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Autore: Dreaming_Archer    17/07/2010    7 recensioni
Questa non è una storia che si trova sui libri. Nessuno ha mai parlato di come la grande casa degli Svevi si sfaldò, come si concluse il regno cominciato dal Barbarossa. Ebbene, così: Anno 1267, un ragazzo di appena quindici anni, Konrad, viene incoronato Re Corrado V di Svevia. E' l'ultimo Hohenstaufen che può prendere la corona, l'unico rimasto. Konrad va incontro al suo destino, e prepara un'incursione in Italia per sanare i secolari conflitti tra Guelfi e Ghibellini. Tra intrighi, tradimenti, e battaglie, la triste storia dell'Ultimo Re di Germania.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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L'ultimo Re - capitolo 1
L'ultimo Re
Capitolo I

Un giorno di metà marzo del 1254 – Landshut, Baviera 

Il borgo fortificato sulla cima della collina offriva un’ottima visuale sul paesaggio della campagna bavarese sottostante.

La primavera era alle porte, ma l’aria frizzante e la neve depositata ancora sulle montagne, lasciavano intendere che ancora l’inverno non se ne voleva andare.

Il cielo era plumbeo, annunciava un nuovo temporale. Si sentivano già i tuoni in lontananza.

Le prime leggere goccioline presero i braccianti alla sprovvista. Stavano cominciando a preparare i fienili e i campi per i raccolti primaverili, e non si accorsero subito di quella pioggia.

In breve tempo le fini goccioline simili a delicato vapore acqueo, si condensarono in pesanti gocce copiose. Cadevano dal cielo come se un Dio arrabbiato le stesse lanciando sui malaugurati contadini, colpendoli violentemente e inzuppando i loro unici vestiti. Cercavano di correre verso le loro case ai confini del borgo, ma velocemente come aveva iniziato a piovere, la terra si era trasformata in un pantano, e si rischiava di scivolare.

Anche le loro scarpe adesso erano zuppe. Se ci fosse stato il silenzio che poco prima aleggiava sulla pianura, avrebbero ascoltato i loro passi, e sentito le leggere scarpe di stoffa che assorbivano e rilasciavano rumorosamente l’acqua ad ogni passo di corsa.

I tuoni erano fragorosi e potenti, sembrava che la terra tremasse. I fulmini che squarciavano il cielo sembravano il ghigno del Dio arrabbiato, che si divertiva a vedere quelle piccole persone, ormai zuppe fino all’osso, che correvano e scivolavano nel fango, per raggiungere le loro case.

***

Dall’alto della torre del castello degli Hohenstaufen, al centro del borgo, la regina Elizabeth di Wittelsbach osservava quella tempesta, immobile come una statua di marmo. Eretta e fiera, guardava la campagna con sguardo impenetrabile. La pioggia che cadeva e schizzava il balconcino dove si trovava non sembrava sfiorarla, né tanto meno darle qualche problema.

Il suo pesante abito di velluto blu si muoveva delicatamente intorno alle maniche larghe, e il vento tirava indietro i sottili boccoli biondi lasciati ricadere sulle spalle dalle morbida acconciatura.

Osservava lo spettacolo della natura all’opera senza nemmeno battere ciglio, gli occhi azzurri aperti sul grigiore del temporale, ma velati da pensieri cupi come il cielo.

<< Vostra Maestà … >> La voce della cameriera alle sue spalle era così flebile che per poco non pensò di essersela immaginata. Mantenne la sua posizione, le mani in grembo e la schiena dritta, ma voltò la testa e guardò la donna da sopra una spalla.

<< Il bambino piange. Chiama suo padre. >> Disse quella. << E’ impossibile calmarlo. >>

La regina sospirò. Alcune volte avrebbe voluto mettersi a piangere e ad urlare anche lei, chiamando Corrado. Non si erano sposati per amore, ma per motivi politici, eppure negli anni lei aveva iniziato ad affezionarsi a quel marito perennemente assente, ma che almeno riusciva sempre a tranquillizzarla con uno sguardo affettuoso. E invece lui non c’era mai, occupato ad organizzare un’altra assurda Crociata, invece di pensare ai terreni in Italia, che giorno dopo giorno conquistavano più indipendenza.

Non chiedeva molto a Corrado: solo un po’ di tempo per stare con lei, e liberarla per qualche ora della presenza ingombrante di Manfredi, che si voleva imporre sempre di più, soprattutto adesso che le notizie da Corrado si facevano sempre più rare.

Anche loro figlio sentiva la mancanza del padre, e anche se aveva già due anni era difficile calmarlo, come fosse molto più piccolo.

Immersa nei suoi pensieri, Elizabeth tornò a guardare la campagna per qualche secondo, e inspirò profondamente l’aria umida del temporale.

Incrociò le braccia sul petto, insicura. Non avrebbe dovuto andare da lui, perché come diceva suo cognato Manfred (lo zio del piccolo): “un principe non piange per la paura, anche se egli ha appena due anni”. Ma il bambino non era suo figlio, e solo Elizabeth sapeva che dolore si provava a sentir piangere il proprio figlio senza fare niente. Ancora una volta infatti, non riuscì a trattenersi, si voltò di scatto e si avviò verso la camera dove Konrad stava piangendo.

La cameriera la osservò fino a che non scomparve dietro la porta. L’aria di fierezza e determinazione che inspirava quella regina era una delle cose che non avrebbe mai dimenticato.

***

Konrad sembrava perfetto. Come uno di quei delicati angeli che spesso decoravano le sale del castello. Gli mancavano solo le ali.

I suoi grandi occhi azzurri, che sembrava aver strappato alla madre per quanto erano simili, ora erano colmi di lacrime, e velati di striature rosse per il troppo pianto. La bocca rosea era spalancata in un triste urlo infantile, e tutto il viso era inondato di lacrime. Anche i suoi leggeri e sottili capelli biondi erano arruffati e sudati. Invano una nutrice cercava di calmarlo accarezzandoglieli dolcemente. Era l’unica tra tutte le domestiche che stavano intorno alla culla, che manteneva un po’ la calma. La altre erano in preda al panico e vedere il principino in quello stato, e le loro orecchie reclamavano silenzio per essere stato troppo tempo a sentire quelle urla acute e penetranti.

Appena si aprì la porta, e ne entrò la regina, sembrò che anche il rumore del temporale si fosse ovattato. Le domestiche si zittirono, ma Konrad non sembrò accorgersi del cambiamento e continuò ad urlare e piangere come prima, sembrando ancora più forte visto il silenzio.

<< Perché non fate niente? >> Tuonò la regina con voce scura. << Accarezzargli la testa non calma la paura. >> Osservò con rabbia.

La nutrice si scostò dalla culla e parlò col capo chino, sapendo che la risposta avrebbe provocato l’ira della regina. << Re Corrado è lontano, e lui vuole suo padre. Inoltre il principe Manfredi ci ha vietato di cullarlo. Dice che un principe … >>

<< So quello che dice. >> La interruppe la regina. << Ma Manfred  non può ordinare nulla a me. >> Lo aveva chiamato Manfred, con il suo nome di battesimo, e non “principe”, come avrebbe dovuto fare, perché non lo aveva mai considerato degno di portare la corona, e sapeva che anche quelle piccole cose lo ferivano. Era il suo unico divertimento.

Si voltò a allungò le braccia nella culla per prendere il bambino. Stava per sfiorare le sue manine paffute, quando una voce forte e spaventata raggiunse la stanza.

<< La regina Elizabeth! Devo parlare con la regina Elizabeth! >>

La donna si alzò di scatto; e per un attimo il suo sguardo si fece vacuo e perse la solita fierezza. Ma subito dopo riprese la sua posa nobile, e la sua voce aveva tutta la solita sicurezza. << Occupatevi di Konrad. >> Ordinò alla nutrice. << Come si deve al vostro ruolo. >>

Poco prima di uscire riuscì a vedere con la cosa dell’occhio la donna che si fiondava verso la culla e sollevava il bambino, per poi stringerlo al petto.

***

Pochi minuti dopo, la fiera e superba regina era buttata sul trono della sala delle udienze, e singhiozzava senza ritegno.

Per il momento era sola, il messo che prima la chiamava a gran voce era stato portato da un guaritore, perché era ferito, e tutte le guardie e le cameriere erano state fatte allontanare prima che la regina scoppiasse definitivamente a piangere.

Si aprì timidamente una porta secondaria vicina al trono, e ne entrò l’unico amico e consigliere che in quel momento era rimasta alla regina: il Duca Luigi, suo fratello. Rimase un attimo immobile, stupito e triste allo stesso tempo di vedere la sorella in quello stato. Scordò in un lampo il protocollo e l’etichetta, che l’avrebbero voluto vedere baciare la mano alla donna, e parlarle in tono rigoroso e con un testimone. Si accostò a lei e le passò una mano sulla testa, come faceva suo padre quando erano bambini. Lei lo riconobbe subito da quel gesto. I suoi singhiozzi diminuirono, e disse: << Leggi quella lettera. >>

Luigi non si stupì che anche se distrutta, sua sorella non lasciava il suo tono da regina. Raccolse il piccolo rotolo di pergamena gettato a terra vicino al trono, ancora un poco arrotolato, e sbirciò il timbro sulla ceralacca.

Le sue folte sopracciglia biondo scuro si incresparono, e si fece attento: quello era il sigillo reale.

Aprì la pergamene e la lesse velocemente. Era breve, e scritta in tedesco, segno che non era ancora un proclama ufficiale. La calligrafia incerta e tremolante era resa ancora più incomprensibile dalle macchie di umidità sulla pergamena, ma Luigi, come la regina prima di lui, capì subito: << Il re è morto. Lunga vita a Corrado V Hohenstaufen. 24 febbraio 1254 >>.

Il cuore di Luigi perse un colpo. Si portò una mano alla barba, segno che voleva riflettere.

<< Mio figlio Konrad ha due anni. >> Disse la regina, guardandolo in faccia. << Come faremo, Luigi? Ora è l’unico Hohenstaufen che può portare la corona. >>

La porta in fondo al salone si aprì solennemente e ne entrò un uomo; che si avvicinò con lunghi passi da militare. << No, lui non è l’unico. >> Constatò Manfredi gonfiando il petto. << Sono io. >>

  
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