*O* Salve salvino! Eccomi con una
nuova one-shot della serie: Essere
genitori. In verità questa vi
rientra solo marginalmente, potrebbe essere vista più come una "What if...?", che
ha come
tematica un'eperienza infantile. I
protagonisti qui
sono Bella e Jacob da bambini, con i rispettivi padri. Bhe,
non mi resta che sperare che vi piaccia *O* Non so nemmeno come sono
riuscita a
scriverla, in questa mini casa, con mio padre e mio fratello che fanno
casino
dalla mattina alla sera. Un vero tormento!
Bhe, la smetto di tergiversare e vi lascio alla mia piccola ff, un bacione!
Isabella
Swan era una bambina estremamente tranquilla. La
timidezza che la caratterizzava la spingeva a tenere sempre un
comportamento
irreprensibile, timorosa di castighi o rimproveri. Viveva con sua madre
a
Phoenix ormai da qualche anno e, nonostante la lontananza dal suo papà,
la sua
vita era serena e tranquilla, pur essendo spesso costretta a far fronte
agli
strani comportamenti di Renèe e le sue strampalate idee.
Ma
in fin dei conti lei la trovava divertente e tanto buffa.
L’estate
era però ormai alle porte e, come ogni anno, in
quel periodo, era diretta a Forks, per trascorrere le vacanze in
compagnia di
suo padre. I suoi genitori avevano divorziato pochi anni dopo la sua
nascita quando
sua madre aveva deciso di abbandonare quel paesino troppo angusto e con
lui suo
marito. Così si erano trasferite e Bella – come erano soliti
soprannominarla –
riusciva a vedere Charlie solo in rare occasioni, a causa della
lontananza.
«Papà!»
esclamò sbracciandosi accanto alla hostess, che
gentilmente si era offerta di accompagnarla. Il viaggio era stato
tranquillo e
Renèe, impossibilitata ad allontanarsi, a causa del lavoro, era stata
costretta
a chiedere agli assistenti della compagnia aerea di badare alla sua
bambina,
durante il volo, scortandola poi da suo padre all’arrivo. « Sono qui. »
urlò,
saltellando, per permettergli di vederla, nonostante la calca di gente
che li
circondava. Non che lui non l’avesse notata, con quel suo vestitino
arancione,
sgargiante, tipica scelta della sua ex moglie. Spesso si domandava come
doveva
essere la vita di sua figlia, con Renèe, senza la sua interferenza a
moderare i
suoi comportamenti strampalati. Era una donna decisamente particolare,
e forse
per quella sua allegria e per quell’entusiasmo che riversava anche
nelle cose
più frivole era riuscita a conquistarlo.
Fu
trafitto da quei pensieri dolorosi, mentre accoglieva tra
le sue braccia un piccolo tornado dai capelli castani. Charlie Swan non
potè
fare a meno di sorridere sinceramente, alla
vista della sua bambina. Erano mesi che
non la vedeva e si sorprese di quanto fosse cresciuta in quel periodo,
benché
fosse noto che a quell’età fosse tutt’altro che anormale.
Lui
adorava sua figlia ed il divorzio era stato un duro
colpo, perché con esso aveva perduto le due persone più importanti
della sua
vita. Era ormai da tempo che i suoi genitori erano deceduti e, non
avendo alcun
fratello o sorella, Isabella e Renèe rappresentavano tutto ciò che
restava
della sua famiglia.
Il
suo
rifugio.
Non
poteva far a meno di rimuginare spesso sulla sua
stoltezza e sulla cecità che lo aveva spinto ad ignorare i palesi segni
di
malessere di sua moglie, durante gli ultimi mesi precedenti al suo
abbandono.
Lei detestava le strette mura della loro casetta di periferia, così
come
l’ambiente bigotto di quella cittadina troppo piccola, dove ogni azione
ritenuta inusuale veniva deliberatamente diffusa e sbandierata ai
quattro venti,
senza alcun riguardo. Quel continuo spettegolare era una vera e propria
piaga, ma
a ripagare quel fastidio era la tranquillità e la pace che vi si
respirava.
Ma,
a dare il colpo di grazia alla situazione già di per sé
delicata in cui verteva il suo matrimonio, c’era stato il suo lavoro
che lo aveva
assorbito quasi completamente. Adorava essere lo sceriffo di Forks,
dove i
rischi e i pericoli erano ben pochi, ma dove comunque il lavoro non
mancava
mai. Aveva deciso di entrare nella polizia subito dopo il termine del
suo corso
di studi e vi si era sempre dedicato con passione e devozione, finendo
così per
trascurare il benessere ed i desideri della sua famiglia.
Se
lo rimproverava, oh
si che se lo rimproverava! Non passava giorno senza rimuginare sui
suoi
errori e su quello che sarebbe stato giusto fare. Addirittura aveva
pensato di
chiedere il trasferimento a Phoenix, per poter stare vicino a Bella, ma
lui non
era adatto a luoghi come quello. Lui che non aveva mai lasciato Forks,
lui che
trovava nella pioggia uno strano conforto, il familiare profumo della
rugiada
al mattino ed il fresco odore salmastro sulla riva del mare.
Quella
era la sua casa, quello il posto che aveva deciso di
proteggere, quando era entrato tra le fila della polizia.
Charlie
e Renèe erano essenzialmente molto diversi. Lei
egocentrica, indipendente e soprattutto eccentrica, lui… un uomo tutto
d’un
pezzo, amante della sua routine e della tranquillità. Delle
volte si dice che gli opposti si attraggono, ma nel loro caso
le conseguenze dell’attrazione non erano state delle migliori. Malgrado
tutto
però lui continuava ad amarla e forse questa era la consapevolezza
peggiore di
tutte.
Quell’estate
però Charlie aveva riposto la sua attrezzatura
da pesca e il distintivo, e aveva tutta l’intenzione di godersi la
compagnia
della sua bambina, desideroso di renderla felice. Era più che propenso
ad evitare
di limitare il suo soggiorno a battute di pesca e pomeriggi in
spiaggia, dove a
causa del tempo uggioso di Forks, la piccola sarebbe anche stata
costretta a
rinunciare a fare il bagno. Quell’anno voleva rendere la sua permanenza
indimenticabile. Era consapevole che ormai cresceva e che pian piano le
sue
visite sarebbero state sempre più rade, complici le amicizie ed il
desiderio di
viaggiare con i suoi amici. Quello non avrebbe mai potuto evitarlo.
Certo,
mancava ancora qualche anno, ma lui preferiva
premunirsi, onde evitare di accelerare i tempi.
Per
tale motivo aveva organizzato un piccolo viaggetto per
rendere felice la sua bambina. Lui e la famiglia del suo amico, Billy
Black, si
sarebbero recati ad un piccolo parco giochi, non molto lontano da
Seattle, dove
avrebbero potuto approfittare delle giostre, per l’intero fine
settimana, rendendo
così memorabili quei giorni.
Caricata
Isabella in macchina, con il suo bagaglio, guidò
fino alla riserva di La Push e, durante il viaggio in auto, ascoltarono
la
cassetta preferita di Bella, contenente tutte le canzoni dei suoi
cartoni
preferiti. Non si muoveva mai senza, ed era ormai divenuta inseparabile
dal
vecchio walkman di sua madre. Durante il tragitto Charlie ebbe modo di
spiegare
ad un’entusiasta Bella i loro piani per il week-end, promettendole
un’estate
meravigliosa. Per l’occasione aveva anche acquistato una nuova macchina
fotografica digitale, che non aveva minimamente idea di come
utilizzare, ma con
la quale intendeva immortalare quei giorni per poterne avere sempre un
vivo
ricordo.
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Dopo
più di un’ora giunsero finalmente presso la deliziosa
casetta dei Black. Bella ricordava appena quel luogo, dove suo padre
l’aveva
condotta tempo addietro. Rammentava la deliziosa altalena dalla quale
era
caduta in un eccesso di imprudenza, tentando di aumentare la velocità,
per
avvertire quell’eccitante brividino di paura all’altezza dello stomaco.
Peccato
non avesse tenuto a mente la sua pessima coordinazione e, poggiando
erroneamente i piedi in terra, era ruzzolata sbucciandosi le ginocchia
e le
mani, provocando quasi un colpo al suo papà.
«
Siamo arrivati! » esclamò entusiasta quest’ultimo, dando
un leggero colpo di clacson per palesare la sua presenza. Uscirono
dall’auto,
avviandosi verso la porta d’entrata, per aiutare Billy e la sua sedia a
rotelle
a montare in macchina. Sarebbero andati tutti con un furgoncino che
Charlie aveva
acquistato qualche anno prima, quando Renèe si lamentava per essere
costretta a
girare sempre con la volante della polizia. Una cosa che lei trovava
non poco
imbarazzante, sebbene lui non ne comprendesse affatto il motivo.
Bella
seguì docilmente suo padre, aggrappandosi alla sua
mano, mentre si guardava goffamente intorno, tentando di riportare alla
mente
altri vecchi ricordi, ma con scarso risultato. Dalla sua ultima visita
erano
passati quasi due anni, perché durante l’estate precedente Charlie
l’aveva
raggiunta a Phoenix, a causa del morbillo. Era stato bello dividere
nuovamente
la casa con entrambi i suoi genitori, per qualche tempo si era anche
illusa che
tutto fosse tornato alla normalità, si era sentita felice e protetta,
come in
passato.
Peccato
che con il termine dell’estate fossero sfumate anche
i sue sogni. Charlie era tornato a casa e lei era stata costretta ad
accontentarsi solo delle sue telefonate.
«
Su Bells, andiamo! » la esortò, tirandola verso il
portico.
La
porta di casa si aprì, in quel momento, rivelando un uomo
sorridente con un bambino, dalla carnagione olivastra e due grandi
occhi color
onice. Era davvero molto carino, con quello sguardo allegro e vispo, e
non
appariva per nulla intimidito dalla loro presenza. Al contrario, la
viva
curiosità era percepibile sul suo volto, dove un sorriso colmo di
aspettativa
lasciava in mostra i dentini bianchi.
« Ehi Jake, come
sei
cresciuto! Manco qualche giorno dalla riserva e tu mi diventi un
gigante.»
esclamò il padre di Isabella, scrutando quel piccoletto che per lui era
alla
stregua di un nipote. Erano molte le sere che trascorreva dai Black,
cercando
in quelle mura familiari quel conforto che ormai la sua casa aveva
perduto. La
solitudine era deleteria per il suo stato d’animo, gli rammentava ciò
che aveva
perduto.
Charlie
diede una pacca fraterna sulla spalla del suo amico,
avvicinandosi a loro. «Bells, ti ricordi di Billy e Jacob?»
Lei
scosse il capo in senso di diniego, giocherellando
nervosamente con il suo fermaglio color arancio, sua madre adorava quel
colore e
non perdeva occasione per abbigliarla in quel modo tanto appariscente
che lei
detestava. Si sentiva imbarazzata con quei due estranei, benché la
curiosità la
spingesse ad osservarli di sottecchi, ma non ebbe modo di indagare
granchè, perché
i due adulti, scambiati i soliti convenevoli, sistemate le ultime cose
si
misero immediatamente in viaggio, verso la loro destinazione.
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Il
Lunapark era immenso, disseminato di giostre di ogni
tipo: otto volante, castelli incantati, montagne russe e una serie di
strane
costruzioni dagli aspetti più vari che i due bambini osservarono
totalmente
ammaliati.
I
colori sgargianti sommati ai vari chioschetti, ricolmi di
leccornie e balocchi, furono per loro una tale fonte di meraviglia che
non
prestarono assolutamente attenzione alle innumerevoli raccomandazioni
dei loro
genitori, troppo presi nella contemplazione e nella progettazione di
tutti i
giochi a cui avrebbero potuto dedicarsi.
Jacob
attirato dalle urla delle montagne russe si pregustava
il “giro della morte”, nome
fantasiosamente attribuito ad una piccola rotazione di una delle
giostre. Bella
invece, incantata dal carosello con i cavalli, afferrò la mano di
Charlie
spronandolo a seguirla, sperando di essere accontentata.
La
mattinata scorse così, veloce, tra le sfrenate richieste
dei bambini, entusiasmanti visite ai labirinti più spaventosi e
orripilanti,
accompagnati dalle urla di Bella ed i pianti di Jacob, alla comparsa
dell’ennesimo fantasma, conditi dai bonari rimproveri di Billy, che
spronava
inutilmente il suo bambino a comportarsi da ometto.
«
Io sono un uomo e non ho paura!» sentenziò imbronciato, dopo
l’ennesima ammonizione, voltandosi immediatamente verso Bella, con una
tale
espressione risoluta che i loro genitori trovarono estremamente
difficile
trattenere le risa. « Ti proteggerò io. » asserì, rassicurando la
piccola Bella
in lacrime, spaventata dal mostruoso licantropo sbucato nel labirinto
dell’orrore.
Che
fosse strano o meno, lei parve realmente rincuorata
dalle sue parole e, asciugandosi con la manica del maglioncino, le
lacrime
dispettose che scorrevano sulle guanciotte accaldate, si affiancò a
lui,
stringendo la sua manina. Fu proprio così che uscirono dalla casa del
terrore,
anticipando Billy, Rachel e Charlie, con un Jake impettito, che a
stento
tratteneva i tremiti, mordendosi le labbra, e Bells stretta al suo
braccio in
cerca di sostegno.
«
Bene, credo sia il caso di andare a mangiare qualcosa, che
ne dite? » propose Charlie, notando il volto stremato ed esausto dei
due
bambini, per permettere entrambi di riprendersi dallo spavento. Si
trovò ad
osservare con un moto d’orgoglio il piccolo Black, rimuginando su
quanto gli
sarebbe piaciuto avere un altro bambino, un bel maschietto. Sarebbe
stato bello
avere qualcuno accanto alla sua Isabella, a proteggerla, quando lui non
ci
sarebbe stato. Qualcuno a cui avrebbe potuto insegnare a tirare una
palla senza
rischiare di vederlo ruzzolare in terra, sperando non possedesse lo
stesso
scarso equilibrio della sua piccola principessa. A quel pensiero
soffocò una
risata, seguendo gli altri, ugualmente desiderosi di riposo, verso la
zona
adibita ai pic-nick, per consumare il lauto banchetto che Rachel aveva
preparato per la giornata.
«
Sono proprio una bella coppietta. » mormorò allegramente
il suo amico, mentre osservava i bambini ancora mano nella mano, con
un’espressione
intenerita.
Charlie
corrugò la fronte, fintamente scandalizzato. «
Neanche per sogno. – borbottò in tono burbero. - Non
vorrei trovarmi ad odiare il piccolo
Jacob, perché vuole portarmi via il cuore della mia bambina. »
Risero
insieme di quella prospettiva tanto bizzarra,
immaginando un futuro che vedeva i due bambini come una coppia
affiatata di
adolescenti. Entrambi sapevano quanto questo sarebbe stato impossibile,
vista
la lontananza di Bella, ma Charlie sarebbe stato lieto di incoraggiare
una loro
amicizia. Trovava nella sua bambina una tale fragilità che avrebbe
desiderato
saperla protetta da qualcuno di cui potersi fidare.
L’idea
di immaginarla preda di qualche cattivo ragazzo,
nella città di Phoenix, tanto caotica, lo intimoriva non poco.
Detestava
pensarla in un simile ambiente, tanto diverso dalla sicura e tranquilla
Forks,
dove lui conosceva ogni adolescente e tutto ciò che accadeva.
Un’amicizia con
Jacob sarebbe stata auspicabile. Sapeva che dall’influenza del suo
amico e
dall’ambiente della riserva non poteva che crescere un bravo ragazzo.
Chiacchierando
così, pranzarono all’aria aperta,
deliziandosi delle leccornie preparate da Rachel: sandwich, panini, frutta, qualche dolcetto e tanto
altro. Finirono tutto, affamati per quella mattinata movimentata,
rifocillandosi in vista del pomeriggio che si prospettava altrettanto
lungo e
pieno.
«
Rachel, noi andiamo al bar a prendere qualche bibita
ghiacciata, tieni d’occhio i bambini. » la esortò Billy, ricevendo in
risposta
solo uno sbuffo contrariato.
I
due si allontanarono, pronti ad affrontare la lunga fila
di persone in attesa, lasciando i piccoli a godersi la torta al
cioccolato, che
soprattutto Jacob stava divorando con un’espressione estasiata. A
quanto pareva
era un vero e proprio golosone, tanto che Bella, per ringraziarlo per
la sua
protezione nel labirinto, decise di cedergli anche la sua porzione,
ormai sazia.
Restarono
così, a cantare filastrocche, intrattenendosi ,
fino a quando un suono stridulo non distolse la loro attenzione dai
giochi. Era il cellulare di Rachel.
Lei
lo afferrò prontamente, mentre un sorriso radioso si
dipingeva sul suo bel viso, distendendone i lineamenti. L’idea di
trascorrere
il fine settimana con i bambini, lontano da casa e dai suoi amici, e
soprattutto dal suo ragazzo, aveva inevitabilmente guastato il suo
umore, ma
quella telefonata la risollevò in un istante.
Allontanandosi
un poco, per ottenere la sua privacy, lasciò
i piccoli a giocare, decidendo di sorvegliarli da lontano, non prima di
aver
intimato entrambi a non muoversi e a non compiere sciocchezze. I due
annuirono
tranquillamente, scrutando la sua figura in lontananza.
«
Sta sempre a telefono. » bofonchiò Jacob, imitando il tono
contrariato del padre, quando rimproverava la sua primogenita. Ma
Isabella non
gli prestò attenzione, troppo incuriosita da una scena in cui i suoi
occhi
interessati si erano imbattuti.
«
Che stanno facendo quei due signori? » domandò, osservando
corrucciata una giovane coppietta, a poca distanza, che si scambiava
tenere
effusioni.
Lui
si voltò, verso la direzione indicata, mentre le sue
labbra si distendevano in uno scaltro sorriso. « Si baciano. –
bisbigliò Jacob,
con fare cospiratore. – Anche Rachel lo fa spesso con Lou, quello che
và a
scuola con lei. Ma papà non lo sa. » le confidò ridacchiando sornione,
felice
di renderla partecipe quel piccolo segreto che custodiva e che sua
sorella gli
aveva espressamente vietato di riferire, dopo essere stata colta in
fallo.
Certo, per convincere la piccola peste era stata costretta a rinunciare
a parte
della sua paghetta, per procurargli mashmellow a volontà e soddisfare
così l’insaziabilità
di suo fratello, ma almeno lui pareva propenso a rispettare i suoi
termini del
patto.
Da
bambino di appena sette anni era ampiamente divertito da
quella piccola combutta, incuriosito poi dal motivo per il quale fosse
necessario mantenere il segreto.
Bella,
dal canto suo, riflette su quella confessione,
iniziando ad osservare nuovamente la coppia, inclinando il capo
curiosa, pronta
a studiare la dinamica del fatto con attenzione, spinta dall’indicibile
desiderio
di sapere proprio di ogni bambino.
«
Che schifo. » sentenziò d’un tratto, dopo un’attenta
analisi, arricciando il nasino e scuotendo il capo disgustata.
Jacob
rise divertito. « È la stessa cosa che ho detto anche
io. – le confidò. – Ma Rachel dice che quando sarò grande mi piacerà e
che
adesso sono troppo piccolo per capire. »
Quella
sua insinuazione lo aveva decisamente indispettito,
perché lui si sentiva abbastanza grande da comprendere tutto quello di
cui la
sua sorella maggiore discuteva. In compenso, non avendolo mai constato
sulla
sua pelle, proprio non sapeva se lei avesse ragione o meno. «
Proviamoci! »
esclamò, ostentando un’espressione risoluta e decisa.
Bella
non parve particolarmente convinta ed esitò appena
qualche attimo prima di voltarsi nuovamente verso la coppia.
Loro
non parevano affatto disgustati, constatò, decidendo
così per annuire pronta a quel piccolo esperimento. « Cosa dobbiamo
fare? » bisbigliò,
incrociando le gambe e sporgendosi verso Jacob con fare cospiratore,
guadagnandosi un suo sorriso soddisfatto.
Si,
l’idea gli piaceva.
Lui
si sedette immediatamente sulle ginocchia, avvicinandosi
a lei, pronto a dare istruzioni. « Allora, chiudi gli occhi. – le
ordinò,
correggendosi immediatamente. – Aspetta, devi prima mettere la bocca
così. » precisò,
simulando quello che avrebbe dovuto essere la “posizione”
da bacio.
Isabella
annuì, con la sua fronte increspata per la
concentrazione, ubbidendo senza discutere.
«
Bene, adesso chiudi gli occhi. » continuò, rammentando le
parole che aveva udito da Lou, qualche volta. Capitava infatti che,
quando il
fidanzato della sorella la riaccompagnava a casa, la sera, sul portico
lui le
intimasse di chiudere gli occhi, prima di darle il bacio della
buonanotte,
talvolta accompagnando il gesto con un piccolo dono: una caramella, un
cioccolatino o qualche cosa di simile.
Jacob
era sempre stato incuriosito da quella loro usanza, ma
al contempo ne era anche assolutamente affascinato.
Risoluto
si avvicinò così alle labbra increspate di Bella,
scoccandole il fatidico bacio, rammentandosi troppo tardi di non aver
chiuso
gli occhi, distratto dal tentativo di baciarla senza sbagliare. Ma non
si
crucciò più di tanto, troppo preso dall’esaminare quello che un simile
gesto
riusciva a trasmettergli.
Cosa
ci
troveranno i grandi? Si
domandò seriamente perplesso, scostandosi
piano dalla sua amica, con un’espressione vagamente insoddisfatta.
«
Non mi è piaciuto! » sentenziò lei, senza remore,
altrettanto delusa. Un’affermazione che anni dopo non si sarebbe più
potuta
concedersi, ma che in quell’istante fu spontanea e semplicemente
onesta, come
può essere solo un bambino. Senza malizia, senza titubanza.
«
Neanche a me. – ribatté lui, corrucciato. - Adesso
poi dovrei darti una caramella. »
Già,
peccato che non ci avesse pensato prima.
Bella
inclinò il capo, incuriosita. « Perché? »
«
Perché Lou dà sempre una caramella a Rachel. » spiegò con
veemenza, non sapendo come rimediare al suo errore.
Lei
scrollò le spalle, gettando uno sguardo alla tovaglia
poggiata in terra, dove erano distesi i rimasugli del loro pranzo,
senza trovare
nulla che potesse essere paragonabile ad una caramella, o anche solo
commestibile. Jacob aveva ormai divorato ogni cosa, con il suo appetito
spropositato.
«
Non c’è nulla. » constatò dunque, rammaricato. « Niente
caramella. »
Sbuffarono
entrambi, infastiditi dalla consapevolezza di non
poter portare a termine il loro esperimento, ma ben presto altri
pensieri
presero il posto della leggera delusione. Perché si sa, le distrazioni
per una
mente di un bambino sono abbastanza per far scemare ogni piccola
frustrazione,
sostituendola con più allegri pensieri.
Un
sorriso illuminò il volto di Jacob, quando una nuova idea
balenò nella sua mente. « Sarà il nostro
segreto? » propose ridacchiando, entusiasta di avere qualche confidenza
da
custodire, anche da sua sorella Rachel.
Bella
annuì ugualmente divertita, felice di aver incontrato
quel nuovo amico. Ripresero così a
giocare, ridacchiando di tanto in tanto, sotto
i baffi, fino a quando i loro genitori non fecero ritorno. Billy si
premurò
di dirigersi verso sua figlia, per ammonirla, avendo prestato ben poca
attenzione ai bambini, Charlie invece, entusiasta, si avviò verso di
loro con
una piccola sorpresa.
«
Abbiamo trovato questi. » esclamò, porgendo loro due
bonbon colorati, dall’aspetto invitante, risolvendo pur
inconsapevolmente, il
loro piccolo problema.
Il
volto di Jacob si illuminò all’istante e, voltandosi
verso la sua amica, potè scrutare sul suo volto la medesima espressione
soddisfatta. Sempre ridacchiando afferrarono così con particolare
entusiasmo le
caramelle. Charlie osservò insospettito i sorrisi enigmatici delle due
piccole
pesti, intuendo stessero nascondendo qualcosa ma, felice del
cameratismo nato
tra loro, decise di non indagare, consapevole non potessero aver fatto
nulla di
male.
Lasciandoli
alle loro macchinazioni iniziò a riporre i
rimasugli del pranzo all’interno del borsone, preparando il tutto per
iniziare
il secondo giro per il parco giochi.
Bella
dal canto suo presto ben poca attenzione a suo padre,
interessata maggiormente ai termini del piccolo scambio che da lì a
poco
avrebbero concluso. Quella piccola esperienza, quel bacio, si era
rivelato se
non disgustoso come aveva inizialmente ipotizzato, non era comunque
nulla di
bello o divertente, come invece Rachel pareva aver affermato. Fatto sta
che,
consapevole di ciò, non avrebbe ripetuto l’esperimento.
«
Grazie! » esclamò mentre Jacob le porgeva il bonbon, rigirandosi
tra le mani le due caramelle.
«
Ma così tu resti senza. – constatò, notando l’espressione
leggermente corrucciata del suo amico. Quello scambio non le sembrava
granché giusto.
Perché non poteva essere lei a regalargli la sua caramella? Forse era
per
quella che la sorella di Jake diceva che i baci erano qualcosa di
bello, forse
anche lei era tanto golosa, si ritrovò a rimuginare. – e se io ti
regalo il
mio? Va bene lo stesso? » chiese meditando.
Lui
scosse il capo, sbuffando. « No, è Lou a regalarle la
caramella. » protestò imbronciato, ma lei era ugualmente decisa a non
cedere.
Bella,
infatti, si chinò verso di lui, guardandosi attorno
con aria cospiratrice. « Non lo diremo a nessuno! » bisbigliò,
porgendogli con
finta aria indifferenze il piccolo bonbon alla fragola, mascherando un
sorriso
sornione.
Fu
così che dichiararono concluso il loro piccolo
esperimento, entusiasti non tanto dall’essersi scambiato questo
fatidico bacio,
quanto per la convinzione di aver avuto entrambi ragione:
I
baci?
Che schifo…