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Autore: Shinalia    06/08/2010    10 recensioni
Piccola one-shot della serie "Essere Genitori"
Quando due bambini decidono di dedicarsi agli esperimenti!
Estratto capitolo: « Non mi è piaciuto! » sentenziò lei, senza remore, altrettanto delusa. Un’affermazione che anni dopo non si sarebbe più potuta concedersi, ma che in quell’istante fu spontanea e semplicemente onesta, come può essere solo un bambino. Senza malizia, senza titubanza.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billy Black, Charlie Swan, Isabella Swan, Jacob Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Essere genitori.'
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one- shtot

*O* Salve salvino! Eccomi con una nuova one-shot della serie: Essere genitori. In verità questa vi rientra solo marginalmente, potrebbe essere vista più come una "What if...?", che ha come tematica un'eperienza infantile. I protagonisti qui sono Bella e Jacob da bambini, con i rispettivi padri. Bhe, non mi resta che sperare che vi piaccia *O* Non so nemmeno come sono riuscita a scriverla, in questa mini casa, con mio padre e mio fratello che fanno casino dalla mattina alla sera. Un vero tormento!

Bhe, la smetto di tergiversare e vi lascio alla mia piccola ff, un bacione!


I baci? Che schifo...

Isabella Swan era una bambina estremamente tranquilla. La timidezza che la caratterizzava la spingeva a tenere sempre un comportamento irreprensibile, timorosa di castighi o rimproveri. Viveva con sua madre a Phoenix ormai da qualche anno e, nonostante la lontananza dal suo papà, la sua vita era serena e tranquilla, pur essendo spesso costretta a far fronte agli strani comportamenti di Renèe e le sue strampalate idee.

Ma in fin dei conti lei la trovava divertente e tanto buffa.

L’estate era però ormai alle porte e, come ogni anno, in quel periodo, era diretta a Forks, per trascorrere le vacanze in compagnia di suo padre. I suoi genitori avevano divorziato pochi anni dopo la sua nascita quando sua madre aveva deciso di abbandonare quel paesino troppo angusto e con lui suo marito. Così si erano trasferite e Bella – come erano soliti soprannominarla – riusciva a vedere Charlie solo in rare occasioni, a causa della lontananza.

«Papà!» esclamò sbracciandosi accanto alla hostess, che gentilmente si era offerta di accompagnarla. Il viaggio era stato tranquillo e Renèe, impossibilitata ad allontanarsi, a causa del lavoro, era stata costretta a chiedere agli assistenti della compagnia aerea di badare alla sua bambina, durante il volo, scortandola poi da suo padre all’arrivo. « Sono qui. » urlò, saltellando, per permettergli di vederla, nonostante la calca di gente che li circondava. Non che lui non l’avesse notata, con quel suo vestitino arancione, sgargiante, tipica scelta della sua ex moglie. Spesso si domandava come doveva essere la vita di sua figlia, con Renèe, senza la sua interferenza a moderare i suoi comportamenti strampalati. Era una donna decisamente particolare, e forse per quella sua allegria e per quell’entusiasmo che riversava anche nelle cose più frivole era riuscita a conquistarlo.

Fu trafitto da quei pensieri dolorosi, mentre accoglieva tra le sue braccia un piccolo tornado dai capelli castani. Charlie Swan non potè fare a meno di sorridere sinceramente, alla vista della sua bambina. Erano mesi che non la vedeva e si sorprese di quanto fosse cresciuta in quel periodo, benché fosse noto che a quell’età fosse tutt’altro che anormale.

Lui adorava sua figlia ed il divorzio era stato un duro colpo, perché con esso aveva perduto le due persone più importanti della sua vita. Era ormai da tempo che i suoi genitori erano deceduti e, non avendo alcun fratello o sorella, Isabella e Renèe rappresentavano tutto ciò che restava della sua famiglia.

Il suo rifugio.

Non poteva far a meno di rimuginare spesso sulla sua stoltezza e sulla cecità che lo aveva spinto ad ignorare i palesi segni di malessere di sua moglie, durante gli ultimi mesi precedenti al suo abbandono. Lei detestava le strette mura della loro casetta di periferia, così come l’ambiente bigotto di quella cittadina troppo piccola, dove ogni azione ritenuta inusuale veniva deliberatamente diffusa e sbandierata ai quattro venti, senza alcun riguardo. Quel continuo spettegolare era una vera e propria piaga, ma a ripagare quel fastidio era la tranquillità e la pace che vi si respirava.

Ma, a dare il colpo di grazia alla situazione già di per sé delicata in cui verteva il suo matrimonio, c’era stato il suo lavoro che lo aveva assorbito quasi completamente. Adorava essere lo sceriffo di Forks, dove i rischi e i pericoli erano ben pochi, ma dove comunque il lavoro non mancava mai. Aveva deciso di entrare nella polizia subito dopo il termine del suo corso di studi e vi si era sempre dedicato con passione e devozione, finendo così per trascurare il benessere ed i desideri della sua famiglia.

Se lo rimproverava, oh si che se lo rimproverava! Non passava giorno senza rimuginare sui suoi errori e su quello che sarebbe stato giusto fare. Addirittura aveva pensato di chiedere il trasferimento a Phoenix, per poter stare vicino a Bella, ma lui non era adatto a luoghi come quello. Lui che non aveva mai lasciato Forks, lui che trovava nella pioggia uno strano conforto, il familiare profumo della rugiada al mattino ed il fresco odore salmastro sulla riva del mare.

Quella era la sua casa, quello il posto che aveva deciso di proteggere, quando era entrato tra le fila della polizia.

Charlie e Renèe erano essenzialmente molto diversi. Lei egocentrica, indipendente e soprattutto eccentrica, lui… un uomo tutto d’un pezzo, amante della sua routine e della tranquillità. Delle volte si dice che gli opposti si attraggono, ma nel loro caso le conseguenze dell’attrazione non erano state delle migliori. Malgrado tutto però lui continuava ad amarla e forse questa era la consapevolezza peggiore di tutte.

Quell’estate però Charlie aveva riposto la sua attrezzatura da pesca e il distintivo, e aveva tutta l’intenzione di godersi la compagnia della sua bambina, desideroso di renderla felice. Era più che propenso ad evitare di limitare il suo soggiorno a battute di pesca e pomeriggi in spiaggia, dove a causa del tempo uggioso di Forks, la piccola sarebbe anche stata costretta a rinunciare a fare il bagno. Quell’anno voleva rendere la sua permanenza indimenticabile. Era consapevole che ormai cresceva e che pian piano le sue visite sarebbero state sempre più rade, complici le amicizie ed il desiderio di viaggiare con i suoi amici. Quello non avrebbe mai potuto evitarlo.

Certo, mancava ancora qualche anno, ma lui preferiva premunirsi, onde evitare di accelerare i tempi.

Per tale motivo aveva organizzato un piccolo viaggetto per rendere felice la sua bambina. Lui e la famiglia del suo amico, Billy Black, si sarebbero recati ad un piccolo parco giochi, non molto lontano da Seattle, dove avrebbero potuto approfittare delle giostre, per l’intero fine settimana, rendendo così memorabili quei giorni.

Caricata Isabella in macchina, con il suo bagaglio, guidò fino alla riserva di La Push e, durante il viaggio in auto, ascoltarono la cassetta preferita di Bella, contenente tutte le canzoni dei suoi cartoni preferiti. Non si muoveva mai senza, ed era ormai divenuta inseparabile dal vecchio walkman di sua madre. Durante il tragitto Charlie ebbe modo di spiegare ad un’entusiasta Bella i loro piani per il week-end, promettendole un’estate meravigliosa. Per l’occasione aveva anche acquistato una nuova macchina fotografica digitale, che non aveva minimamente idea di come utilizzare, ma con la quale intendeva immortalare quei giorni per poterne avere sempre un vivo ricordo.

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Dopo più di un’ora giunsero finalmente presso la deliziosa casetta dei Black. Bella ricordava appena quel luogo, dove suo padre l’aveva condotta tempo addietro. Rammentava la deliziosa altalena dalla quale era caduta in un eccesso di imprudenza, tentando di aumentare la velocità, per avvertire quell’eccitante brividino di paura all’altezza dello stomaco. Peccato non avesse tenuto a mente la sua pessima coordinazione e, poggiando erroneamente i piedi in terra, era ruzzolata sbucciandosi le ginocchia e le mani, provocando quasi un colpo al suo papà.

« Siamo arrivati! » esclamò entusiasta quest’ultimo, dando un leggero colpo di clacson per palesare la sua presenza. Uscirono dall’auto, avviandosi verso la porta d’entrata, per aiutare Billy e la sua sedia a rotelle a montare in macchina. Sarebbero andati tutti con un furgoncino che Charlie aveva acquistato qualche anno prima, quando Renèe si lamentava per essere costretta a girare sempre con la volante della polizia. Una cosa che lei trovava non poco imbarazzante, sebbene lui non ne comprendesse affatto il motivo.

Bella seguì docilmente suo padre, aggrappandosi alla sua mano, mentre si guardava goffamente intorno, tentando di riportare alla mente altri vecchi ricordi, ma con scarso risultato. Dalla sua ultima visita erano passati quasi due anni, perché durante l’estate precedente Charlie l’aveva raggiunta a Phoenix, a causa del morbillo. Era stato bello dividere nuovamente la casa con entrambi i suoi genitori, per qualche tempo si era anche illusa che tutto fosse tornato alla normalità, si era sentita felice e protetta, come in passato.

Peccato che con il termine dell’estate fossero sfumate anche i sue sogni. Charlie era tornato a casa e lei era stata costretta ad accontentarsi solo delle sue telefonate.

« Su Bells, andiamo! » la esortò, tirandola verso il portico.

La porta di casa si aprì, in quel momento, rivelando un uomo sorridente con un bambino, dalla carnagione olivastra e due grandi occhi color onice. Era davvero molto carino, con quello sguardo allegro e vispo, e non appariva per nulla intimidito dalla loro presenza. Al contrario, la viva curiosità era percepibile sul suo volto, dove un sorriso colmo di aspettativa lasciava in mostra i dentini bianchi.

« Ehi Jake, come sei cresciuto! Manco qualche giorno dalla riserva e tu mi diventi un gigante.» esclamò il padre di Isabella, scrutando quel piccoletto che per lui era alla stregua di un nipote. Erano molte le sere che trascorreva dai Black, cercando in quelle mura familiari quel conforto che ormai la sua casa aveva perduto. La solitudine era deleteria per il suo stato d’animo, gli rammentava ciò che aveva perduto.

Charlie diede una pacca fraterna sulla spalla del suo amico, avvicinandosi a loro. «Bells, ti ricordi di Billy e Jacob?»

Lei scosse il capo in senso di diniego, giocherellando nervosamente con il suo fermaglio color arancio, sua madre adorava quel colore e non perdeva occasione per abbigliarla in quel modo tanto appariscente che lei detestava. Si sentiva imbarazzata con quei due estranei, benché la curiosità la spingesse ad osservarli di sottecchi, ma non ebbe modo di indagare granchè, perché i due adulti, scambiati i soliti convenevoli, sistemate le ultime cose si misero immediatamente in viaggio, verso la loro destinazione.

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Il Lunapark era immenso, disseminato di giostre di ogni tipo: otto volante, castelli incantati, montagne russe e una serie di strane costruzioni dagli aspetti più vari che i due bambini osservarono totalmente ammaliati.

I colori sgargianti sommati ai vari chioschetti, ricolmi di leccornie e balocchi, furono per loro una tale fonte di meraviglia che non prestarono assolutamente attenzione alle innumerevoli raccomandazioni dei loro genitori, troppo presi nella contemplazione e nella progettazione di tutti i giochi a cui avrebbero potuto dedicarsi.

Jacob attirato dalle urla delle montagne russe si pregustava il “giro della morte”, nome fantasiosamente attribuito ad una piccola rotazione di una delle giostre. Bella invece, incantata dal carosello con i cavalli, afferrò la mano di Charlie spronandolo a seguirla, sperando di essere accontentata.

La mattinata scorse così, veloce, tra le sfrenate richieste dei bambini, entusiasmanti visite ai labirinti più spaventosi e orripilanti, accompagnati dalle urla di Bella ed i pianti di Jacob, alla comparsa dell’ennesimo fantasma, conditi dai bonari rimproveri di Billy, che spronava inutilmente il suo bambino a comportarsi da ometto.

« Io sono un uomo e non ho paura!» sentenziò imbronciato, dopo l’ennesima ammonizione, voltandosi immediatamente verso Bella, con una tale espressione risoluta che i loro genitori trovarono estremamente difficile trattenere le risa. « Ti proteggerò io. » asserì, rassicurando la piccola Bella in lacrime, spaventata dal mostruoso licantropo sbucato nel labirinto dell’orrore.

Che fosse strano o meno, lei parve realmente rincuorata dalle sue parole e, asciugandosi con la manica del maglioncino, le lacrime dispettose che scorrevano sulle guanciotte accaldate, si affiancò a lui, stringendo la sua manina. Fu proprio così che uscirono dalla casa del terrore, anticipando Billy, Rachel e Charlie, con un Jake impettito, che a stento tratteneva i tremiti, mordendosi le labbra, e Bells stretta al suo braccio in cerca di sostegno.

« Bene, credo sia il caso di andare a mangiare qualcosa, che ne dite? » propose Charlie, notando il volto stremato ed esausto dei due bambini, per permettere entrambi di riprendersi dallo spavento. Si trovò ad osservare con un moto d’orgoglio il piccolo Black, rimuginando su quanto gli sarebbe piaciuto avere un altro bambino, un bel maschietto. Sarebbe stato bello avere qualcuno accanto alla sua Isabella, a proteggerla, quando lui non ci sarebbe stato. Qualcuno a cui avrebbe potuto insegnare a tirare una palla senza rischiare di vederlo ruzzolare in terra, sperando non possedesse lo stesso scarso equilibrio della sua piccola principessa. A quel pensiero soffocò una risata, seguendo gli altri, ugualmente desiderosi di riposo, verso la zona adibita ai pic-nick, per consumare il lauto banchetto che Rachel aveva preparato per la giornata.

« Sono proprio una bella coppietta. » mormorò allegramente il suo amico, mentre osservava i bambini ancora mano nella mano, con un’espressione intenerita.

Charlie corrugò la fronte, fintamente scandalizzato. « Neanche per sogno. – borbottò in tono burbero. - Non vorrei trovarmi ad odiare il piccolo Jacob, perché vuole portarmi via il cuore della mia bambina. »

Risero insieme di quella prospettiva tanto bizzarra, immaginando un futuro che vedeva i due bambini come una coppia affiatata di adolescenti. Entrambi sapevano quanto questo sarebbe stato impossibile, vista la lontananza di Bella, ma Charlie sarebbe stato lieto di incoraggiare una loro amicizia. Trovava nella sua bambina una tale fragilità che avrebbe desiderato saperla protetta da qualcuno di cui potersi fidare.

L’idea di immaginarla preda di qualche cattivo ragazzo, nella città di Phoenix, tanto caotica, lo intimoriva non poco. Detestava pensarla in un simile ambiente, tanto diverso dalla sicura e tranquilla Forks, dove lui conosceva ogni adolescente e tutto ciò che accadeva. Un’amicizia con Jacob sarebbe stata auspicabile. Sapeva che dall’influenza del suo amico e dall’ambiente della riserva non poteva che crescere un bravo ragazzo.

Chiacchierando così, pranzarono all’aria aperta, deliziandosi delle leccornie preparate da Rachel: sandwich, panini, frutta, qualche dolcetto e tanto altro. Finirono tutto, affamati per quella mattinata movimentata, rifocillandosi in vista del pomeriggio che si prospettava altrettanto lungo e pieno.

« Rachel, noi andiamo al bar a prendere qualche bibita ghiacciata, tieni d’occhio i bambini. » la esortò Billy, ricevendo in risposta solo uno sbuffo contrariato.

I due si allontanarono, pronti ad affrontare la lunga fila di persone in attesa, lasciando i piccoli a godersi la torta al cioccolato, che soprattutto Jacob stava divorando con un’espressione estasiata. A quanto pareva era un vero e proprio golosone, tanto che Bella, per ringraziarlo per la sua protezione nel labirinto, decise di cedergli anche la sua porzione, ormai sazia.

Restarono così, a cantare filastrocche, intrattenendosi , fino a quando un suono stridulo non distolse la loro attenzione dai giochi. Era il cellulare di Rachel.

Lei lo afferrò prontamente, mentre un sorriso radioso si dipingeva sul suo bel viso, distendendone i lineamenti. L’idea di trascorrere il fine settimana con i bambini, lontano da casa e dai suoi amici, e soprattutto dal suo ragazzo, aveva inevitabilmente guastato il suo umore, ma quella telefonata la risollevò in un istante.

Allontanandosi un poco, per ottenere la sua privacy, lasciò i piccoli a giocare, decidendo di sorvegliarli da lontano, non prima di aver intimato entrambi a non muoversi e a non compiere sciocchezze. I due annuirono tranquillamente, scrutando la sua figura in lontananza.

« Sta sempre a telefono. » bofonchiò Jacob, imitando il tono contrariato del padre, quando rimproverava la sua primogenita. Ma Isabella non gli prestò attenzione, troppo incuriosita da una scena in cui i suoi occhi interessati si erano imbattuti.

« Che stanno facendo quei due signori? » domandò, osservando corrucciata una giovane coppietta, a poca distanza, che si scambiava tenere effusioni.

Lui si voltò, verso la direzione indicata, mentre le sue labbra si distendevano in uno scaltro sorriso. « Si baciano. – bisbigliò Jacob, con fare cospiratore. – Anche Rachel lo fa spesso con Lou, quello che và a scuola con lei. Ma papà non lo sa. » le confidò ridacchiando sornione, felice di renderla partecipe quel piccolo segreto che custodiva e che sua sorella gli aveva espressamente vietato di riferire, dopo essere stata colta in fallo. Certo, per convincere la piccola peste era stata costretta a rinunciare a parte della sua paghetta, per procurargli mashmellow a volontà e soddisfare così l’insaziabilità di suo fratello, ma almeno lui pareva propenso a rispettare i suoi termini del patto.

Da bambino di appena sette anni era ampiamente divertito da quella piccola combutta, incuriosito poi dal motivo per il quale fosse necessario mantenere il segreto.

Bella, dal canto suo, riflette su quella confessione, iniziando ad osservare nuovamente la coppia, inclinando il capo curiosa, pronta a studiare la dinamica del fatto con attenzione, spinta dall’indicibile desiderio di sapere proprio di ogni bambino.

« Che schifo. » sentenziò d’un tratto, dopo un’attenta analisi, arricciando il nasino e scuotendo il capo disgustata.

Jacob rise divertito. « È la stessa cosa che ho detto anche io. – le confidò. – Ma Rachel dice che quando sarò grande mi piacerà e che adesso sono troppo piccolo per capire. »

Quella sua insinuazione lo aveva decisamente indispettito, perché lui si sentiva abbastanza grande da comprendere tutto quello di cui la sua sorella maggiore discuteva. In compenso, non avendolo mai constato sulla sua pelle, proprio non sapeva se lei avesse ragione o meno. « Proviamoci! » esclamò, ostentando un’espressione risoluta e decisa.

Bella non parve particolarmente convinta ed esitò appena qualche attimo prima di voltarsi nuovamente verso la coppia.

Loro non parevano affatto disgustati, constatò, decidendo così per annuire pronta a quel piccolo esperimento. « Cosa dobbiamo fare? » bisbigliò, incrociando le gambe e sporgendosi verso Jacob con fare cospiratore, guadagnandosi un suo sorriso soddisfatto.

Si, l’idea gli piaceva.

Lui si sedette immediatamente sulle ginocchia, avvicinandosi a lei, pronto a dare istruzioni. « Allora, chiudi gli occhi. – le ordinò, correggendosi immediatamente. – Aspetta, devi prima mettere la bocca così. » precisò, simulando quello che avrebbe dovuto essere la “posizione” da bacio.

Isabella annuì, con la sua fronte increspata per la concentrazione, ubbidendo senza discutere.

« Bene, adesso chiudi gli occhi. » continuò, rammentando le parole che aveva udito da Lou, qualche volta. Capitava infatti che, quando il fidanzato della sorella la riaccompagnava a casa, la sera, sul portico lui le intimasse di chiudere gli occhi, prima di darle il bacio della buonanotte, talvolta accompagnando il gesto con un piccolo dono: una caramella, un cioccolatino o qualche cosa di simile.

Jacob era sempre stato incuriosito da quella loro usanza, ma al contempo ne era anche assolutamente affascinato.

Risoluto si avvicinò così alle labbra increspate di Bella, scoccandole il fatidico bacio, rammentandosi troppo tardi di non aver chiuso gli occhi, distratto dal tentativo di baciarla senza sbagliare. Ma non si crucciò più di tanto, troppo preso dall’esaminare quello che un simile gesto riusciva a trasmettergli.

Cosa ci troveranno i grandi? Si domandò seriamente perplesso, scostandosi piano dalla sua amica, con un’espressione vagamente insoddisfatta.

« Non mi è piaciuto! » sentenziò lei, senza remore, altrettanto delusa. Un’affermazione che anni dopo non si sarebbe più potuta concedersi, ma che in quell’istante fu spontanea e semplicemente onesta, come può essere solo un bambino. Senza malizia, senza titubanza.

« Neanche a me. – ribatté lui, corrucciato. - Adesso poi dovrei darti una caramella. »

Già, peccato che non ci avesse pensato prima.

Bella inclinò il capo, incuriosita. « Perché? »

« Perché Lou dà sempre una caramella a Rachel. » spiegò con veemenza, non sapendo come rimediare al suo errore.

Lei scrollò le spalle, gettando uno sguardo alla tovaglia poggiata in terra, dove erano distesi i rimasugli del loro pranzo, senza trovare nulla che potesse essere paragonabile ad una caramella, o anche solo commestibile. Jacob aveva ormai divorato ogni cosa, con il suo appetito spropositato.

« Non c’è nulla. » constatò dunque, rammaricato. « Niente caramella. »

Sbuffarono entrambi, infastiditi dalla consapevolezza di non poter portare a termine il loro esperimento, ma ben presto altri pensieri presero il posto della leggera delusione. Perché si sa, le distrazioni per una mente di un bambino sono abbastanza per far scemare ogni piccola frustrazione, sostituendola con più allegri pensieri.

Un sorriso illuminò il volto di Jacob, quando una nuova idea balenò nella sua mente. « Sarà il nostro segreto? » propose ridacchiando, entusiasta di avere qualche confidenza da custodire, anche da sua sorella Rachel.

Bella annuì ugualmente divertita, felice di aver incontrato quel nuovo amico. Ripresero così a giocare, ridacchiando di tanto in tanto, sotto i baffi, fino a quando i loro genitori non fecero ritorno. Billy si premurò di dirigersi verso sua figlia, per ammonirla, avendo prestato ben poca attenzione ai bambini, Charlie invece, entusiasta, si avviò verso di loro con una piccola sorpresa.

« Abbiamo trovato questi. » esclamò, porgendo loro due bonbon colorati, dall’aspetto invitante, risolvendo pur inconsapevolmente, il loro piccolo problema.

Il volto di Jacob si illuminò all’istante e, voltandosi verso la sua amica, potè scrutare sul suo volto la medesima espressione soddisfatta. Sempre ridacchiando afferrarono così con particolare entusiasmo le caramelle. Charlie osservò insospettito i sorrisi enigmatici delle due piccole pesti, intuendo stessero nascondendo qualcosa ma, felice del cameratismo nato tra loro, decise di non indagare, consapevole non potessero aver fatto nulla di male.

Lasciandoli alle loro macchinazioni iniziò a riporre i rimasugli del pranzo all’interno del borsone, preparando il tutto per iniziare il secondo giro per il parco giochi.

Bella dal canto suo presto ben poca attenzione a suo padre, interessata maggiormente ai termini del piccolo scambio che da lì a poco avrebbero concluso. Quella piccola esperienza, quel bacio, si era rivelato se non disgustoso come aveva inizialmente ipotizzato, non era comunque nulla di bello o divertente, come invece Rachel pareva aver affermato. Fatto sta che, consapevole di ciò, non avrebbe ripetuto l’esperimento.

« Grazie! » esclamò mentre Jacob le porgeva il bonbon, rigirandosi tra le mani le due caramelle.

« Ma così tu resti senza. – constatò, notando l’espressione leggermente corrucciata del suo amico. Quello scambio non le sembrava granché giusto. Perché non poteva essere lei a regalargli la sua caramella? Forse era per quella che la sorella di Jake diceva che i baci erano qualcosa di bello, forse anche lei era tanto golosa, si ritrovò a rimuginare. – e se io ti regalo il mio? Va bene lo stesso? » chiese meditando.

Lui scosse il capo, sbuffando. « No, è Lou a regalarle la caramella. » protestò imbronciato, ma lei era ugualmente decisa a non cedere.

Bella, infatti, si chinò verso di lui, guardandosi attorno con aria cospiratrice. « Non lo diremo a nessuno! » bisbigliò, porgendogli con finta aria indifferenze il piccolo bonbon alla fragola, mascherando un sorriso sornione.

Fu così che dichiararono concluso il loro piccolo esperimento, entusiasti non tanto dall’essersi scambiato questo fatidico bacio, quanto per la convinzione di aver avuto entrambi ragione:

I baci? Che schifo…

   
 
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