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Autore: MagikaMemy    28/07/2010    7 recensioni
E' arrivato il momento di dirsi addio. Il momento di capire che niente, per Sora e gli altri, tornerà ad essere come prima.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 18: goodbye.

Quella stupida chitarra.

Gli scoppiava la testa da ore, stava sdraiato su quel cazzo di letto da neanche sapeva più quanto –si sa, Axel era famoso per la sua poca pazienza-, si era imbottito di farmaci a tal punto che si sentiva un drogato e Demyx insisteva ancora a suonare quella stupida chitarra.

Fece un respiro profondo, continuando a guardare il soffitto, pregando di riuscire a mantenere la pazienza, perché si dà il caso che avesse un po’ di rabbia da sfogare; nonostante questo, non voleva che fosse Demyx la vittima del suo stress.

Non perché non se lo meritasse, datesi che quello scemo del suo migliore amico era stato il primo a dargli spago con la faccenda di Roxas, ripetendogli continuamente che era carino e che, secondo lui, Axel doveva provarci, perché cazzo, quello ci cascava sicuro e…beh, insomma, perché non doveva essere niente male scopare con quel biondino.

Ora: tralasciando per un istante l’istinto omicida che Axel si era costretto a reprimere dopo che Demyx aveva così palesemente dimostrato che lo considerava un sadico stupratore di minorenni, cercò davvero di non saltargli addosso, perché altrimenti lo avrebbe picchiato fino a cambiargli la faccia e avrebbe dato fuoco alla chitarra, senza averle prima tolto le corde una ad una.

Demyx, nel frattempo, continuava a fissare l’amico, con prudenza, senza farsi beccare.

Odiava ammetterlo, ma questo nuovo Axel in versione depressa proprio non gli piaceva.

Insomma, Axel era sempre stato un tipo euforico, di quelli che se stanno seduti per più di un attimo sullo stesso punto poi saltano in piedi dicendo che si stanno annoiando, e corrono a cercare un qualcosa da fare – qualsiasi cosa.

Certo, non era la prima volta che lo vedeva giù di morale. In fondo si conoscevano da una vita, e Demyx gli era stato accanto in parecchie situazioni scomode. Era abituato a tirargli su il morale, offrirgli una birra davanti a un bel porno e a fare battute squallide sulle tette della protagonista. E ogni volta Axel restava impassibile per i primi cinque minuti: poi, sena riuscire a resistere, scoppiava a ridere, beveva un goccio di quella birra schifosa –che solo Demyx aveva ancora il coraggio di comprare- e cominciava a fare la lotta con lui, il suo migliore amico, dimenticando il problema che lo aveva afflitto fino a poco prima.

Axel era così, senza mezzi termini: passava da un sentimento all’altro senza un apparente motivazione, quasi sembrasse che avesse posto per una sola emozione alla volta.

Ma ora era diverso.

La sera in cui si era lasciato con il piccolo Roku, Axel aveva buttato la birra, spento la tv e se ne era andato a dormire in silenzio, senza dire una parola.

Demyx per un momento aveva sentito il desiderio di parlargli, avvicinarsi, dargli una pacca sulla spalla e dirgli che, ehy, si sarebbe aggiustato tutto, Roxas lo avrebbe perdonato, avrebbe capito ogni cosa e sarebbero tornati insieme.

Avrebbe voluto dirgli che lui era lì accanto, che lo avrebbe aiutato, sostenuto, perché gli voleva bene anche se non glielo dimostrava mai-non in modo palese, almeno- e che avrebbe potuto contare sempre su di lui, Demy, quello a cui amava dare dello ‘stupidotto canterino’.

E Demyx gli avrebbe anche promesso di non suonare più la chitarra, se questo lo infastidiva; gli avrebbe giurato eterna fedeltà, perché per lui Axel non era un ‘migliore amico’.

Per Demyx, Axel era un fratello. Non di sangue, certo…ma, sin da bambini, aveva sempre sentito che…era destino, che lui ed Axel si incontrassero.

E ne era convinto tutt’ora.

Rifletteva su questo, adesso, sulla loro amicizia, su quanto avrebbe voluto trovare le parole giuste da dirgli.

Ma poi Axel, da sotto le coperte, bofonchiò un “Smettila con questa cazzo di chitarra, mi stai facendo scoppiare la testa!” e lui non poté più trattenersi.

Ok, era durata fin troppo.

Axel non voleva e non aveva bisogno di essere compatito. Axel, come tutti quelli della sua specie, cocciuti e orgogliosi, doveva essere preso per le corna.

Lasciando che le parole gli uscissero spontanee dalle labbra, Demyx gettò sul letto la sua amata Camille (ebbene sì, la sua chitarra aveva un nome) per andare verso quello di Axel e strappargli la coperta di dosso.

“E va bene, piccola principessina ferita, ora mi hai veramente rotto le palle!”

Axel, ritrovandosi davanti il suo migliore amico con la faccia scura e deformata dalla rabbia che gli aveva strappato via il lenzuolo, si alzò sui gomiti, contrariato.

“Ma che ti ha preso Dem, sei impazzito? E poi non urlare, ti ho già detto che ho mal di testa!”

“Oh, ma per favore! Quanto sei bugiardo!!” disse l’altro, senza accennare ad un abbassamento di voce, “Ti stai solo nascondendo qui dentro, a fare la vittima, mentre là fuori c’è Roxas che muore dalla voglia di fare pace con te!”

Axel, sentendo quel nome, cambiò improvvisamente espressione. Si alzò del tutto a sedere sul letto, guardando Demyx dritto negli occhi, uno sguardo carico di tensione.

“Non parlare di cose che non sai, Demyx. Roxas non mi vuole più, chiaro? Quindi non vedo perché devo tornare da lui, implorando il suo perdono per una cosa che non ho fatto!”

Demyx sospirò, spazientito, senza il minimo timore da quel brusco cambio di atteggiamento.

Axel e i suoi sbalzi d’umore gli erano abituali come i pugni di Narusegawa lo erano per Keitaro*.

“Ascolta, baka** che non sei altro: Roku, Socchan e gli altri partono domani. Domani, comprendi?!”

Axel lo guardò perplesso, come se avesse un uovo spiaccicato sulla fronte.

“E allora? Cosa dovrei fare, chiedergli ancora di ascoltarmi stasera alla festa e poi seguirlo fino a Tokyo pur di riprendermelo?” chiese, ironico.

Ma il ghignetto sorridente di Demyx (che,tra l’altro, era abbastanza inquietante) gli mise addosso una strana sensazione.

“…tu sei pazzo.” Disse seccamente, diventando paonazzo.

Stava per ributtarsi a letto, quando Demyx sorrise, divertito, e si alzò per tornare alla sua chitarra.

“Sì, scusami, hai ragione.” Esclamò, con uno strano tono tra il divertito e lo scherzoso, senza voltarsi a guardarlo “In fondo, certe cose si fanno solo se si è innamorati di qualcuno. E quindi, perché dovresti farlo? Roxas è solo uno dei tanti, per te. Lui tornerà a Tokyo, e ognuno di voi riprenderà la vita di sempre, lontani, senza vedervi mai più.”

Finalmente si voltò verso Axel, che lo stava fissando imbambolato e con la bocca semiaperta,

Sorrise, divertito davanti a quell’espressione.

“Un programmino fantastico per il futuro. Vero, Akuchan?”

**

Il rumore della musica era assordante, e con tutta quella gente che gli girava intorno Roxas si sentiva un calzino vittima della centrifuga della lavatrice.

Sorseggiò la sua bibita senza troppa voglia, più che altro per poi mordicchiare l’estremità della cannuccia, e diede un’occhiata in giro.

Cavolo, c’era davvero tutto il villaggio, proprio come aveva previsto Xaldin.

Non solo gli ospiti, ma anche tutti gli addetti ai servizi.

C’era perfino Saix-sama, che di tanto in tanto appariva dietro qualche pianta, seminascosto, osservando i ragazzi che ballavano sotto le luci colorate o quelli che pomiciavano nascosti sotto il buio di qualche palma.

Roxas sorrise vedendo Demyx che scatenava tutta la sua grinta dietro al bancone da dj, agitando le braccia a ritmo di musica e mixando canzoni su canzoni, una più originale delle altre.

Gli invitati, più o meno duecento persone, erano più scalmanati che mai, e in mezzo a tutta quella confusione lui aveva finito col perdere gli altri di vista.

Rikku e Yuna erano, ovviamente, al centro della pista, intente a ballare con Tidus e un tipo che gli sembrava di non aver mai visto, e l’ultima volta che aveva visto Selphie si stava allontanando verso i campi sportivi mano nella mano con Wakka- cosa che non aveva stupito affatto Roxas, perché, diamine, era ora che succedesse, quel poveraccio le aveva sbavato dietro per anni.

Quanto agli altri, zero assoluto.

Certo, qualche minuto prima gli era sembrato di scorgere una chioma bionda tra la folla attorno al tavolo del buffet, ma si era ben guardato dall’idea di avvicinarsi.

Non poteva perdonare Naminè per una cosa del genere.

Baciare Axel. Axel. Il suo Axel.

E lui, come un deficiente, che non gli aveva creduto. Che non lo aveva ascoltato.

Quando Naminchan gli aveva rivelato di essere stata lei a baciare Axel, il suo primo istinto era stato quello di correre da lui, cercarlo, e trovarlo in qualsiasi modo, dicendogli che, diavolo, gli dispiaceva, che avrebbe dovuto credergli.

Ma poi era rimasto lì dov’era, fermo, con Naminè di fronte a lui che riusciva solo a guardarsi i sandali, in lacrime, mentre a lui veniva voglia di gridare il nome di Axel.

Prima della festa aveva seriamente pensato di cercarlo, ma quando aveva chiesto a Larxene-san se per caso lo avesse visto da qualche parte lei gli aveva detto che, citando le esatte parole, “quel testa di cazzo” era sicuramente nel suo bungalow a dormire come un sasso, e che probabilmente non si sarebbe presentato neanche alla festa.

Teorie che, purtroppo, avevano trovato conferma.

Da quando era arrivato, Roxas non faceva che cercarlo con lo sguardo, e se avesse potuto si sarebbe messo a piangere lì, davanti a tutti.

Cielo, era stato un idiota.

Axel gli aveva detto la verità, ma lui era così arrabbiato, così…spaventato dalla consapevolezza di essere stato ferito ancora una volta da qualcuno…da averlo allontanato.

E proprio ora che avrebbe voluto parlargli, Axel non c’era, non c’era.

Era arrabbiato, sicuramente, incazzato come una bestia, e non poteva dargli torto.

…con che faccia avrebbe potuto presentarglisi davanti e dirgli che era stato un coglione? Lui gli avrebbe riso in faccia, mostrando i denti perfettamente bianchi e mandandolo a quel paese, dicendogli “Ehy, cagnolino dei miei stivali, potevi pensarci prima.”

Si diede il palmo della mano in fronte, ormai al limite della sopportazione.

Avrebbe tanto voluto che ci fosse qualcuno lì, seduto accanto a lui.

Kairi, magari. Sì, Kairi avrebbe saputo cosa dirgli, quale consiglio dargli, e lui lo avrebbe seguito ciecamente, perché era così disperato che si sarebbe aggrappato a qualsiasi cosa.

Ma Kairi non c’era, aveva accompagnato Paine in infermeria dopo che un tizio le aveva fatto cadere un bicchiere di vetro addosso, facendola sanguinare.

Ora che ci pensava, Sora non era andato con lei.

Gli era sembrato di vederlo andare verso la spiaggia con Riku, ma…boh, quella sera stava talmente fuori che si sarebbe immaginato anche un tricheco che va in altalena.

Per un attimo desiderò con tutto sé stesso di farsi un altro giro per la festa, tra la gente in pista, per trovare Axel.

Ma poi scrollò le spalle, dandosi dell’idiota.

Certo, il malinteso del bacio era stato un cazzata.

Ma ormai, non c’era niente da recuperare.

Domani se ne sarebbe tornato a casa, avrebbe dovuto comunque dirgli addio, prima o poi.

…certo...gli sarebbe piaciuto almeno baciarlo un’ultima volta.

**

Da quanto stava correndo, ormai?

La pesantezza sulle gambe gli suggeriva un tempo abbastanza lungo, calcolando anche il fiatone e i polmoni che sembrava gli fossero usciti dal corpo e ormai stessero girando per il villaggio, facendosi un giretto a parte.

Dannate sigarette del cazzo!

Si concesse un minuto di pausa, fermandosi e riprendendo fiato, e ne approfittò per fare mente locale.

Dunque, non era nel suo bungalow, né in quello delle ragazze; in cucina non lo avevano visto, e ai campi sportivi c’erano solo Selphie e Wakka intenti a pomiciare appoggiati alla rete del campo di tennis.

La musica proveniente dalla festa gli ricordò che c’era ancora la speranza di trovarlo lì, o in spiaggia.

E se non lo avesse trovato neanche lì?
Per un attimo lo sconforto si impossessò di lui, accerchiandogli la testa come l’effetto di una droga.

Ma poi capì che perdersi d’animo non gli sarebbe servito a niente.

Lo avrebbe visto, abbracciato, gli avrebbe parlato.

A costo di cercarlo per tutta la notte, a costo di chiedere a ogni singola persona che si trovava in quello stupido villaggio, a costo di bussare a ogni singola porta dei clienti, anche quelli che dormivano da un pezzo.

Roxas. Il suo Roxas.

Roxas, che l’indomani se ne sarebbe andato.

…doveva dirglielo prima che se ne andasse.

**

“Cos’è questa faccia schifata?”

“Uh, niente, So, tranquillo.”

“Non è veroooo, Riku! Sembra che tu stia per vomitare!”

Riku rise, mentre Sora, sdraiato accanto a lui fino a un istante prima, ora gli stava salendo letteralmente addoso, il musetto imbronciato e dalla vaga aria offesa e le mani strette in pugni che lo colpivano sul petto.

“Dài, So, stavo scherzando. Gnam gnam, che buono!” lo schernì lui, godendosi Sora che scalciava sopra di lui, alzando la sabbia tutt’intorno a borbottando come un matto, ripetendo che era uno scemo e che non lo sopportava, quando faceva così.

“Insomma, sei cattivoRiku!” ripetè per la millesima volta, col fiatone, bloccando per un attimo il suo potentissimo attacco di pugni (quanto amo sfottere questo ragazzo, ohoh XD ndA).

Riku, che continuava a sorridere, ingoiò un altro pezzo di torta, finendo la fetta che Sora gli aveva portato.

Sora studiava la sua espressione, cercando un elemento che potesse tradirlo.

“Sei un ingrato.” Biascicò, dandgoli le spalle, senza veergognarsi di mostrarsi offeso, “ci ho messo un’ora per preparare quella roba. Un’ora con Xaldin! Ti rendi conto?!” esclamò, esasperato, come se stesse parlando di combattere un giaguaro a mani nude.

Riku si trattenne dallo scoppiare di nuovo a ridere, mentre Sora, arrabbiato e ancora seduto sopra di lui, continuava a dargli la schiena.

Sorrise, restando in silenzio, e alzandosi sui gomiti avvicinò le labbra al suo orecchio destro, così piccolo, immerso tra i ciuffi castani dei suoi capelli che, cristo santo, erano così profumati da dargli alla testa.

“Mmmh…ma che piccolo chef, che abbiamo tra noi.” Bisbigliò, e sntendo il suo fiato sul collo Sora fu scoso da un brivido.

Riku ovviamente lo notò, ma non disse nulla comunque; per il momento, doveva farsi perdonare dal signor Mi Offendo Per Qualsiasi Cosa.

Però, era così carino quando faceva così, dannazione.

Vedendo che Sora non reagiva, gli leccò il collo, veloce. Solo una volta, che bastò a far voltare Sora, il cui volto ora era a minima distanza dal suo, anche se aveva ancora il busto verso il mare.

“Ti odio quando fai così.” Riuscì a dire, ancora visibilmente irritato.

Riku lo osservò, sorridendo: “Dài, stavo scherzando, davvero. Era buona. E poi lo sai che mi piace la panna montata.”

“Quella è stata difficile da mettere” ammise Sora, cambiando umore improvvisamente, un po’ in imbarazzo. “Sì, cioè, volevo assolutamente guarnirci il sopra, ma non ruscivo a farlo in manera decente, e alla fine è venuto fuori solo un gran pasticcio. Era davvero brutta, quella torta, a vedersi.”

Restò in silenzio per un attimo, poi guardò Riku negli occhi.

“Però…è venuta buona, vero?” domandò con vispa curiostà.

Riku non potè farea meno di accarezzargli la testa, come se fosse il più dolce dei cagnolini.

“Sì.” Disse, senza esitazone, “buonissima.”

Sora non lo ringraziò; eliminò la distanza tra loro baciandolo improvvisamente.

Riku rimase fermo mentre Sora studiava la sua bocca, di nuovo, come faceva sempre.

Ormai lui se l’era imparata a memoria, la sua.

Ma Sora no, ogni volta assaporava la lingua di Riku con attenzione, come se fosse la prima volta.

Riku, lentamente e senza staccarsi dalle labbra di Sora, lo abbracciò da dietro laschiena, accarezzandogli il petto languidamente.

Sora rimase fermo così, lasciando che Riku gli lambisse i pettorali praticamente inesistenti, mentre continuavano a baciarsi, senza fretta.

Erano riusciti ad appartarsi circa un’oretta prima, e tra poco se ne sarebbero dovuti tornare alla festa per non destare troppi sospetti.

Sora lo sapeva che si stava facendo tardi, e ricordandosene all’improvviso si separò da Riku strattonandogli la maglietta.

“Do…dobbiamo tornare, Riku, o Kairi si accorgerà che…non siamo alla festa…”

“Mmmh…” mugugnò Riku, che, Sora lo capì, non lo stva neanche ascoltando, troppo preso a stampargli piccoli baci lungo il collo.

Sora avvrebbe voluto lasciarsi andare alle sue attenzioni, a quei gesti che lo facevano letteralente impazzire; ma preso com’era dalla preoccupazione che Kairi intuisse qualcosa, si voltò di modo da trovarsi nuovamente di fronte a Riku.

“Dài, Ri, alziamoci, dobbiamo tornare.”

Riku inarcò un spopracciglio, e in tutta risposta lo baciò ancora, stavolta con foga, lasciando che Sora si rilasssse solo per un istante; quest, di malavoglia, chiuse gli occhi, mentre Riku gli passava la lingua sulle labbra, succhiandole d tanto in tanto.

Sora lasciò condurre a Riku quello strano gioco, e quando lui iniziò a giocare con la lampo del suo giachetto…beh, ammise di non volersi ribellare più di tanto.

Si separarono, entrambi con il fiatone; Riku continuava a fare su e giù con la zip del giacchetto di Sora, ma questi lo fermò mettendo una mano sulla sua e guardandolo negli occhi.

“Riku…io non…non sono…scusami, è solo…che…”

L’altro lo fissò immobile per qualche istante, poi sorrise e gli baciò la fronte.

Sora rimase a guardarlo per un istante, ma quando capì che Riku non era arrabbiato ne fu così contento che lo baciò sulla bocca come un bambino.

Aveva capito…sul serio?

Avrebbe aspettato che lui fosse pronto…come poteva non perdere completamente la testa, dopo aver capito una cosa del genere?

**

“:..Namichan…sei sveglia?”

Naminè, nel buio, aprì gli occhi, restando con la testa affondata nel cuscino.

Kairi continuava a chiamarla già da qualche minuto, e finalmentesi decise a rispondere.

“Dimmi” bisbigliò, un po’ spazientita, ma Kairi sembrò non notarlo e riprese la voce basissima per non svegliare le altre. “…stai bene, Namichan? Ti vedo strana. E’ per la partenza?”

Naminè trattenne il fito. Avrebbe voluto raccontarle la verità, dirle che era stata per colpa sua, solo sua, se ora suo cugino e il senpai Axel stavano soffrendo, e tutto perché siera comportata come una ragazzina.

Perchè …perché non era semplicemente andata da Roxas a dirgli che era gelosa di Axel?

Ok, Roxas probabilmente le avrebbe detto che aveva seri problemi mentali, e lei allora si sarebbe trovata costretta a rivelargli tutta la verità.

Quella verità che gli nascondeva da parecchio tempo, e che, dopo quello che aveva combinato, avrebbe continuato a celare fino alla morte.

“Sì.” Esclamò, cercando di non mostrare titubanza e sforzandosi di sorridere, nonostante fosse buio e Kairi non potesse vederla.

Ma chissà, forse quel sorriso sghembo era rivolto più a sé stessa che all’amica, che a quelle parole si tranquillizzò.

Per fortuna, si trattava solo di nervosismo pre-partenza…e lei che aveva pensato che potesse essere successo qualcosa di grave!

Beh, avrebbe dovuto immaginarlo, in fondo. Stiamo parlando di Naminè, e si sa, non era una tipa che attirava a sé i guai.

“Oh, andiamo, non rattristarti Nacchan. Scommetto che Aku-san e gli altri senpai verranno a trovarci a Tokyo. Ne sono più che certa!” disse, raggiante.

Naimnè rispose con un poco convinto “Sì…beh, speriamo.”, dopodichè le diede la buonanotte e chiuse nuovamente gli occhi.

Pochi minuti dopo, Kairi già dormiva profondamente, lì accanto. Poteva sentire il suo sospiro leggero e delicato.

Si sforzò di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa che potesse conciliarle il sonno, ma ogni volta che cercava di distrarsi le appariva nella testa il volto di Roxas che la guardava severo.

Avrebbe voluto scoppiare in lacrime al pensiero che nonle avrebbe più parlato, non si sarebbe pù confidato con lei. Non l’avrebbe abbracciata, né accompagnata al cinema con la bici, e lei non avrebbe più potuto offrirgli il taiyaki*** al parco dopo la scuola, mentre insieme tornavano a casa.

Una lacrima le rigò la guancia di traverso, posandosi poi silenziosa sul cuscino; Naminè si dedicò qualche altra goccia salata, giusto per sfogars un po’, senza singhiozzare, perché Kairi aveva il sonno leggero e sicuramente si sarebbe subito svegliata.

Poi, senza neanche asciugarsi gli occhi arrossati, si addormentò profondamente.

**

“…davvero non c’è?”

Tidus, in pigiama e con lo spazzolino da denti in mano, fece spalluce, con un’espressione mortificata in volto.

“Mi spiace, senpai, se n’è andato via durante la festa e non è ancora rientrato. Non so che dirti.”

Axel sorrise, amareggiato.

“Non…non importa. Ticchan. Se dovesse tornare…puoi dirgli che lo sto cercando?”

“Certamente” disse l’altro, agitando la testa in un gesto che per un attimo lo fece assomgliare in maniera impressionante a Sora.

Axel lo ringraziò, e con un cenno della mano si avviò verso il vialetto.

Non poteva crederci. Davvrero. Eppure, lo aveva cercato ovunque.

Insomma, aveva controllato il villaggio da cima a fondo più volte, e non lo aveva incontrato neanche una volta…com’era possibile?
Roxas sembrava essersi volatilizzato. E lui…lui si sentiva tremendamente solo.

**

“Allora, fanciulle: una mano con i bagagli?”

Kairi inarcò un sopracciglio, scettica, mentre trascinava giù dal portico del bungalow i suoi bagagli.

“Demy-san, con quelle braccine floscie non riusciresti a portare manco un cestino di vimini” osservò, provocando una risata generale.

La ragazza sorrise di rimando, mentre il resto del gruppo, ognuno pronto per partire, aspettava lì davant l’ultima arrivata…che, ovviamente, era Rikku.

“Ricchaaaaaan!” gridò Yuna, dall’esterno, mano nella mano con Tidus che sbadigliava senza il minimo contegno, “Ma quanto cazzo ci metti?”

Tidus smise d’un botto di allargare la bocca per lanciarle un’occhiataccia infastidita.

“Te lo devi togliere, questo vizio delle parolacce.”esclamò soltanto, ricevendo in tutta risposta un bacio sulla guancia che lo ammutolì all’istante.

Finalmente, anche Rikku uscì dal bungalow, e dopo aver gettato ai propri appartamentini gli ultimi sguardi malinconici, la comitiva rumorosa si avviò verso l’ingresso del villagio.

Il pullmino, lo stesso che li aveva portati all’andata, era parcheggiato lì, in bella vista, con il motore spento.

Il conducente, notarono Rikku e Sora, era sempre lo stesso, e entrambi si diedero di gomito, capendosi all’istante.

Lentamente, di soppiatto, gli si avvicinarono mentre era ancora di spalle, accanto al pullman, intento a fumare, e con un sonoro “Ehilààààààààààààààààààààààààà” lo fecero sobbalzare a mezz’aria.

“…Oh, santo cielo, non è possibile…” disse il pover’uomo, disperato, riconoscendo all’istante quei due mocciosi. “Ditemi che è uno scherzo!”

Rikku gli si gettò letteralmente in braccio, sbattendo le ciglia “Ti sono mancata, my sweety loveeeeee??” chiese, con voce a tremila watt.

“Come uno spillo nell’occhio” disse quello, in tutta risposta, mollandola sul pavimento.

Poi, rivolgendosi al resto del gruppo, gridò: “Vi concedo cinque minuti per i saluti, chiaro? Dopodichè, tutti in sella. Ho un orario da rispettare, io.”

Recepito il emssaggio, e con l’aiuto di Xaldin, Xigbar e Marluxia, sistemarono le valigie nel retro del pullmino.

Mentre ognuno si concedeva agli ultimi saluti, Roxas non riusciva neanche a rendersi conto di ciò che stava accadendo.

Ma di una cosa era sicuro: Axel…Axel non era venuto.

Non era venuto a salutarlo, e non lo avrebbe visto mai più.

Mai più.

Le lacrime, lentamente, iniziarono a scorrergli sul volto, raggiundeo le labbra umide e tremanti.

Senza salutare nessuno, perché sinceramente non gliene importava proprio niente, di tutti gli altri, salì sul pullman, accanto ad un finestrino aperto, sperando che il vento che si stava alzando gli asciugasse gli occhi.

**

“Vi prego di scusarlo…” aveva biascicato Kairi davanti agli amici, che alla vista di Roxas che scappava sul pullamn senza degnarli neanche di un saluto erano rimasti visibilmente offesi.

“Oh, non fa niente, piccola caramellina” esordì Marluxia, baciando le guance a tutti, “spero vi siate trovati bene qui, Verremo a trovarvi a Tokyo il prima possibile, vero ragazzi?”

“Oh, ma sicuro” intervenne Xaldin, che, voltandosi verso Sora, gli diede una tanto amichevole quanto dolorsa pacca sulla spalla che a momenti gli fece sputare un polmone.

“Ehy, mi mancheranno le tue idiozie, pulce.”

Sora fece al cuoco l’occhiolino, sollevando il pollice “Anche a me mancheranno le litigate con te, capo.”

Larxene osservava la scena assieme a Zexyon, profondamente disgustata, ma quando Yuna, Rikku, e Selphie la salutarono, a Paine sembrò quasi di vederla sorridere.

Demyx era più silenzioso che mai: aveva un muso lungo tre metri, gli occhi un po’ opachi e i capelli insolitamente liberi dal gel.

Salutò Sora però con particolare entusiasmo, mentre con Riku si limitò ad una fredda stretta di mano.

“…trattalo bene, Capelli Bianchi”gli sussurrò, senza cattiveria.

Riku sorrise di rimando; non era una minaccia, quanto una promessa.

In fondo, Demyx non si era dimostrato così male.

“Ehy, ma…dov’è Aku-chan?” chiese all’improvviso Sora, guardandosi attorno.

Demyx si limitò a mentire, odiandosi: “Non è riuscito a venire, Socchan. Ma vi saluta tutti, uno ad uno, e ha detto che verrà il prima possibile.”
Gli altri gli lanciarono uno sguardo alquanto scettico: tutti ad eccezione di Sora, che ovviamente cretino com’era non aveva minimamente sospettato che fosse una menzogna.

Il conducente li chiamò all’improvviso,dicendogli che era ora di andare; mentre tutti correvano verso il pullman, fecero in tempo a voltarsi un’ultima volta verso il villaggio, verso i loro nuovi amici, agitando le mani in esuberanti cenni di saluto.

“A prestoooo!” gridò Sora, con tutto il fiato che aveva in gola.

E mentre Riku gli ripeteva di salire su quel dannato pullman, Sora sentì una morsa allo stomaco.

Quell’estate aveva cambiato ogni cosa.

E quel villaggio racchiudeva molti momenti che lui, ne era certo, non avrebbe mai dimenticato.

Sentiva che nessun altro luogo al mondo, neanche il più bello o elegante, gli avrebbe dato la stessa magia del Natsu Club.

Sospirò, capendo che, una volta salito, quel pullman non lo avrebbe portato più indietro.

Ormai, il mondo degli adulti lo aveva accolto definitavemnte tra le sue braccia.

E lui, anche se con qualche difficoltà…ne era entrato a far parte.

Certo, c’erano ancora parecchie cose in sospeso: la scuola, la relazione con Riku, il rapporto con Kairi…ma, pian piano, avrebbe superato ogni cosa.

Oh, sì.

Ogni cosa.

**

“Bene, ragazzi, non cominciate a far casino, per favo..”
Ma l’autista non riuscì neanche a terminare la frase che Rikku, in piedi con Yuna e Selphie, si era già impossessata del microfono.

“Oh, coraggio, my love, non vuoi sentire come canto bene l’opening di Kodocha??****” chiese, con entusiasmo, e neanche quel poveraccio potè rispondere che la bionda, saltellando que là – e fregandosene ampliamente del cartello su cui era scritto ‘vietato stare in piedi’ accanto al conducente- iniziò a cantare a squarciagola.

Tutti, nonostante stessero tornando a casa, sembravano aver mantenuto un tono abbastanza allegro; il lavoro era finito, i soldi li avevano guadagnati e si erano divertiti come pazzi.

Perfino Riku non faceva che sorridere a tutti, anche se in quel caso la natura della sua allegria risideva in…come dire…altri motivi.

Kairi era seduta accanto a Paine, e Sora, vicino a lui, rideva come un pazzo assieme agli altri davanti a Rikku e al suo spettacolino.

E le loro mani…le loro mani erano intrecciate, ancora una volta.

**

Roxas piangeva.

Piangeva come non aveva mai fatto in tutta la sua vita.

Senza il minimo pudore, ma al tempo stesso nascosto tra gli ultimi posti.

Sentire che gli altri attorno ridevano euforici, mentre a lui sembrava di avere un coltello conficcato nel petto, lo stava rendendo pazzo.

Osservò la strada che, fuori del finestrino, cominciava a correre, prima piano, poi semrpepiù veloce.

Basta, non ce la faceva più.

Voleva morire.

Anzi, non morire…sarebbe stato troppo.

Ma, sicuramente, voleva andarsene a casa.

Sì…a casa…

“Ehy, quello la fuorì non è Axel?!”

La voce di Yuna che guardava fuori dal finestrino del conducente gli fece sbarrare gli occhi di colpo.

Tutti si affiacciarono, guardandosi indetro.

Roxas portò fuori anche lui il capo, ad occhi chiusi.

“Ti prego, Signore. Ti prego…fai che ci sia davvero…”

Raccolto tutto il suo coraggio, finalmente aprì gli occhi.

Dietro il pullman, in sella ad una patetica bicicletta arrugginita, con capelli rossi che sfrecciavano contro il cielo limpido…c’era.

C’era davvero…

Mio Dio..c’era…Axel…

AXEL!

“Axeeeeeeeeeeel!” gridò, portandosi fuori dal finestrino il più possibile, mentre il vento gli batteva doloroso contro la schiena.

Il più grande, da sopra la bici, lo guardò per un istante; poi, sorridendo raggiante, un sorriso che non avrebbe motrato mai più a nessuno, affrettò il movimento delle gambe.

Sentiva i muscoli dolergli, fargli un male cane, ma non avrebbe mai rallentato per nessuna ragione al mondo.

Con un ultimo sforzo, riuscì ad arrivare sotto il finestrino di Roxas, e finalmente…finalmente si guardarono negli occhi.

“Roxas…sono…qui, Roxas. Sono venuto per te.” Disse, affannato, cercando di mantenere quella distanza.

Roxas sorrise, e senza che potesse opporsi versò altre lacrime.

Ma stavolta…stavolta non erano lacrime di dolore.

Per la prima volta nella sua vita…quelle lacrime non gli bruciavano la pelle.

“Sì…” riuscì solo a dire, cercando di resistere alla tentazione di gettarglisi addosso. “Sì, lo so…”

Mentre tutti restavano ad osservare la scena (la maggior parte dei quali completamnete sconvolti), Kairi si alzò in piedi e raggiunse il conducente.

“Salve, emh…signor autista.”

Il tipo non la degnò neanche di un’occhiata, limitandosi a borbottare.

Ma Kairi, sorridendo imbarazzata, ci riprovò: “Stavo pensando…emh…potrebbe fermare l’autobus solo per un istante?”

Il conducente, stavolta, la guardò, con un’espressione tutt’altro che accomodante.

“Oh, certo, signorina, e magari ci facciamo pure un bel pic-nick nei boschi qui vicino, vero?”

A quel punto, non le bastò che una mossa: con decisione, e sotto gli occhi sconvolti dei presenti (tranne Roxas, troppo preso dalla sua scena da film per rendersi conto di cosa gli accadeva intorno), mise con decisione un piede sulle aprti basse del conducente, facendo pressione un poco che bastava per farlo impallidire.

In tutta risposta, mostrò uno dei suoi sorrisi più sgargianti.

“Se non fermi subito questo ferrovecchio, ti stritolo le palle. E non sto scherzando.”

Il pullman frenò all’istante, facendo sbattere tutti contro il sedile davanti.

“Cuginetto…perché non prendi un po’ d’aria?”
Roxas rientrò completamente dentro, sentendo la voce di Kairi al microfono.

Non se lo fece ripetere due volte; scese dal sedile, e correndo si diresse evrso l’uscita.

Ma un istante prima di scendere, fece marcia indietro e tornò davanti a Kairi, guardandola negli occhi.

“…ti voglio bene.” riuscì solo a dirle, per poi abbracciarla.

Kairi si godette quel calore per un attimo, poi si separò da lui.

“Coraggio,” gli disse, strizzando un’occhio, “Axel ti aspetta.”
Roxas, finalmente, sceseda quel pullman, e si fermò.

Axel, davanti a lui, fermo immobile su quel vialetto ombrato, lo guardava.

Alle sue spalle, il villaggio abbastanza lontano, ma ancora visibile in collina.

“…ho perso la scommessa, Rox.”

Roxas si avvicinò, finendo a poca distanza dal suo viso.

“Ma davvero? Non mi dire…” esclamò, ironico.

Axel inarcò un sopracciglio, spavaldo.

“Beh, mica è colpa mia se mi hai fatto perdere la testa.” Fece un istante di pausa “..ho perso. Alla fine sei stato tu, conquistare me.”
”Già, beh, diciamo che è stata una parità.” Concesse Roxas, avvicinandosi ancora.

Axel si chinò di un poco, a ormai pochi millimetri dalla sua bocca.

“…sai, credo proprio che mi ci troverò benone, a Tokyo.”

Roxas trattenne il fiato per un attimo, restando completamente sconvolto e privo di qualsiasi parola.

Ma poi capì che non serviva una risposta: con un salto gli circondò il collo con le braccia e lo baciò.

Ancora una volta.

E, mentre tutti alle loro spalle fischiavano e applaudivano, entusiasti come se stessero guardando il finale felice del loro telefilm preferito, Roxas sorrise contro le labbra di Axel, il suo Axel.

Quando si separarono, Axel gli sorrise ancora, guardandolo dritto negli occhi.

Roxas gli baciò il naso, mettendosi a ridere, e poi lo abbracciò, tuffandosi nella sua t-shirt di seconda mano, che sapeva di fumo, di mare e di cioccolato.

Che era pregna di Axel.

“…oh, sì, “concluse, sognante, “…il meglio deve ancora arrivare.”

Fine.

Note dell’autrice:
Ce l’ho fatta.

Mio Dio, non psso credere di avervi fatti attendere un anno. UN ANNO, cristo santo. Sono mortificata, ma ho avuto mille problemi, e poi è ricominciata la scuola e tra un impegno e l’altro…beh, insomma, non ce la facevo proprio, a scrivere.

Ad ogni modo, sono qui.

Sono tornata, e Summer Time ha visto la conlusione.

Santo Cielo, questa storia è stata così importante per me che ora non so neanche dirvi come mi sento.

Ma in fondo c’è ancora Winter Time da scrivere, e credetemi, i guai arriveranno anche lì.

Sapete, avevo il terrore che non riuscissi a scrivere un finale decente, perché è stata una storia che ha riscosso parecchio successo, e per questo sono grata ad ognuno di voi.

Allora..che ne pensate della conclusione? Vi aspettvate di meglio? Fatemi sapere, mi raccomando, e ancora…perdonatemi, dico davvero.

Un abbraccio a tutti, alla prossima ficcy ^__-

MagikaMemy

   
 
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