giorno all'altro, e il terzo giorno eravamo già vecchi.
Ormai, per quante volte ci laveremo le mani, il rosso non andrà più via... Jiraya, sai, quando sono entrato in aviazione ho pensato "Accidenti che fortuna!".
Pensavo che sarebbe stato nobile e bello lottare nell'aria con altri aviatori, come fieri rapaci di metallo nel sole del tramonto.
Poi ho capito.
Non c'è niente di nobile. Niente di sacro. Niente di niente. La mia unica fortuna è rimasta solo quella di non poter guardare in faccia un uomo che muore, perché per me dare la morte significa schiacciare un bottone e porre termine a una vita.
Non ci sono urla, non ci sono angoscia: ho dovuto bombardare interi villaggi con la mia squadra, pensando alle madri e ai bambini là sotto, sepolti dalle macerie delle loro case e ognuna di loro era Kushina, e ogni bimbo aveva i capelli biondi.
Hizashi è molto più sfortunato di me, comunque: una volta mi ha confessato di maledire ogni giorno il suo talento da cecchino. Anche lui deve solo premere un grilletto ma a differenza di me può guardare negli occhi la sua vittima, leggere quello che sta provando e che pensa e rendersi conto con calma di stare per spegnere una vita.
Dove, in nome di Dio, la guerra è bella?"


Generale la guerra è finita
il nemico è scappato, è vinto, è battuto
dietro la collina non c'è più nessuno
solo aghi di pino e silenzio e funghi
buoni da mangiare buoni da seccare
da farci il sugo quando viene Natale
quando i bambini piangono e a dormire non
ci vogliono andare.

"La guerra è finita, Inoichi? Quanto mi piacerebbe, mi piacerebbe essere fermato per la strada e quando la gente mi avesse chiesto "Oh, Minato, e 'sta guerra?" "Ma che guerra, la guerra è finita!" avrei riso per poi andare a prendere un caffè insieme.
Tu lo sai meglio di me, dalla cima dei palazzi si vede più lontano e magari puoi scorgere il fumo degli accampamenti del nemico. Non si arrendono, non si arrenderanno mai, ormai lo abbiamo capito, ma hanno scelto di cedere un pò di terreno in attesa di tempi migliori.
Ma le mie sono solo le parole di un soldato che in guerra c'è stato e che dalla guerra è ritornato, che l'ultimo giorno ha passeggiato tranquillamente in mezzo alle trincee.
I campi devastati una volta erano dolci colline, intervallate da fitti e tranquilli boschi.
Ora, non c'è più niente: troppo in fondo abbiamo piantato la nostra spada nel cuore di questa terra, perché rinasca presto; forse, solo quando Naruto sarà grande potremo passare di qui e io gli mostrerò dove abbiamo combattuto.
E lui non m crederà, perché ci sarà di nuovo il verde, che ricoprirà le cicatrici di questo angolo di mondo.
Ma non dirò mai perché abbiamo combattuto: pensavamo di salvare la nostra patria e al tempo stesso liberare un popolo oppresso da una feroce tirannia e invece? Abbiamo solo sostituito ai loro sacrifici e al loro Dio una tirannia più sottile, basata su denaro e potere."


Generale queste cinque stelle
queste cinque lacrime sulla mia pelle
che senso hanno dentro al rumore
di questo treno
che è mezzo vuoto e mezzo pieno
e va veloce verso il ritorno
tra due minuti è quasi giorno, è quasi casa,
è quasi amore.

"Tu mi hai insegnato a combattere Jiraya, e i tuoi insegnamenti hanno portato frutto. Ora, quando gli apparecchi nemici scorgono le ali gialle, fuggono dal terrore; ho rinunciato persino alle tacche sulla fusoliera che sono riconosciute per ogni nemico abbattuto, chè mi sarei trovato con un aereo bicromo, mezzo giallo mezzo nero.
Onestamente, anche io ho perso il conto di quanti cavalieri ho scaraventato giù dalle loro selle lì, in mezzo alle nuvole, ma non riesco ad esserne contento, non riesco a vederci gloria in questo. Mi hanno decorato più volte, ma perché?
Perchè sono il migliore degli assassini, forse?
Io non capisco.
So di avere ucciso, ma mi sono sempre ripetuto che ogni nemico che buttavo giù era un nemico in meno che poteva marciare verso Leaftown e che quindi era necessario.
Forse ti chiedi, solo adesso, perché io stia scrivendo a te.
Le mie parole, le posso indirizzare solo a te, che mi hai reso guerriero e uomo. So che capirai quello che sto provando nell' osservare questo treno, che all'andata era così affollato che la gente era quasi seduta sui finestrini, che non esisteva prima seconda o terza classe, chè eravamo tutti soldati ed ora è così desolantemente vuoto. Non abbiamo lasciato compagni dietro, anche loro ci seguono, ammassati in bell'ordine negli ultimi vagoni, impilati in alte file di casse da rendere a chi di dovere, magari con un bel "Suo figlio è un eroe, era necessario, sono sempre i migliori quelli che se ne vanno per prima, grazie e arrivederci".
Se un Kami esiste e le mie parole possano giungere fino alle sue orecchie, allora lo pregherò di salvare quelle anime le cui vite il Lampo Giallo non ha saputo proteggere.

La canzone è finita, si riescono a vedere le luci della città. Almeno, anche per noi è quasi casa, quasi amore.
Un amore che per me ha i capelli rossi e gli occhi di giada."


Minato.





  
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