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Autore: fallapart_    06/08/2010    7 recensioni
[Sigur Rós]
« Io vedo un sacco di colori, Jón. » Jónsi & Alex. Che mi sembravano intoccabili, all'inizio, ma poi ho ceduto alla loro disarmante tenerezza.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Ovviamente i personaggi non mi appartengono. Ovviamente tutto questo non è reale. L’unica cosa reale è l’amore disarmante che questi due, Jón Þor Birgisson anche detto Jónsi e il suo ragazzo Alex Somers, dimostrano ogni giorno alla popolazione mondiale, senza vergognarsene né sbandierarlo come motivo di vanto.
Ed era talmente avvilente il fatto che nessuno avesse mai intaccato il fandom – anche se, lo ammetto, è una fortuna che ancora non lo si possa chiamare tale – che non ce l’ho fatta.
Buona lettura.

*

Silenzio.
Un proiettile freddo venuto dal cielo mi punge la nuca, con un sibilo impercettibile, fendendo l’assenza di rumore che, seppur assente, riempiva l’aria di una strana calma precaria.
Passo il palmo aperto su tutto il collo, strofino le dita sulla goccia bagnata per spazzarla via. Come se avesse senso; come se l’acqua non fosse dappertutto, fluttuante in questo freddo pungente, sovrapposta al grigio del cielo, sospesa sulle tubature dalle quali di tanto in tanto, aritmicamente, si scolla una goccia d’acqua sporca.
A sedere sull’asfalto, traccio cerchi con l’indice, cerchi che poi diventano curve, spirali, lettere; e salgo, con il pollice, su per le gambe, premendo forte sulle ossa fragili attraverso i pantaloni, come a disegnare il volo di un uccello solitario – solitario o, forse, semplicemente solo.
Stringo le scapole in uno scatto quando avverto un’altra mano, estranea, sfiorarmi il centro della schiena, e il fiato tiepido di un altro essere umano lambirmi la nuca ancora umida.
«Hai freddo?»
Le mie pupille sfrecciano a sinistra. Con la coda dell’occhio non posso vedere altro che altro grigio, altra nebbia densa e cupa a impedirmi di realizzare.
«Hai freddo, Jón?»
«No.»
«Stai tremando.»
«È la tristezza.»
Non risponde. Ma so che quando Alex non risponde non è perché non ha nulla da dire, ma perché sa che dirlo non è necessario.
«Mi manca casa» sussurro, a denti stretti. «Mi manca casa. Mi mancano le persone che lasciamo sempre. Mi manca il profumo del mare…»
Mi interrompo. Non lo vedo, ma so che il suo sguardo è puntato sul mio collo. Lo sento.
Quando ho incontrato Alex, ho pensato che fosse neve, la neve soffice che ricopriva il terreno spoglio. “Sei una nevicata”, gli ho detto. “Ma così faccio morire i fiori”, ha risposto. E allora non ho neanche pensato, ho solo trattenuto il respiro. “Sarò un bucaneve, se vuoi”.
«Non ti piaceva viaggiare, una volta?» la sua voce arriva ancora dal vuoto.
«Mi piace quando vedo dei colori.»
Avverto esitazione nei suoi passi lenti e irregolari. Ma poi la sua voce è ferma e sicura come sempre, forse anche di più.
«Chiudi gli occhi.»
Il vibrare delle sue corde vocali sfuma nel fruscio del vento. Immobile, affondo le palpebre nel nero più buio.
«Io vedo un sacco di colori, Jón.»
Il suo indice mi sfiora la fronte.
«Vedo una montagna altissima, una montagna di roccia bianca come il latte, grande, immersa nella nebbia. Quando c’è sole riflette la luce. Oggi è nuvoloso, ma una luce da riflettere, la montagna, la trova comunque. Splende, lassù in alto.»
Strizzo gli occhi mentre le sue dita mi passano tra i capelli.
«Vedo degli alberi, sulla montagna. Alcuni più chiari, alcuni più scuri. Una foresta intera.»
Ora il dorso della sua mano scivola liscio sulla pelle, lungo la tempia, fino alla guancia.
«Vedo un campo di fragole. Rosse, dolci come lo zucchero. E poco più in là…», mi tasta il naso con due polpastrelli, «…una collina, con due grotte che portano al mare.»
Inspiro. Mi sembra quasi di sentire il suo odore.
«Mentre lì… lì cosa c’è?» prosegue, e rabbrividisco quando qualcosa urta contro le mie ciglia. «È un lago. Profondo, pieno di pesci. Non so come faccia a restare così, turchese, cristallino, anche quando il cielo è grigio. Quando sei triste, puoi rifugiarti laggiù, nascosto fra quelle piante alte e scure, dove nessuno può trovarti.»
Cedo leggermente in avanti. Le palpebre tremano, a forza di restare chiuse, ma non ho il coraggio di fare neanche il movimento più insignificante.
«Ma ora sottoterra…» tutta la sua mano scatta, a posarsi sul mio petto, all’altezza del cuore. «…sottoterra sta nascendo un terremoto. Un fortissimo terremoto. È talmente forte che arriva fin quassù.» le sue nocche si spostano sulla mia bocca. Dischiudo le labbra al contatto con la sua pelle.
«Si è aperta una crepa sulla montagna. Ma non preoccuparti…»
Il calore dei suoi palmi mi invade entrambe le guance, e poi tutto il viso.
«Perché arriva il vento…» un brivido mi percorre nell’avvertire il suo fiato così vicino, come aria mossa da miliardi di uccelli migratori.
«…e dopo il vento, la neve.»
E viene neve.
Prima piano, fatta di piccoli fiocchi. Poi, spinta dal vento, diventa bufera, e preme sempre di più, violenta. Viene neve in ogni angolo, in superficie come sottoterra, riempie ogni spazio vuoto, ogni cantuccio tra le ossa, come se non ci fossero barriere.
C’è solo la neve, e il contrasto fra l’ardere del suo collo sotto le mie mani e il brivido freddo dei nostri nasi che si sfiorano, che si sfregano senza sosta.
C’è solo quella bufera di colori e di vita a cui forse non tutti potrebbero sopravvivere.
Ma io sono un bucaneve.
Solo quando viene neve posso vivere.

  
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