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Autore: Pluma    19/07/2010    0 recensioni
(Dal II° capitolo) “Molto piacere. Come ho già detto io sono Richard Heart. Questa bellissima donna è Sheril Water, il mio braccio destro. Il più vecchio tra noi è Asriel Stern. La ragazza che le ha recuperato la borsetta si chiama Savannah Runner; infine, lui è Jack Salvador, in realtà non si chiama così, ma il suo nome è per tutti noi impronunciabile perciò…Jack.” (...) “E ora che abbiamo fatto tutte le presentazioni, cosa volete dai Predators?” I Predators è un'agenzia tutto fare formata da cinque persone decisamente molto diverse tra loro... partendo dall'età, per continuare con la nazionalità, finendo con il loro carattere. Non disdegnano commissioni che li portano in giro per il mondo, sebbene siano lavori che hanno poco a che vedere con la legalità. Sinceramente non mi importa se li amerete o li odierete, dato che sono degli anti-eroi, la mia speranza è che non vi lascino indifferenti. Per questo spero tanto che recensirete, almeno un pochino...
Genere: Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XVIII CAPITOLO

UNO PER UNO

In tutte le cose

C’è sempre una fine

 

 

Tutto era come quando se ne erano andati in America; sembrava fosse passato un secolo, invece quel lavoro era durato poco più di un paio di settimane. Probabilmente era l’epilogo di tutta quella faccenda a dare l’impressione di un tempo lungo. Il dolore annebbia il cervello e si fa fatica, poi, a percepire le cose per come stanno realmente. Persino quella stanza sembrava diversa, nonostante non fosse cambiato nulla. Il tavolone circondato dallo stesso numero di sedie era sempre all’angolo; il frigo vuoto e la cucina non sembravano più logori dell’ultima volta che li avevano usati.

Sheril, Savannah e Richard continuavano a guardarsi intorno silenziosi, cercando di capire come mai la casa dei Predators fosse così diversa ed estranea; poi, finalmente, capirono: le due poltrone vuote. Le poltrone che erano usate da Jack e Asriel non avevano più una loro funzione. Asriel era morto e Jack si comportava come se lo fosse da quando era diventato ceco.

Ritornati a Cardiff, Salvador si era fatto riportare a casa; non erano riusciti a convincerlo a partecipare alla loro misera riunione "aziendale".

"A fare che?" aveva semplicemente chiesto.

Alla fine Savannah era salita per metterlo a letto e, prima di raggiungere Richard e Sheril aveva promesso che appena si fosse liberata sarebbe tornata da lui.

Il silenzio era oppressivo, ma più pesava sugli animi delle tre persone che erano nella stanza, meno ciascuna di loro aveva il coraggio di romperlo. Sapevano tutti come sarebbe finita quella discussione, ma la consapevolezza non serviva a nulla. Alla fine fu Savannah a rompere il silenzio.

"Hai sentito la tua amica francese?"

"Sì. Ha detto che il corpo di Asriel è stato portato nella sua città natale e lì lo hanno seppellito. Credo che le porterò il denaro di persona così potrò consegnare il Trojan."

"Hai deciso di darlo alla signora Rolland?" chiese Sheril.

Oramai l’atrito tra i due si era attenuato, sebbene non fosse totalmente scomparso; almeno, ora si parlavano civilmente senza saltarsi alla gola.

"Credo che sia l’unica a meritarlo davvero, in tutta questa storia."

"Potresti vendere la Sainte Vierge du Pardon" consigliò Savannah.

Richard mosse il capo lentamente mentre fissava il giocattolo di legno che aveva appoggiato al centro del cerchio.

"Potrei, sarebbe la cosa più sensata da fare. Almeno coprirei le spese che abbiamo dovuto affrontare in più. Ma non lo farò."

"Perché?"

"Perché sono stanco. Perché anni fa ho rinunciato a una persona importante per questo lavoro e oggi mi rendo conto di quanto poco ne sia valsa la pena.

Quello che voglio adesso per me, non è nel vostro interesse, per lo meno a livello economico, ma me ne frega abbastanza poco in tutta sincerità."

"Quindi non vuoi che ti accompagniamo."

Richard tornò a scuotere la testa fissando, questa volta, le due donne.

Ritornò a calare il silenzio. Mancava una frase; solo una frase per concludere il discorso. Parole che alleggiavano nell’aria, ancora una volta mancò il coraggio per pronunciarle, senza tanti giri di parole.

"Credo che Jack ne voglia uscire" ricominciò un discorso a caso Savannah.

"Sì, lo credo anche io. Michel ha inferto un duro colpo al nostro amico e non immagino nemmeno come supererà la cosa."

"Ma questo, a te, non importa. Vero?"

"La domanda (affermazione) di Savannah non era solo un dato di fatto; la ragazza stava cercando di imboccare le parole giuste a Richard per mettere fine a quella scena pietosa.

"Sì, non mi importa."

Silenzio, poi finalmente il coraggio ritornò a pulsare.

"Come non mi importa più niente di voi."
"Era così difficile da dire?" chiese Sheril, senza mostrare falso stupore o risentimento.

Richard scosse le spalle.

"Abbiamo lavorato insieme parecchio tempo. Mi sono preso cura di voi, a modo mio, sicuramente con metodi che a voi non sono piaciuti" guardò Savannah. "Ma l’ho fatto e non potete negarlo. Ho coordinato le vostre teste calde, soprattutto quelle di Asriel e Jack, e ho fatto in modo che lavoraste bene insieme, nonostante tutto. Ho fatto un ottimo lavoro e voi, in cambio mi avete riempito la vita. Era quello che volevo e sono sempre rimasto soddisfatto, per questo ho continuato ad impegnarmi con i Predators. Ora, però, le cose sono cambiate. Me ne voglio lavare le mani e vi dico andate per la vostra strada con la mia totale benedizione e stronzate simili, ma ora il mio tempo ritorna libero.

Non ho avuto paura di perdervi, solo del vuoto che lascerete andandovene."

"Un vuoto che riempirai con Satine" disse Sheril.

"Forse, se non è troppo tardi."

Le due donne non tentarono nemmeno di pensare a una frase che desse un po’ di speranza a Richard. Loro non avevano voglia di sostenerlo nelle sue pene d’amore e lui non aveva voglia di essere coccolato da loro.

"Bene, se questo è tutto io ritorno da Jack" affermò Savannah, alzandosi dalla poltrona.

La bionda americana non aspettò risposta, si chiuse semplicemente la porta alle spalle.

Nel covo dei Predators erano rimasti solo Sheril e Richard; passarono qualche minuto in silenzio, poi la donna si alzò dirigendosi verso la porta senza nemmeno salutare.

Fu Richard a palare prima che lei aprisse la porta d’ingresso:

"se lo vuoi ti lascio questo posto. A me non serve."

"Nemmeno a me. Tu hai ragione su molte cose."

"Ovvero?"

"Molto poco, di questi anni è valsa la pena degli ultimi giorni."

"Buona fortuna Sheril."

"La donna si voltò, sorrise e rispose:

"buona fortuna a te Richard."

Erano entrambi sinceri.

Richard si guardò in torno, le mani giunte come se fosse in preghiera; le punte delle dita rivolte verso il basso e gli avambracci appoggiati sulle gambe. Sheril se ne era andata; la prima dei Predators era l’ultima ad aver abbandonato.

Richard Heart aveva visto, per la prima volta, Sheril Water in un bar. Lui era ritornato da poco in Inghilterra; aveva abbandonato ogni progetto romantico per il suo futuro, preferendo impiegare la sua creatività per il suo progetto. Problema: non era uno scherzo dimenticare Satine, la verità gli ronzava nella testa come una fastidiosa mosca, aveva bisogno della francese. Poi alzò lo sguardo che si fissò su una figura femminile seduta al bancone. Il volto della sconosciuta era girato da un lato e Richard era abbastanza vicino da poterne vedere il profilo. Non aveva nessuna caratteristica fisica che si potesse avvicinare, anche lontanamente, a Satine. Eppure quella donna gli ricordava il suo amore in modo sconcertante; era probabile che l’associazione mentale di Richard si basasse sul comportamento che entrambe tenevano nei confronti del mondo. Guardavano tutti dall’alto in basso, coscienti di non passare inosservate. Lui era notevolmente molto stanco del ricordo di Satine che non gli dava modo di lavorare così, dopo aver visto e deriso un paio di uomini che si erano attentati ad avvicinarla ottenendo un puntuale rifiuto, decise che lui sarebbe stato il terzo. Ca avrebbe fatto tanto di quel sesso che, alla fine, non avrebbe più avuto le forze per pensare a Satine.

Si era avvicinato e, nonostante Richard non fosse, per come si presentava, il tipo ideale di Sheril riuscì ad offrile da bere e a chiacchierarci. Inizialmente l’intento di Richard di farsi quella donna rimase intatta, ma con il proseguire del dialogo all’uomo venne in mente un’idea migliore. Alla fine della serata, Richard fece una proposta a Sheril, ma non era nulla di indecente: un posto di lavoro che lei accettò senza farsi troppi problemi. Lui aveva bisogno di una donna che lo aiutasse a organizzare le commissioni e a lei serviva un impiego.

Diverso fu il primo incontro con il tedesco del gruppo.

A Richard serviva un ladro professionista ma, tra quelli che conosceva, non c’era nessuno che lo soddisfaceva pienamente: troppo spericolato; troppo lento; troppo inesperto. Non aveva fretta e sicuramente non avrebbe scelto il primo decente che gli bussava alla porta; non era questo ciò che serviva alla squadra perfetta che lui desiderava. Alla fine qualcuno gli parlò di un tedesco di mezza età, ma nessuno gli seppe dare informazioni più dettagliate. Per quello che avevano da perdere, Richard e Sheril decisero di fare un viaggetto a Monaco. La coppia non fece mistero del loro obbiettivo, anche perché, spargere la voce della loro presenza in città era l’unico modo per contattare l’ombra. Al contrario di molti suoi colleghi, infatti, questo famoso ladro non firmava i suoi lavori, non una traccia che legasse un furto all’altro e a chi li avesse perpetrati. Tutto ciò non era molto soddisfacente per Richard: se nessuno sapeva nulla di più preciso dell’età e della nazionalità, come facevano tutti ad essere così convinti che fosse così bravo?

"Vediamo la refurtiva che porta" gli dicevano.

Né Richard né Sheril erano molto convinti delle spiegazioni. Questo tizio poteva essere solo uno qualunque, uno che si passava il tempo facendo il furbo o, peggio ancora, poteva essere un poliziotto; non che Richard avesse fatto qualche cosa di illegale, non ancora almeno, ma di sicuro non aveva voglia di finire sulla lista nera di qualche agente.

Forse solo per curiosità, più che per una vera convinzione di portare qualche cosa di buono a casa, i due inglesi rimasero un paio di settimane, ma sicuramente non sarebbero rimasti di più se qualche cosa non si fosse mossa. Una sera, di ritorno da una bevuta all’Hard Rock, Richard e Sheril trovarono un ospite ad attenderli nella stanza di quest’ultima. Asriel Stern era seduto composto su una sedia in direzione della porta e li fissava studiandoli.

"Lei chi è?" chiese Sheril, irritata per la presenza di un intruso in camera sua.

"Mi stavate cercando, se non ho capito male" rispose lo sconosciuto.

"Chi l’ha fatta entrare?" domandò Richard.

"Non ho bisogno di nessuno per entrare in qualche posto."

"Ma allora è bravo come di cono tutti" continuò Richard, fingendo di non aver percepito il tono baldanzoso dell’altro. "Oppure è un agente di polizia che non ha bisogno di particolari attrezzi per entrare in un albergo e, pensandoci, sarebbe facile mostrare anche della falsa refurtiva."

Gli occhi di Asriel si riempirono di disprezzo. Il tedesco si alzò facendo pressione con la mano sinistra sul tavolo che gli era a fianco.

"Fino a prova contraria siete stati voi a venire fino a Monaco per cercarmi" disse in tono gelido, per poi andarsene.

Quello fu solo il primo, aspro incontro; niente di più né di meno del secondo e del terzo. Sebbene, però, i rapporti non migliorassero Richard non era tornato in Galles, al contrario di Sheril che aveva un appuntamento per un monolocale per i Predators. Allo stesso modo Asriel aveva cominciato a farsi vedere nei posti in cui Richard passava il suo tempo. A volte parlavano, a volte non si guardavano nemmeno, a volte sfioravano la rissa; ma alla fine Richard gli fece proposta, sebbene fosse convinto che avrebbe ricevuto un rifiuto. Contro ogni aspettativa Asriel accettò.

Cedendo per primo, Richard aveva dato modo all’altro di mantenere un atteggiamento di superiorità, ma rimase sempre e solo quello: un atteggiamento. Fin da subito fu chiaro chi era a dare gli ordini.

Mai lo fu, però, dal momento in cui Richard dovette cominciare ad arbitrare i dispetti pesanti che si scambiavano Asriel e Jack.

L’Argentina fu uno dei primi lavori dei Predators, probabilmente uno dei più facili. Si trattava di recarsi ad Alta Gracia, una città del nord della provincia di Còrdoba; prendere contatto con una specie di esperto di storia locale; dargli i soldi in cambio di una statuetta risalente al periodo in cui Alta Gracia era un possedimento agricolo dei Gesuiti e tornare in Europa. Consegnare, venire pagati per il lavoro svolto e rientrare a Cardiff. Tutto troppo veloce e facile, tanto valeva rimanere qualche giorno in più in città.

Il trio si trovava a El Tajamar, un lago artificiale sulla sponda del quale si trovava la chiesa gesuita. I tre stavano prendendo il sole sul lato opposto, godendo della visione della chiesa, quando passò, con fare tranquillo, un ragazzo. Era di media altezza, capelli neri e occhi verdi, svegli e giocosi: fu tutto ciò che vide Asriel quando incrociò lo sguardo con il giovane argentino e fu odio a prima vista. Questione di qualche attimo e il latino americano aveva un’arma bianca in mano, uno strano sorriso stampato in volto e le gambe che correvano in direzione di Asriel, puntando la lama verso il cuore del tedesco.

Se si fosse fermato a ripensare a quel momento, Richard non sarebbe riuscito a spiegare il motivo per cui si comportò in modo così insensato. Seguì semplicemente il suo istinto che gli suggerì di mettersi in mezzo, convinto (o sperando) che l’assalitore si sarebbe fermato. Jack effettivamente si arrestò davanti al gesto dello straniero; era letteralmente sovrastato dall’altezza di quell’uomo dai capelli strani, ma non era per nulla intimorito. Il moro inclinò la testa di lato, tentando di capire. Richard sorrise nel vedere quella nuova espressione, intanto il suo cervello stava calcolando i pro e i contro di avere quel ragazzo. Da una parte un soggetto che non aveva problemi ad uccidere, poco importava che, in realtà, si divertisse, sarebbe stato molto utile; dall’altro Richard non si faceva molte illusioni che tra lui e Asriel i rapporti sarebbero migliorati. Entrambe le motivazioni erano valide, ma se aggiungeva che, forse, sarebbe stato risparmiato se avesse fatto la sua offerta, decisamente doveva far entrare quel sadico nei Predators.

Fu molto semplice convincere Jack Salvador. Non era la prospettiva del lavoro, non era il denaro; sicuramente i cambiamenti eccitavano Jack, ma la verità è che accettò per come aveva agito Richard. Non sarebbe riuscito a trovare un altro uomo che non avesse avuto paura di lui; doveva seguirlo e giurò con sé stesso che non avrebbe mai fatto del male, qualsiasi cosa fosse successa, a quello strano tipo con i capelli leonini.

Promessa simile fu fatta nei riguardi di Savannah Runner.

L’americana fu l’unica a bussare alla porta dei Predators senza essere invitata; Richard non la fece nemmeno entrare. La prima cosa che notò fu l’espressione terribilmente seria, la seconda fu il sedere sodo e ben proporzionato della ragazza. Quando Richard uscì per un appuntamento, non si sapeva se di lavoro o galante, o entrambi, Jack cominciò ad insidiare Sheril.

"Dai è carina. Se entra nei Predators divento più bravo."

"Ma quanti anni hai? Vai all’asilo, per caso?"

"Dai, dai, dai, dai …"

Il discorso durò quasi un’ora. Alla fine la donna, esausta e con le orecchie dolenti, cedette e, con Jack uscì dal monolocale per cercare la ragazza.

"Lo sai, vero, che è praticamente impossibile ritrovarla?" stava dicendo la donna al suo collega quando, da un vicolo perpendicolare al loro spuntarono tre uomini dall’aspetto poco raccomandabile. In effetti, Sheril aveva fatto un affare con il monolocale, ma la zona non era delle più tranquille disponibili sul mercato di Cardiff: ne avevano fatta esperienza le due segretarie del John Doe italiano.

"Non sei troppo giovane per una donna cosi?" chiese uno del trio, rivolgendosi a Jack.

"Vedi? Alla fine non siamo usciti per niente" commentò il moro, dimenticandosi della bionda che lo aveva tanto attirato prima.

Due uomini, quelli che si stavano avvicinando maggiormente, erano particolarmente grossi; mentre il terzo, quello che aveva parlato, era abbastanza mingherlino. I primi afferrarono per le spalle Jack e Sheril, la quale guardò il suo compagno con espressione interrogativa: perché non si era ancor a mosso? La risposta era semplice, lo annoiavano, non erano abbastanza per lui. Avrebbe reagito all’ultimo o, forse, non avrebbe mosso nemmeno un muscolo. Il tipo magro si piazzò davanti a Sheril, osservando la collana d’argento che portava al collo, strappandogliela dopo aver deciso che era un oggetto interessante.

"Jack, vuoi fare qualche cosa o ci devo pensare da sola?"

"Va bene, va bene" accondiscese l’altro.

I tre non fecero in tempo a capire il breve scambio di battute che Jack ruppe il naso dell’uomo che lo teneva stretto con una testata piantandogli, poi, il pugnale nella pancia. L’altro omone fece lo sbaglio di lasciare la presa sulle spalle di Sheril e di voltarle le spalle per aiutare l’amico. La donna lo afferrò, gli ruotò il collo spezzandoglielo. Il terzo non aveva nemmeno aspettato che il primo dei suoi compari si accasciasse a terra che cominciò a correre con la collana stretta nel pugno. Era, quindi, già abbastanza lontano quando Sheril e Jack si liberarono dalle due montagne umane. In più la donna aveva, come al suo solito, i tacchi, mentre il ragazzo semplicemente non ne aveva voglia.

"Non ti preoccupare, Richard te la ritrova la tua collana " disse Jack.

In quel momento il suo cervello registrò un movimento rapido nella zona periferica della sua visuale; stava per girarsi, pronto a difendersi, quando si accorse che si trattava della bionda della mattina. Correva come una scheggia nella direzione del fuggitivo.

"Dai, andiamo" disse Sheril; non aveva riconosciuto la ragazza e non le importava sapere chi fosse né il perché inseguiva il tipo che le aveva fregato il gioiello.

"No aspetta! Forse la recuperi prima di quanto speri."

Qualche minuto dopo la coppia vide tornare la bionda con il pugno destro chiuso. Il giorno dopo Sheril parlò con Richard, convincendolo a far entrare Savannah nella squadra.

I Predators erano al completo: avevano chi impartiva gli ordini; chi si occupava della parte pratica; chi non aveva bisogno di un invito per entrare da qualche parte; chi non aveva problemi ad uccidere. Avevano persino un elemento sicuramente meno utile degli altri, ma non per questo inutile, soprattutto perché Jack aveva effettivamente cominciato a fare il bravo, almeno la maggior parte del tempo. Mesi per costruire un gruppo di tutto rispetto e poche settimane per distruggere tutto. Uno per uno se ne erano andati tutti: Asriel e Jack non erano nemmeno tornati; Savannah era andata via con la massima indifferenza, Sheril, almeno, aveva salutato. Rimaneva solo Richard che si fermò ancora qualche minuto per guardarsi intorno.

Alla fine si alzò e si diresse verso l’uscita del monolocale. Una vocina infantile gli urlò una frase che si dice spesso da bambini:

"l’ultimo chiuda la porta!"

 

 

Nota: Chiedo umilmente scusa per l’immenso ritardo di questo capitolo. Spero che qualcuno abbia continuato a seguire questa storia e che magari commenterà questo capitolo…fosse solo per insultarmi pesantemente.

Piccola precisazione: questo non è l’ultimo capitolo che posterò in questa storia, i prossimi saranno dei piccoli epiloghi, ma non vi voglio anticipare nulla; tanto è abbastanza facile da capire che tipo di finale ho pensato per i poveri, piccoli Predators…

Come al solito spero che qualcuno mi dica la sua opinione. Per il resto, buona lettura.

   
 
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