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Autore: ballerinaclassica    25/07/2010    13 recensioni
«Dio, ma l'avete visto quello?»
«Ti piace? Io credo ci sia di meglio»
«Nah, non credo. Andiamo, ma hai visto che fisico? Ha un culo che-»
«A proposito di culi... Guardate quella lì.»
«Insomma, la volete smettere di parlare di culi?!»
«E perché dovremmo?»
«Lascialo perdere, Francis, lui è soltanto invidioso.»
«E che cosa te lo fa pensare, di grazia?»
«Il fatto che tu non abbia un bel culo. E non fare quella faccia. Fidati, è così, l'ho guardato tutto il tempo proprio per accertarmene.»
«Sei un idiota! Sei un cretino! Ti meriti di scivolare! Ma che sto dicendo?! Ti meriti di cadere giù dal palco! Sei un deficiente! E smettila di ridere! E voi che cosa diamine avete da guardare?! Aiutatemi, aiutatemi che lo ammazzo! Stupido! Maiale!»
[ USUK, GerIta, Spamano, PrUngheria, Franada e molto di più♥ ]
Genere: Comico, Commedia, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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L'odore delle tavole di legno, il rumore delle scarpette da punta nuove o di quelle vagamente consumate, respiri affannati, lamenti, salti, giri, passi ovattati. Arthur aprì gli occhi soltanto in quel momento, come per accertarsi che tutto ciò che stesse vivendo fosse reale, come per accertarsi che lui fosse veramente lì, dietro le quinte di un teatro parigino, accovacciato sul pavimento con le ginocchia stese e le punte dei piedi rivolte al pavimento.
Un tutù, un degas, scaldamuscoli, calzamaglie. A pochi metri da lui e tutto intorno a lui, c'era il mondo in cui aveva sempre sognato di vivere. Tra i ragazzi che condividevano la sua stessa passione, che lottavano per realizzare quel sogno e che piangevano per la paura che restasse tale.
Arthur non lo sapeva nemmeno come ci era arrivato lì, lui, che aveva sempre visto anche i ballerini di quinta fila del Royal Ballet come esseri perfetti ed irraggiungibili. La spiegazione ai suoi dubbi arrivò in un minuto, quando nella sua mente prese vita il ricordo del suo fratellino che gli sventolava una busta (adesso orribilmente macchiata di gelato alla fragola) sotto il naso. Arthur aveva sollevato un sopracciglio, aveva guardato sua madre e l'aveva aperta.
Ci aveva impiegato qualche minuto a capire di che cosa si trattasse. O meglio, l'aveva capito, ma aveva stentato a crederci.
«
Ho passato le selezioni.»
Uno sguardo severo da parte di suo padre, un urlo di gioia da parte di sua madre e qualche battuta sarcastica che riguardava un bel corpetto rosa ed una gonnellina da parte di Peter. E poi aveva realmente compreso.
Il concorso sarebbe durato due settimane, su circa settecentocinquanta ballerini provenienti da tutto il mondo, soltanto quindici erano sopravvissuti. Arthur aveva cercato di inquadrare i suoi “avversari” abbastanza velocemente, e il risultato lo aveva leggermente spaventato.
I russi, era ben noto, erano famosi per una tecnica perfetta e un portamento invidiabile. Sapere che uno di loro era lì, variazione fissa nella mente e nel corpo, lo spaventava un pochino. Anche i francesi non erano male, con la loro eleganza e la leggerezza. Arthur li detestava per partito preso e il sentimento, di conseguenza, ricadeva in maniera inevitabile sul ragazzo biondo e sui cinque giri più che perfetti che stava provando in quel preciso istante. L'Italia era la terra della passione, un luogo caldo, solare, vivace, non a caso i numeri centonovantadue e trecentoquindici erano a pochi metri da lui sembravano piuttosto a loro agio in quell'ambiente (o almeno, uno di loro sembrava a suo agio). Accanto a lui invece c'era Antonio, l'unica persona che conosceva lì dentro, giusto perché ci aveva litigato e fatto pace circa tre volte da quella mattina. Lui era spagnolo, fisico scolpito, sorriso stampato in faccia, l'emblema del ballerino sensuale, di un corpo caldo e di un movimento fluido e suadente. Arthur era riuscito a notare anche chi era totalmente l'opposta, lo aveva definito “l'anti danza”, tutto ciò che lui non avrebbe mai voluto essere. Un ragazzo rumoroso, alto, che da quando era arrivato non aveva fatto altro che ridere. Aveva un accento strascicato, consonanti molto marcate e non faceva altro che sbattere la mano su un ragazzo serio, silenzioso e minuto.
«Quel tipo», disse Antonio, accennando con la testa a suddetto ragazzo, «è giapponese, dicono che sia bravissimo.»
Arthur sollevò un sopracciglio e lo guardò.
«Dimmi il nome di un ballerino orientale che sia diventato qualcuno.»
Antonio sbuffò e continuò a riscaldarsi, a tirare i talloni e a poggiare la testa sulle ginocchia. Arthur continuò ad osservare gli altri ragazzi.
Uno dei due italiani aveva cominciato a parlare a raffica con qualcuno; una specie di armadio biondo, davanti a lui, non faceva altro che annuire e aprire la bocca per rispondere qualcosa, almeno una sillaba, ma ogni tentativo veniva prontamente bloccato da un'altra frase da parte dell'altro. Suo malgrado, Arthur sorrise e lo sguardo si spostò sulle ragazze.
Non sembrava esserci astio tra di loro, non a primo impatto e non per ora, almeno. Ma Arthur era più che certo che, passate due ore, non avrebbero fatto altro che sputarsi addosso veleno e tirarsi i capelli a vicenda. La più piccola sembrava realmente fidarsi di loro, però, racchiusa nel suo body color panna e con un sorriso dipinto sul volto. Aveva i capelli biondi, quasi bianchi, occhi enormi, un fisico sottile e un'espressione a volte impaurita, di chi probabilmente non si aspettava minimamente di passare le selezioni dei quindici e dei sedici anni. Accanto a lei, a mostrare un'apertura fantastica ed una spaccata perfetta, un'altra ragazza, più grande e alta, occhi verdi e fissi su un ballerino che sembrava albino.
«Non ci posso credere, Gilbert ne ha già conquistata una!»
«Eh?»
«Ah, dimenticavo che tu sei inglese. Non puoi capire questi ragionamenti sottili.»
Con le sopracciglia aggrottate ed un'espressione perplessa, Arthur tornò al suo stratching.
Qualche ora dopo Arthur era venuto a conoscenza del fatto che mancavano ancora tre partecipanti all'appello: un ragazzo proveniente dalla Cina, un canadese timido, impacciato e talmente tanto silenzioso da sembrare invisibile, una ragazza bielorussa e il suo perfetto collo del piede, una specie di Zakharova nascente.

La cosa più traumatica di quella giornata, ad ogni modo, non era stato scoprire che nessuno provenisse dalla sua bella Inghilterra (Arthur aveva voluto illudersi di potersi fare un amico), quanto venire a sapere che avrebbe passato otto ore al giorno con gente sconosciuta, di nazionalità diversa dalla sua. E per di più questa gente sarebbe stata stanca, nervosa e sudata.
Arthur appoggiò la mano sinistra alla sbarra, rivolgendo un'occhiataccia al ragazzone davanti a lui, talmente grosso da impedirgli di vedere che razza di esercizio stesse spiegando una donna con un caschetto biondo. E adesso che Arthur ci faceva caso, notava (con tanto di smorfia scocciata) che si trattava dell'americano.
Tentò di ignorarlo e di concentrare la mente sulla sequenza di tendus, con tanto di piroetta dalla quinta per le donne e dalla quarta per gli uomini, ma niente. Lui restava lì e si voltava a fissarlo.
«Scusa, non è che posso mettermi dietro di te e copiare quello che fai tu?»
Arthur fissò per un attimo la sua perfetta faccia da schiaffi ed annuì, chiudendo la bocca per evitare che qualche commento acido uscisse incontrollato (e semi-involontario) dalle sue labbra.
«Certo», rispose a denti stretti.
Arthur si affrettò a cambiare posto con lui, trovandosi così nascosto soltanto dal corpo minuto di una ragazza. Tanto meglio, almeno avrebbe avuto una visuale decente di quello che accadeva nella sala e non avrebbe dovuto farsi venire il torcicollo a furia di cercare di capire qualcosa spiando negli specchi lucidi.
«Comunque io sono Alfred, piacere!», sentì mormorare al suo orecchio, con tanto di voce acuta e risatina finale.
Borbottò un velocissimo “Arthur” e tagliò corto.
Il livello era alto, non c'erano dubbi. Dall'inizio della lezione non aveva sentito una sola domanda insicura, né visto una piroetta finire male, le ginocchia erano tutte stese, così tanto da sembrare incrinate nel senso contrario, le espressioni erano rilassate, le braccia morbide nonostante la forza nascosta che ogni ballerino nascondeva in ogni minima parte del corpo. Arthur non era il tipo da autocommiserarsi o da piangersi addosso, ma per un attimo aveva temuto tutti loro.
Nella sua scuola, una piccola Accademia, ma pur sempre di tutto rispetto, che si trovava in provincia di Liverpool, Arthur era stato abituato ai complimenti, agli innumerevoli “guardate come lo fa Arthur”, “Arthur, fa' vedere loro un grand jeté”, “Arthur ha dei piedi perfetti”, “Arthur è nato per fare il ballerino”. Adesso lui non era nemmeno “Arthur”, adesso lui era solo e soltanto il numero-- Arthur abbassò il mento, quando si rese conto di averlo dimenticato. Oh, sì, adesso lui era solo e soltanto il numero seicentodiciannove, come diceva il foglio appiccicato al suo petto, in mezzo ad altri quindici numeri che probabilmente erano stati abituati (proprio come lui) a sentire decine e decine di lodi al giorno.

Arthur si sedette sul pavimento, prima di uscire e andare verso l'albergo nel quale alloggiavano i partecipanti. Aveva bisogno di un minuto che gli permettesse di mettere a posto le idee, aveva bisogno di massaggiarsi le tempie e di far passare almeno in parte quel mal di testa che lo opprimeva da almeno un paio d'ore.
«Tutto bene?»
Alzò la testa di scatto e vide che il ragazzo francese era in piedi di fronte a lui, con un asciugamano sulle spalle e i capelli raccolti in una coda alta.
«Sì, grazie.»
Chiuse gli occhi e la mente tornò verso casa, verso la sua Inghilterra. L'unico legame che aveva adesso con tutto ciò che si era lasciato alle spalle, erano le telefonate continue di sua madre e quelle dei suoi insegnanti. Di suo padre nemmeno l'ombra, ma doveva aspettarlo, visto quanto era scettico riguardo il suo sogno di diventare un ballerino.
«Mh, sembri stanco.»
Arthur sussultò. Non si aspettava che il francese fosse ancora lì, mentre lui se ne stava zitto a pensare e a ipotizzare che cosa accadesse oltre la Manica.
«Chiunque sarebbe stanco, ora», gli disse.
E si maledisse mentalmente, per aver dato corda ad un individuo di razza francese, e di conseguenza incompatibile con lui.
«Hai ragione. Più che stanco, io mi sento... Spaesato. Come se fossi l'unico qui a non sapere che cosa fare e da dove cominciare.»
Arthur sollevò un sopracciglio e il suo stupore fu dovuto a due motivi fondamentali. Il primo coincideva con la strana scena di due sconosciuti che si parlano per la prima volta e che discutono di qualcosa di abbastanza intimo e personale. Il secondo non era altro che lo shock che era derivato dal fatto che un tizio che non aveva nemmeno mai visto prima provasse le sue stesse sensazioni.
«Immagino che tu non te la cavi meglio, no? Sei anche in terra straniera, io per lo meno sono francese, ma di Lione.»
Arthur si limitò ad una scrollatina di spalle e ad una diplomatica stretta di mano.
«Francis.»
«Arthur.»
Francis gli sorrise, ad Arthur quella bocca sembro meschina. Non che Francis potesse essere uno di quei tipi che sussurravano all'orecchio un gentile “in bocca al lupo” e che poi di auguravano di cadere e di romperti una caviglia o... Un ginocchio. O comunque di farti abbastanza male da doverti ritirare dal concorso a tutti i costi, no. Il sorriso di Francis sembrava più che altro un “ti tengo d'occhio”, o almeno Arthur lo interpretò come tale.
«Arthur!»
Mentre Francis apriva la bocca per dire qualcosa, Alfred arrivò urlando e agitando le braccia. Stringeva la maglietta sudata in una mano e portava degli occhiali che prima, durante gli esercizi, lui non aveva visto. Probabilmente era miope e non riusciva a vedere ciò che la donna gli stava spiegando, ecco perché aveva deciso di prendere posto dietro di lui.
Francis gli rivolse un'occhiataccia e si alzò, continuando a fissarlo con tanto di sopracciglio sollevato ed aria scettica.
«E tu saresti...?»
«Alfred!», strillò, «Io sarei Alfred!»
Arthur ridacchiò divertito da quella scena e si alzò in piedi, recuperando la tracolla e la sua bottiglia d'acqua (sfortunatamente vuota).
«Ah, Alfred.»
Alfred lo ignorò totalmente e si rivolse di nuovo ad Arthur, scuotendolo per una spalla.
«Ehi, Arthur, ti va di andare insieme in albergo? Io non ricordo la strada, perché sulla mia cartina degli Stati Uniti non c'è!»
Mentre si chiedeva per quale assurdo motivo un albergo situato nel pieno centro di Parigi dovesse apparire anche sulla cartina degli Stati Uniti, Alfred gli afferrò il polso e annuì con energia, quasi convinto che Arthur si stesse apprestando a dargli il via libera e una risposta positiva.
«Frena, Superman, con Arthur ci stavo parlando io.»
Francis appoggiò una mano sul petto di Alfred e lo costrinse ad indietreggiare di un passo, mentre si poneva tra lui e Arthur. E Arthur, con tutta la nonchalance di cui era capace, sparì dietro la porta dei camerini.

«Non mi hai nemmeno aspettato per cenare, sei veramente antipatico.»
Arthur sollevò il viso dal suo piatto di riso scondito e guardò Alfred. Era completamente diverso da quando lo aveva visto quel pomeriggio a lezione. Adesso era trasandato, coi jeans larghi e una maglietta più lunga del normale, scarpe da tennis della portata di carri armati e orlo dei boxer sovrapposto ad un lembo di T shirt.
«Non vedo il motivo per cui avrei dovuto aspettarti.»
Si era anche seduto in un tavolo appartato, lontano dagli occhi degli altri ballerini e con la speranza di sfuggire a battute, commenti pungenti, ma soprattutto con la speranza di sfuggire ad Alfred e Francis. Era lì per concentrarsi, ballare, concentrarsi e ballare ancora. Doveva fare del suo meglio e portare uno dei premi a casa, piuttosto che sentirsi ripetere da suo padre che ancora una volta aveva dimostrato di aver sprecato soldi in maniera inutile.
«Ti avevo anche chiesto di tornare insieme e tu invece sei scappato.»
«Non sono scappato, ho semplicemente preferito una doccia al vostro blaterare. Odio perdere tempo.»
Arthur guardò di sfuggita il piatto di Alfred, dopo di che tornò a concentrarsi sul suo. Tempo un paio di secondi e tornò, con tanto di occhi sbarrati e di espressione sconvolta, sulla cena americana.
«Mi spieghi perché diamine hai preso tutta quella roba?!»
Alfred sembrava stupito, probabilmente per lui la reazione di Arthur era del tutto inaspettata.
«Perché ho fame», gli rispose con ovvietà.
Cercando le parole giuste per fargli capire che non era umano mangiare così tanto, che “avere fame” non significava sentire il bisogno di riempirsi lo stomaco con tonnellate di schifezze e che avrebbe dovuto lasciare oltre la metà di tutta la roba che aveva preso se voleva evitare di fare un buco nel palco, Arthur scosse la testa e continuò a fissarlo.
«Alfred, credo che tu abbia dimenticato che domani dobbiamo ballare. Che siamo ad un concorso e che il giudizio sul fisico è uno dei criteri più influenti di tutti.»
«Io mangio sempre così tanto, ma il mio fisico è sempre lo stesso.»
«Bene, vi presento Antonio e Gilbert!»
Arthur ed Alfred sussultarono e smisero di guardarsi, sollevando invece gli occhi su Francis che era appena arrivato lì, assieme ad altri due ragazzi.
Arthur naturalmente conosceva già Antonio e aveva visto Gilbert. Alfred porse la mano a entrambi e si presentò.
Nonostante i suoi buoni propositi di cenare da solo, di rilassarsi da solo, di decidere da solo quando andare a dormire e di andare a dormire da solo, Arthur si ritrovò costretto a parlare non con uno, ma con ben cinque sconosciuti, stranieri ed anche piuttosto bizzarri.
Aveva scoperto che Gilbert era tedesco e che sia lui che suo fratello erano riusciti a passare. A casa era stata una sorpresa per tutti, Gilbert aveva tutte le doti degne di un ballerino come si deve, ma non ci aveva mai messo troppo impegno, preferiva vivere di rendita e accontentarsi di quello che le sue gambe perfette gli consentivano di fare con il minimo sforzo. Antonio invece ci aveva sempre messo la massima dedizione, ma preferiva il flamenco alla danza classica. Gli permetteva di trasmettere con i suoi movimenti tutta la passione che sentiva dentro, la danza classica invece, con tutte le sue regole e la rigidità, tarpava le ali ai suoi sentimenti. Francis invece doveva essere uno piuttosto bravo, proveniva da un'Accademia abbastanza prestigiosa della Francia ed aveva avuto un diploma già a quindici anni. Francis aveva già esperienza in quel genere di concorsi, ma nemmeno lui aveva mai immaginato di arrivare ad un così alto livello in una competizione di portava internazionale. Alfred... Beh, Alfred era quello che lo rassicurava. Proprio come lui era completamente estraneo a quel mondo. Lontano da tutto e da tutti, aveva coltivato la sua passione tra i confini del Wisconsin ed era arrivato lì quasi per caso, dopo un colloquio avuto con suo zio, che insegnava nell'Illinois.
«Io sono di Liverpool. Non mi sono diplomato a quindici anni, non ho uno zio che mi ha aiutato, non ho le doti che tutti sognano e nemmeno troppo sentimento da comunicare. Mi piace ballare e non pensare a nulla e se sono arrivato qui il merito è solo e soltanto mio.»
Quella frase aveva destato parecchie occhiate stupide ed un paio di sorrisi straniti. Alfred gli aveva battuto una poderosa pacca sulla spalla, mandandolo quasi con la faccia dentro il piatto.
«Beh, sono sicuro che farai del tuo meglio allora! Che variazione hai portato?»
«La Sylphide.»
«Oh, quindi avremo l'onore di vederti in gonnella!»
Se gli occhi di Arthur avessero potuto incenerire, quasi sicuramente Francis adesso non sarebbe stato altro che un mucchietto di polvere ammassato su una sedia, da soffiare via e da dimenticare.
«Non è una gonna», borbottò, «è un kilt. C'è una bella differenza.»
Francis tralasciò il fatto che, qualunque cosa fosse, Arthur sarebbe comunque stato costretto a mostrare gambe, cosce e il sedere sodo fasciato da un bel paio di mutande o boxer neri. E a lui interessava soltanto quello, gli altri particolari, gonna o kilt, erano del tutto secondari.
«Dio, ma l'avete visto quello?», disse all'improvviso Antonio, indicando uno dei due italiani seduti ad un tavolo piuttosto distante.
«Ti piace? Io credo ci sia di meglio», e Francis, mentre lo diceva, fissava Arthur e sorrideva come un idiota. O come un maniaco.
«Nah, non credo. Andiamo, ma hai visto che fisico? Ha un culo che-»
«A proposito di culi», li interruppe Gilbert, «guardate quella lì.»
Lunghi capelli castani ed un fiore rosa, Gilbert stava chiaramente fissando lei, che rideva assieme alle altre ragazze.
«Insomma, la volete smettere di parlare di culi?!», Arthur cercò di non alzare la voce, ma era comunque abbastanza innervosito dal discorso.
«E perché dovremmo?», Francis invece sembrava piuttosto coinvolto.
«Lascialo perdere, Francis, lui è soltanto invidioso.»
Arthur si voltò verso Alfred, e lo squadrò attentamente.
«E che cosa te lo fa pensare, di grazia?»
«Il fatto che tu non abbia un bel culo. E non fare quella faccia. Fidati, è così, l'ho guardato tutto il tempo proprio per accertarmene. Seriamente, Arthur, è troppo magro! Secondo me dovresti mettere su qualche chilo, dico sul serio!»
E mentre pronunciava quelle parole oltraggiose, da una parte divertite e divertenti per tutti gli altri ragazzi, Alfred versava nel piatto di Arthur una dosa abbondante del cibo che aveva preso per sé. E naturalmente rideva come un matto, complice l'espressione sconvolta dell'inglese.
«Sei un idiota! Sei un cretino! Ti meriti di scivolare! Ma che sto dicendo?! Ti meriti di cadere giù dal palco! Sei un deficiente! E smettila di ridere! E voi che cosa diamine avete da guardare?! Aiutatemi, aiutatemi che lo ammazzo! Stupido! Maiale!»
Ed erano cominciati così, il suo meraviglioso giorno e il suo sogno di bambino.




















E dopo un lungo periodo di torpore, finalmente ho ripreso a scrivere. Non odiatemi se non aggiorno le fic da così tanto tempo, prometto di farlo al più presto. Voi non me ne vogliate... Ma è estate e quel poco che scrivo lo faccio perché ne ho voglio in quel momento. Altrimenti, col poco tempo che ho, non scriverei proprio nulla. ;^;
Su questa storia vorrei spendere due paroline. Innanzitutto, mi ci sono già affezionata, visto che parla di danza. Inserirò tutti e quindici i personaggi citati, e ognuno di loro avrà almeno un capitolo tutto per sé! =)
E credo di inserire un link di YouTube per ogni capitolo, per far vedere il balletto (la variazione) eseguito, visto che so che non molti hanno la mia stessa passione.
Ci terrei a precisare anche che il rating è destinato a diventare rosso! =) E ora vi lascio, ci sentiamo nel prossimo capitolo per le risposte alle recensioni!

PS: secondo voi chi sarà il primo? Provate a indovinare! :D

US<3UK ~ Il primo forum italiano dedicato alla coppia America/Inghilterra!

   
 
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