Fictional Dream © 2005 (12 giugno 2005)
Dragon Ball, Bulma, Vegeta e tutti gli altri personaggi sono
proprietà di Akira Toriyama, Bird Studio, Toei Animation, Star Comics e Mediaset
(quali concessionari italiani).
L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright
dell’autrice (Callie Stephanides - http://fictionaldream.iobloggo.com). Non ne è ammessa
altrove la citazione totale né parziale, a meno che non sia stata autorizzata
dalla stessa tramite permesso scritto.
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Esiste un termine che più di ogni altro spiega cosa accada
alla coscienza, quando deraglia. Disorientamento.
Perdita dell’Oriente.
Di un orizzonte plausibile, di una speranza, di un obiettivo,
di una scelta consapevole.
Esistono tratturi nei quali ci si smarrisce per vocazione.
Altri sono trappole aperte dall’incoscienza, altri ancora, abissi in cui perde
l’orgoglio.
Sai bene quale sia il tuo peccato, perché è la cifra in cui
sei morto e rinato mille volte. Là, in campi di battaglia desolati, sperduti,
intrisi di sangue. Là, dove le tue parole cozzano contro la cacofonia delle
armi. Dove la paura è un grido strozzato, o un gelido silenzio. Là, dove il
corpo si muove prima ancora dell’intenzione. Là, dove ti vogliono eroe e sei
solo un fallito. Là, dove il padrone comanda e lo schiavo obbedisce. Là, in quei
meandri che la tua memoria conserva e il tuo cuore tace, l’orgoglio è ciò di cui
ti sei nutrito, che hai vomitato, spesso accanto a fiotti di bile e sangue.
Orgoglio.
Tutto quello che rimane, del resto, a chi si è visto uccidere
un’intera storia.
È per orgoglio che Freezer ti ha ammazzato e Kakaroth
sconfitto. È per orgoglio che hanno provato piacere nello schiacciarti e importi
il loro giogo. È per orgoglio, del resto, che cercandoti in uno specchio hai
visto un volto che ti ha spaventato: perché il tuo orgoglio era un’ombra nello
sguardo e un ghigno eterno. Quella superficie immacolata, invece, restituiva
un’espressione quieta e quasi felice. Un’espressione che non doveva
appartenerti, perché predicava di una resa sottile agli eventi. Lo specchio non
diceva di orgoglio, ma di pace e soddisfazione. Nello specchio c’erano gli occhi
troppo azzurri di un bambino e il sorriso di una donna.
C’erano piaceri quotidiani e comode certezze.
C’erano poche parole e molte sicurezze.
C’era la voglia di fermarsi e porre un punto.
C’era il desiderio di cancellare qualche cicatrice, fissare
nell’eternità un sorriso e seppellire un solco della coscienza.
C’erano notti di sesso e abbracci e perdita.
C’era una nuova catena, senza gloria e senza futuro. Senza
guerra e senza nobiltà. Senza Vejita-sei, i suoi fantasmi scomodi e le sue
eredità dolorose.
Quel cancro putrescente di dolore vivo, in cui avevi creduto
di dover marcire, per alimentare in esso la fiaccola del tuo potere,
all’improvviso, non esisteva più. Chiunque se ne sarebbe rallegrato, ma non tu.
Il tuo orgoglio di scimmia.
Dov’era finito?
Chi l’aveva ucciso per trasformarti in un uomo?
Restava l’amore, ma sapeva sempre più di fiele. Sopravviveva
l’affetto possessivo e geloso, ma si tramutava in terrore: che fosse la fine di
tutto.
Kakaroth non aveva legami e non aveva limiti e non si piegava
a nulla sapesse d’umano.
Kakaroth non sapeva nulla di Vejita-sei, ma era l’unico lo
portasse dentro.
Kakaroth era morto, ma non gli era bastata: era tornato per
porti innanzi al fatto compiuto.
Il Principe non avrebbe mai vinto la Terza Classe.
Kakaroth cagava sul tuo orgoglio e poi ti tendeva la mano.
Chiamava ‘amicizia’ un lurido schiaffo morale e imponeva a chiunque la sua legge
da perdente. Che vinceva: sempre e comunque. L’aveva fatto anche in
quell’occasione. Giocavi l’ultima carta dell’orgoglio, svendendolo a un volgare
insetto, buono solo a comandare ai fantasmi e agli imbecilli: non t’importava
d’entrare in quelle schiere, perché trovare nello specchio quel ghigno
allucinato era davvero più importante di tutto.
Hai perduto ancora: perché l’orgoglio non era solo il grido
allucinato della tua violenza su un campo di battaglia, ma era anche fatto degli
occhi troppo azzurri di un bambino e del sorriso di una donna.
Di piaceri quotidiani e comode certezze.
Poche parole e molte sicurezze.
La voglia di fermarsi e porre un punto.
Il desiderio di cancellare qualche cicatrice, fissare
nell’eternità un sorriso e seppellire un solco della coscienza.
Notti di sesso e abbracci e perdita.
Una nuova catena, senza gloria e senza futuro. Senza guerra e
senza nobiltà. Senza Vejita-sei, i suoi fantasmi scomodi e le sue eredità
dolorose.
Per quell’orgoglio era persino giusto e sacrosanto morire.
Per quell’orgoglio, forse, diveniva dolce anche il sangue incrostato alle labbra
e l’odore ammorbante della carne che brucia e la certezza di un infinito
Inferno. Per quell’orgoglio, c’era piacere persino nel credere a un Terza
Classe, piegarsi alle sue strategie, afferrare la sua mano, amarlo e odiarlo in
silenzio. Capirlo e attraversarlo e condividerlo in un solo corpo.
Per quell’orgoglio si poteva accettare d’essere salvati e
saltare dalla parte giusta della storia, un volta tanto. Per quell’orgoglio si
poteva anche tornare indietro, salutare la vita con un sorriso e non con uno
sputo e scoprire, all’improvviso, di non sapere neppure più dove trovarlo,
l’orgoglio. Persino per ammettere l’incondizionata felicità di un ritorno.
Oltre le tende era ancora estate. Il punto zero si era
consumato in un nulla d’istanti. Dal genocidio assoluto al trionfo della luce,
era intercorso un intervallo ridicolmente breve.
Eppure sulla sua pelle era come fossero scivolati eoni.
Probabilmente erano particole d’Inferno che s’incrostavano all’anima e lì
restavano, contaminandola di schegge fossili. Oppure l’ombra di qualcosa che non
gli si addiceva per nulla: rimorso.
Dalla morte era divenuto persino ridicolmente facile tornare
indietro, ma non rendere il conto di un palese fallimento: non solo sul campo di
battaglia, quanto in quel qualcosa che seguitava a sfuggirgli e si chiamava
vita.
Aveva sbattuto la morte in faccia a un marmocchio. Aveva
svegliato la bestia innanzi a Bulma. E ora tornava: rimettendosi alla pietà di
un giudizio clemente. Se non era una sconfitta quella, minacciava comunque di
somigliarle parecchio.
Perché elementari, tangibili e non per questo meno
dolorosi: su quell’abbraccio voluto e non cercato, per l’ennesima volta,
aleggiava la paura del rifiuto. Poteva invidiare a Kakaroth la faccia tosta di
comparire e scomparire come se nulla lo riguardasse, portando stampato in volto
il sorriso dell’ idiota fortunato, che la famiglia non metterà mai alla porta,
per quanto il suo persistente menefreghismo lo chieda. Poteva imputargli i suoi
mille limiti di uomo e cercare per sé l’eccellenza del saiyan. Poteva
costringerlo innanzi a uno specchio in cui i loro profili si sarebbero
giustapposti sempre con eccessivo difetto. Lo stesso che aveva provato allorché
se li era ritrovati davanti, senza sapere cosa dovesse fare.
Era stato Trunks a cercarlo e Bulma a inventarsi un sorriso
con cui mascherare quell’assurdo imbarazzo. Per proprio conto, se aveva provato
il brivido della felicità, non era riuscito a riconoscerlo.
Ma era stato egualmente intenso in modo travolgente. E bello.
In un suo contorto modo. Ma infinitamente bello.
Il vento tiepido del mattino faceva oscillare debolmente le
tende.
Presto quella vivida luce l’avrebbe svegliata. Forse sarebbero arrivate le
domande dolorose. Forse, il silenzio riposante cui l’aveva abituato.
Si era voltato a guardarla: quante volte l’ aveva già fatto in quegli anni?
Quante volte l’aveva fatto lei?
Indifeso, scoprirsi studiato e vulnerabile. Un tappeto di
segreti svelati ed inquieti. Faceva incredibilmente male, tanto quanto lasciava
increduli. E inteneriti: piccole brecce che l’affetto allargava soltanto, come
ferite anestetizzate dall’endorfinico umidore di un bacio.
“Posso sapere perché mi stai fissando?”
“Perché mi piace guardarti, tutto qui. Non posso farlo?”
“Che ci sarebbe di tanto interessante?”
Non un insetto, non un giocattolo, non un trastullo, non un
animale. Non una catena. Non un nuovo guinzaglio. No. Eppure in quegli occhi
v’era quello e molto altro.
“Vegeta? Posso sapere perché ti stai coprendo? Hai forse
freddo?”
Sfregi dentro e fuori. Mappe di dolori e allucinazioni e
sogni infranti. Non guardare. Non toccare, o avrebbero ripreso a gemere la loro
storia disperata.
“Non sono un topo da laboratorio o una delle tue cavie. Non
c’è proprio niente da guardare.”
“Ma sei impazzito o cosa? Come ti salta in mente possa
pensare una cosa simile? E togliti di dosso quel lenzuolo. Fammi vedere quanto
sei bello.”
“Bello? Il mio corpo ti pare bello?”
Non c’è bellezza senza crudeltà. La tua è tutta negli occhi
da lupo braccato e ferito. Non vuoi bellezza, perché sai chi se l’è presa tutta.
Ne ha goduto e lasciato lo straccio sudicio. Non ce n’è più, per lei. Oppure
semplicemente, non vuoi che la scopra.
“Non dovrebbe? Voi Saiyajin andate forse a letto con chi vi
fa schifo?”
Nessun tremito, nessuna esitazione. Gioca tra le tue gambe
con la sua bocca e con il suo cuore. Il tuo sesso la riconosce, la vuole, la
penetra. La Vita diventa qualcosa di concepibile all’improvviso. Il tuo seme
cerca una strana eternità fatta d’incontri e non separazioni, questa volta.
Quasi non ti accorgi che tuo figlio sta nascendo. In quell’istante. Nel tuo
abbandono.
Tra nove mesi sarà solo inverno e neve. Ma non ci pensi. Ora
vivi e godi. Non t’importa dell’orgoglio della tua razza, perché l’orgoglio che
cerchi è tutto qui. Tra le sue cosce.
Non l’aveva voluto.
Né l’uno, né l’altro. Sarebbe morto per lui. Per l’uno e per
l’altro.
L’amore era un ginepraio ostile, ma quegli occhi erano il
frammento di qualcosa che gli apparteneva. Era giovane, ma pieno d’orgoglio. Non
era solo la stupidità dell’infanzia: era il coraggio stolido e cieco di un’idea.
Non gli importava di vivere e non si poneva domande. Ma sapeva combattere e
aveva trovato da solo quella strada.
Erano i miracoli di un orgoglio diverso da quello che gli
apparteneva: forse si chiamava ‘forza’ e non ‘rabbia.’
Ma cosa poteva saperne? Cosa poteva insegnargli, chi una
madre l’aveva conosciuta forse solo nell’odio e un padre nell’indifferenza?
Chi alla parola padre associava l’orrore annichilente di un mostro
biancastro, dal sorriso gelido e sadico del dominatore consapevole? Chi
d’orgoglio aveva vissuto, anche quando gliel’avevano fatto succhiare
nell’obbrobriosa violenza dell’unica prevaricazione l’avesse distrutto davvero?
Niente.
Idiota chi pretendeva il contrario.
Troppa pace. La guardia perennemente abbassata di chi neppure
concepisce l’ipotesi di una violenza. Gli somigliava e distavano eoni al
contempo. Forse lo amava, ma in un modo che un terrestre non avrebbe mai capito.
E forse non era neppure amore, quanto la voglia di dividere un dubbio e
chiedergli di sciogliere mille perché: dove si trovasse la fiducia cieca che lo
attraversava. Dove si comprasse quell’orgoglio senza spine e senza ombre. Dove
s’imparasse a credere alla vita, prima ancora che alla sua negazione.
Era un bambino, ma c’erano mille saggezze nascoste tra i fili
lavanda di quel capino abbandonato. L’aveva abbracciato ed era stato bello. Era
stato dolce e tenero e sorprendente. Ma non l’avrebbe fatto ancora: arrendersi
alla forza di quel sentimento era come abbassare la guardia per l’ennesima
volta. Era rinunciare all’orgoglio che aveva scelto come bandiera: una
professione di unicità. Perpetua. O forse no.
Ma non puoi rinunciare alle tue contorte geometrie senza cadere in pezzi. È
il prezzo di una ferita antica e di una menzogna che chiami ‘orgoglio.’
‘Non è una menzogna.’
Lo è già diventata.
Non te ne frega più niente. Neppure di Kakaroth. In questi
dieci anni, l’unico orgoglio in cui credi è quello d’essere sopravvissuto.
Malgrado tutto: ce l’hai fatta.
Ti stringe da dietro e bacia il collo. Le sue dita scivolano
sino a dove, troncato, v’è un pezzo della schiatta per cui non ti sei mai
arreso. Potreste fare l’amore, anche in questo momento. Anche davanti a vostro
figlio, neppure a mostrargli com’è che si concepisce un miracolo. Ma non è quel
che volete. Nessuno dei due. Amate il vostro silenzio e i vostri corpi contratti
nel buio e nel contorto segreto di un bozzolo in cui il vostro amore viene
scaldato e nutrito ogni volta. Amate anche lui, per quel che rappresenta: un
orgoglio condiviso, questa volta. Un rosso filo che vi ha tenuti avvinti quando
tra la vita e la morte non v’erano più soluzioni compromissorie.
“Passi in rivista le truppe?”
“Sono troppo vecchio per fare il soldato.”
“A vederti, non si direbbe.”
“Pensa quello che vuoi.”
“Non ho mai solo guardato. So anche ascoltare.”
“In quale silenzio sottratto alla tua lingua?”
“In quello che incateno alla mia.”
Forse il suo orgoglio è anche il tuo.
Ringraziamenti e saluti: Spero davvero con tutto il cuore che i miei soliti, cari lettori passino di qui, perché mi approprio di questo spazio come se fosse una cartolina :-) Sono in partenza: per la precisione non tornerò prima del venticinque agosto. Questo vuol dire, insomma, che vi darò finalmente un po' di tregua. Questo, in parte, giustifica un'evenienza per la quale mi scuso tantissimo: il fatto, cioè, non sia ancora passata io a leggervi. E, notate bene, non perché lo veda come obbligo, ma perché le riflessioni che fate, i commenti e le impressioni che mi lasciate mi aiutano a guardare il fandom con i vostri occhi e nutrono la mia curiosità. Inoltre mi piace lo scambio, in tutte le cose che faccio: nella vita e negli hobby.
Purtroppo ho avuto da lavorare fino alla fine di luglio e da organizzare questa partenza all'ultimo minuto. Aggiungiamoci che, dopo tanti anni, pubblicare in uno spazio non mio mi carica di una serie di ansie incredibili. In breve: sono indietro con tutto. Anche con il piacere.
Infine scappo: a ricaricare le pile, prima di tutto e poi, chissà? Magari a pensare nuove storie! Vi lascio con un sorriso, un abbraccio e un ringraziamento che viene proprio dal profondo del cuore, perché non mi aspettavo un pubblico così bello.
E visto che sono in ritardo proprio su tutte le cose importanti, spero mi leggano yori e Gliuz87, che desideravo ringraziare per le interessantissime riflessioni lasciate in sede commento a Black Balloon, ma a cui non ho fatto in tempo a rispondere (via e-mail). Mi mancavano da morire i lettori attivi, e ritrovarvi è stato bellissimo :3 Un abbraccio anche all'adorabile Lovelie e a tutti i coraggiosi che hanno trovato uno spazio anche per le mie storie :-)
Vi auguro una bellissima estate e spero di ritrovarvi presto!