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Autore: Frances    19/07/2010    3 recensioni
Una foto di Shito Tachibana. Il cellulare di Koyomi.
Un Chika Akatsuki a cui, decisamente, la cosa non piace affatto.
[ Shito x Chika // Estratto dalla raccolta DeadlyUnbalance: Alphabet]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '{ D E A D L Y U N B A L A N C E } x Ch i k a S i d e'
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Capital Letter #16  - { P }

~ Photoshoot

alashuish

Gli era capitato per caso, durante una noiosa sera domenicale passata senza scopo al dormitorio. Si era svegliato al mattino sprizzante di entusiasmo, assicurandosi che anche tutti gli altri si svegliassero assieme a lui. Di fatti, dopo aver spalancato la finestra sul cortile e aver urlato a squarciagola come un isterico esaltato che Oggi sarebbe stato il giorno più bello del mese!, Asou si era affacciato dalla sua stanza al piano di sopra, ridendo come suo solito e Michiru aveva dischiuso i vetri dalla sua sistemazione nel corridoio femminile. Il boato secco che aveva percosso la sottile parete separatoria aveva lasciato Chika leggermente soddisfatto al pensiero che la sua sveglia entusiasta avesse infastidito il rompiscatole della stanza accanto, e ad ogni modo, nessun Stai zitto! e nessun Rilassati! avrebbero mai potuto intaccare il suo umore, quella mattina.

Ovviamente l’aveva pensata così fino a quando l’sms freddo di Momoka non gli aveva rifilato la più grande buca del secolo.

Aveva aperto il telefono con un movimento secco del polso e atteso il caricamento del testo con tanta speranzosa impazienza che chiunque lo avesse visto avrebbe probabilmente pensato che da quell’e-mail dipendesse l’estirpazione immediata del suo mutuo sulla vita.

Niichan, non posso più uscire con te. Facciamo un’altra volta.

Fissando lo schermo del cellulare come in una sorta di stato catalettico, Chika aveva sentito il proprio umore scendere ai minimo storici, precipitando senza freni, a velocità accelerata, sempre sempre sempre più in fondo al baratro dello sconforto. Un sms freddo da far paura, talmente categorico e definitivo che gli fece passare anche la voglia di risponderle.

Si era ritrovato a premere i polpastrelli sui tasti con tanta flemma da impiegare quasi due minuti a comporre la rassegnata e depressissima risposta.

Va bene =3= Però appena puoi avvertimi, na?

E stava ancora fissando lo schermo ormai spento del telefono – dannato inutile portatore di sventura – quando era giunto il colpo di grazia.

Non so quando, ma okay.

Aveva incrociato Michiru lungo il corridoio, subito dopo aver riposto il telefono in tasca, ed aver mosso il primo faticoso passo del triste pellegrinaggio che lo avrebbe condotto per forza d’inerzia a vagare come un’entità in pena per il cupo dormitorio. La schiavetta stava andando da qualche parte con in mano una pila di asciugamani puliti; Chika la superò facendo finta di non notarla, anche se lei aveva guardato nella sua direzione muovendo la bocca ed emettendo suoni vagamente somiglianti ad “Ohayo Chika-kun”, forse tentando vanamente di attaccare bottone.

La mia sorellina mi odia. Sono un fratello degenere.

Mi ha scaricato. Chissà che doveva fare di così importante?

Magari il suo ragazzo?

…Lo ammazzo.

Così si era ritrovato a vagare per il dormitorio senza alcuno scopo o destinazione apparente, demoralizzato come poche altre volte.

Scaricato da tua sorella. Molto bello.

L’idea di uscire con la sorellina lo riempiva sempre di euforia pura, ma gli imprevisti che riguardavano Momoka e gli impedivano di vederla facevano sempre più male di qualsiasi delusione amorosa.

Non che a lui sbattesse qualcosa delle cretine che gli davano buca agli appuntamenti; aveva smesso di provarci da quando era morto a dire la verità. O forse da prima?

Ma si trattava di Momoka!

Momoka!

Se avesse potuto andare a lavoro anche la domenica per guadagnarsi la vita, forse in quel momento non si sarebbe sentito così dannatamente inutile e tradito e soprattutto annoiato. Ma Beck–san la domenica magicamente spariva, lasciando la porta rattoppata dall’ufficio chiusa a chiave e soprattutto, la feccia non morta che custodiva la sua mano destra non si dimostrava cooperativa.

E dunque, per puro caso, in preda ad una depressione cronica da iperattività repressa, e dato che nessuno lì al dormitorio sembrava aver voglia di sopportarlo nella sua psicosi da cucciolo abbandonato sin dal mattino, aveva finito per sedersi da una parte nella sala comune e ad infilare – per puro caso – la mano nella borsa di Koyomi.

Nel giro di quelle due poche ore era riuscito a sviluppare un odio incondizionato per i cellulari a velocità record. Tuttavia il colore rosa pastello della vernice, la sua forma leggermente arrotondata e la massiccia chincaglieria rilucente ed ingombrante che pendeva dall’antenna suscitarono improvvisamente in lui un’attrazione irresistibile.

Sentiva la voce di Koyomi che risuonava squillante dalla mensa, ma non si curò in alcun modo della sua privacy o di qualsiasi rimostranza avesse potuto avanzargli nel caso l’avesse scoperto: era in gioco l’intrattenimento di Chika Akatsuki in un momento critico e dunque le eventuali padellate di Koyomi poco gli importavano, anzi, avrebbero solo reso la giornata un po’ più movimentata. Rimosse il blocco alla tastiera, compiacendosi di non trovare nessun ostacolo idiota come stupidi codici di sicurezza da ragazzina delle medie, e iniziò il proprio pigro tour nel mondo rosa shocking di Koyomi Yoimachi.

All’inizio lo trovò abbastanza scontato, a dire il vero. I messaggi di testo erano solo brevi scambi di battute tra lei e Michiru riguardo appuntamenti o impegni scolastici, raramente lei e Sotestu (rimase in bilico fra il disgusto e il divertimento quando lesse che Asou la chiamava Koyo-chan e a volte Zucchero – il solito demente), poi lei e amiche che non conosceva. Insomma, quotidiana amministrazione, banale e di poco interesse.

Iniziò a divertirsi un po’ di più iniziando a sfogliare le foto nella galleria multimediale, sorvolando sui file musicali che, era sicuro, non avrebbero in alcun modo coinciso con i suoi gusti – bastava pensare alle cantilene melense che Koyomi adorava cantare al karaoke, niente a che vedere con i sani Gun’s and Roses o i divini Nirvana.

La voce di Koyomi dalla mensa divenne appena più acuta proprio mentre Chika osservava con leggero interesse una foto imbarazzante di Sotetsu che baciava sulla guancia una Koyomi pietrificata, mentre da sopra la sua testa di rapa spiccavano due dita che lui stesso ricordava di aver piazzato al momento dello scatto. Così se ne stette lì seduto su di una sedia sbrecciata, accasciato sullo schienale, il mento incastrato sul bordo di legno come un bimbo in punizione. Percepiva dei movimenti nella sala comune, dei movimenti lenti e silenziosi a cui non fece caso, continuando curiosamente a frugare il telefono di Koyomi, mentre le sue chiacchiere lontane sembravano commentare oltraggiate ogni foto.

Koyomi e Michiru che ridevano indossando abiti gothic lolita, con la schiavetta leggermente in imbarazzo.

Una foto vecchissima dei primi tempi al dormitorio, assieme alla presidentessa Shimotsuki e Sotetsu.

Una serata al karaoke, con Chika che gridava come un forsennato nel microfono e Sotestu che rideva a crepapelle.

Michiru ai fornelli, la frittata distrutta sul fornello che inizia a prendere fuoco.

Shito.

Koyomi e Michiru che mangiano sushi e…

Chika Akatsuki si bloccò.

…eh?

Tornò rapidamente alla foto precedente, rimanendo qualche istante a fissarla come se fosse un artefatto alieno appena precipitato sulla superficie terrestre esattamente davanti ai propri piedi.

Lo schermo illuminava un ritratto in primo piano di uno Shito intento a stringersi meticolosamente il nodo della cravatta, lo sguardo leggermente vacuo che si perdeva in una direzione non meglio definita, i capelli erano impressionati con talmente tanti pixel che Chika avrebbe potuto contarli ad uno ad uno, nella perfezione morbida con cui gli sfioravano il collo poco sopra la camicia bianca.

Rimase a fissarlo per lunghi istanti, immobile, in silenzio. Anche il ciarlare di Koyomi non lo raggiungeva più.

Improvvisamente l’idea di quell’oggetto rosa e rotondo dall’aspetto leggermente psichedelico spaccato in mille pezzi sul pavimento divenne talmente seducente che Chika riuscì a sbatterlo intatto sul tavolo vicino solo per puro caso.

Che diavolo ci faceva Shito nel telefono di Koyomi?

Che motivo aveva una foto del genere di stare nel telefono di Koyomi?

E quando gliel’aveva scattata?

…che diavolo aveva di così speciale, Shito, per finire in quel telefono, in una foto tanto intima da sembrare il tipico scatto a tradimento rubato da una bimbetta rincoglionita al ragazzo che le piace?

Rimase sospeso su quella riflessione.

Ma che cazzo penso?

Oh si, il messaggio gelido di Momoka lo aveva fatto precipitare in depressione.

Ma se era destino che i telefoni quel giorno fossero la fonte di ogni suo cambiamento d’umore, il cellulare di Koyomi si era trasformato rapidamente da un’ancora di salvezza ad una fonte di un’inspiegabile ira distruttiva.

Si alzò si botto, seccato, e quando ruotò su sé stesso per allontanarsi dalla sala comune – forse per evitare di recarsi in mensa a chiedere il motivo intrinseco di quella maledetta fotografia nel telefono di Koyomi – vide che c’era una figura umana seduta in un angolo del divano, in mezzo alla stanza.

E, diavolo, era quel fottuto Shito di merda.

Se ne stava lì, composto, le gambe accavallate ed un libro in mano. Quando si accorse dello sguardo di Chika sollevò appena gli occhi, osservandolo da dietro le sottili lenti da lettura, inarcando appena le sopracciglia.

« Vuoi qualcosa, corruttore della quiete?» lo chiese con tono seccato, forse riferendosi alla maniera poco gradita con cui quella mattina era stato svegliato.

Chika sbuffò rumorosamente, reprimendo il desiderio istintivo di saltargli addosso per gonfiarlo di botte. Ad ogni modo rimase in piedi fermo per qualche istante, fissandolo con un cipiglio contrariato; Shito gli restituiva lo sguardo, del tutto imperturbabile.

« Quindi?» chiese ancora, questa volta tranquillo, tornando al suo libro « Hai esaurito le energie per disturbare gli altri come la scimmia che sei? »

Vaffanculo, Shito Tachibana.

Ci sarebbe stato davvero alla perfezione. Tuttavia Chika represse anche quello. C’era qualcosa di fastidioso che lo tormentava in un angolino delle testa, un malessere martellante che brillava di un rosa acceso, nasceva nella voce di Koyomi e cresceva ad ogni sguardo al volto di Shito.

Tsk.

Si sedette all’estremità opposta del divano, affondando un gomito nel bracciolo; l’imbottitura fuoriusciva in qualche punto dalla pelle strappata. Shito sembrò non fare caso ai suoi movimenti bruschi, si limitò semplicemente a voltare lentamente pagina, battendo le palpebre, gli occhiali che riflettevano i bagliori liquidi dei suoi occhi vermigli.

Chika continuò a fissarlo, il blaterare di Koyomi che rimbombava dalla sala vicina come il rotolare ingombrante e fastidioso di un enorme masso lungo una rupe scoscesa.

Shito era sempre così dannatamente elegante e posato in ogni suo gesto. Era abbastanza ovvio che poi, con la faccia da fottuto angelo che si ritrovava, suscitasse qualcosa nelle ragazze. Di certo non simpatia, dato che – Chika ne era testimone – era una delle poche qualità di cui quel perfetto stronzo mancasse, assieme forse alla tolleranza. Di che diavolo si stupiva?

D’altronde, che gli importava di una stupida foto? Koyomi aveva anche foto sue e di Sotetsu e questo non stava di certo a significare che provasse una qualche smisurata attrazione per nessuno dei due.

Ma che cazzo. Guardò Shito con maggiore intensità, quasi che volesse perforarlo con qualche raggio dorato di fotoni surriscaldati. Che diavolo stava pensando? Essere scartato da una tua amica in favore di un’altra persona non è una cosa per cui avrebbe dovuto sentirsi così dannatamente turbato. Che gli importava di Koyomi?

Però cazzo, non solo Momoka che se ne andava a spasso con chissà quale spasimante.

Ora anche questo.  

Shito si voltò appena, dopo qualche istante; lo studiò, aggrottando appena la fronte. Ruppe il silenzio con un sussurro:

« Si può sapere che c’è?»

« Niente.» Chika lo dichiarò con tono definitivo, seccato. Era dannatamente evidente che ci fosse qualcosa.

Gli occhiali di Shito scivolarono leggermente lungo il profilo perfetto del suo naso. Chika deglutì appena.

« Tu hai qualcosa.» stabilì Shito, riportando la montatura al proprio posto « E ti ostini a tenere la bocca chiusa, stranamente.»

« Non mi pare che di solito te ne importi qualcosa.» Chika lo disse quasi sputando le parole. Improvvisamente il desiderio di picchiare Shito era notevolmente aumentato. Quest’ultimo annuì, prendendolo alla lettera.

« Hai ragione.» e tornò al suo fottuto libro, come era logico che facesse, essendo il figlio di puttana che era. Chika si sistemò diversamente sul divano, affondando stizzito il palmo aperto nell’ampio spazio che grazie al cielo li divideva. Meglio che fosse così, o avrebbero davvero ricominciato a picchiarsi a causa di una stupida foto.

« Shito!» la voce di Koyomi che si avvicinava dalla mensa raschiò i timpani di Chika in maniera dolorosa e insopportabile. Si voltò lentamente, appena in tempo per vederla apparire da dietro lo schienale del divano; Shito si girò dalla sua parte, poggiando una mano sulle pagine del libro e posandovi sopra la copertina, pronto ad ascoltarla.

« Ti va un thè? Te lo preparo alla mela.» cinguettò, dondolando come una bambolina, un sorriso dolcissimo sulle labbra « Non è il massimo ma è buono comunque, ne?» solo allora sembrò accorgersi della presenza di Chika « Chika, lo vuoi? Lo preparo anche a te!»

Chika aveva la certezza irrazionale che se non si fosse trattenuto avrebbe preso Koyomi per staccarle la testa a morsi. Scosse il capo con un movimento meccanico, in un cenno secco di diniego. Ad ogni modo, per quanto non riuscisse a comportarsi altrimenti, era davvero troppo per una semplice ed inutile foto nel telefono di Koyomi. Infantile, forse. O forse no?

Shito le sorrise appena:

« No, grazie, Yoimachi. Sei molto gentile.» il sorriso divenne più aperto, ma Chika sapeva quanto fosse falso, quanto fosse dovuto a semplice gentilezza stereotipata. Fottuto stronzo. Shito non avrebbe di certo regalato un vero sorriso a Koyomi per una cosa simile.

Lei annuì e si allontanò dopo qualche istante, lasciandoli di nuovo soli. Le dita di Chika affondarono maggiormente nella pelle rovinata, la mano che fremeva – per pura coincidenza era la destra. Rimasero in silenzio per lunghi istanti, Shito che leggeva in perfetta tranquillità come se fosse l’unico essere umano in quella stanza, Chika che continuava a rimuginare e tremare inspiegabilmente, pieno di rabbia fino all’orlo. Tra l’altro, il fatto di non capire il motivo di tutta quell’irritazione lo faceva incazzare il doppio.

E proprio mentre meditava di alzarsi e andare da Koyomi a romperle le scatole fino a che non avesse pianto d’esasperazione, percepì un tocco leggero sul dorso della mano destra. Rimase immobile, accertandosi di non aver immaginato niente, poi piano voltò lo sguardo verso la figura al suo fianco.

Shito Tachibana continuava a leggere, gli occhi fissi e inespressivi che seguivano le lettere nere e verticali sulle pagine. Erano le sue dita.

Si accostarono lente alla mano di Chika – la sua mano, a dire il vero – rasentando la pelle del divano erosa dal troppo utilizzo, sfiorando le nocche bianche ed i muscoli contratti. Bastò un gesto lento, e la mano di Chika si rilassò, lasciandosi guidare piano da ciò che dettava, pacata, la volontà di quelle dita sottili.

Si trovarono a vicenda, stringendosi talmente forte che le nocche di Chika tornarono bianche, in un intreccio scomposto e un po’ scomodo.

Chika di colpo provò uno starno sollievo.

Davvero inspiegabile.

Continuò a fissare Shito, in perfetto silenzio, l’espressione che tornava serena per qualche istante, mentre l’altro leggeva impassibile, come se nulla stesse accadendo. Come se non fosse stato lui, questa volta, il primo a cercarlo.

Coglione.

Sbilanciandosi sul divano, Chika sollevò una gamba e gli piazzò la pianta del piede sulla guancia, premendo talmente forte da fargli volare gli occhiali dal naso. E in più, quel giorno si era anche dimenticato di mettersi uno straccio di calzino.

Shito rimase immobile qualche istante in quella posizione, il piede di Chika che ancora affondava nella sua guancia liscia, gli occhiali rotolati per terra con un inquietante rumore metallico.

E quando si voltò a guardarlo, molti secondi dopo, gli occhi che si posavano su Chika ad una lentezza estenuante, l’amaranto delle sue iridi era, come dire, abbastanza alterato.

Chika Akatsuki ridacchiò forte, di gusto, per la prima volta in quel giorno da che Momoka gli aveva dato buca.

Alla fine si sarebbero picchiati. E sarebbe stato divertente.

 

(xxx)

   
 
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