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Autore: Ernil    06/08/2010    6 recensioni
Il Keene Act passa, e i superuomini devono tenersi al passo con i tempi.
« Mi dispiace » dice alla porta vuota e al lucchetto rotto, mentre il barattolo di zucchero lo fissa dicendo che ha finito gli anni dolci della sua vita, e quelle di Rorschach erano provviste per i tempi duri, e le parole stampate turbinano sul tavolo, fra i giornali, come petali morti.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sommario: Il Keene Act passa, e i superuomini devono tenersi al passo con i tempi. 

« Mi dispiace » dice alla porta vuota e al lucchetto rotto, mentre il barattolo di zucchero lo fissa dicendo che ha finito gli anni dolci della sua vita, e quelle di Rorschach erano provviste per i tempi duri, e le parole stampate turbinano sul tavolo, fra i giornali, come petali morti.

Pairing: uh...?

Rating: Verde

Disclaimer: Watchmen è appena stato aggiunto alla lista di cose di cui devo entrare in possesso prima di morire. Attento a te, Moore.

Beta: Geilie. Colgo l’occasione di ringraziarla anche qui perché si è sciorinata film, fumetto, e una buona dose di deliri miei personali. Grazie, tesoro.

Note dell’Autrice/1: hurm. Suppongo che questa sia ansia da prestazione... hurm.

 

 

[Il mio torturato spirito

qui riposa blandamente,

nell’oblio, e più non rimpiange

le sue rose d’un tempo –

quel suo antico agitarsi

per i mirti e per le rose.

 

Edgar Allan Poe, Per Annie]

 

 

Daniel si stava aspettando esattamente quel tonfo, quindi non è sorpreso quando lo sente. Il lucchetto alla porta cede con un cigolio rassegnato e girando la testa Daniel stringe gli occhi e può quasi vedere l’ombra che sguscia dentro in un solo rapido movimento.

La dannata miopia non è d’aiuto, ma dopo dodici anni in cui il lucchetto viene fatto a pezzi con regolare ferocia, Daniel non ha dubbi. 

« Rorschach » dice. Dal buio viene solo un grugnito, prima che la piccola ombra si stagli sulla soglia della cucina. La sola luce è quella della cappa sopra i fornelli, ma Daniel vede perfettamente le linee irregolari delle macchie di Rorschach fluttuare sul bianco atipico della maschera, in tante onde perpetue.

È quasi affascinante, se non fosse inumano.

Inumano non è nemmeno la parola adatta. Forse solo Rorschach conosce il modo per definirsi. Daniel ha smesso di tentare tempo fa.

Daniel smetterà definitivamente, questa notte. 

« Ti stavo aspettando » dice tristemente.

« Hn » è tutto quello che esce da sotto la maschera. Daniel non riesce ancora a pensare a quella come la sua faccia.

Deve smettere di pensarci e basta – lo farà da questa notte, promette. La fine dei giochi. Sa quando abbandonare il tavolo, la posta cresciuta vertiginosamente e le carte sfaldate fra le sue dita.

« Perché non di sotto? » dice Rorschach. Daniel si aspettava anche quella domanda, come il lucchetto rotto e il silenzio che viene dopo. Il silenzio pesante dopo le domande retoriche.

« Non vengo a fare la guardia stanotte, Rorschach ».

Il silenzio pesante dopo le risposte retoriche.

Daniel vorrebbe disperatamente che Rorschach parlasse, ma Rorschach non fa mai quel che gli si dice, tranne che quando stanno combattendo e la fiducia è cieca come la notte che turbina attorno a loro.

Daniel vorrebbe solo che Rorschach capisse – anche questa è una lotta (la loro ultima lotta), anche qui ha bisogno di fiducia cieca, anche adesso sta solo tentando di coprirgli le spalle al suo meglio. E talvolta anche la ritirata è vittoriosa e la prudenza è la parte migliore del coraggio.

« Hai letto i giornali, immagino » dice Daniel, usufruendo del bonus di domanda-stupida. Il suo indice arrotola un angolo del New York Gazette, che è spalancato sul tavolo come un fiore.

Anche se la luce è poca e la figura di Rorschach è stagliata dritta contro di essa, Daniel non ne ha bisogno per leggere i petali di quel fiore. Li ha strappati tutti – conosce il loro responso. M’ama, non m’ama, andiamo, non andiamo.

Ha comprato dieci giornali, quella mattina. Li ha sfogliati tutti, e l’oracolo è sempre lo stesso. Non m’ama, non andiamo, il Decreto Keene è stato davvero approvato.

Gesù cristo.

« Chiacchieroni. Liberali. Pensavo sapessi meglio ».

Le mani di Rorschach sono sprofondate nelle tasche fino al polso. Daniel non può vedere neanche un tremito di quelle dita che ha imparato a leggere come una faccia. Si basa tutto molto più sui movimenti del corpo che sulle macchie, anche se Daniel può capire da un singolo schizzo nero sulla guancia di Rorschach cosa sta pensando. Gli altri dicono che dà il mal di testa. Daniel dice che dà le vertigini, e anche se non lo ha mai ammesso, ha paura dell’altezza e vorrebbe mani a cui aggrapparsi, in quel momento.

« Rorschach » comincia Daniel stancamente. Il suo indice scivola fuori dall’angolo del giornale, lasciandolo arrotolato. « Mi dispiace ».

Il silenzio è così violento che sembra uno di quelli che seguono le loro lotte furiose, quando alla fine il sangue è schizzato dappertutto sulle pareti come feroci murales, mappe di terre con fiumi scarlatti, e Rorschach fissa i muri come se non avesse mai visto disegno più bello e Daniel fissa i muri pensando troppo vecchio per questo, Daniel, troppo vecchio e c’era davvero bisogno di ucciderlo e c’era davvero bisogno che lo schizzo disegnasse una così perfetta parabola lungo il muro, perché fa sembrare la morte quasi giusta e impeccabile e disegnata col compasso sulla sezione aurea.

« Non posso andare contro la legge per difendere la legge ». È questo l’inizio del discorso che si è preparato, sfogliando giornali come fiori e fiori come giornali, desiderando poter tagliare l’erba del prato senza pensare alle parole sotto le sue mani, stracciare i giornali e gettarli fuori nella pioggia.

È questo l’inizio del discorso, ma il resto è sbiadito nella sua bocca e dappertutto le parole ritagliate dai giornali nella sua testa sono inframmezzate dall’ombra che Rorschach getta sul tavolo, mentre Rorschach è muto, stagliato nella luce artificiale, piccolo e con le mani in tasca, il cappello in testa, nessun turbinio di macchie sul suo pseudo-volto.

Daniel sa che Rorschach sapeva di tutto questo. Si chiede se si fosse illuso che non avrebbe mollato. Il Decreto Keene pendeva sulle loro teste come una spada di Damocle, il crine di cavallo era sempre più sfilacciato; tutti sapevano che sarebbe arrivato. Lo sciopero della polizia. Il Comico che spara sulla gente. Manhattan alto sulla città come un dio.

La scritta sul muro.  

E poi: Rorschach che seda i civili dando fuoco ai loro cartelli, la sua piccola, scura, brutale figura saettante nella pioggia, sparisce e si dilegua, mentre Daniel guarda gli altri e chiede di poter lavorare col Comico, nel tener sotto controllo la folla.

Meglio il Comico che Rorschach. Meglio chiunque di Rorschach, il cui disegno è sempre simmetrico e il contrappasso implacabile. Forse inumano è il termine che sta cercando?   

Daniel sapeva che la spada sarebbe caduta e avrebbe spezzato il loro nodo gordiano, la corda tesa allo spasimo fra di loro, in un tiro alla fune dove Daniel faceva la parte della sanità mentale e del mondo intero. Forse avrebbe dovuto impegnarsi di più, ma che dio lo perdoni, la corda gli è scivolata bruciando fra le dita...

Ora lui è libero e Rorschach dal lato sbagliato della legge. Rorschach, che non ha più detto niente.

« Lascia perdere, Rorschach » mormora Daniel. È quasi una supplica. Alza lo sguardo e i suoi occhiali sono sporchi... ma non può permettersi di toglierseli per pulirli. Anche attraverso le macchie delle impronte digitali sulle lenti, le macchie di Rorschach sono chiarissime, come buchi sulla faccia, pupille infinite.

« No » dice Rorschach. La sua voce sembra salire dal profondo della gola, o forse da ancora più sotto... dal profondo di quel petto e dal profondo di ciascuna di quelle cicatrici che Daniel ha cucito insieme, sperando di poter cucire con la pelle anche i lembi della mente di Rorschach.

Ma non ce l’ ha fatta e mentre cuciva la pelle e la disinfettava la mente di Rorschach andava alla deriva e si infettava sempre di più. Daniel non ha più saputo cosa fare.

Nemmeno ora lo sa.

« Finirai ucciso » mormora. Non deve alzarsi e scuotere Rorschach – non deve, ma vorrebbe. Aprirgli le palpebre, togliergli la maschera che è un paraocchi, mostrargli... « Rorschach, tutto questo deve finire. Tutta questa violenza, questo... dio, non puoi andare avanti così, niente può andare avanti così. Questo lo capisci, vero? »

Questo lo capisce, vero?

Nessuna risposta. Daniel si è alzato a metà del suo discorso (che non è quello che si era preparato; se lo sta inventando sul momento e davvero non è mai stato bravo con le parole) e stringe fra le dita l’angolo del New York Gazette.

Rorschach è immobile. Le macchie si muovono così lentamente che potrebbero essere solo le ombre delle foglie, fuori dalla finestra.

« La città ha bisogno di noi » dice. Ha una voce che è un ringhio e Daniel sa che ha sempre spaventato tutti, in città, e non aveva mai compreso perché; ora teme di comprenderlo. « Questo lo capisco ».

« Ma io non ho bisogno di lei » dice Daniel. Finalmente lo ha detto; finalmente, non ne ha più bisogno; finalmente, le ultime vestigia del sogno si dissolvono nell’alba. « Cerca di capire anche questo ». Vorrebbe dirgli Per favore, ma le suppliche non hanno mai funzionato; basta chiedere in giro per saperlo. Daniel lo sa meglio di chiunque altro, mentre pensa agli ultimi due anni e all’abisso che si è allargato fra loro. E tuttavia. Non può semplicemente guardarlo andarsene nell’ombra. « La gente ti dà la caccia. La polizia ti dà la cacc- Rorschach! »

Rorschach si è voltato e se ne sta andando. Quando Daniel chiama il suo nome, si ferma. Le sue spalle sono dritte e le mani ancora sprofondate nelle tasche. Non ha teso fuori la mano per stringerla a Daniel e ringraziarlo per il buon lavoro e la buona collaborazione e augurargli di trovare un lavoro ancora più soddisfacente, e Daniel, le mani a stritolare i giornali sul tavolo, mezzo alzato sulla sedia, sa perché.

Perché i contratti di lavoro si concludono con strette di mano, le amicizie si concludono con lucchetti che pendono rotti dalle porte.

« Rorschach » chiama Daniel. « Per favore ».

Rorschach si volta. Non quello che Daniel si aspettava, mentre Rorschach torna nella cucina, e per un attimo Daniel pensa che si toglierà la maschera e sospirando gli dirà il suo nome e dirà hai ragione tu, Daniel.

In quale film l’ ho visto? pensa Daniel, mentre Rorschach non fa niente del genere se non guardarlo con quei buchi feroci e neri che sono il suo viso malato.

Daniel sa che è il suo viso, anche se non aveva mai voluto ammetterlo, o accettarlo, nel profondo lo sa. Sa che è la sua faccia, e sotto non c’è niente che quel viso non possa, o gli abbia, già detto.

O gli dirà mai.

La precisione con cui la spada ha tranciato il nodo è mortificante nella sua bellezza crudele, e Daniel pensa ecco cos’è la sindrome di Stoccolma.

Preso, catturato, trascinato fuori nella notte con un uomo sempre più instabile, curate le sue ferite, datogli il divano, preso, catturato e di nuovo trascinato fuori a combattere, ogni notte, anche mentre gli anni si accumulano sempre di più ed ecco, ora che può finalmente abbandonare l’attenti, non ci riesce. Non è così semplice.

Non è mai così semplice.

Che cosa gli aveva fatto credere che lo sarebbe stato? Uno stupido Decreto?   

Rorschach lo fissa come se stesse aspettando. Anche Daniel sta aspettando, anche se non saprebbe dire cosa.

Infine Rorschach si muove. Fa il giro del tavolo e per un attimo Daniel pensa a mille e una opportunità e motivazioni sentimentali per cui Rorschach dovrebbe fare il giro del tavolo – verso di lui – e...

Rorschach apre l’anta in parte a Daniel senza nemmeno guardarlo. Daniel non sa se essere sollevato o meno, ma sa cosa Rorschach sta cercando. Ha messo il barattolo dello zucchero in quell’anta più bassa apposta perché Rorschach ci arrivasse meglio.

È ridicolo, ma Rorschach, anche se deve averlo capito, non gli ha mai spezzato il collo con uno schiocco di dita per quello. Non l’ ha mai neanche ringraziato se non razziandogli con più passione la cucina.

Non lo ringrazia neanche adesso, mentre ribalta il barattolo sul tavolo e le zollette incartate ne escono fuori saltellando, e sono l’unico rumore fra di loro.

Rorschach le spinge a precipizio nella tasca del suo impermeabile, con il lato della mano guantata, finché non sono scomparse tutte.

Il barattolo è vuoto. Rorschach non lo rimette a posto, ma si volta di nuovo verso l’anta e quando ne tira fuori qualche scatola di fagioli Daniel si sente ridicolo, perché probabilmente è l’unico uomo sulla terra che tiene i fagioli vicino allo zucchero, ma lo aveva fatto per Rorschach.

Anche i barattoli di fagioli scompaiono nella tasca di Rorschach. Che non chiude le ante mentre fa di nuovo il giro del tavolo, evitando accuratamente Daniel, e raggiunge la porta.

Non ringrazia. Ha semplicemente depredato la cucina di Daniel, come un tempo.

Daniel sta quasi male a pensare che un giorno, due giorni, una settimana fa, tutta la loro dozzina d’anni insieme sono già un tempo. Non si è mai sentito così vecchio.

Forse Rorschach lo fa per mantenersi giovane – ma ne dubita. È indubbio comunque che Daniel ha appena rinunciato all’immortalità.

Mantenere giovani le illusioni è difficile. Rorschach è solo sempre più pazzo, e non è un prezzo che Daniel è disposto a pagare per scampare alla crisi di mezz’età. 

« Mi dispiace » dice ancora una volta, senza sapere se mente, mentre Rorschach è sulla porta. Il lucchetto pende scassinato. Daniel pensa che forse questa sarà l’ultima volta che lo farà riparare. Rorschach, in tutti quegli anni, ha praticamente fatto la fortuna del fabbro.

E se il suo portafogli gioisce, lui no. Guarda la piccola ombra scura che è Rorschach. Si è sempre chiesto se indossasse il cappello per sembrare più alto.

Il fatto che sembri quasi tenero è solo un altro segno di come il giorno prima divenga sempre di più un-tempo, il futuro più cupo, il passato più luminoso e lontano.

« Ci vediamo » dice Rorschach nel suo ringhio. « Nite Owl ».

« Non ci provare » dice Daniel, ancora in piedi accanto al tavolo, e sul tavolo il barattolo di zucchero vuoto suona come un addio, addio per sempre. « Non sono più Nite Owl ».

Mai più, mai più per sempre.

Rorschach non si muove. Sembra straordinariamente se stesso incorniciato dalla porta, sulla soglia della notte.

Questo, vorrebbe aggiungere Daniel, non significa che non potrai mai più venire a saccheggiarmi la cucina. Sarai sempre il benvenuto sul mio divano. Il mio lucchetto attenderà a ogni ora di venir distrutto.

Questo silenzio aspetterà per sempre di venir riempito.

« Addio, Daniel » dice Rorschach, quasi quieto, o forse solo piatto, e Daniel sa che comunque non avrebbe avuto senso dire quelle frasi, parlare di ospitalità mentre distrugge la vita notturna che li ha uniti. Ci vuole un pazzo per accoglierne un altro, e Rorschach sa che il divano di Daniel non è lì per lui – il divano di Nite Owl , poteva anche essere accettato.

Ma Nite Owl non c’è, c’è solo questo piccolo, patetico, grosso uomo con gli occhiali, e il divano di un civile è una cosa intollerabile. Anche solo stare sulla soglia lo è.

Se ne andrà scuotendo la polvere dai suoi stivali, pensa Daniel, e quando Rorschach scompare dalla sua porta, Daniel non può fare a meno di pensare a quella volta, due anni prima, in cui Rorschach era uscito a pattugliare da solo, e quando era tornato le sue frasi erano smozzicate e il suo volto fermo come un quadro surrealista, e le sue mani un po’ meno ferme, invece.

Si chiede se succederà di nuovo, mentre Rorschach pattuglierà da solo nella notte cieca, cieco anche lui come un gattino appena nato, e gli occhi del gufo non veglieranno su di lui. Nessun gufo sulla spalla della giustizia.

« Mi dispiace » dice alla porta vuota e al lucchetto rotto, mentre il barattolo di zucchero lo fissa dicendo che ha finito gli anni dolci della sua vita, e quelle di Rorschach erano provviste per i tempi duri, e le parole stampate turbinano sul tavolo, fra i giornali, come petali morti. Solo i nemici ci portano le rose, e quelle sono l’epitaffio per Nite Owl.

Le parole del senatore Keene hanno spezzato la sua vita con agghiacciante simmetria, messo in mostra le sue pecche, e i suoi difetti, e per la prima volta Daniel sente le rughe attorno ai suoi occhi, mentre siede al tavolo e prende carta e penna per scrivere il suo comunicato da mandare alla Gazette e annunciare che si è finalmente deciso a uscire dall’adolescenza.

Si chiede se anche Rorschach scriverà qualcosa del genere. Forse avrebbe dovuto chiederglielo – ma probabilmente, ormai, solo il giornale di domani gli darà risposte su Rorschach, per tutti i giorni a venire. Comincia a scrivere, e per la prima volta da anni la mano non gli trema per i colpi dati e ricevuti.

Ma trema lo stesso, mentre scrive il necrologio di Nite Owl, e per la prima volta da anni i suoi occhiali sono sporchi solo di ditate, non di sangue, e per la prima volta da anni non partecipa al coro di urla che è sempre stato per loro l’unica ninnananna di New York.

 

 

Note dell’Autrice:

Angoscia pretenziosa? *alza la mano* Presente. Lo so – dolore e struggimento eccetera. Se avessi ancora sentimenti me ne vergognerei. È solo che mi sembrava un buon modo per iniziare a seminare angst e slash qui dentro :D

Probabilmente non è la mia ultima parola sul Keene Act (andiamo, praticamente è una fonte perpetua di lacrime e disperazione, il ’77!), e giurin giurello farò di meglio, ma se avessi aspettato un solo altro giorno a postare qualcosa... penso che sarei esplosa. Eenk.

 

 

   
 
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