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Autore: Tifawow    04/08/2010    2 recensioni
[The Lost Canvas]"I loro occhi, cozzarono bruscamente gli uni negli altri, in uno schianto di diamante e zaffiro. Albafica trattenne il fiato, sentendo come una breve scarica elettrica salirgli alla schiena quando i loro sguardi divennero un tutt'uno. C'era qualcosa di diverso quella sera, lo sentiva nell'aria, e lo percepiva nella pressione che gli occhi di Defteros esercitavano nei suoi...una pressione forte, decisa, bramosa quasi." Ambientata prima della Guerra Sacra, prima ancora che Aspros impazzisse e Defteros diventasse cavaliere di Gemini [AlbaficaxDefteros]
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amore con lo sguardo


Lo guardava sempre, la notte, quand'egli si allenava da solo mentre il Tempio dormiva, quando nessuno poteva vederlo, lontano dall'ala dell'amato fratello che sempre lo proteggeva, lontano dalle voci e dalle risa di scherno che s'alzavano al suo passaggio.
Non poteva farne a meno.
Lo osservava da dietro una delle colonne che circondavano l'arena, silenzioso e attento a non perdersi nessun dettaglio di quegli allenamenti segreti, di quelle mosse che nascondeva di saper fare persino al gemello, immaginando come sarebbe stato se avesse potuto allenarsi con lui, saggiare le sue mosse in combattimento amichevole, oppure, semplicemente, scambiare quattro chiacchiere come due normalissimi esseri umani.
Perché per Albafica dei Pesci, Cavaliere della Dodicesima Casa, non vi era mai stato niente di tutto questo.
Nessuno con il quale allenarsi, nessuno con il quale fermarsi la sera a parlare prima di rientrare alla propria dimora, nessuno con il quale confrontarsi, nessuno al quale esprimere dubbi e timori sul futuro oscuro che sempre più si faceva tangibile.
Nessuno.
Nessuno che potesse resistere al suo veleno mortale, al suo sangue velenifero che tutto uccideva...e lui stesso mai avrebbe permesso che qualcuno rischiasse, che morisse per causa sua e il suo desiderio di compagnia. Amava e rispettava troppo la vita per permettere che questo accadesse, e alla luce dei rischi, aveva preferito isolarsi, rinchiudersi da solo nel suo mondo di veleno e rose, che a lui non poteva nuocere.
Non più di quanto avesse già fatto.
Eppure, ogni notte, quando il sole calava e si apprestava al tramonto, Albafica sentiva il bisogno di prendere qualche momento per se, qualche momento di contatto con il mondo dal quale si era isolato ma che desiderava con tutto se stesso.
Un rituale che da qualche tempo aveva preso forma nella sua routine, fin da qualche settimana prima che conquistasse l'armatura dei Pesci, che aveva ormai una punta di mistico nel suo esistere, che giorno dopo giorno, gli dava la forza di affrontare il tempo che passava.
Sempre e per sempre da solo.
Ogni giorno passava come tutti gli altri. Allenamenti, incombenze dovute alla carica che ora ricopriva nonostante la sua giovanissima età, pratiche da sbrigare...ma tutto quello che aveva da fare durante il giorno, passava sempre più in secondo piano a mano a mano che si avvicinava il tramonto, ogni fatica, ogni pensiero malinconico diventava sempre meno importante con il passare delle ore.
Il tramonto che portava la sera, e con essa il suo momento.
Il loro momento.
Attendeva con ansia che i rumori del Tempio di spegnessero, che tutti andassero a dormire, che le luci diventassero più soffuse. Aspettava sempre in silenzio, nascosto nell'ingresso della Dodicesima Casa, che gli ultimi astanti tornassero alla propria vita. Poi, quando era certo che non avrebbe incontrato nessuno sul suo cammino, si apprestava a uscire dalla propria Casa, dirigendosi a passo felpato verso l'arena, dove sapeva che lo avrebbe trovato, ad allenarsi con la protezione delle tenebre.
Defteros, la Stella Oscura.
Colui che più di chiunque altro, condivideva il suo destino, sebbene non si fossero mai parlati.
E come ogni sera, Albafica stava ora camminando, avvolto dal suo mantello bianco e rivestito della Sacra Armatura dei Pesci, diretto verso quell'appuntamento serale che non mancava mai, che gli era diventato più indispensabile del respiro. I piedi, leggeri, si muovevano veloci, temendo forse che qualcuno potesse scorgerlo...non che ad altri sarebbe importato effettivamente dove stesse andando, ma quel momento era così personale, che non se la sentiva di dividerlo con nessuno.
Nemmeno con i propri compagni d'oro, dei quali evitava le Case passando per i sentieri esterni, più dissestati certo, ma indubbiamente meno praticati.
Scese rapidamente la scalinata, silenzioso come un fantasma, e probabilmente come tale sarebbe apparso a occhi estranei. Si muoveva in fretta il Cavaliere, perché sapeva che il suo cuore, il suo spirito non potevano attendere ancora molto.
I lunghi capelli scendevano lisci e morbidi lungo la schiena e ai lati del perfetto volto, così fine e delicato che sembrava essere scolpito nella porcellana. Le labbra rosee erano appena schiuse, come se stesse cercando le parole per esprimere un concetto che non voleva uscire. Gli succedeva spesso a dire il vero. Gli occhi, chiari e limpidi come il mare che si stagliava giù dal promontorio, erano fissi avanti a se, orgogliosamente, quasi ostinatamente, fissi nel buio che lo circondava.
Bellissimo e perfetto, circondato da quell'aura di tormentata nobiltà ed eleganza che sempre lo contraddistingueva, qualsiasi cosa stesse facendo.
Troppo bello per la sua natura.
E dopo alcuni minuti di discesa silenziosa, ecco finalmente, approssimarsi l'arena.
L'espressione di Albafica era seria mentre avanzava, ora più lentamente, facendo attenzione che il suo cosmo non svelasse la sua presenza al ragazzo che, lo sentiva chiaramente, si stava allenando da solo...non c'era bisogno del cosmo, lui sapeva che stava arrivando.
Quando fu infine di fronte all'ingresso dell'arena, si fermò di colpo, lasciando ora che i propri occhi si fissassero nella porzione di luogo che era visibile da quella posizione: come aveva previsto, come già sapeva, Defteros era lì.
Per qualche attimo, rimase fermo all'ingresso, osservando la di lui figura intenta in faticosi allenamenti che aveva di soppiatto osservato la mattina eseguire dal gemello...agili e scattanti le sue movenze, nulla da invidiare ad Aspros, se non forse il fatto di poterle eseguire alla luce del sole.
Albafica, ogni sera che passava, rimaneva sempre più colpito dai progressi dell'altro.
Ma stranamente per un guerriero del suo calibro, non era quello che andava a cercare, notte dopo notte...affatto. Con un sospiro, riprese ora a camminare, lentamente, cercando di non fare rumore con i piedi sul sentiero acciottolato, scivolando tra le ombre delle possenti colonne che circondavano l'arena, appiattendosi contro di essere per continuare a guardare, inosservato.
Quella notte, la luna era così alta nel cielo, da illuminare di una tenue luce azzurrina il corpo dell'altro ragazzo, vestito solo di una semplice tunica e un paio di brache, oltre che dalla maschera che era costretto a portare sul viso. Saltava da una parte all'altra, velocemente, cercando probabilmente di imitare i colpi del gemello, cercando di ricordarne l'esecuzione per riuscire a copiarli, a eseguirli nello stesso modo.
Un colpo.
Un altro.
E di nuovo un colpo.
Albafica osservava, nascosto nel suo angolo tra le colonne, il respiro appena accennato per non disturbare...anche il minimo rumore avrebbe potuto turbare la pace e la bellezza di quel momento così magico.
La figura elegante del ragazzo si mosse appena nell’ombra, tentando di colpire con uno di quei colpi osservati durante il giorno il suo immaginario avversario, poi con agilità degna del miglior saltimbanco, fece un piccolo balzò all’indietro, portandosi in posizione di guardia. Un secondo ancora, prima di lanciarsi di nuovo all'attacco contro l'aria, sua unica compagna di allenamento.
Una cosa che avevano in comune, pensò tristemente Albafica.
Sarebbe andato avanti a guardarlo per ore e ore...quando ecco, Defteros si fermò, improvvisamente.
Albafica trattenne il fiato, temendo e sperando, che come ogni notte l'altro avesse avvertito la sua presenza, il suo cosmo a malapena trattenuto. Succedeva ogni notte, fin dal primo giorno in cui si era recato fin lì...ad un certo punto, Defteros si accorgeva della sua presenza, e interrompeva i suoi allenamenti, giusto qualche momento, giusto il tempo di cercarlo con lo sguardo e far incontrare i loro occhi.
Occhi carichi di determinazione e di tristezza.
Non gli aveva mai detto niente, mai una parola...si limitava semplicemente a fissarlo per qualche minuto, scavando nella di lui espressione con delicatezza, quasi avesse paura di rovinarlo, cercando in quegli occhi soli esattamente come i suoi un po' di calore umano.
Poi, dopo qualche attimo di febbrile comunione, tornava ai suoi allenamenti, come se niente lo avesse disturbato.
Albafica, non viveva che per quel momento.
Pateticamente, si costringeva a ricordare ogni volta.
Ed ora lo aspettava, aspettava con ansia che lui si accorgesse di lui.
E così fu.
Lentamente, la Stella Oscura aveva abbassato i pugni, tesi per la mossa che stava eseguendo, rilassando le braccia e lasciandole cadere ai fianchi. Poi, si era voltato verso di lui, ben sapendo dove l'avrebbe trovato.
I loro occhi, cozzarono bruscamente gli uni negli altri, in uno schianto di diamante e zaffiro.
Albafica trattenne il fiato, sentendo come una breve scarica elettrica salirgli alla schiena quando i loro sguardi divennero un tutt'uno. C'era qualcosa di diverso quella sera, lo sentiva nell'aria, e lo percepiva nella pressione che gli occhi di Defteros esercitavano nei suoi...una pressione forte, decisa, bramosa quasi.
Stranamente, inspiegabilmente, a quello sguardo così intenso,  sentì una scarica di eccitazione salirgli alla schiena, forte come mai gli era capitato di provare...era uno sguardo strano, insolitamente carico di aspettativa e passione.
Una passione che mai aveva percepito ne provato prima.
Perché lui, certe cose non poteva provarle.
Era inutile, giacché con nessuno poteva sfogarle.
Un sorriso stanco gli si sarebbe disegnato sulle perfette labbra, se esse non fossero state tanto serrate, quasi stesse cercando di impedire a quei sospiri che premevano sulla sua bocca di uscire...sospiri incontrollati e che minacciavano di avere la meglio su di lui, quasi fosse una ragazzina alla prima cotta.
Gli occhi erano solo per lui.
Per Defteros.
Che da lontano, dalla sua posizione, continuava a guardarlo silenziosamente, serio ed adorante, come se non avesse mai visto niente di più bello al mondo...e probabilmente, era davvero così.
Che cosa gli prendeva? Si domandò il Cavaliere dei Pesci.
Odiava quegli sguardi di apprezzamento, quei sussurri ammirati che si alzavano ogni volta che palesava la sua presenza in qualche luogo. Odiava quella raffinata e splendida bellezza che la natura gli aveva donato, la detestava con tutte le sue forze perché infondo, di essa, non se ne sarebbe mai fatto niente. E perché essa, in modo beffardo e crudele, si ergeva primaria allo sguardo altrui, nascondendo le sue altre caratteristiche, i suoi tratti da guerriero che lo avevano reso tanto orgoglioso nel corso degli anni di addestramento.
Quello che per lui veramente contava.
Una splendida rosa solitaria che si ergeva in un magnifico giardino, più sublime e profumata di ogni altra, eppure così pungente da essere un pericolo per chiunque osasse avvicinarsi più del dovuto...come si poteva accettare un simile destino a cuor leggero?
Lui era solo, doveva restar solo, per non causare morte a chi gli stava caro.
A chi gli stava caro come il gemello che ora lo stava fissando, la giovane Stella Oscura così simile a lui con il quale mai aveva parlato, ma che ogni sera, prima di andare a dormire, osservava per ore infinite allenarsi, cercandone lo sguardo come un assetato che si chinava a bere da una fontana, cercandone la comprensione infinita che vi leggeva.
Perché loro, fondamentalmente, erano uguali.
Uguali perché pericolosi.
Uguali perché diversi da tutti gli altri.
Uguali perché non potevano stare con gli altri.
Uguali, perché non potevano nemmeno toccarsi.
Eppure...eppure...eppure non poteva che essere grato in quel momento della sua bellezza, quella bellezza che alla luce disprezzava, ma che nell'oscurità della notte sapeva essere così perfetta nonostante tutto...perché era solamente per lui, per Defteros, che ancora lo guardava, quasi senza avere il coraggio di respirare.
Era bello Defteros.
Bello come un Dio, sebbene non lo avesse mai visto senza la maschera che era costretto a portare. E non era nemmeno perché era il gemello di Aspros che poteva dirlo con tale certezza...semplicemente lo sentiva, lo percepiva. Vedeva quello che gli altri non potevano vedere, e quello bastava per renderlo splendido ai suoi occhi: la sua fierezza, la sua malinconia, il suo affetto sincero per il fratello, l'irruenza e la passione nascosta in ogni suo gesto, forzatamente misurato.
Lasciò che il suo sguardo gli penetrasse dentro, sotto la pelle, scendendo sempre più in profondità, arrivando fino alla più intima essenza del suo essere...quegli occhi così limpidi, così sinceri, eppure così annebbiati dalla solitudine.
Albafica conosceva benissimo quell'espressione.
Era la stessa che vedeva allo specchio ogni mattina...gli occhi, di chi era condannato a rimanere solo.
Era la stessa che avrebbe tanto voluto cancellare dal viso del giovane che gli stava di fronte.
Quegli occhi che lo stavano accarezzando, quello sguardo che insistente sembrava frugare tra i più segreti meandri del suo essere, lo conoscevano alla perfezione, lo capivano più di chiunque altro al mondo...sentiva il loro calore, la fiamma di segreta passione che in essi brillava carezzargli la pelle, seducente, ancora più intima di una vera carezza.
Trattenne in respiro il Cavaliere dei Pesci, quando si accorse che Defteros, era avanzato di qualche passo, piuttosto lentamente, verso la colonna sopra la quale era poggiato.
Il silenzio aleggiava su tutto, solo il lento stropiccio dei piedi dell'altro sulla pavimentazione di pietra faceva capire che il tempo no, non si era fermato, che non erano soli al mondo sebbene sembrasse il contrario, che la notte non era eterna e che presto il sole sarebbe giunto, rendendoli di nuovo soli, di nuovo abbandonati.
Ma il sole, non sarebbe arrivato subito.
Con un sospiro, Albafica si lasciò andare ancora di più contro la colonna che fino a quel momento lo aveva retto, come se fosse la sua unica spalla, languido quasi nelle sue movenze, attendendo con ansia e paura che il ragazzo gli si avvicinasse.
Temeva e bramava quel momento, al pari di una chimera.
Non era la prima volta che si guardavano, così a distanza, timidi quasi come due scolarette.
Ma quella, in assoluto, era la prima volta che l'altro ragazzo si avvicinava, e la cosa spaventava un poco Albafica.
E se avesse voluto toccarlo?
Come avrebbe dovuto reagire?
Non era sicuro di riuscire ad allontanarlo, non ora che i suoi sensi erano così svegli ed eccitati. Era un ragazzo nel fiore degli anni infondo, un ragazzo che per costrizione non era mai stato toccato da mano umana, per lo meno da quando aveva cominciato il suo addestramento con le Damon Rose.
Stava già cercando le parole adatte per allontanarlo, ma non ne ebbe bisogno, perché Defteros, come se avesse captato i suoi pensieri e le sue paure, si fermò, a un passo di distanza. Abbastanza vicino per continuare a guardarlo, ma abbastanza lontano per non spaventarlo ulteriormente...lo guardò negli occhi, intensamente per qualche secondo, e per un breve istante, ad Albafica parve percepire un lieve accenno di sorriso al di sotto della di lui maschera.
Un sorriso per dirgli che tutto andava bene.
Che si, andava bene anche così.
E di nuovo, tornò a guardarlo.
Quello sguardo che come fuoco liquido gli carezzava il corpo al di sotto dall'armatura, che gli scivolava sulla candida pelle come una goccia di sangue vivo, che scendeva lungo le sue spalle, lungo il petto muscoloso, lambendogli il ventre ben modellato, arrivando fin giù, sempre più giù...riscaldandogli i lombi con un calore mai provato prima, accendendolo di una passione che non sapeva se poteva controllare o meno.
Lo sentiva frugargli tra i vestiti, con una naturale dolcezza d'amante inesperto, con l'impazienza di uno sposo al talamo nuziale, con la tenera goffaggine di chi come lui, mai era stato toccato e mai aveva toccato un corpo vivo, caldo.
Improvvisamente, Albafica si accorse che l'armatura e le vesti sotto di essa, in un certo particolar punto, si stavano facendo troppo stretti...alzò il viso verso Defteros, appena imbarazzato, tornando di nuovo a incontrare i suoi occhi. Un lieve accenno di comprensione balenò in essi, e con sconcertante certezza, capì che il ragazzo che aveva di fronte, sapeva perfettamente l'effetto che gli stava facendo.
Poteva uno sguardo, eccitarlo in quel modo?
Sentì il fiato mancargli improvvisamente alla gola, mentre ora, il suo sguardo, scendeva rapidamente sul corpo di Defteros, accorgendosi solo ora, delle piccole goccioline di sudore che gli costeggiavano la pelle del collo, piccole perle di tensione che scivolavano lentamente lungo la sua pelle, perdendosi nella scollatura della tunica che indossava, sensuali come una sirena ammaliatrice.
Tunica che odorava di lui.
Di Defteros.
Un odore maschio e virile, che mai aveva potuto percepire prima di quella sera, e che ora poteva sentire per via di quella distanza ravvicinata, rischiosa, che mai prima era incorsa tra di loro.
Sentì le ginocchia cedere, e con un gesto disperato si artigliò alla bianca colonna alle sue spalle...non voleva che Defteros lo vedesse cedere come una verginella, e si impose, strenuamente, di rimanere in piedi. Eppure la sua espressione, così colma di desiderio malcelato, di desiderio sofferente, valeva più di qualsiasi altra parola.
E lasciando correre a sua volta lo sguardo sul suo corpo, sulla di lui pelle, saggiando con gli occhi tutto ciò che avrebbe voluto personalmente onorare, lo sguardo si portò infine tra le di lui gambe, dove senza pudore alcuno, un notevole rigonfiamento faceva ormai mostra di sé, segno che anche i pensieri dell'altro camminavano in una sola direzione.
Di nuovo un languido sospiro gli sfuggì dalle labbra, che a malapena trattennero un gemito di frustrazione, all'idea di non poterlo toccare.
Quanto lo avrebbe voluto...allungare le mani per sfiorarlo, accarezzarlo a di sopra delle brache che lo rivestivano. Sollecitarlo appena, insistendo con quella leggiadria che era propria delle sue mani, fino a insinuarsi infine tra i sue vestiti, andando ad afferrare quella carne bollente che richiedeva sollievo, lasciando che i loro respiri si fondessero in un tutt'uno, in un solo ed unico gemito di piacere.
Avrebbe voluto liberarsi dell'armatura, e correre a stringersi al forte corpo maschile che si presentava di fronte a lui, ancora completamente vestito, ma che nella sua fantasia, si presentava maestosamente nudo, come era venuto al mondo. Avrebbe voluto baciare quella pelle abbronzata, quel corpo di marmo, quelle labbra perennemente nascoste sotto la maschera.
Avrebbe voluto sentire il sapore della sua pelle al tocco dei suoi baci, l'odore acre del suo sudore, la forza delle sue braccia mentre lo trascinavano a terra, liberandolo infine dell'impaccio dei vestiti e facendo con il corpo, quello a cui il suo sguardo stava alludendo con pacata insistenza.
Quello sguardo che ormai lo aveva mentalmente spogliato di ogni armatura, di ogni vestito, e che si soffermava insistente sui suoi fianchi, sulla sua ormai del tutto risvegliata erezione che premeva con forza contro i vestiti e l'armatura d'oro della quale era rivestito.
Bastava così poco, a mandarlo in estasi?
Era possibile per entrambi, eccitarsi in modo così palese e intenso, solo guardandosi negli occhi?
Forse era solo immaginazione.
Eppure quell'immaginazione lo stava toccando, quei pensieri lo stavano accarezzando, riempiendogli il corpo di eccitazione e piacere...un piacere così fievole da essere appena percettibile, eppure più appagante di qualsiasi altra cosa.
Correva il tocco dello sguardo di Defteros sul suo corpo, sulla sua erezione, come una mano immaginaria che si muoveva al solo scopo di dargli piacere, dando forma alle più intime fantasie del suo cuore. Si insinuava in lui con un alito di vento, un sospiro e un gemito appena mormorato nella notte silente, cercando di risalire dentro di lui, possedendolo con una dolcezza che non era proprio del corpo, ma che dello spirito si faceva re.
I loro corpi cozzavano insieme in un ventaglio di colori, si univano in una foga immaginaria al limite delle percezioni umane, fondendo i loro respiri, i loro gemiti appena accennati...i loro occhi dicevano più di mille parole, facevano più di mille carezze, e davano più di qualsiasi altro tocco. Era immaginazione eppure non lo era...quelle mani così forti che si sfioravano, quei corpi maschi che si univano, quel calore che pervadeva ogni singola fibra dei corpi dei due ragazzi.
Era così bello.
Così sublime.
Così Sacro.
E così triste.
Stavano facendo l'amore.
A modo loro, ma era quello che stavano facendo.
Albafica sentì il respiro venirgli meno, mentre ora, i suoi occhi chiari come il diamante si fissavano, insistenti, sulle labbra di Defteros, come se desiderasse in qualche modo sfiorarle con le proprie...e appena socchiuse gli occhi, sporgendo appena in avanti il viso, portando la propria bocca appena a sfiorare l'aria, dirette a ipoteticamente baciare quella di lui, nascosta sotto la maschera.
Un attimo solo, un bacio colmo di passione e tenerezza.
Un bacio che mai si sarebbe realizzato, così amaro da far male.
Defteros esitò.
Non si mosse, per lunghi, lunghissimi istanti, riportando con estrema lentezza, in una languida carezza, gli occhi in quelli del compagno per la notte, fissandoli intensamente mentre la mano destra, appena esitante, si alzava lentamente, trascinata quasi con reverenza verso il viso del Cavaliere dei Pesci, cercandone il contatto con la pelle liscia, cercando di carezzarlo, di sfiorarlo.
Sarebbe bastato così poco per poterlo finalmente toccare.
Pochissimo.
-non...non toccarmi...ti prego...- mormorò Albafica, quando vide la mano dell'altro avvicinarsi pericolosamente al suo viso. La sua voce era sottile, spezzata dalle forti emozioni che ancora stava provando, eppure tremendamente spaventa.
Non si sarebbe mai perdonato, se avesse fatto del male a lui.
A quella supplica, la mano dell'altro ragazzo si fermò, a soli pochi centimetri dalle pelle della guancia di Albafica. Pelle che doveva essere sicuramente morbida come le rose di cui era signore, profumata come i boccioli che faceva nascere solo con il suono della sua voce melodiosa -morirei, per un tuo bacio...- mormorò Defteros, senza tuttavia abbassare la mano, ne avvicinarla ulteriormente.
Le prime parole tra loro mai dette.
Le parole che più sapevano di una condanna.
Il Cavaliere dei Pesci, a stento trattenne le lacrime...no, mai più avrebbe pianto il Cavaliere , mai più avrebbe versato una sola lacrima per il suo destino...era questo il giuramento che aveva pronunciato il giorno in cui si era votato ad Athena, il giorno in cui aveva accettato la sua sorte per un bene maggiore. Eppure, mai come in quel momento, avrebbe voluto piangere come il ragazzino che era -si...moriresti...- mormorò, distogliendo gli occhi per qualche attimo. Solo per poco, perché di nuovo sentì in bruciante desiderio di tornare a guardarlo, di incatenare ancora i loro sguardi, di sentirlo dentro di se in una maniera così forte e marcata, che nemmeno fisicamente avrebbe potuto essere così sentito.
Perché amava Defteros.
Lo aveva amato dal primo momento, dal primo attimo in cui una notte di molte settimane prima, i loro occhi si erano incontrati da dietro una colonna, sfiorandosi così intimamente da eguagliare una carezza d'amante.
Da quando era iniziato quel loro far l'amore con gli sguardi.
Da quando avevano capito, che mai si sarebbero potuti sfiorare.
Defteros esitò, qualche secondo, come se stesse valutando il rischio...poi lentamente, senza mai avvicinare la mano alla pelle di Albafica, il ragazzo iniziò a far scorrere la mano, accennando ad una delicata carezza al volto dell'altro, dolcissima, spostando appena l'aria a pochi centimetri dalla guancia che tanto avrebbe voluto toccare.
Albafica fremette a quel contatto inesistente.
Poteva appena percepire l'aria smuoversi vicino al suo viso, eppure si, anche quella era una carezza, e la più dolce in assoluto che avesse mai ricevuto. Piegò appena il volto, come se davvero stesse sorbendo il tocco delle di lui dita, lasciandosi sfuggire un gorgoglio di gradimento.
Poi, la mano di Defteros si allontanò bruscamente, come se stare così lontano gli facesse male, e il ragazzo se la portò al cuore, in un gesto che voleva semplicemente dire, che avrebbe voluto stringerlo a se e amarlo, amarlo come mai era stato amato prima.
Amarlo come nessuno avrebbe mai potuto fare.
-verrai domani?- solo due parole, le uniche che avessero significato.
Lentamente, Albafica annuì, lasciandosi sfuggire un sorriso vago e splendido -si...- rispose semplicemente, prima di sciogliersi dall'abbraccio che aveva intrecciato con la colonna di marmo, indietreggiando di un passo, senza mai smettere di guardare quegli occhi color zaffiro che avevano saputo dargli tanta passione in una notte soltanto.
Il suo corpo, era ancora caldo ed eccitato, eppure dentro di se, all'altezza del cuore, sentiva uno strano sollievo...i loro spiriti, i loro Cosmi così strettamente uniti, avevano infine raggiunto il supremo piacere insieme, un piacere che trascendeva la carne e l'apparenza.
Un piacere che il veleno non avrebbe mai potuto contaminare.
-a domani...- un sussurro, l'ultimo gli rivolse Defteros, allontanandosi a sua volta di un passo. Se fosse rimasto ancora così vicino al suo profumo, non l'avrebbe più lasciato andare.
Albafica esitò, ancora qualche attimo...poi, lentamente, con un vago fruscio di mantelli, diede le spalle al compagno di notte, iniziando a incedere lentamente lungo il sentiero, in direzione della bianca scalinata che lo avrebbe infine riportato alla propria Casa.
Sapeva, che il pensiero di Defteros lo avrebbe accompagnato per tutta la notte.
Non gli aveva mai detto nel loro breve scambio di parole, che era bello. Mai. Nemmeno una volta, neanche un piccolo accenno.
E per questo, Albafica lo amava ancora di più.
Perché come lui sapeva vedere sotto la maschera che Defteros era costretto a indossare, anche l'altro riusciva a vedere sotto la Bellezza che la natura gli aveva, con crudele ironia, affibbiato, trovando la vera essenza del Cavaliere dei Pesci.
Il suo nobile orgoglio.
La sua immensa solitudine.
Il grande bisogno di avere qualcuno che sapesse stargli a fianco senza mai toccarlo veramente.
Quel bisogno, che anche se solo per una notte, era stato soddisfatto.
E silenzioso come un fantasma, Albafica scivolò infine all'interno della Dodicesima Casa, dove le sue rose, uniche compagne della sua vita al sole, lo attendevano come moglie fedele, come madre devota.
E fuori, Defteros ancora osservava la strada nella quale il suo amante illusorio si era allontanato, osservava quelle colonne che lo avevano ospitato, quella piccola nicchia che ancora odorava prepotentemente di rose e che ancora emanava lievi influssi del suo cosmo.
Defteros.
Unico compagno della sua vita nella notte.

Fine


*coff coff*
Eccomi, sono pronta ad essere linciata XD
Ehehehe, so che urgono spiegazioni per questa mia, come dire...improvvisata su Lost Canvas XD avevo una voglia tremenda di scrivere qualcosa su Albafica, il mio personaggio preferito della serie (come si fa a non amarlo?? Come??!!) ma non sapevo proprio con chi accoppiarlo, visto che ha fatto una fine pessima prima di vederlo relazionarsi con gli altri (cosa che credo non avrebbe mai fatto comunque!). Così ragionandoci un po' sopra, mi sono detta “mha, in fin dei conti lui e Defteros hanno una situazione simile...” e così la mia mente ha elaborato da sola verso l'infinito e oltre XD
Spero non sia stata del tutto sgradita come improvvisata xDD

E in attesa del mio prossimo lavoro (perché si, mi spiace ma ci sarà U_U), mando a tutti un abbraccio e un saluto!
Un bacio,
Tifa.
   
 
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