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Autore: Ilaja    05/08/2010    10 recensioni
Una mia piccola riflessione su quanto si possa sentire Rosalie, sul suo modo di vedere le cose, e su cosa significhi per lei la vita da vampiro. Siate clementi, è la mia prima fanfic su Twilight:D!!! Spero vi piaccia^^
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emmett Cullen, Rosalie Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia prima storia su Twilight. Bella? Di sicuro no. Divertente? Men che mai. Romantica? Più smielata che romantica, molto probabilmente, perché dovete sapere che io ho contratto l’indole dell’eccessiva tenerezza. Ancora non so cosa verrà fuori, di sicuro nulla di meraviglioso. Però, almeno, spero che questa piccola one-shot vi faccia piacere.

Hope you like it!!

Ilaja

 

Una Rosa per te.

 

rosa

 

Ero al balcone, quella sera. No, non quella. Una sera. Una delle tante. Perché, ormai, nulla distingue un giorno dagli altri. Non il fatto che ci sia il sole, perché non lo sento più baciare la mia pelle; non il fatto che piova, perché non sento più le perle bagnate gocciolarmi sul viso. Nemmeno le carezze di Emmett, perché ogni tocco per me è uguale. Freddo. Duro.

Il vento mi scompigliava i capelli, quei lunghi capelli dorati di cui vantavo, prima. In un’altra epoca. In un’altra vita.

Sorrisi, amara. Quella vita. Un infinito, ingiusto, malvagio destino che aleggiava sui cuori delle persone, le legava ad una scala, sempre in precario equilibrio. Io andavo orgogliosa, di essere in cima a quella scala. Me ne vantavo.

Poi, una birra di troppo, un’anima maligna, e tutto si è sgretolato, sotto i miei piedi scalzi, il pavimento di paglia che mi ero costruita con fatica.

Invece, qui, il pavimento era di marmo. Solido. Infrangibile. Ero fin troppo sicura di quel che mi sarebbe accaduto domani. E odiavo con tutta me stessa quell’inossidabile sicurezza.

Nulla sarebbe mai cambiato. Ero solo un blocco di pietra, bello ma ghiacciato. Una statua. Un manichino vivente.

E ora osservavo, dall’alto di questo balcone. Osservavo la vita procedere. Un albero di fronte alla casa stava mettendo fuori le gemme, alla vigilia della primavera. Un cerbiatto faceva capolino dietro il suo tronco, timido, minuto, fragile. Quei suoi occhi neri avevano paura. Paura. Ormai invidiavo anche un cerbiatto che poteva avere paura. Io non ne ho più.

Dovrei avere paura di quei vampiri toscani che ci minacciano di morte? Paura di quei cani bastardi che difendono con i denti il loro territorio? No. Non potrò mai avere paura. Anzi, se mai morirò, ne sarò felice. Perché, di sicuro, la morte, in un altro mondo, è meglio della vita in questo.

Il rombo di un’auto spaventò il cerbiatto, che fuggì via, dietro gli alberi, inseguito dalla sua paura, dalle sue debolezze, dal suo cuore ancora pulsante.

Lo sportello si aprì, e ne scese Edward. Molto probabilmente aveva appena accompagnato a casa la ragazza. Bella. Quell’umana felice, che ha tutto, ma che ne vuole avere di più, ancora. Ecco un’altra grande debolezza degli umani: l’avidità. Molti hanno fame di soldi, lei ha fame d’amore. Ma l’amore non potrà mai ricompensare la vita.

La finestra dietro di me si spalancò. Era Emmett. Lo riconobbi dai suoi passi: volevano suonare delicati, per non disturbarmi. Inutile, però. Lui era un orso. Virile, forte, protettivo nei miei confronti.

Ma nemmeno Emmett avrebbe potuto salvarmi da questa orribile, immortale vita. E lui lo sapeva. Si limitava a rendermi l’infinita mia esistenza leggermente più piacevole.

“E’ un bel tramonto.”

Il rosso sole andava a dormire, piangendo i suoi ultimi raggi sulla vegetazione. Sì, era un bello spettacolo. Effimero ma ripetitivo.

Sorrisi. “Anche il sole sa essere felice. Guarda: da’ la sua luce a queste piante. E’ in grado di donare qualcosa a chi ne ha bisogno. E per questo, scommetto, è felice.”

Sentii la sua mano accarezzarmi delicatamente il viso. Socchiusi gli occhi: lo amavo.

“Tu sei felice?” fece Emmett, abbracciandomi da dietro.

Appoggiai la testa contro di lui, facendomi cullare dal suo corpo. “Non ricordo nemmeno cosa sia la felicità” mormorai, chiudendo gli occhi, quella pietra che avevo al posto del cuore che mi faceva male.

Silenzio, rotto dal suo stringermi a sé, quel rumore di vestiti scostati che mi avrebbe fatto battere il cuore, una volta.

Una rosa fece capolino da dietro i miei capelli. Era bianca. Spinosa. Così, meravigliosamente, unica.

“Grazie.” Non seppi dire altro.

“Rosalie.” Quel tono lo usava quando stava per iniziare un discorso, uno di quei suoi stupendi discorsi: tre parole, un fiume di pensieri.

“So che è difficile, per te quanto per me, continuare a vivere questo strazio, anche dopo quei due, tre secoli con cui ci si è fatta l’abitudine. Lo capisco. Ma devi imparare ad andare avanti. Sii felice di quello che sei, di quello che hai, delle piccole cose che ci fanno star bene. Hai me. Hai noi. Hai questa rosa. E non tutti ce l’hanno. Solo te. Perché questa è una rosa, ed è unica. E quest’unico esemplare ce l’hai tu. Sorridi. Ti farà bene.”

Parole che mi scaldarono dentro. E ricordi… ricordavo. Una camomilla bollente a letto, la sera, quando avevo una madre, quando ricordavo cos’era il caldo. Una goccia di sangue: mi ero punta con un ago, quando ancora non avevo sete di quella goccia.

Sì, dovevo essere felice di quei ricordi, felice di Emmett, felice di quella rosa.

Domani non sarebbe stato uguale ad un altro domani.

Domani sarebbe stato domani. Quel domani.

E quella sera era quella sera. Non una sera.

Avevo capito.

Finalmente.

  
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